Maria Grazia Calandrone

fil0diseta
00lunedì 30 novembre 2015 16:47
SERIE FOSSILE (Crocetti, 2015)
ascolta le poesie di "Serie fossile" a Radio3 Fahrenheit



© – fossile

metti una mano qui come una benda bianca, chiudimi gli occhi,
colma la soglia di benedizioni, dopo che
sei passata attraverso
l’oro verde dell’iride
come un’ape regale
e – pagliuzza
su pagliuzza,
d’oro e grano trebbiato –
hai fatto di me
il tuo favo di luce

una costellazione di api ruota sul tiglio
con saggezza inumana, un vorticare di intelligenze non si stacca
dall’albero del miele

– sarebbe riduttivo dire amore
questa necessità della natura –

mentre un vuoto anteriore rimargina
tra fiore e fiore senza lasciare traccia:

usa la bocca, sfilami dal cuore
il pungiglione d’oro,
la memoria di un lampo che ha bruciato la mia forma umana
in una qualche preistoria

dove i pazzi accarezzano le pietre come fossero teste di bambini:

avvicinati, come la prima
tra le cose perdute
e quel volto si leva dalla pietra per sorridere ancora

24.5.13





– acconsente


vista frontale della cavalla: bruna, lucida, vigile. porta
il calco triangolare di un tallone
bianco al sommo del capo: uno schizzo lunare.

la bestia è nitida come la luna:
il rilievo del muso, la struttura
dei pettorali, la conca forte
dei lombi. una forma alla piena potenza, nera
in fondo alla strada del quartiere: ispeziona
l’erba, gli stenti cespi
di malva ai piedi del muretto
che asseconda la minima radura.

ruota, scalcia, s’impenna, posa a terra
le zampe anteriori, per slanciarsi al galoppo.
ricomincia, in maniera sintetica.
io mi volto, le giro le spalle. lei potrebbe
travolgermi, piuttosto
oltrepassarmi. cambiare direzione.
oh, lei non tradirà.

la sento scalpitare: imbizzarrita, incerta. sento la polvere strappata al suolo
dagli zoccoli, le scintille dei ferri
battuti sull’asfalto e l’aspersione di un sudore bianco come incenso.
l’animale è improvviso e improvvisa
la calma

con la quale si affianca
alla mia destra. sbuffando
prende il mio passo umano: per un tratto
camminiamo in silenzio. poi
allungo la mano, per sfiorare
la piramide muscolare
della sua guancia sotto l’occhio. caldo
del manto sotto le dita: corto, morbido, in pace.

giro la mia irrisoria testa umana e guardo da vicino
il suo occhio sinistro: nero,
rotondo e folle di dolcezza.

l’intero fianco della bestia cede,
piega le zampe
anteriori per lasciarmi salire
sul nudo della groppa: corpo
a corpo, senza sella. ecco
l’incastro:
lo strumento, la cosa. ecco la cosa fatta per andare.


ROSA DELL'ANIMALE (Zona, 2014)

io non sono che il bianco della bestia
e lo splendore del suo occhio
nero,
rotondo,
mite

sono la mansuetudine dell’universo
che gira su se stessa
come l’occhio nell’orbita dell’
animale,

idolo
addormentato
che qui, sul limitare dell’abisso, lascia la prima lacrima
di gioia.

sono occorsi
millenni per quest’unica
lacrima,

alla quale s’inchina, come s’inchina
un campo
di fiori battuto da un vento
siderale, questo plurale

umano, coronato
di sole e impastato con la stessa pasta
della bestia,

questa miseria che desidera essere
accarezzata
dalla misericordia del tuo sguardo

