MEDITIAMO LE SCRITTURE (Vol 5) Anno C

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Coordin.
00venerdì 31 maggio 2013 08:33
a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

Dio onnipotente ed eterno, che nel tuo disegno di amore
hai ispirato alla beata Vergine Maria,
che portava in grembo il tuo Figlio, di visitare sant'Elisabetta,
concedi a noi di essere docili all'azione del tuo Spirito,
per magnificare con Maria il tuo santo nome.
Per il nostro Signore Gesù...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca 1,39-56
In quei giorni, Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta.
Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore".
Allora Maria disse:
"L'anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l'umiltà della sua serva.
D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente
e Santo è il suo nome:
di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato a mani vuote i ricchi.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo e alla sua discendenza,
per sempre".
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.


3) Riflessione

? Oggi è la festa della visitazione della Vergine, e il vangelo narra la visita di Maria a sua cugina Elisabetta. Quando Luca parla di Maria, pensa alle comunità del suo tempo che vivevano sparse nelle città dell'Impero Romano ed offre loro in Maria un modello di come devono rapportarsi alla Parola di Dio. Una volta, udendo Gesù parlare di Dio, una donna del popolo esclamò: "Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte" elogiando la madre di Gesù. Immediatamente, Gesù rispose: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano" (Lc 11,27-28). Maria è il modello della comunità fedele che sa vivere e praticare la Parola di Dio. Nel descrivere la visita di Maria a Elisabetta, lui insegna come devono agire le comunità per trasformare la visita di Dio in servizio ai fratelli e alle sorelle.
? L'episodio della visita di Maria ad Elisabetta mostra ancora un altro aspetto tipico di Luca. Tutte le parole e gli atteggiamenti, soprattutto il cantico di Maria, formano una grande celebrazione di lode. Sembra una descrizione di una liturgia solenne. Così, Luca, evoca l'ambiente liturgico e celebrativo, in cui Gesù si formò ed in cui le comunità devono vivere la propria fede.
? Luca 1,39-40: Maria va a visitare sua cugina Elisabetta. Luca mette l'accento sulla prontezza di Maria nel rispondere alle esigenze della Parola di Dio. L'angelo le parlò della gravidanza di Elisabetta e Maria, immediatamente, si alza per verificare ciò che l'angelo le aveva annunciato, ed esce di casa per aiutare una persona nel bisogno. Da Nazaret fino alle montagne di Giuda ci sono più di 100 km! Non c'erano pullman, né treni!
? Luca 1,41-44: Il saluto di Elisabetta. Elisabetta rappresenta l'Antico Testamento che termina. Maria, il Nuovo che inizia. L'Antico Testamento accoglie il Nuovo con gratitudine e fiducia, riconoscendo in esso il dono gratuito di Dio che viene a realizzare e completare qualsiasi aspettativa della gente. Nell'incontro delle due donne si manifesta il dono dello Spirito che fa' che la creatura salti di gioia nel seno di Elisabetta. La Buona Novella di Dio rivela la sua presenza in una delle cose più comuni della vita umana: due donne di casa che si scambiano la visita per aiutarsi. Visita, gioia, gravidanza, bambini, aiuto reciproco, casa, famiglia: Luca vuol far capire e far scoprire alle comunità (e a noi tutti) la presenza del Regno. Le parole di Elisabetta, fino ad oggi, fanno parte del salmo più conosciuto e più recitato in tutto il mondo, che è l'Ave Maria.
? Luca 1,45: L'elogio che Elisabetta fa a Maria. "Beata colei che ha creduto, nell'adempimento delle parole del Signore". E' l'avviso di Luca alle Comunità: credere nella Parola di Dio, poiché ha la forza di realizzare ciò che ci dice. E' Parola creatrice. Genera una nuova vita nel seno di una vergine, nel seno della gente povera ed abbandonata che l'accoglie con fede.
? Luca 1,46-56: Il cantico di Maria. Molto probabilmente, questo cantico, era già conosciuto e cantato nelle comunità. Lei insegna come deve essere pregato e cantato. Luca 1,46-50: Maria inizia proclamando il cambiamento avvenuto nella sua vita sotto lo sguardo amorevole di Dio, pieno di misericordia. Per questo, canta felice: "Esulto di gioia in Dio, mio Salvatore". Luca 1,51-53: canta la fedeltà di Dio verso il suo popolo e proclama il mutamento che il braccio di Yavé sta producendo a favore dei poveri e degli affamati. L'espressione "braccio di Dio" ricorda la liberazione dell'Esodo. E' questa forza salvatrice di Dio ciò che dà vita al mutamento: disperde gli orgogliosi (1,51), rovescia dai troni i potenti ed innalza gli umili (1,52), rimanda a mani vuote i ricchi e ricolma di beni gli affamati (1,53). Luca 1,54-55: Alla fine, lei ricorda che tutto ciò è espressione della misericordia di Dio verso il suo popolo ed espressione della sua fedeltà alle promesse fatte a Abramo. La Buona Novella non è una risposta all'osservanza della Legge, ma espressione della bontà e della fedeltà di Dio alle promesse fatte. E' ciò che Paolo insegnava nelle lettere ai Galati e ai Romani.
Il secondo libro di Samuele racconta la storia dell'Arca dell'Alleanza. Davide volle metterla a casa sua, ma si impaurì e disse: "Come potrà venire da me l'Arca del Signore?" (2 Sam 6,9) Davide ordinò così che l'Arca fosse messa nella casa di Obed-Edom. "E l'Arca del Signore rimase tre mesi in casa de Obed-Edom, e il Signore benedisse Obed-Edom e tutta la casa" (2 Sam 6,11). Maria, in attesa di Gesù, è come l'Arca dell'Alleanza che, nell'Antico Testamento, visitava le case delle persone portando benefici. Lei si reca a casa di Elisabetta e vi rimane tre mesi. E mentre si trova in casa di Elisabetta, tutta la famiglia è benedetta da Dio. La comunità deve essere come la Nuova Arca dell'Alleanza. Visitando la casa delle persone, deve portare benefici e la grazia di Dio alla gente.


4) Per un confronto personale

? Cosa ci impedisce di scoprire e di vivere la gioia della presenza di Dio nella nostra vita?
? Dove e come la gioia della presenza di Dio avviene oggi nella mia vita e in quella della comunità?


5) Preghiera finale

Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tanti suoi benefici. (Sal 102)
Coordin.
00sabato 1 giugno 2013 07:43
Movimento Apostolico - rito romano
Con quale autorità fai queste cose?

Gesù aveva purificato il tempio. Si era rivelato come vero profeta. I capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani lo affrontano e chiedono che fondi la sua autorità, che attesti pubblicamente l'origine del suo potere. Essi dovrebbero sapere che il profeta riceve la sua autorità direttamente da Dio. Mai un uomo potrà costituire profeta un altro uomo. Non è data questa possibilità. Non esiste nella fede ebraica. Il profeta, al contrario dei Re e dei Sacerdoti che erano per discendenza da Davide e da Aronne, era il solo che veniva chiamato e mandato direttamente da Dio. Dio chiamava, sceglieva, mandava con divina e sovrana libertà. Il profeta è la libertà eterna di Dio nel suo popolo ed anche oggi nella sua Chiesa. Senza questa libertà divina, non potrebbe esistere né la Chiesa né mai sarebbe esistito il popolo dell'Antica Alleanza.
Gesù sa che oggi non può rispondere. Risponderà domani nel sinedrio, con pubblica testimonianza. Neanche può rifiutarsi dal rispondere. È una domanda fatta in modo ufficiale. Avrebbe potuto provocare un'accusa di ribellione e a quei tempi bastava un niente perché si prendessero le pietre e si lapidasse una persona. Gesù non poteva morire lapidato. Lui deve morire crocifisso. Sempre la divina sapienza dello Spirito Santo viene in soccorso di Gesù. Il suo aiuto è immediato.
Gesù risponderà alla loro richiesta, se essi risponderanno ad una sua domanda su Giovanni il Battista. Ecco la richiesta di Gesù: "Il battesimo di Giovanni veniva dalla terra o dal cielo?". In altre parole: "Giovanni era vero profeta del Dio vivente, oppure un impostore, un approfittatore della fede dei semplici e dei piccoli?". Loro sono preposti al sano e santo discernimento. Devono necessariamente saperlo, altrimenti sono guide cieche, persone inconsistenti, autorità religiose scadenti. Un'autorità religiosa preposta al discernimento dei carismi che neanche sa riconoscerli, attesta la sua inutilità, la sua inefficienza, il suo niente operativo. Non solo. È creatrice di gravi danni morali e spirituali nella sua comunità, perché potrebbe accreditare il falso e screditare il vero, distruggere il buono e coltivare il cattivo.
Questi uomini si dichiarano incompetenti nel discernimento. È triste, assai triste questa loro confessione di non scienza, non dottrina, non capacità, non abilità spirituale nel sapere se una cosa viene dal cielo o dalla terra. Al di là del fatto concreto, Gesù vuole attestare ad ogni suo discepolo che questa potrebbe essere la sua fine: divenire essere inutile in seno alla sua Chiesa. Rivelarsi un incapace di discernimento. Soprattutto mostrarsi un vigliacco dinanzi alla verità. La sa, ma si rifiuta di proferirla perché ha paura del popolo. Il discepolo di Gesù è un martire per vocazione. Senza la scelta del martirio all'inizio del suo divenire discepolo di Gesù, mai si potrà essere persone nella Chiesa di sano e santo discernimento, di schieramento per la verità di Dio conosciuta, appurata, certificata dalla storia.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi, fateci di vero discernimento.
Coordin.
00domenica 2 giugno 2013 07:12
mons. Gianfranco Poma
Voi stessi date loro da mangiare

La Liturgia nella festa del "Ss. Corpo e Sangue di Cristo" ci invita a sostare per comprendere il senso dell'Eucaristia "fonte e culmine della vita della Chiesa", leggendo un brano del Vangelo di Luca, (9,11-17): entriamo così nel lungo periodo dell'anno liturgico nel quale questo Vangelo ci accompagnerà nella crescita della nostra esperienza della fede.
Già nell'A.T. sono presenti racconti nei quali, in modo miracoloso, viene saziata la fame della folla: il dono della manna nel deserto (Es.16; Num.11) o i miracoli di Elia e di Eliseo (1Re,17; 2Re 4,42-44).
Gesù riprende la tradizione e la assume, portando a compimento l'antica promessa.
È illuminante il contesto in cui l'episodio evangelico della "moltiplicazione dei pani" è inserito: al centro è collocato Gesù che comprende sempre meglio la sua identità e la novità della missione messianica a cui è chiamato (vd. Lc.9,18-24).
Narra Luca, che Gesù, al ritorno dei discepoli che vogliono raccontare della loro missione, "li prese con sé e si ritirò in disparte. Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e parlava loro del regno di Dio e sanava quelli che ne avevano bisogno" (Lc. 9,11)
È una piccola frase ma che ha una importanza fondamentale: il cuore di tutto è il verbo "le accolse". Le folle ostacolano il progetto primitivo di Gesù che "ha preso con sé i discepoli e li ha portati in disparte". Gesù le "accoglie": non vede nelle folle un ostacolo che disturba, ma il mondo da amare. E cambia il suo progetto: da una comunità di coloro che "prende con sè e si ritira in disparte", ad una folla che egli accoglie, sente, ama, al di fuori di ogni recinto; Gesù comprende di "essere per" le folle, manifestazione di un Dio che accoglie dentro di sé l'umanità implorante.
Se qualcuno segue Gesù, non è per stare in disparte, in una nicchia felice separata dal mondo, ma per essere come lui, imparando da lui, accoglienti, in ascolto del grido dell'umanità, per comunicarle l'Amore del Padre.
In Gesù si rende presente quel Dio che si è manifestato quando il suo popolo soffriva in Egitto: "Ho osservato la miseria del mio popolo, ho udito il suo grido, conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo...per farlo salire da questa terra, verso una terra bella e spaziosa..." (Es.3,7-8)
Gesù accoglie le folle, parla con loro del Regno di Dio, di un Dio che condivide, compatisce, guarisce: il Messia che si immerge nelle folle, dà inizio ad una Chiesa che non sta in disparte, educa i discepoli a seguirlo là dove Dio costruisce il suo regno.
L'episodio che segue rende evidente che cosa significhi per Gesù, accogliere le folle e costruire il regno di Dio.
"Il giorno cominciava a declinare...": la stessa osservazione tornerà la sera del giorno in cui i discepoli di Emmaus si allontanavano da Gerusalemme, tristi e delusi per quello che era accaduto (Lc.24,29). Il buio incombente manifesta il bisogno, la solitudine...la fame della folla: a questo bisogno Gesù risponde.
"I Dodici gli si avvicinarono dicendo: Congeda la folla..." Sono i Dodici che si accorgono della situazione precaria della folla, ma chiusi nella loro autoreferenzialità, coscienti dell'insufficienza dei loro mezzi, ma soprattutto ancora lontani dalla mente e dal cuore di Gesù, gli dicono che cosa deve fare: "Congeda la folla perché vada... siamo in una zona deserta". A lui che "accoglie", "parla con loro", "guarisce", oppongono la loro logica così grettamente umana: "Congeda...vada...non possiamo fare niente...si arrangi...".
La logica di Gesù è decisamente opposta: "Date loro voi stessi da mangiare", è la logica della responsabilità, del farsi carico, del dono.
I Dodici insistono, rimanendo all'interno dell'unica logica per loro ipotizzabile, quella del "comprare", sottolineando la loro impotenza calcolata sulle forze che pensano di non avere: "Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che, muovendoci noi, comperiamo i viveri per tutto questo popolo". E Luca sottolinea: "C'erano infatti circa cinque mila uomini".
Evidentemente Luca ricorda l'episodio narrato in 2 Re 4,42-44: ad Eliseo che gli ordina di dare da mangiare alla gente, il servo risponde: "Come faccio a dare questo a cento persone?" Ed aveva venti pani d'orzo per cento persone mentre qui i Dodici hanno cinque pani per cinque mila: Gesù è infinitamente più grande degli antichi profeti.
Ma perché è infinitamente più grande? Perché ha compiuto gesti "potenti"?
In realtà ha compiuto gesti "significativi". Anzitutto ha detto ai Dodici: "Fateli sedere..." Ed essi lo fecero. È la logica nuova che viene attuata, non fondata sul calcolo umano, sulla progettualità chiusa, sulla paura, ma sul progetto che Dio ha manifestato nel corso della storia: Dio costruisce il suo popolo, lo guida nel deserto, lo nutre, lo arricchisce con i suoi doni...La logica di Dio è il dono: è la logica che Gesù realizza.
I Dodici vorrebbero mandar via la folla: Gesù li fa sedere a gruppi ordinati e dà forma alla gente dispersa.
Hanno solo cinque pani e due pesci: sono poca cosa? La soluzione è solo comprare?
"Gesù prendendo i pani e i pesci, alzando gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla": sono i gesti semplici ma di chi sa accogliere le poche e piccole povere cose che sono comunque segno dell'infinito Amore del Padre che sta nel cielo, i gesti di Gesù, che nella sua carne rivela l'Amore che si dona, si spezza per moltiplicarsi, per trasformare il mondo. Le piccole cose sono un dono di Dio: la piccola umanità di Gesù è l'infinito Amore. Benedire significa riempire il presente della ricchezza infinita dell'Amore di Dio che va percepita, gustata, condivisa. È l'Eucaristia, memoria-ringraziamento del dono infinito di Dio nella Carne di Gesù, che ricorda che tutto è Amore, e lo attualizza perché anche la nostra vita è dono che chiede di essere accolto perché possa essere gustato, dono di un Dio che è tanto più grande quanto più si fa piccolo, che chiede di essere donato, spezzato, condiviso, per creare l'unità nella molteplicità infinita delle cose che senza l'Amore si disperderebbero.
È l'Eucaristia, la sintesi della logica di Dio che Gesù ha rivelato, vivendola, la logica del dono.
"Come è possibile...?" si chiedevano i Dodici "abbiamo solo pochi pani...Non possiamo comprare...Congeda la folla...si arrangi". Gesù con la sua Parola, i suoi gesti, la sua vita, ha mostrato che è possibile: basta accogliere i doni del Padre, aprire il cuore, non chiudere le mani, non fermare i doni.
I Dodici sono coinvolti da Gesù per distribuire il cibo alla folla: "tutti mangiarono e furono saziati e furono raccolti i pezzi avanzati: dodici ceste!"
Luca lascia ai suoi lettori (a noi, oggi), di pensare allo stupore dei Dodici, allo sconcerto di fronte alla novità di una logica che metteva in crisi la loro, il loro realismo.
Oggi, Gesù coinvolge noi, nel donare il pane spezzato da lui al mondo in attesa: noi, che come i Dodici, dobbiamo anzitutto lasciarci smuovere dal nostro realismo, dalle nostre logiche, dalle nostre leggi di mercato, dalle nostre teorie scientifiche, che alla fine lasciano la folla nella sua solitudine. Noi che fidandoci di Lui, ascoltando la sua Parola, credendo nella follia del suo Amore, possiamo generare veramente la civiltà dell'Amore.
Il Vescovo nel suo messaggio nella festa delle S.Spine ci ha invitati alla solidarietà come via per farci carico delle attuali povertà: solo chi crede l'Amore, chi sa vedere il Dono e spezzarlo per condividerlo, può dar vita ad un popolo la cui legge è l'Amore che diventa concretamente la solidarietà.
"La solidarietà - dice il Vescovo - è la responsabilità da parte di ciascuno di farsi carico dell'altro... che dobbiamo imparare a coltivare e a manifestare nei confronti di chi ci è prossimo e ancor più di chi ci è lontano fisicamente, socialmente, culturalmente o spiritualmente...che non deve essere espressa in modo episodico o casuale...che non richiede gesti grandi, fuori dalla nostra portata...che si può esprimere anche in piccoli attenzioni, che mette a disposizione dell'altro beni materiali, quando possibile, senza dimenticare altre risorse tangibili, sempre più scarse e forse per questo più preziose, come il tempo e l'amore".
Coordin.
00lunedì 3 giugno 2013 08:20
Monaci Benedettini Silvestrini
Parabola dei vignaioli omicidi

La vigna viene piantata con cura e competenza. Deve essere ben protetta da furti, danni ed invasioni. È la cura paterna di Dio verso ognuno di noi. Ci ha creati a sua immagine e resi capaci di produrre frutto ed è quindi legittimo che venga a ritirarli. Così per ognuno, così per il popolo prediletto. Con la parabola Gesù predice due tristissime realtà: la sterilità di ogni vita sprecata e la storia dei suoi diretti crocifissori, i vignaioli infedeli che diventano omicidi e deicidi. La conclusione potrebbe sembrare a prima vista l'esplosione della giusta ira divina. Noi sappiamo che non sarà così: l'ira si tramuterà in veemenza di misericordia e di perdono e proprio l'efferato omicidio, la morte del Figlio di Dio, sarà la causa della nostra ed universale salvezza. Soltanto dalla mente di Dio poteva sgorgare una trama che permettesse di trasformare un orrendo delitto in motivo di redenzione. Il peccato, l'offesa più grande, l'assurda condanna che coinvolgerà il Figlio di Dio invece di generare il meritato ed ultimo castigo, sfocia nella pienezza della redenzione. L'uomo nella sua storia assomma ed accumula testimonianze di infedeltà e il Padre celeste riversa misericordia senza fine sul nostro mondo. Così ci è consentito di vedere da una parte gli effetti devastanti del nostro peccato e dall'altra la forza invincibile dell'amore che perdona:è l'essenza stessa della nostra esistenza, è l'alternarsi dell'insania che ci affligge e della luce che ci irradia. Ci arride però la ferma speranza di una vittoria finale e definitiva.
Coordin.
00martedì 4 giugno 2013 07:16
Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Dove sono le tue elemosine? Dove sono le tue buone opere? Ec-co, lo si vede bene da come sei ridotto!

Come vivere questa Parola?
"Beato l'uomo che teme il Signore", cioè nutre verso di lui l'amore reverenziale del figlio verso il padre di cui riconosce la bontà anche in quanto gli chiede. Per questo i suoi comandi non risultano gravosi, ma amabili e sorgente di gioia. Con questo versetto si apre il salmo che, nella liturgia odierna, segue la lettura del brano tratto dal libro di Tobia, l'uomo giusto che, sebbene duramente provato nella sua fedeltà, non si ribella né abbandona la via di giustizia che ha intrapreso. C'è chi lo deride, mentre la moglie lo insulta, chiamando in causa proprio la sua generosa dedizione.
È l'atteggiamento di chi legge la storia con la categoria del premio e del castigo e quindi resta scandalizzato di fronte all'imprevedibile modo di agire di Dio. Se è giusto - si dice - perché si comporta così? Se è buono perché permette certe cose? Come coniugare insieme la sua onnipotenza, bontà e giustizia con queste realtà? Forse non esiste o si disinteressa dell'uomo. Tanto vale guardarsi le spalle da soli e fare i furbi. Come tutti d'altronde!
Il problema è che Dio non è un'agenzia di assicurazioni contro gli infortuni della vita. La via del dono che ci addita non è per camminare tranquilli ma per raggiungere la perfetta statura di Cristo - per esprimerci con una frase paolina - cioè per realizzarci in pienezza quali suoi figli. E questo non può essere che motivo di gioia, anche quando c'è da pagare di persona.
Oggi, nella mia pausa contemplativa, sosterò a considerare il mio atteggiamento nei riguardi di Dio per liberarlo da possibili proiezioni di mie attese personali.

Sostieni la mia fede, Signore, perché nella prova non venga meno e nella prosperità non confonda la tua vera immagine con quella che io mi sono fatto di te.

La voce di un dottore della Chiesa
Devi dire con gli apostoli: Signore, aumenta la nostra fede (Lc 17,5), perché qualcosa di questa fede ti appartiene, ma quello che tu per mezzo di essa ricevi dal Signore, è immenso.
Cirillo di Gerusalemme
Coordin.
00mercoledì 5 giugno 2013 08:28
Movimento Apostolico - rito romano
Non è Dio dei morti, ma dei viventi!

Nella Scrittura Santa vi sono verità esplicite e verità implicite. Oggi Gesù educa i Sadducei perché rinuncino alla loro stoltezza ed insipienza, ottusità di mente e di cuore e si aprano a tutta la verità esplicita in modo che possa accogliere la pienezza della verità, che nasce dalla santa, giusta, sapiente, intelligente razionalità.

Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece a immagine della propria natura (Sap 2, 23). Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza resta piena d'immortalità. In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé; li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come l'offerta di un olocausto. Nel giorno del loro giudizio risplenderanno, come scintille nella stoppia correranno qua e là. Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro. Coloro che confidano in lui comprenderanno la verità, i fedeli nell'amore rimarranno presso di lui, perché grazia e misericordia sono per i suoi eletti. (Sap 3,1-9. Cfr. 6,17-21. 8,13-18, 15,1-3).

Non è l'anima che è stata creata per l'immortalità, bensì l'uomo. Tutto l'uomo vive sulla terra con questa vocazione eterna. Poiché la morte avvolgerà un giorno l'uomo, quest'ultima verità non potrà mai distruggere la prima che è essenza vera della natura umana. Nasce la vera fede nella risurrezione dell'ultimo giorno. Il Secondo Libro dei Maccabei celebra la fierezza dei martiri proprio in vista della risurrezione finale.

Venuto meno il primo, allo stesso modo esponevano allo scherno il secondo e, strappatagli la pelle del capo con i capelli, gli domandavano: «Sei disposto a mangiare, prima che il tuo corpo venga straziato in ogni suo membro?». Egli, rispondendo nella lingua dei padri, protestava: «No». Perciò anch'egli subì gli stessi tormenti del primo. Giunto all'ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell'universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna». Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani, dicendo dignitosamente: «Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo». Lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di questo giovane, che non teneva in nessun conto le torture. (2Mac 7, 7-12).

Gesù fonda la risurrezione non su una nuova rivelazione, bensì sull'onnipotenza di Dio, che sempre crea dal nulla e sulla verità con la quale si è manifestato a Mosè presso il roveto ardente: "Il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe". Dio dei vivi, non dei morti.

La fede è perfetta razionalità, deduzione, argomentazione. Questa intrinseca verità ed essenza della fede oggi è stata distrutta dai moderni e agguerriti sadducei. Costoro negano molte verità della nostra fede e volutamente ignorano che essa è un'architettura ben congegnata. Una sola verità negata, distrutta, non annunziata ha delle pesanti conseguenze pastorali, morale, di liturgia, preghiera, inquinando anche tutta la vita sociale, politica, religiosa, economica. Tutto l'uomo è nella grande falsità.
Coordin.
00giovedì 6 giugno 2013 08:09
Ci dà sempre gioia ascoltare il Signore dirci che il primo comandamento è amare e che anche il secondo è amare: amare Dio e il prossimo, e che non c'è comandamento maggiore. Ci dà gioia perché corrisponde in pieno al desiderio del nostro cuore che è fatto per amare, che vuole amare. Dio, comandandoci di amare, viene incontro a questo profondo desiderio dell'uomo.
Potrebbe sorgere in noi una domanda: se questo desiderio è così profondo in noi, che necessità c'era di farne un comando? Non è neppure possibile comandare l'amore, l'amore non si comanda, è spontaneo, o c'è o non c’e.
In un certo senso è vero che non si può comandare di amare. Se Dio non avesse messo nel cuore dell'uomo l'anelito profondo verso l'amore, il suo comandamento sarebbe veramente stato inutile. Noi dobbiamo prima ricevere da Dio il dono di amare, per potere poi osservare questo comandamento. Però esso non è inutile, perché l'amore non è un dinamismo spontaneo: esige la nostra collaborazione, esige che mettiamo al suo servizio tutte le nostre capacità di pensiero, di affetto, di azione. Ainare con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta la forza non ci è dato subito, dobbiamo lentamente crescere nell'amore. il nostro amore è debole, è limitato, è mescolato a cose che lo inquinano e l'esperienza ce lo conferma continuamente. E per questa ragione che il comandamento è necessario e che in noi l'amore ha bisogno di tutte le attenzioni e di tutti gli sforzi, come una pianticella fragile ha bisogno di cure per svilupparsi.
Nella prima lettura abbiamo un bellissimo esempio, molto importante per l'educazione dell'amore. L'amore dell'uomo per la donna, della donna per l'uomo è un dono di Dio, che ha posto in noi questa profonda tendenza. Ma questo amore, nello stato di decadenza in cui il peccato ci ha posto, è terribilmente viziato dall'egoismo; il desiderio sessuale è un aiuto all'amore, ma in un altro senso può diventare un grave ostacolo, se si cerca nell'altro soltanto la propria soddisfazione. Tobia e Sara ne sono coscienti e si dimostrano fedeli all'amore. Dice infatti Tobia a Sara: "Sara, levati, preghiamo Dio... Noi siamo figli di santi e non possiamo unirci alla maniera di quelli che non conoscono Dio". E nella preghiera a Dio: "Signore, tu sai che io prendo in moglie questa mia parente non per passione, ma solo per il desiderio di una discendenza". Vediamo dunque, in questa drammatica storia, come il dinamismo che ci spinge verso l'amore può essere in noi profondamente bisognoso di purificazione.
Questo è vero per l'amore dell'uomo per la donna nel matrimonio, e lo è anche nelle altre relazioni interpersonali. Sempre noi abbiamo tendenza a strumentalizzare gli altri per i nostri fini, ad "usarli" invece di amarli, a cercare in loro ciò che ci piace, ciò che soddisfa un nostro bisogno. Per essere fedeli al comandamento dell'amore dobbiamo resistere a questa tendenza, non dobbiamo lasciare che l'amore sia profanato dall'egoismo, ma lavorare con pazienza a purificarlo.
D'altra parte il nostro amore ha bisogno di essere reso forte. Di fronte agli ostacoli facilmente ci scoraggiamo e lasciamo cadere la nostra speranza. Diciamo: amare è impossibile, amare incontra tante difficoltà... Non si è capiti, non si è corrisposti... Eppure, se veramente si vuol amare, bisogna affrontare tanti sacrifici, bisogna rinunciare a se stessi. Bisogna, in una parola, essere forti, perché il nostro amore sappia affrontare con generosità ogni sacrificio, superare gli ostacoli, non scoraggiarsi dell'ingratitudine. Ecco perché è necessario ascoltare spesso questo comandamento: "Tu amerai... Tu amerai..." per perseverare nel cammino dell'amore, senza scoraggiamenti, senza ripiegamenti su se stessi, senza rinunciare all'amore.
Gesù dunque ci ripete il comandamento scritto nella legge di Dio. Ma non si accontenta di ripetercelo, di prescrivercelo come una legge esteriore: egli lo ha realizzato in se stesso e celo dà. Se vogliamo amare, dobbiamo ricorrere al suo cuore. Ainare con il suo cuore è il solo modo di avere un amore purificato e veramente forte, perché nella sua passione Gesù ha purificato l'amore umano e lo ha reso straordinariamente forte, vivendolo in circostanze assolutamente contrarie ad ogni egoismo. Ainare come ha fatto Gesù, morendo su una croce, è amare in modo estremamente puro ed estremamente forte. Possiamo anzi dire che nella passione Gesù ha creato l'amore puro e forte.
Se dunque vogliamo adempiere il comandamento dell'amore, abbiamo un unico mezzo: uscire da noi stessi, rinunciare, in un certo senso, al nostro cuore e accettare, prendere il cuore di Cristo. "U mio cuore è vostro", dice il Signore. Istituendo l'alleanza nuova egli ha proprio voluto darci un cuore nuovo.
Coordin.
00venerdì 7 giugno 2013 07:24
Movimento Apostolico - rito romano
Ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta

Oggi Gesù viene annunziato, presentato come il Buon Pastore. Dio è il Buon Pastore, il Pastore del suo gregge. Il Salmo canta questa verità con molta enfasi.

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l'anima mia, mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici. Ungi di olio il mio capo; il mio calice trabocca. Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, abiterò ancora nella casa del Signore per lunghi giorni (Sal 23 (22) 1-6).

Al Signore, al Pastore d'Israele, si chiede aiuto, soccorso, protezione, difesa. È da Lui ogni vita. Senza di Lui si è già nella morte, nel sepolcro spirituale, materiale, fisico.

Tu, pastore d'Israele, ascolta, tu che guidi Giuseppe come un gregge. Seduto sui cherubini, risplendi davanti a Èfraim, Beniamino e Manasse. Risveglia la tua potenza e vieni a salvarci. O Dio, fa' che ritorniamo, fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi. Signore, Dio degli eserciti, fino a quando fremerai di sdegno contro le preghiere del tuo popolo? Tu ci nutri con pane di lacrime, ci fai bere lacrime in abbondanza. Ci hai fatto motivo di contesa per i vicini e i nostri nemici ridono di noi.

Dio degli eserciti, fa' che ritorniamo, fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi. Hai sradicato una vite dall'Egitto, hai scacciato le genti e l'hai trapiantata. Le hai preparato il terreno, hai affondato le sue radici ed essa ha riempito la terra. La sua ombra copriva le montagne e i suoi rami i cedri più alti. Ha esteso i suoi tralci fino al mare, arrivavano al fiume i suoi germogli. Perché hai aperto brecce nella sua cinta e ne fa vendemmia ogni passante? La devasta il cinghiale del bosco e vi pascolano le bestie della campagna.

Dio degli eserciti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato, il figlio dell'uomo che per te hai reso forte. È stata data alle fiamme, è stata recisa: essi periranno alla minaccia del tuo volto. Sia la tua mano sull'uomo della tua destra, sul figlio dell'uomo che per te hai reso forte. Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome. Signore, Dio degli eserciti, fa' che ritorniamo, fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi (Sal 80 (79), 1-20).

Dio ha però bisogno di pastori umani, visibili, presenti sempre nella vita del suo popolo. Purtroppo questi pastori quasi sempre hanno fallito la loro missione. In questo fallimento Dio decide di farsi Lui stesso pastore visibile. Si fa nel suo Figlio Unigenito. Diviene carne e nella carne è costituito Buon Pastore di tutte le pecore del Padre suo.

Gesù, il Buon Pastore, il Pastore delle nostre anime viene, rivela con parole e opere tutta la divina carità e fedeltà del Padre, consegna tutta la sua vita a questo ministero, sigillando il suo amore con il sangue, sulla croce. Il Vangelo è il Libro della misericordia, pietà, compassione, verità, dono di se stesso, obbedienza al Padre, che Gesù vive per amore del gregge. Non si è risparmiato in nulla. Anche il suo corpo ha dato in cibo e il sangue in bevanda di vita eterna. Ora ogni altro pastore in Lui, per Lui, con Lui sa come si deve pascere il gregge di Dio: consacrando tutta la vita, con una obbedienza fino alla morte di croce, al Signore per la salvezza delle sue pecore. È Gesù il solo modello di come si svolge il ministero di Pastore. Nessun uomo dovrà essere modello per un altro uomo. Gesù non si dimise al suo ufficio, ministero. Per obbedire al Padre fece una preghiera di sudore di sangue. Vinse la tentazione.
Coordin.
00sabato 8 giugno 2013 08:12
a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

O Dio, che hai preparato
una degna dimora dello Spirito Santo
nel cuore della beata Vergine Maria,
per sua intercessione concedi anche a noi, tuoi fedeli,
di essere tempio vivo della tua gloria.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...



2) Lettura

Dal Vangelo secondo Luca 2,41-51
I genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l?usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero.
Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l?udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: ?Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo?. Ed egli rispose: ?Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio??. Ma essi non compresero le sue parole.
Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.



3) Riflessione

? La dinamica del racconto. All?inizio c?è un richiamo alla «legge del Signore», a cui obbediscono Maria e Giuseppe compiendo il loro pellegrinaggio annuale alla città santa. Questo particolare indica al lettore che Gesù è cresciuto nella pietà giudaica e nell?osservanza della legge. Un angoscioso incidente ? Gesù dodicenne si perde ? offre l?occasione al narratore di presentarci una scena illuminante sul mistero della persona di Gesù. I suoi genitori dopo averlo cercato per tre giorno lo trovano nei cortili del tempio, in mezzo agli scribi, i maestri della legge: ascoltando i loro discorsi e ponendo delle domande. In questo contesto al lettore viene mostrato un primo segno della sapienza straordinaria di Gesù e che un giorno affascinerà le folle: «rimanevano stupiti per la sua intelligenza e le sue risposte» (v.47). Alle osservazione della madre Gesù risponde con espressioni che rivelano la sua coscienza di sé e la chiara visione che egli ha della missione che lo attende. L?evangelista poi riferisce del ritorno a Nazaret, luogo della crescita di Gesù (vv.39-40) e con quest?ultimo motivo (vv.51-52) Luca conclude il racconto che era iniziato con un atto di obbedienza di Gesù alla Legge e, ora, termina con un atto di sottomissione ai suoi genitori.
? Dio come il Padre suo (v.51). La prima idea che viene sottolineata in questa «fuga» di Gesù è che una famiglia senza Dio non ha fondamento. Innanzitutto Gesù dichiarando che Dio è il Padre suo evidenzia che il posto più connaturale alla sua relazione di Figlio lo porta a essere presso di Lui, nel Tempio, luogo per eccellenza della presenza di Dio.
Tale particolare ci spinge a fermare la nostra attenzione sul tempio e sulla centralità di tale luogo per la vita religiosa della comunità israelitica: in questo spazio sacro Gesù vi entra a dodici anni. La scelta del tempio come luogo per la manifestazione della sapienza sovrumana di Gesù è una caratteristica di Luca che altrove presenta il tempio come il luogo in cui ha inizio il vangelo (Lc 1,8-9) e il vegliardo Simeone riconosce nel bambino presentato dai genitori la salvezza attesa da Israele (2,29-32). Ma nel racconto del pellegrinaggio di Gesù dodicenne al tempio Luca intende affermare che da quel giorno si è passati dalla realtà del tempio, come dimora di Dio, alla sua presenza vivente nella persona di Gesù. È un appello alla comunità ebraica, centrata sul tempio a riconoscere che tutta la vita liturgica, cultuale dipende dal Padre e che il vero tempio consiste nell?obbedienza a Gesù. Questa prima parola di Gesù proietta una luce nuova sul mistero della sua identità di «figlio-servo» e fornisce al lettore una chiave di lettura per comprendere il resto del vangelo.
La risposta ai genitori che l?hanno cercato e l?hanno trovato il terzo giorno presenta il modo con cui Gesù agirà nei confronti degli uomini: il suo atteggiamento è incondizionatamente filiale. Gesù agirà con una sottomissione assoluta nei confronti del Padre. Tale aspetto introduce il lettore nel cuore stesso del mistero dell?identità di Gesù e che sfugge ad ogni tentativo di indagine esaustiva da parte dei suoi genitori: «ed essi non compresero» (v.50).
? La sapienza sovrumana di Gesù. Questa insistenza sulla sapienza di Gesù non passa inosservata all?attenzione del lettore. Già in 2,40 si diceva che Gesù «cresceva e si fortificava, pieno di sapienza», ora nel v.52 si dice che «Gesù cresceva in sapienza». Di che sapienza si tratta? Della sapienza del Figlio, il quale è stato concepito per opera dello Spirito Santo e che rivela il Padre suo. Gesù è la Parola del Padre suo. La sua predicazione non sarà una dottrina astratta, né un?attualizzazione della parola dei profeti, ma è la sapienza del Figlio che vive in intimità col Padre. Una conferma ci viene dall?ultima parola di Gesù sulla croce: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46). E da risorto, prima di ascendere al Padre, promette ai suoi discepoli lo Spirito come «la promessa del Padre» (Lc 24,49). La sapienza di Gesù, il suo insegnamento, la sua parola si radicano nella sua intimità col Padre, nella sua fedeltà totale in Lui. Ogni comunità ecclesiale quando è riunita dal Padre porta in sé questo mistero della relazione sapienziale, intima di Cristo Gesù col Padre suo.



4) Per un confronto personale

? I genitori di Gesù non sempre riuscivano a capire il comportamento del loro figlio e il suo modo di esprimersi, tuttavia gli dettero fiducia. Anche tu sai offrire fiducia agli altri, ai tuoi figli, ai tuoi collaboratori?
? Consideri la tua famiglia una scuola di umanità, la più ricca e la più completa?



5) Preghiera finale

Dirigimi sul sentiero dei tuoi comandi,
perché in esso è la mia gioia.
Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti
e non verso la sete del guadagno. (Sal 118)
Coordin.
00domenica 9 giugno 2013 09:24
don Roberto Rossi
La compassione del Signore ridona la vita

Nel piccolo paesino di Naim giunge Gesù accompagnato dai discepoli e da una folla numerosa, che canta e loda Dio con gioia. Mentre Egli sta per entrare attraverso la porta cittadina, ecco uscirne un corteo funebre. S'incontrano dunque due processioni: la processione "della morte", che esce dalla città ed accompagna la vedova che porta il suo unico figlio verso il sepolcro, e la processione "della vita", che entra in città ed accompagna Gesù.
Il Vangelo racconta con straziante semplicità che il giovanetto era l'unico figlio di una madre rimasta vedova. Su quel figlio la povera madre aveva concentrato tutto il suo amore e le sue speranze. Ed ora veniva proprio colpita nel suo affetto più caro.
E' la compassione che spinge Gesù a parlare e ad agire. Compassione significa letteralmente "soffrire con", assumere il dolore dell'altra persona, identificarsi con lei, sentire con lei il dolore. E' la compassione che mette in azione in Gesù il suo potere: il potere della vita sulla morte.
Il caso era particolarmente pietoso, e forse ciò spiega anche perché molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: "Non piangere!". Queste due parole erano state certamente ripetute centinaia o migliaia di volte in quella giornata alla povera donna, ma rimanevano soltanto parole e non avevano su di lei lo stesso effetto di quando le ha pronunciate Gesù.
Riferisce il Vangelo: Vedutala, il Signore ebbe pietà di lei. Dicevamo che Gesù si sentì fortemente commosso. Non chiese e non pretese dalla poveretta nulla che costituisse un atto di fede nei suoi riguardi. Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. "Ragazzo, dico a te, àlzati!" Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. E lo restituì a sua madre.
A volte, nel momento di un grande dolore causato dalla morte di una persona amata, qualcuno potrebbe dire: "Al tempo di Gesù, quando Egli camminava su questa terra, c'era speranza di non perdere una persona cara, poiché il Signore poteva risuscitarla". Queste persone considererebbero dunque l'episodio della risurrezione del figlio della vedova di Nain come un evento del passato, che suscita nostalgia e forse una certa invidia. L'intenzione del Vangelo, non può essere certo questa, bensì vuole aiutarci a sperimentare meglio la presenza viva di Gesù in mezzo a noi. E' lo Stesso Gesù, capace di vincere la morte e il dolore della morte, che continua a operare vivo in mezzo a noi. Lui è con noi oggi e, dinanzi ai problemi del dolore che ci abbattono, ci ripete: "Dico a te, alzati!"
La descrizione è quanto di più vivo ed immediato si possa immaginare; nella scena c'è tutto il realismo dei portatori che si fermano sorpresi da quell'inaspettato intervento, e del morto tornato in vita che sbalordito ben più dei portatori, per prima cosa si mette a sedere sulla bara, quasi per prendere il tempo per orientarsi e rendersi conto di quanto era successo..
Gesù ha operato in nome proprio, per virtù di un potere soprannaturale, avendo cura di affermarlo esplicitamente. E' stata questa la dimostrazione, la prova sperimentale di un'affermazione che Gesù aveva fatto un anno prima a Gerusalemme, quando i farisei lo avevano accusato di essere un bestemmiatore perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio. Il potere di risuscitare i morti appartiene solo a Dio. Egli possiede questo potere in nome proprio; perciò Egli è Dio.
Dal pianto si passa alla gioia. Glorificavano Dio, dicendo: "Un grande profeta è sorto tra noi". Dio ha visitato il suo popolo. Gesù ha pietà di una donna che non conosceva. Chissà quante donne sofferenti avrà incontrato, ma lei Lo ha colpito in modo particolare. I Suoi discepoli, coloro che Lo seguivano, stavano cantando, facevano festa, e forse questo Lo ha fatto commuovere. Come dire: "Noi stiamo ballando e cantando e qui c'è una donna che rimane sola, che soffre, che piange per la perdita di un figlio e con lei tutto il villaggio".
E che dire della donna? Probabilmente non avrebbe mai pensato che a consolarla di questo grande dolore si fosse presentato proprio Gesù stesso. Non Lo conosceva, ma ne avrà sicuramente sentito parlare; infatti, Gesù aveva già pronunciato il cosiddetto discorso delle beatitudini e tante persone Lo avevano ascoltato. Poteva anche aver pensato: "Adesso che io rimango sola, senza marito e senza figlio, quel Gesù di cui tanti parlano bene, dov'è?" Quando meno se lo aspetta, lo scorge innanzi a sè e non solo Egli la consola, ma compie per lei il miracolo di ridonarle il figlio.
Possiamo chiederci: Mi è mai capitato di sentire Gesù accanto, anche fisicamente? "Una persona dice: "A me sì, attraverso la guida spirituale, quando non molto tempo fa mi ha detto: "Non piangere, sii fiduciosa, vedrai che questo dolore passerà e rimarrà solo il ricordo di un brutto momento. Offri a Lui e starai meglio. E, se non passa, quella è la tua croce: Gesù ti darà la forza per portarla".
In questi casi, come alla vedova, Gesù non ci chiede niente di particolare, ma di fidarci soltanto di Lui, anche se non capiamo.
In quante circostanze ci siamo chiesti: "Gesù dove sei?" A volte ci sembra lontano, invece è lì, non Lo vediamo, non Lo sentiamo ma è lì. Prima o poi capiremo perché Lui non si fa sentire. O forse siamo noi che non riusciamo a sentirlo?
La compassione spinse Gesù a risuscitare il figlio della vedova. Il dolore degli altri produce in me la stessa compassione? Cosa faccio per aiutare l'altro a vincere il dolore e a rendere nuova la sua vita?
Gesù non conosceva questa donna, quindi la compassione che Gesù chiede a noi, da questo momento in poi, non è solo per le persone che amiamo, ma anche per le persone che non conosciamo e soprattutto per quelle che ci fanno soffrire.
Gesù ci chiede di avere compassione per chiunque. Se siamo realmente cristiani e soprattutto se percorriamo un cammino che debba portarci alla santità, dobbiamo soffrire con.... tutti. Il Signore ci ricompenserà.
Coordin.
00lunedì 10 giugno 2013 07:26
Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Elia [...] disse ad Acab: «Per la vita del Signore, Dio d'Israele, alla cui presenza io sto, in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo comanderò io».

Come vivere questa Parola?
Elia, il cui nome etimologicamente significa YHWH è Dio, parla al re Acaz che, dimentico del Signore e di ogni aiuto e benedizione da Lui ricevuti, si è volto ad adorare gli idoli. Quello che ci colpisce è la forza e la sicurezza con cui il grande profeta si rivolge al sovrano. Nessuna titubanza. Nessun sottinteso. Nessuna paura. Elia, uomo di Dio, vive sulla sua pelle il peccato di Acaz che voltando le spalle al vero Dio, provoca l'abbandono e la deriva idolatrica di tutto il popolo. Ecco perché avviene quasi un'immedesimazione. Il profeta di Dio partecipa della potenza divina. Vive alla sua presenza continuamente e la parola di Lui diventa una cosa sola con la parola del profeta.
Quello che Elia ha proferito sta per accadere. La siccità sarà la punizione con valore correttivo: per Acaz e per il popolo. Quanto a Elia gli vengono assicurati il pane e l'acqua, dentro la sollecitudine di Dio che non abbandona i suoi fedeli.
Emergono, dal brano, almeno tre insegnamenti per noi. C'è anzitutto lo stare alla presenza di Dio: non è solo sapere che Egli esiste, ma vivere sotto il suo sguardo vivificante. C'è la protervia di un sovrano che, col suo popolo, sceglie l'idolatria e ne paga lo scotto perché la natura stessa si ribella a lui negando i giusti ritmi della pioggia e della rugiada. E c'è infine l'esperienza del profeta inascoltato dal re e da tutti, ma protetto da Dio.

Nella mia pausa contemplativa, mi soffermo sull'importanza della dimensione profetica del mio battesimo: La vivo con gioia? Mi consolo al pensiero che se mi rendo consapevole della presenza di Dio in me, Egli più facilmente trova via libera per esprimere la sua sollecitudine verso di me?

O Signore, dammi il coraggio di vivere la dimensione profetica del mio battesimo credendo fermamente che Dio vuole operare il bene anche attraverso me.

La voce di un mistico del XVIII secolo
Se ne stia alla presenza di Dio, con una pura e semplice attenzione amorosa a quell'immenso Bene, in un sacro silenzio d'amore, riposando con questo santo silenzio tutto il suo spirito nel seno amoroso dell'Eterno Dio.
S. Paolo della Croce
Coordin.
00martedì 11 giugno 2013 07:29
Eremo San Biagio
Commento su Matteo 10,8

Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.
Mt 10,8

Come vivere questa Parola?

È ciò che Gesù ha fatto realmente negli anni della sua vita terrena: la gratuità si personifica in Lui, da Dio si fa uomo, assume la condizione umana, non tenendo nulla gelosamente per sé (cf Filippesi 2,5-11), ma svuotandosi, abbassandosi e donandosi totalmente.

Ovviamente l'oggetto del gratuito di cui parla Gesù non sono le cose! Egli infatti "da ricco che era - dice San Paolo ai Corinzi - si fece povero per arricchire molti per mezzo della sua povertà" (2Cor 8,9). Come può un povero arricchire con la sua povertà? È il solito paradosso del Vangelo!

Dare, secondo lo stile evangelico, significa amministrare ciò che hai ricevuto. Tu, io noi non siamo padroni di nulla, tutto ci è donato, quando diamo non facciamo altro che donare ciò che gratuitamente abbiamo ricevuto.

Non va dimenticato che questo brano di oggi si colloca nel discorso missionario di Gesù: Egli sta inviando i suoi a predicare dopo averli istruiti col discorso della montagna (le beatitudini). Sì, loro come noi ricevono un mandato di testimonianza e di annuncio non perché meritano né sanno più degli altri, ma per dono di fiducia Sua! È importante non dimenticarlo.

Oggi, nel mio rientro al cuore, ripeto questa Parola di Gesù lentamente: chiedo di essere liberato da ogni forma di accaparramento e di presunzione. La citazione che segue mi può aiutare a comprendere meglio e di più Gesù.

La voce di un vescovo

Gratuità è sovrabbondanza: non basta essere gratuiti nel dare, bisogna dare a oltranza, sempre, comunque, secondo la legge evangelica che ben conosciamo. Gesù era un po' uno sprecone quando dava. A Cana manca il vino: avanti il vino! Alla fine sono avanzate ben sei idrie e di vino buono (cfr. Gv. 2, 1-11). Poi la divisione dei pani: hanno mangiato tutti e hanno portato via pure delle sporte piene (cfr. Mt. 14, 15-21). La pesca miracolosa: Pietro non aveva preso un solo pesciolino, alla fine 153 grossi pesci (cfr. Gv. 21, 1-14). Sovrabbondanza! È lo stile di Gesù. Guai a voler "sparagnare", risparmiare quando si da. Gratis e molto: sono due leggi evangeliche che Matteo ci fa conoscere in modo molto chiaro.
Mons. Carlo Ghidelli
Coordin.
00mercoledì 12 giugno 2013 08:03
a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

Signore Dio nostro,
fa? che i tuoi fedeli,
formati nell?impegno delle buone opere
e nell?ascolto della tua parola,
ti servano con generosa dedizione
liberi da ogni egoismo,
e nella comune preghiera a te, nostro Padre,
si riconoscano fratelli.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...



2) Lettura

Dal Vangelo secondo Matteo 5,17-19
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: ?Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla legge neppure un iota o un segno senza che tutto sia compiuto.
Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli?.



3) Riflessione

? Il Vangelo di oggi insegna come osservare la legge di Dio in modo tale che la sua pratica indichi in cosa consiste il pieno compimento della legge (Mt 5,17-19). Matteo scrive per aiutare le comunità dei giudei convertiti a superare le critiche dei fratelli di razza che li accusavano dicendo: ?Voi siete infedeli alla Legge di Mosè?. Gesù stesso era stato accusato di infedeltà alla legge di Dio. Matteo ha la risposta chiarificatrice di Gesù nei riguardi dei suoi accusatori. Così dà una luce per aiutare le comunità a risolvere il loro problema.
? Usando immagini della vita quotidiana, con parole semplici e dirette, Gesù aveva detto che la missione della comunità, la sua ragion d?essere, è quella di essere sale e luce! Aveva dato alcuni consigli rispetto ad ognuna delle due immagini. Poi vengono due o tre brevi versi del Vangelo di oggi:
? Matteo 5,17-18: Neppure una iota passerà dalla legge. C?erano varie tendenze nelle comunità dei primi cristiani. Alcune pensavano che non fosse necessario osservare le leggi dell?Antico Testamento, perché siamo salvi per la fede in Gesù e non per l?osservanza della legge (Rom 3,21-26). Altri accettavano Gesù, Messia, ma non accettavano la libertà di Spirito con cui alcune comunità vivevano la presenza di Gesù. Pensavano che essendo giudei dovevano continuare ad osservare le leggi dell?AT (At 15,1.5). Ma c?erano cristiani che vivevano così pienamente nella libertà dello Spirito, che non guardavano più né la vita di Gesù di Nazaret, né l?AT ed arrivavano a dire: ?Anatema Gesù!? (1Cor 12,3). Osservando queste tensioni, Matteo cerca un equilibrio tra i due estremi. La comunità deve essere uno spazio dove l?equilibrio può essere raggiunto e vissuto. La risposta data da Gesù a coloro che lo criticavano continuava ad essere ben attuale per le comunità: ?Non sono venuto per abolire la legge, ma per dare compimento!? Le comunità non potevano essere contro la Legge, né potevano rinchiudersi nell?osservanza della legge. Come Gesù, dovevano dare un passo avanti, e dimostrare, nella pratica, qual era l?obiettivo che la legge voleva raggiungere nella vita delle persone, cioè, nella pratica perfetta dell?amore.
? Matteo 5,19: Non passerà nemmeno un segno. Ed a coloro che volevano disfarsi di tutta la legge, Matteo ricorda l?altra parola di Gesù: ?Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.? La grande preoccupazione del Vangelo di Matteo è mostrare che l?AT, Gesù di Nazaret e la vita nello Spirito non possono essere separati. I tre fanno parte dello stesso ed unico progetto di Dio e ci comunicano la certezza centrale della fede: il Dio di Abramo e di Sara è presente in mezzo alle comunità per la fede in Gesù di Nazaret che ci manda il suo Spirito.



4) Per un confronto personale

? Come vedo e vivo la legge di Dio: come orizzonte crescente di luce o come imposizione che delimita la mia libertà?
? Cosa possiamo fare oggi per i fratelli e le sorelle che considerano tutta questa discussione come qualcosa di superato e non attuale? Cosa possiamo imparare da loro?



5) Preghiera finale

Glorifica il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion.
Perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli. (Sal 147)
Coordin.
00giovedì 13 giugno 2013 08:58
Movimento Apostolico - rito romano
Va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.

Gesù con scienza e sapienza di Spirito Santo, con arte divina, con somma attenzione rilegge la Legge Antica, quella praticata dagli scribi e dai farisei, e le conferisce il pieno compimento. È questa la giustizia superiore cui ogni uomo deve sottomettersi, se vuole essere figlio del Regno di Dio.
Questa rilettura e questo compimento non li fa però in nome di Dio, non li svolge da Profeta dell'Altissimo, li opera in nome proprio. È Lui che legge, interpreta, compie, definisce. È Lui che si manifesta vero Signore della Legge e dei Profeti. È Lui che si rivela Autore della Nuova Legge, che è il compimento perfetto della Legge antica. Alla sua interpretazione e compimento nulla si dovrà più aggiungere, nulla togliere per l'eternità. Con Cristo Gesù la Legge entra nella sua definitività di perfezione.
Non basta non uccidere per essere a posto dinanzi a Dio e agli uomini. La vita dell'uomo è complessa, molto complessa. È vissuta in una molteplicità di relazioni, di significati, di eventi, di circostanze, si situazioni. Ebbene, ognuno di questi infiniti momenti deve essere vissuto nel rispetto più grande, nella carità più totale, nella giustizia più perfetta, nella grande delicatezza spirituale e morale, nella gentilezza e serenità della mente e del cuore. Anche lo stesso corpo deve partecipare a quest'azione di carità, di amore, di giustizia, di gioia, di pace verso il fratello. Perché questo avvenga anche le parole devono essere ponderate, pesate, devono essere gentili, sante, buone, vere. Una sola parola può uccidere l'uomo nel suo spirito. Una sola frase lo può ammazzare nella sua anima. Un solo gesto lo può ferire mortalmente nel suo cuore e nei suoi sentimenti. Una sola reazione può dare la morte.
Mai un discepolo di Gesù dovrà offendere in qualsiasi modo - parole, opere, omissioni, pensieri - un suo fratello, una sua sorella. Un discepolo di Gesù potrà però venire offeso. Ecco il giusto comportamento, la regola santa della giustizia e della carità, la perfetta misericordia che Gesù gli chiede: deve riconciliarsi con l'offensore prima di presentarsi dinanzi a Dio per fare la sua offerta, offerta di preghiera, offerta di sacrificio, offerta di lode, offerta di ringraziamento. Il discepolo di Gesù deve essere sempre uomo di riconciliazione, di pace, di bontà, di perdono, di misericordia, di grande amore.
Altra cosa che sempre deve fare il discepolo di Gesù è questa: essere persona saggia, accorta, diligente, capace di grande discernimento. Deve sapere in ogni istante qual è il più grande bene per lui e per gli altri e questo bene perseguire ad ogni costo, a costo di ogni rinunzia e sacrificio, a costo anche di perdere tutto ciò che è della terra.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Vergine Sapiente, insegnaci la vera sapienza, la vera obbedienza, la vera carità. Angeli e Santi di Dio, otteneteci la grazia di imitare Cristo Gesù che prima di offrire il suo sacrificio di redenzione al Padre, si riconciliò con i suoi fratelli chiedendo a Dio perdono per loro. Non sapevano quel che facevano.
Coordin.
00venerdì 14 giugno 2013 09:29
"Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te... Se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te...". Queste parole così dure, così spietate sono state dette da colui che si definisce "mite e umile di cuore", da Gesù che ci assicura che il suo giogo è dolce e il suo carico leggero. La misericordia non è debolezza. Cristo, infinita misericordia, è morto sulla croce per liberarci dal peccato, e non ammette complicità con esso.
Nella prima lettura questo mistero di morte per la risurrezione è espresso da san Paolo in un'altra forma: gli Apostoli devono proclamare la vittoria di Cristo in un clima di persecuzione. "Siamo tribolati da ogni parte, siamo sconvolti, perseguitati, colpiti...". Sembra illogico, ed è sconcertante. Sconcertante se non si mette in rapporto con il mistero di Cristo. E Paolo aggiunge: "Sempre e dovunque portando nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo". Nei vasi di creta della nostra povera umanità per il mistero di Cristo è stato posto il tesoro della sua risurrezione, "perché appaia che la potenza viene da Dio e non da noi".
E assurdo per un cristiano volere una vita tranquilla, senza difficoltà, senza prove, senza turbamenti: non è stata la strada del Signore e non può essere la nostra.
Il Signore ci aiuti a vedere in ogni sofferenza la sua croce, cioè un varco verso la vita.
Le parole dure del Vangelo sono messe nelle nostre mani come un coltello per salvarci da atteggiamenti di accondiscendenza e di cedimento verso la nostra società permissiva, che vuole solo la soddisfazione immediata, la felicità apparente che sembra venire dalla droga, dal divorzio, dall'aborto. Sono proclamate di liberazioni" e non si vede che, di delitto in delitto, si va verso la completa degradazione della dignità umana.
Nell'umiltà della nostra vita quotidiana chiediamo al Signore di essere sempre illuminati dalla luce del suo mistero, per poter essere "luce del mondo".
Coordin.
00sabato 15 giugno 2013 07:37
Eremo San Biagio
Commento su Seconda Corinti 5, 14

"l'amore di Cristo ci spinge..."
2 Cor 5, 14

Come vivere questa parola?

L'urgenza
"Caritas Christi urget nos" diceva la vulgata. Un Dio che ha fretta, un amore che spinge... un'immagine che può disegnarsi nella nostra testa tra il buffo e il violento. Quante interpretazioni anche fasulle di questo versetto nella nostra storia! E noi? Come le ridiciamo queste parole?

Esiste un amore così intenso, puro e fecondo che si è fatto persona e come persona ha costruito relazioni, vincoli... vincoli determinati non dal sangue, dalla familiarità, né dalla costrizione o dalla costruzione di stati, di ceti che di solito determinano e ordinano le relazioni. Dentro a questi nuovi vincoli, chi ne è coinvolto, rilegge l'esperienza della "morte per" di Cristo e la sperimenta come atto creativo che ha sostituito e invertito una dinamica di morte che invece pervadeva e sopprimeva la libertà, la vitalità dell'uomo. Bastava una scelta non corretta, un abbandonarsi pigro alla propria fragilità e la trasformazione nell'immagine di Dio veniva compressa. Oggi non è più così: la morte di Cristo ha scritto nel sangue una nuova alleanza e la sua risurrezione ha sigillato la possibilità di vita nuova per tutti. Ri-creati nuovi, dunque come creature nuove nelle quali l'uomo vecchio è scomparso, possiamo accogliere interamente la grazia di Dio. e muoverci urgentemente anche noi, perché tutti, ma davvero tutti, possano conoscere ed amare Dio. Non c'è tempo da perdere!

Oggi, Signore aiutaci a non impigrirci. La solerzia che viene da te ci renda creativi. E ci faccia abbandonare le cose buone che abbiamo sempre fatto, se non sono più utili a far passare il tuo amore!

La voce di un papa

"L'azione evangelizzatrice della Chiesa non può mai venire meno (...). Gli odierni relativismi ed irenismi in ambito religioso non sono un motivo valido per venir meno a questo oneroso ma affascinante impegno, che appartiene alla natura stessa della Chiesa ed è «suo compito primario». «Caritas Christi urget nos - l'amore del Cristo ci spinge."
Redemptoris Missio - GP II
Coordin.
00domenica 16 giugno 2013 07:24
don Luciano Cantini
Toccati dalla salvezza

Uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui
Poco prima (v.34) si legge: È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e voi dite: «Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!». Adesso Gesù va a mangiare in casa di uno dei farisei... nessuno è escluso dalla sua attenzione. Gesù accoglie tutti, ciascuno con le sue caratteristiche e i suoi limiti, le sue ricchezze e le sue mancanze.
Questo fariseo, osservante della Legge, invita Gesù a mangiare, lo fa entrare nella sua casa ma non è capace di accoglienza. Il fariseo apre la sua porta e la lascia aperta perché chiunque possa entrare, però manca qualcosa e non se ne accorge. La sua ospitalità, e la sua vita, sembrano essere prive dell'essenziale. Forse è proprio l'osservanza della Legge che gli offre una sicurezza ma l'uomo non è giustificato per le opere della Legge (Gal 2,16).

Ecco, una donna, una peccatrice di quella città
Questa donna non ha un nome, proprio come il fariseo, ma è certamente conosciuta per la sua situazione di peccatrice; entra nella casa del fariseo e si accoccola ai piedi di Gesù. La sua presenza non sembra disturbare più di tanto e viene lasciata fare. L'immagine che l'evangelista ci regala è chiara: quella donna che personifica il peccato è di casa anche là, tra i farisei, i giusti secondo la Legge e secondo l'opinione pubblica, tra le persone per bene, ma nessuno se ne avvede o lo ritiene sconveniente. Il padrone di casa non si scandalizza, non la caccia fuori, non è attirato dai suoi gesti perché osserva la reazione di Gesù ed è pronto a confermare i suoi pregiudizi. Proprio i suoi pregiudizi muovono la misericordia del Signore che vuole la salvezza della donna come quella del fariseo. Il racconto che segue spiega bene l'affermazione: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio (Mt 21,31).

«Simone, ho da dirti qualcosa».
Adesso il fariseo acquista un nome e un volto... Gesù cerca una relazione con lui, un coinvolgimento. La sua era stata una accoglienza fredda, misurata, la donna invece aveva espresso una liturgia carica d'amore. Gesù sente il bisogno di colmare questa differenza raccontando la parabola dei due debitori e chiedendo a Simone un parere. Gesù conferma: «Hai giudicato bene», ma conclude con una frase strana. "Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco": nella prima espressione sembra che il perdono derivi dall'amore, nella seconda sembra sia il perdono a generare l'amore. Nella seconda espressione si rispecchia il pensiero di Simone e un po' anche il nostro, l'amore come compenso del perdono. Nella prima frase è la gratuità dell'amore che precede su tutto, anche sul perdono.
L'amore di Gesù precede l'accoglienza di Simone e i suoi giudizi, come precede i gesti della donna; lei lo ha capito nel suo cuore, Gesù lo conferma annunciando il perdono ad alta voce per Simone e i commensali che rimangono perplessi e pieni di interrogativi ma non meno toccati dalla salvezza. Come ciascuno di noi che ha ascoltato è ha riconosciuto la misericordia di Dio.
Coordin.
00lunedì 17 giugno 2013 08:51
Movimento Apostolico - rito romano
Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l'altra

Tutto ciò che Gesù insegna è la volontà del Padre che in Lui si è fatta storia, carne, vita, morte per crocifissione, amore verso l'uomo fino al dono supremo di sé. Il Vangelo, tutto il Vangelo, è la sua vita vissuta secondo la forma più alta e sublime della carità. Per convincerci di questa verità è sufficiente leggere il racconto della sua Passione e Morte.

"Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Allora Gesù disse loro: «Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». Mentre ancora egli parlava, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una grande folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore aveva dato loro un segno, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!». Subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!». Allora si fecero avanti, misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. Quelli che avevano arrestato Gesù lo condussero dal sommo sacerdote Caifa', presso il quale si erano riuniti gli scribi e gli anziani. Allora gli sputarono in faccia e lo percossero; altri lo schiaffeggiarono, dicendo: «Fa' il profeta per noi, Cristo! Chi è che ti ha colpito?». Venuto il mattino, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Poi lo misero in catene, lo condussero via e lo consegnarono al governatore Pilato. Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso. I soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo" (Cfr. Mt 26,1-27.66).

Veramente Gesù non ha resistito al malvagio, non si è opposto a lui. Gli ha dato tunica, mantello, sandali e ogni altro indumento. Ha fatto i due miglia portando la pesante croce sulle spalle. Non si è sottratto né agli insulti, né agli sputi e neanche ai flagelli. Agnello innocente rimase muto dinanzi ai suoi tosatori. Questo è il Vangelo di Gesù.

A questa esemplarità perfetta di Gesù fa appello San Pietro, quando invita i martiri del suo tempo a vivere la loro testimonianza guardando verso Cristo per tutto il tempo del loro supplizio. La sua Croce è la forza di ogni suo discepolo. Dal suo martirio è la vita.

Domestici, state sottomessi con profondo rispetto ai vostri padroni, non solo a quelli buoni e miti, ma anche a quelli prepotenti. Questa è grazia: subire afflizioni, soffrendo ingiustamente a causa della conoscenza di Dio; che gloria sarebbe, infatti, sopportare di essere percossi quando si è colpevoli? Ma se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime. (1Pt 2,18-25).

Vissuta sull'esempio e sul modello di Gesù Signore la nostra vita acquisisce una dimensione veramente alta. Il cristiano è chiamato ad essere un vero Cristo vivente, un esempio, quasi una riproposizione attuale, storica, della vita del Maestro
Coordin.
00martedì 18 giugno 2013 07:37
Eremo San Biagio
Commento su Matteo 5,44-45

Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.
Mt 5,44-45

Come vivere questa parola?

Essere figli di Dio e vivere con gioia questa nostra dignità: è questo ciò che conta. La gioia è una polla d'acqua segreta che scaturisce in cuore proprio quando non ci accontentiamo di vivere secondo i dettami dell'istinto e della stessa ragione che dice: Mi hai fatto torto? Anch'io mi comporto come te. Mi hai percosso? Anch'io ti picchio ben bene. Hai fatto gli affari tuoi cercando di ingannarmi? Perché dunque non dovrei giocare anch'io di astuzia nei tuoi riguardi?

Ecco: siamo sul piano terra terra che sembra giusto ma non lo è del tutto. Attenzione! Proprio su questo piano, dentro questa mentalità nascono le liti nelle coppie, in famiglia, al lavoro. Così nascono le guerre tra i popoli. Ma tu, figlio del Padre celeste, soffermati a osservare il modo d'essere del sole: questo astro benefico dà luce, calore, fecondità, ma senza discriminare mai nessuno. Per tutti il sole è dono. E così la benefica pioggia di primavera e di autunno. E tu, figlio del Padre celeste, comportati allo stesso modo! È la tua dignità, la tua chiamata. Com'è bello constatare che il vangelo è ben più che una norma morale! È una fontana che t'irrora dentro, e ti persuade non solo ad amare ma a un amore per nulla discriminante.

Signore Gesù, che sulla croce in mezzo a due ladri hai avuto parole vivificanti anche per loro, ringiovanisci ogni giorno il mio cuore abilitandolo ad amare tutti e ciascuno.

La voce di un santo ortodosso

Non bisogna mai vendicarci di un'offesa, qualunque essa sia, al contrario dobbiamo perdonare di tutto cuore a chi ci ha offesi, anche se il nostro cuore si oppone. Dio ci chiede inimicizia solo col serpente che fin da principio ha indotto l'uomo in tentazione e l'ha cacciato dal paradiso.
S. Serafino di Sarov
Coordin.
00mercoledì 19 giugno 2013 08:01
Mt 6,1-6.16-18
Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

In questo Vangelo Gesù manifesta il suo grande desiderio di metterci in comunione con il Padre, lo stesso desiderio che l'ha spinto a donarsi a noi nell'Eucaristia. Se ha istituito l'Eucaristia è stato proprio perché noi potessimo essere in comunione con lui e con il Padre, come scrive san Giovanni nella prima lettera, e la nostra gioia fosse perfetta. Qui Gesù ci indica la condizione per entrare in questa mirabile comunione e per avere questa profonda e purissima gioia: bisogna operare bene, senza ritorni su se stessi. E quello che chiamiamo rettitudine di intenzione e che può anche chiamarsi sincerità dell'amore.
Gesù conosce il cuore dell'uomo, sa che quando facciamo il bene siamo subito tentati di cercarvi un interesse personale, una soddisfazione di amor proprio e di egoismo e ci insegna che abbandonandoci a questa tentazione svuotiamo ogni nostra azione del suo contenuto di bene.
Si tratta di scegliere tra la soddisfazione dell'amor proprio, dell'egoismo e la ricompensa presso il Padre che è nei cieli.
Se ci pensiamo bene, potremmo dire che Gesù ci spinge a cercare il nostro vero interesse, cioè la ricompensa del Padre celeste. Dimenticando noi stessi per vivere nell'amore abbiamo proprio questa ricompensa, che consiste nell'essere in comunione con Dio, essere nell'amore come Dio è nell'amore, lui che è amore.
Dovremmo avere il gusto di ricercare la comunione con Dio, e niente altro; di fare il bene perché Dio ama ciò che è bene e perché facendo il bene siamo in comunione con lui. E meno ricompensa si ha sulla terra, più si gode la ricompensa intima di essere con Dio.
Ogni volta che leggo questo Vangelo sono colpito dalla cura con cui Gesù ha espresso il suo pensiero. Avrebbe potuto esprimerlo in modo molto secco, come fanno tante volte i predicatori, no? Bisogna far attenzione alle nostre intenzioni, conservare la rettitudine di intenzione e così via, con concetti astratti. Invece Gesù ha scelto una forma molto concreta, vivace, quasi visiva. Ha utilizzato il modo che troviamo sovente nella Bibbia, ha usato cioè immagini perfino esagerate, che colpissero la fantasia. Per esempio: "Quando fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te...". Non succede sovente che si suoni la tromba
quando si fa l'elemosina! Oppure quest'altra espressione, estremamente parlante ma anch'essa esagerata:
"Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra". È uno stile vivacissimo: le due mani sono personificate, come se fossero due persone che vivono a fianco a fianco, e una non deve sapere quello che l'altra fa. E noi comprendiamo benissimo quel che Gesù vuol dire: quando si fa del bene bisogna quasi che noi stessi lo ignoriamo, per evitare la vanagloria. Così la concretissima descrizione di quelli che "pregano ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini". E, di contro: "Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta" perché il Padre è li, nel segreto.
Questi tre esempi sono costruiti molto armoniosamente, con un parallelismo, un equilibrio letterario che è un piacere per lo spirito. All'inizio c e ogni volta l'antitesi: Gesù descrive coloro che si abbandonano alla tentazione della vanità e dell'amor proprio e, in contrapposizione, l'attitudine buona che mette in comunione con Dio. Ogni volta ci sono parole che fanno quasi da ritornello e che inculcano l'insegnamento che Gesù vuol dare.
In negativo: "Hanno già ricevuto la loro ricompensa"; in positivo: "E il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà".
Questo esempio della cura con cui Gesù ha espresso il suo insegnamento in modo vivo, interessante, espressivissimo ("Nessuno ha mai parlato come quest'uomo" dicevano quelli che erano venuti ad ascoltarlo con pensieri ostili), ci incoraggia a curare anche la forma di ciò che facciamo per Dio, di ciò che facciamo nell'evangelizzazione, specialmente quando parliamo di lui.
Ringraziamo il Signore dei suoi preziosi insegnamenti e anche della forma con cui ce li ha dati, che fanno del Vangelo un libro inesauribile ed incomparabile.
Coordin.
00giovedì 20 giugno 2013 07:18
Parlandoci della preghiera e insegnandoci come bisogna pregare Gesù ci chiama ad una conversione della nostra preghiera. Ci dice dapprima di non essere come i pagani, che credono che nella preghiera le loro parole siano la cosa più importante. La cosa più importante è l'azione di Dio, molto più della nostra, e perciò è essere molto semplicemente in profondo rapporto con Dio. Non contano le parole, non contano i bei pensieri ed è un'illusione credere che, più sono le idee che abbiamo saputo mettere bene in ordine nella preghiera, più essa abbia valore. Non è quello che facciamo noi, ma quello che Dio fa in noi che conta.
Poi Gesù ci dà una preghiera che veramente converte la nostra, la cambia forse alla radice e così ci mette in condizione di "esaudire Dio". Noi chiediamo a Dio di esaudirci, ma più ancora quando preghiamo esaudiamo Dio, che desidera trasformarci se lo lasciamo agire in noi. Se preghiamo come ci ha insegnato Gesù, noi esaudiamo Dio e la nostra è una preghiera che può veramente trasformare la vita.
E certamente una profonda educazione alla preghiera quella che Gesù ci dà incominciando con domande tutte riferentisi a Dio: "Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà". E chiaro che spontaneamente, cioè nel nostro istintivo egoismo, noi non cominceremmo mai le nostre preghiere in questo modo, che è mettersi davanti a Dio, è contemplare Dio e desiderare che egli sia conosciuto, amato, che si realizzino i suoi progetti e non i nostri, così limitati e senza futuro.
Gesù ci ha dato l'esempio di una simile preghiera quando in circostanze angoscianti, la sua prima preghiera è stata: "Padre, glorifica il tuo nome!". Più esattamente dovrei dire che è stata la seconda preghiera, perché ha incominciato con una domanda: "Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora?" e ha rifiutato di pregare così, per dire invece: "Padre, glorifica il tuo nome" (Gv 12,2728).
Anche le preghiere concernenti direttamente la nostra vita sono educative per noi.
"Dacci oggi il nostro pane quotidiano". E una preghiera nello stesso tempo fiduciosa e limitata. Non si chiede la ricchezza, o di essere assicurati per tutto il resto della vita: si domanda per oggi il pane di oggi. Nel testo greco c'è un aggettivo che non si sa bene come tradurre e alla fine lo si traduce abitualmente "il nostro pane quotidiano" ispirandosi all'"oggi" immediatamente precedente. Ma è probabile che Gesù, qualificando il pane che ci fa chiedere, abbia pensato sia un pane necessario per la nostra vita, ma per la nostra vita spirituale.
"Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Gesù continua ad educare la nostra preghiera mostrandoci che l'amore che Dio ci dà è legato al nostro amore per il prossimo. E subito dopo insisterà: "Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi, ma se voi non perdonerete, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe". "Non indurci in tentazione ma liberaci dal male". Le ultime domande ci mantengono sempre al livello della vita spirituale. Non chiediamo di essere liberati dalla sofferenza, ma dal
male. E vero che si può considerare un male anche la sofferenza, ma non è la stessa cosa. Nella misura in cui essa è un male, domandiamo di essere liberati anche dalla sofferenza, ma accettiamo di soffrire fisicamente se questo serve al nostro bene. L'importante è che siamo liberati dal peccato, da tutto ciò che nuoce al nostro rapporto con Dio. Per questo domandiamo di essere liberati dalla tentazione e dal male, il male spirituale.
Siamo riconoscenti al Signore che ci ha così educati alla preghiera e cerchiamo di essere fedeli al suo insegnamento, per crescere nell'amore suo e dei fratelli.
Coordin.
00venerdì 21 giugno 2013 07:40
a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

O Dio, fortezza di chi spera in te,
ascolta benigno le nostre invocazioni,
e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo
senza il tuo aiuto,
soccorrici con la tua grazia,
perché fedeli ai tuoi comandamenti
possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 6,19-23
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.
La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!"


3) Riflessione

? Nel vangelo di oggi continuiamo le nostre riflessioni sul Discorso della Montagna. Due giorni fa e ieri abbiamo riflettuto sulla pratica delle tre opere di pietà: elemosina (Mt 6,1-4), preghiera (Mt 6,5-15) e digiuno (Mt 6,16-18). Il vangelo di oggi e di domani presenta quattro raccomandazioni sul rapporto con i beni materiali, esplicitando così come vivere la povertà della prima beatitudine: (a) non accumulare (Mt 6,19-21); (b) avere una visione corretta dei beni materiali (Mt 6,22-23); (c) non servire due padroni (Mt 6,24); (d) abbandonarsi alla provvidenza divina (Mt 6,25-34). