Una donna, durante una gita in montagna, rimane separata dal resto del mondo da una parete sorta misteriosamente e deve organizzarsi per sopravvivere, maturando un nuovo rapporto con la natura, gli animali, se stessa e il proprio passato.
Marlen Haushofer (1920-1970), austriaca, è autrice di vari romanzi e racconti tra i quali Un cielo senza fine, La mansarda, Abbiamo ucciso Stella, pubblicati dalle Edizioni e/o. Pur avendo ricevuto nel 1963
il Premio Schnitzler, è vissuta sostanzialmente ai margini degli ambienti letterari, scrivendo "sul tavolo della cucina", la mattina presto, quando ancora marito e figli dormivano.
L'ho preso quest'estate nella mia libreria preferita, mi ha ispirato e, senza pensarci troppo su, sono andata alla cassa.
E' il libro che mi ci voleva, è il libro giusto in questo momento.
La scrittura è monotona, il ritmo piatto e l'andamento è lineare, ma nessun altro stile poteva essere più perfetto per questa storia così "isolata".
Il resoconto martellante a mo' di cronaca di una solitudine forzata ma vissuta come necessaria, una parete che permette a questa donna di curare i suoi gesti e di agire le sue scelte.
Nel suo percorso, al di qua del muro che la divide dal mondo rimasto in sospeso, sperimenta l'indifferenza per ciò che non è più e la ricerca di quello che le manca.
C'è un passaggio molto interessante in cui si trova ad esplorare i suoi "dintorni" per capire cos'è rimasto intorno a lei. Arrivata nella capanna disabitata del guardiacaccia così racconta:
"Nella capanna trovai anche una vecchia sveglia, rivelatasi poi molto utile. Veramente possedevo la piccola sveglia da viaggio e l'orologio da polso, ma la sveglia da viaggio mi cadde di mano poco dopo, e l'orologio da polso non segnava mai l'ora esatta. Oggi ho solo la vecchia sveglia trovata nella capanna di caccia, ma anche quella è ferma da molto tempo. Mi regolo col sole, oppure, quando è nuvolo, col volo delle cornacchie o con altri segni. Vorrei sapere che fine ha fatto il tempo esatto degli orologi, ora che non esistono più esseri umani. Ogni tanto mi torna in mente quanta importanza avesse una volta non arrivare nemmeno con cinque minuti di ritardo. Conoscevo molte persone, le quali sembravano considerare il loro orologio come un piccolo idolo, e io del resto lo trovavo assolutamente sensato. Vivendo nella schiavitù è bene attenersi alle prescrizioni e non indisporre il padrone. Il tempo, quel tempo artificiale degli uomini, sminuzzato dal ticchetio degli orologi, non l'ho sentito volentieri e questo mi ha spesso messo in difficoltà. Non ho mai amato gli orologi, e dopo un po' tutti quelli che possedevo si rompevano, oppure sparivano misteriosamente. Ma il metodo col quale distruggevo sistematicamente gli orologi, lo celavo perfino a me stessa. Oggi, naturalmente, so come tutto ciò sia accaduto. Ho tanto tempo per riflettere, e poco a poco riuscirò a scoprire i miei sotterfugi.
Me lo posso permettere, è un fatto privo di conseguenze per me. Anche se mi venisse improvvisamente offerta la più sensazionale delle rivelazioni, per me non avrebbe alcun significato.[...]
La mia testa è libera, può sbizzarrirsi come meglio le pare, è unicamente la ragione che non deve abbandonarla, la ragione che le serve per tenere in vita me e gli animali".
Marlen Haushofer,
La parete, Edizioni e/o, pagg. 63-64.