12.1.2013

se questo corpo è tutto traforato
dallo splendore della continenza sarà aria, presto io sarò aria
e sarò il balestriere che ormeggia
il cielo, il corpo secco come un trofeo di guerra
dopo l’ultima lotta, il rubino
addensato da tutte le mie colpe sulla fronte – un diadema
di colpa. non avrò più peccato, solo
armi. né corazza
né cavalcatura: sarò
nudo e porterò il dolore superficiale
di una spada
appoggiato sull’omero – sarò quasi già un pugno di sabbia, ma piegato
sotto il suono d’oboe della rotazione dei pianeti, sensibile
al cigolio della macchinazione
planetaria, deporrò i muscoli impiegati per il volo
come appendici – o solamente sogni
di appendici umane – nel vaso del tuo corpo, che è rimasto
fedele alla fiducia che questo mondo dove pesano solamente i fatti
sia fatto a somiglianza di un’astrazione

altro
cripaf
00giovedì 3 dicembre 2015 09:38
fossile

metti una mano qui come una benda bianca, chiudimi gli occhi,
colma la soglia di benedizioni, dopo che
sei passata attraverso
l’oro verde dell’iride
come un’ape regale
e – pagliuzza
su pagliuzza,
d’oro e grano trebbiato –
hai fatto di me
il tuo favo di luce

una costellazione di api ruota sul tiglio
con saggezza inumana, un vorticare di intelligenze non si stacca
dall’albero del miele

– sarebbe riduttivo dire amore
questa necessità della natura –

mentre un vuoto anteriore rimargina
tra fiore e fiore senza lasciare traccia:

usa la bocca, sfilami dal cuore
il pungiglione d’oro,
la memoria di un lampo che ha bruciato la mia forma umana
in una qualche preistoria

dove i pazzi accarezzano le pietre come fossero teste di bambini:

avvicinati, come la prima
tra le cose perdute
e quel volto si leva dalla pietra per sorridere ancora

24.5.13

Non conosco l’autrice se non per sentito dire.
Di chi è la voce parlante ed a chi si rivolge?
È il fossile che parla-credo- con voce ancestrale nel poeta stesso.
Il fossile come rappresentante di un mondo solo apparentemente finito ma invece pronto a farsi presente solo che qualcuno creda possibile restituirgli il sorriso.
Cos’è il fossile in fondo se non un residuo pietrificato che affiora dal pozzo della propria storia e chi se non la poesia stessa può rendere l’idea che ciò che vive dentro di noi sia qualcosa che stava prima di noi, migliore di noi?
Eccola dunque compiere il viaggio di un’ape regale dove il target è il cuore di sé. Il passaggio attraverso l’iride non è che l’inizio per liberare, immagine dopo immagine, la luce dalla pietra in cui è imprigionata.
Sono di corona le api, nel loro vorticare sull’albero del miele rivelano qualcosa che sfugge alla conoscenza umana, capace d’imporsi sull’amore stesso e di dominarlo come solo può una divinità, vestendosi di superiore necessità.
Poi l’ultima esortazione.
Il centro vive una morte apparente, la voce proviene da lì, da quel cuore trafitto da un pungiglione nemico –ma sempre della stessa specie- come una montagna incantata che basta sfilargli la spada per restituire alla vita la fanciulla e con lei il sorriso perduto.
L’albore della vita è dunque un sorriso, una luce innocente solo apparentemente distrutta nella figura umana ma capace di rimodellare tutto, in quanto natura universale.
Il fossile dunque come metafora di un io che ha perduto il sorriso (e con esso la sua innocenza), capace di ridare senso a quella pietra accarezzata come una testa di bambino da un pazzo chiamato uomo.
Per recuperarlo alla sua umanità occorre che il volere sia pari alla positività dell’ape regale, capace con la sua inesauribile fertilità di penetrare in una pietra e trasformarla in un favo di luce.
È la poesia, mi chiedo, all’altezza di un simile compito?
L’autrice forse direbbe di sì. Personalmente ho molti dubbi.

Non so quanto di vero ci sia in questa mia interpretazione ma almeno ci ho provato.
ciao franco
fabella
00venerdì 4 dicembre 2015 07:49
Re:
cripaf, 03/12/2015 09:38:



Non so quanto di vero ci sia in questa mia interpretazione ma almeno ci ho provato.





la tua sensibilità di poeta si estende a quella di commentatore. lo apprezzo tantissimo, perché è una cosa che in me non è mai stata pienamente realizzata.

cripaf, 03/12/2015 09:38:


È la poesia, mi chiedo, all’altezza di un simile compito?
L’autrice forse direbbe di sì. Personalmente ho molti dubbi.



la poetessa in questione crede molto nella poesia. nella sua funzione dinamica. nel passo che può compiere verso i giovani, nelle scuole, per esempio. riguardo i dubbi, bisognerebbe verificare le risposte. magari qualche risposta si può trovare qui

http://www.mariagraziacalandrone.it/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=48&Itemid=203
cripaf
00venerdì 4 dicembre 2015 22:10
Re: Re:


la poetessa in questione crede molto nella poesia. nella sua funzione dinamica. nel passo che può compiere verso i giovani, nelle scuole, per esempio. riguardo i dubbi, bisognerebbe verificare le risposte.

Tanto di cappello a poeti così!!
grazie per avermi fatto conoscere anche questo aspetto di una poetessa che sto imparando ad ammirare per la profondità dei versi che scrive.
ciao franco
cripaf
00venerdì 4 dicembre 2015 22:15
– acconsente


vista frontale della cavalla: bruna, lucida, vigile. porta
il calco triangolare di un tallone
bianco al sommo del capo: uno schizzo lunare.

la bestia è nitida come la luna:
il rilievo del muso, la struttura
dei pettorali, la conca forte
dei lombi. una forma alla piena potenza, nera
in fondo alla strada del quartiere: ispeziona
l’erba, gli stenti cespi
di malva ai piedi del muretto
che asseconda la minima radura.

ruota, scalcia, s’impenna, posa a terra
le zampe anteriori, per slanciarsi al galoppo.
ricomincia, in maniera sintetica.
io mi volto, le giro le spalle. lei potrebbe
travolgermi, piuttosto
oltrepassarmi. cambiare direzione.
oh, lei non tradirà.

la sento scalpitare: imbizzarrita, incerta. sento la polvere strappata al suolo
dagli zoccoli, le scintille dei ferri
battuti sull’asfalto e l’aspersione di un sudore bianco come incenso.
l’animale è improvviso e improvvisa
la calma

con la quale si affianca
alla mia destra. sbuffando
prende il mio passo umano: per un tratto
camminiamo in silenzio. poi
allungo la mano, per sfiorare
la piramide muscolare
della sua guancia sotto l’occhio. caldo
del manto sotto le dita: corto, morbido, in pace.

giro la mia irrisoria testa umana e guardo da vicino
il suo occhio sinistro: nero,
rotondo e folle di dolcezza.

l’intero fianco della bestia cede,
piega le zampe
anteriori per lasciarmi salire
sul nudo della groppa: corpo
a corpo, senza sella. ecco
l’incastro:
lo strumento, la cosa. ecco la cosa fatta per andare.


Anche questa è molto bella. Leggendola si ha la sensazione di qualcosa che si trasforma in umano via via che si avvicina alla voce parlante.
Così: prima la distanza, poi la vicinanza, infine l’ incastro. La cavalla come metafora dell’incompiutezza?
C’è qualcosa però che sfugge alla metafora. la cavalla c’e’ e non può che essere.
L’unico riferimento al luogo è giocato in un passaggio (tra l'altro la malva è una delle mie piante preferite ed una delle più citate nelle cose che scrivo), poi riempie la scena, tutta, in un crescendo prospettico che trasforma un punto in un globo di muscoli, bellezza e sapienza che raggiunge, si affianca, cede acconsente.
Non c’è dominio, solo rispetto l’uno dell’altro, comunione in un unico corpo che adesso è sulla scena e rimane intatto, indistinguibile nell’attenzione.
Solo la sensibilità è dilatata, all’occhio umano si sostituisce quello rotondo e folle di dolcezza. Si è se stessi e qualcosa d’altro che conosce la calma e l’improvviso, il modo giusto di affiancarsi ad un essere umano e farlo salire in groppa, facendosi cosa per andare nel mondo e non tradire mai.

ciao franco
Versolibero
00venerdì 11 dicembre 2015 10:38
Finalmente ho letto sia le tre poesie che i due commenti di Cripaf.
Poi continuerò con le altre perché quelle che ho letto mi piacciono decisamente. Ci tornerò su anch'io, ma che dire dopo i commenti di Franco? Il primo è straordinario, mi ha messo in crisi. Comunque tornerò almeno per evidenziare alcuni passaggi davvero splendidi.

Però spero che gli Autori prescelti e i commenti restino visibili in un'apposita sezione dove poter intervenire anche in secondo tempo o aggiugere eventualmente altre poesie dello stesso Autore. Sia perché sarebbe un valore aggiunto al sito e sia perché i tempi per la lettura e i commenti per me sono sempre dilatati.
Naturalmente è solo una proposta.
Ah, aggiungo (almeno per gli Autori viventi): magari per puro caso capiteranno a leggere quanto si dice di loro, nel bene e nel male [SM=g7831] [SM=g8139]

Buondì a tutti/e
fabella
00venerdì 11 dicembre 2015 10:46
Re:
Versolibero, 11/12/2015 10:38:



Però spero che gli Autori prescelti e i commenti restino visibili in un'apposita sezione dove poter intervenire anche in secondo tempo o aggiugere eventualmente altre poesie dello stesso Autore.

Buondì a tutti/e




sì, sono tutti qui

http://freeforumzone.leonardo.it/a/524915/La-Biblioteca-di-Calliope/cartella.aspx

ribuondì a te [SM=g8265]

Versolibero
00sabato 12 dicembre 2015 17:50
eh, pardon, ancora ci perdiamo nel labirinto, ma da ora in poi seguirò il filo di Arianna [SM=g2829704]
fabella
00lunedì 4 gennaio 2016 12:18
fabella
00lunedì 4 gennaio 2016 12:22
Re:
[SM=g8231]
Versolibero, 12/12/2015 17:50:

eh, pardon, ancora ci perdiamo nel labirinto, ma da ora in poi seguirò il filo di Arianna [SM=g2829704]




quante volte mi è stato detto che questo forum è un labirinto [SM=g8231] (vero ili@de)? ma ceffare, le cose nelle mie mani finiscono tutte così... [SM=g7535]
fil0diseta
00lunedì 1 febbraio 2016 08:29

a volte mi abbracciavi
come si cerchiano i palazzi
quando si crepano

e la casa era piena del sibilo della corrente industriale e del tuo odore
di tiglio e di marina
ventilata



© Inedito da Giardino della gioia
fabella
00venerdì 5 febbraio 2016 08:29
"Ogni volta che un poeta mette in scena il mondo, comprendiamo bene come lo spettacolo apparentemente oggettivo non sia che un “vissuto”, un elenco di dati e percezioni rielaborati secondo l’esperienza biografica e biologica di ogni essere umano.
Quando avviene il miracolo del contatto, del dire a nome di tutti, avviene il miracolo della poesia. Poesia è quando il mondo che viene messo sulla pagina è riconoscibile per un altro. Più grande è il numero degli altri che riconoscono quel mondo, più grande è la poesia.
Non si tratta che di questo: con la nuda potenza delle parole la poesia fa rinascere un mondo che conosciamo già, evoca qualcosa che non sappiamo e non possiamo esprimere che con la poesia (e, mi sento di aggiungere, con l’amore). La poesia ci riporta, come l'amore, in una casa che abbiamo abitato, chissà dove e quando, ci trasloca in un mondo dal quale proveniamo."

(mg calandrone)
fabella
00domenica 7 febbraio 2016 09:08
Caro poeta (2016)

cripaf
00domenica 7 febbraio 2016 19:21
Re:

Non si tratta che di questo: con la nuda potenza delle parole la poesia fa rinascere un mondo che conosciamo già, evoca qualcosa che non sappiamo e non possiamo esprimere che con la poesia (e, mi sento di aggiungere, con l’amore). La poesia ci riporta, come l'amore, in una casa che abbiamo abitato, chissà dove e quando, ci trasloca in un mondo dal quale proveniamo."



Chissà perché leggendo questo brano mi è venuto da pensare al mito di Orfeo ed Euridice ed a una strana idea sulla “casa che abbiamo abitato” di cui parla la nostra autrice..
Cosa c’entra Euridice con la poesia?
Le difficoltà non nascono sull’identità e la natura di Orfeo. Di lui conosciamo il potere di incurvare i sassi lanciatigli contro, con la forza della lira che suonava divinamente. Sappiamo che incantava il mondo circostante, fossero animali, dei, piante e mostri. Di Euridice sappiamo invece solo che era una ninfa amata da Orfeo e che morì per un morso di serpente sfuggendo alla avances di un suo spasimante.
Ecco secondo me qui ci sono tutti gli elementi per figurare la poesia. Da una parte c’è la musica della lira (oggi diremmo la forma: dallo schema fisso al verso libero), dall’altra il contenuto rappresentato da Euridice.
Orfeo canta l’amore per la sua donna, sia in vita che in morte.
Ed è quest’ultimo punto l’aspetto interessante che ha fatto di esso il mito per eccellenza, pari forse solo a quello di Psiche ed Amore.
Euridice muore e scende come tutti i mortali nel regno dei morti.
Destino a cui tutti si rassegnano, tranne Orfeo.
Perché Orfeo non si rassegna e crede possibile un ritorno in vita della sua amata? Forse perché si sente una persona diversa da tutte le altre in virtù del canto che gli dà un potere speciale e a cui non si può negare nulla. La bellezza della poesia è una forza coercitiva, capace di sedurre chiunque e lui ne è conscio. Ecco perché si ritrova nell’ oltretomba a chiedere il ritorno di Euridice. Nessuno ha il potere di dirgli di no.
Ma come può un mix di musica e amore cambiare la natura delle cose? Si tratta, da parte di Ade e Proserpina, pur sempre di acconsentire ad un atto contro natura in ossequio ad una richiesta umana.
In realtà qui si gioca uno scontro di potere.
Chiedendo ad Orfeo di non guardare la sua sposa si contrappongono due poteri. L’uno, è quello naturale sul morire, l’altro fittizio dell'arte di disporre di una forza che si crede illimitata.
L’atto di Orfeo è sovversivo e debole nello stesso tempo in quanto compiuto da un esercito di parole e musica ma mancante di azione vera. D’altro canto portare alla luce la sposa equivale a vincere la guerra in virtù solo del fascino di un’implorazione. Le conseguenze però potrebbero essere disastrose.
Dopo quella vittoria, cosa ne sarebbe stato del regno dei morti?
Ade e Proserpina giocano d’astuzia per non perdere il loro regno creando un precedente e nello stesso tempo non essere accusati dagli altri di aver fatto una cosa ingiusta, rifiutando. Mettono alle spalle di Orfeo la sua amata ma gli impongono di non guardare, opponendo alla sua forza seduttiva la forza del dubbio e dell’incertezza. Cose di cui Orfeo non è padrone e che nessun uomo è capace di dominare.
Affinchè il suo potere “poetico” diventi reale, necessita che l’azione venga portata a compimento. Ma è il potere del dubbio a prevalere.
La forza della bellezza, il suo potere coercitivo diventano nulla se interviene il dubbio su quello che si sta realizzando. Solo mettendo a tacere il dubbio l’azione diventa positiva assumendo l'aspetto di fatto che si staglia sul nulla e la poesia… poesia. Che è la prassi di morso al cuore che sentiamo dentro di noi quando appunto la poesia è poesia ed è capace di cambiarci.
Guardare in faccia Euridice equivale a far intervenire la razionalità sull’inconoscibile, la certezza della prova provata sul mistero della bellezza stessa (che non è solo musica ma necessita anche del corpo amato ) ed in definitiva equivale a rompere l’incantesimo della poesia.
Sembra che sin dall’inizio si abbia questo concetto di intraducibilità in altri linguaggi della poesia cioè di questo mix di amore e morte, luce e tenebre, tragedia e gioia, inferno e paradiso che forse rappresenta il mondo in cui siamo già stati di cui parla M. G. Calandrone e che il poeta racconta al suono della lira.
Ma c’è anche un insegnamento di fondo in questo mito. I poeti devono credere fino in fondo in sé stessi ed in quello che scrivono. In caso contrario si accorgeranno prima o poi di non avere dietro di sé che ombre vuote e fantasmi destinati al niente. Saper trasmettere il niente è il peggior delitto contro la poesia anche se i fiumi rallentano ed i venti smettono di soffiare.
ciao franco



Versolibero
00mercoledì 10 febbraio 2016 17:07
@ Sembra che sin dall’inizio si abbia questo concetto di intraducibilità in altri linguaggi della poesia cioè di questo mix di amore e morte, luce e tenebre, tragedia e gioia, inferno e paradiso che forse rappresenta il mondo in cui siamo già stati di cui parla M. G. Calandrone e che il poeta racconta al suono della lira.
Ma c’è anche un insegnamento di fondo in questo mito. I poeti devono credere fino in fondo in sé stessi ed in quello che scrivono. In caso contrario si accorgeranno prima o poi di non avere dietro di sé che ombre vuote e fantasmi destinati al niente. Saper trasmettere il niente è il peggior delitto contro la poesia anche se i fiumi rallentano ed i venti smettono di soffiare.
ciao franco



Franco, sei un mito!
Interessantissime considerazioni.
fabella
00sabato 9 aprile 2016 09:45
cripaf, 07/02/2016 19.21:


Non si tratta che di questo: con la nuda potenza delle parole la poesia fa rinascere un mondo che conosciamo già, evoca qualcosa che non sappiamo e non possiamo esprimere che con la poesia (e, mi sento di aggiungere, con l’amore). La poesia ci riporta, come l'amore, in una casa che abbiamo abitato, chissà dove e quando, ci trasloca in un mondo dal quale proveniamo."



Chissà perché leggendo questo brano mi è venuto da pensare al mito di Orfeo ed Euridice ed a una strana idea sulla “casa che abbiamo abitato” di cui parla la nostra autrice..
Cosa c’entra Euridice con la poesia?
Le difficoltà non nascono sull’identità e la natura di Orfeo. Di lui conosciamo il potere di incurvare i sassi lanciatigli contro, con la forza della lira che suonava divinamente. Sappiamo che incantava il mondo circostante, fossero animali, dei, piante e mostri. Di Euridice sappiamo invece solo che era una ninfa amata da Orfeo e che morì per un morso di serpente sfuggendo alla avances di un suo spasimante.
Ecco secondo me qui ci sono tutti gli elementi per figurare la poesia. Da una parte c’è la musica della lira (oggi diremmo la forma: dallo schema fisso al verso libero), dall’altra il contenuto rappresentato da Euridice.
Orfeo canta l’amore per la sua donna, sia in vita che in morte.
Ed è quest’ultimo punto l’aspetto interessante che ha fatto di esso il mito per eccellenza, pari forse solo a quello di Psiche ed Amore.
Euridice muore e scende come tutti i mortali nel regno dei morti.
Destino a cui tutti si rassegnano, tranne Orfeo.
Perché Orfeo non si rassegna e crede possibile un ritorno in vita della sua amata? Forse perché si sente una persona diversa da tutte le altre in virtù del canto che gli dà un potere speciale e a cui non si può negare nulla. La bellezza della poesia è una forza coercitiva, capace di sedurre chiunque e lui ne è conscio. Ecco perché si ritrova nell’ oltretomba a chiedere il ritorno di Euridice. Nessuno ha il potere di dirgli di no.
Ma come può un mix di musica e amore cambiare la natura delle cose? Si tratta, da parte di Ade e Proserpina, pur sempre di acconsentire ad un atto contro natura in ossequio ad una richiesta umana.
In realtà qui si gioca uno scontro di potere.
Chiedendo ad Orfeo di non guardare la sua sposa si contrappongono due poteri. L’uno, è quello naturale sul morire, l’altro fittizio dell'arte di disporre di una forza che si crede illimitata.
L’atto di Orfeo è sovversivo e debole nello stesso tempo in quanto compiuto da un esercito di parole e musica ma mancante di azione vera. D’altro canto portare alla luce la sposa equivale a vincere la guerra in virtù solo del fascino di un’implorazione. Le conseguenze però potrebbero essere disastrose.
Dopo quella vittoria, cosa ne sarebbe stato del regno dei morti?
Ade e Proserpina giocano d’astuzia per non perdere il loro regno creando un precedente e nello stesso tempo non essere accusati dagli altri di aver fatto una cosa ingiusta, rifiutando. Mettono alle spalle di Orfeo la sua amata ma gli impongono di non guardare, opponendo alla sua forza seduttiva la forza del dubbio e dell’incertezza. Cose di cui Orfeo non è padrone e che nessun uomo è capace di dominare.
Affinchè il suo potere “poetico” diventi reale, necessita che l’azione venga portata a compimento. Ma è il potere del dubbio a prevalere.
La forza della bellezza, il suo potere coercitivo diventano nulla se interviene il dubbio su quello che si sta realizzando. Solo mettendo a tacere il dubbio l’azione diventa positiva assumendo l'aspetto di fatto che si staglia sul nulla e la poesia… poesia. Che è la prassi di morso al cuore che sentiamo dentro di noi quando appunto la poesia è poesia ed è capace di cambiarci.
Guardare in faccia Euridice equivale a far intervenire la razionalità sull’inconoscibile, la certezza della prova provata sul mistero della bellezza stessa (che non è solo musica ma necessita anche del corpo amato ) ed in definitiva equivale a rompere l’incantesimo della poesia.
Sembra che sin dall’inizio si abbia questo concetto di intraducibilità in altri linguaggi della poesia cioè di questo mix di amore e morte, luce e tenebre, tragedia e gioia, inferno e paradiso che forse rappresenta il mondo in cui siamo già stati di cui parla M. G. Calandrone e che il poeta racconta al suono della lira.
Ma c’è anche un insegnamento di fondo in questo mito. I poeti devono credere fino in fondo in sé stessi ed in quello che scrivono. In caso contrario si accorgeranno prima o poi di non avere dietro di sé che ombre vuote e fantasmi destinati al niente. Saper trasmettere il niente è il peggior delitto contro la poesia anche se i fiumi rallentano ed i venti smettono di soffiare.
ciao franco







il mito sta nel nostro DNA. è l'elemento che le scienze psichiatriche hanno a supporto per comprendere il male o la gioia di vivere. credo sia una delle chiavi più profonde, anche per comprendere la poesia. il mezzo per arrivare all'ultimo strato del nostro inconscio. un autore, come del resto è capitato a Pietro, non può non apprezzare e fare tesoro immenso di queste tue interpretazioni.

fammi sapere a che punto sei con l'intenzione che mi hai manifestato in privato, riguardo questo tuo alticolo.

buon sabato, Franco [SM=g2834784]
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 03:09.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com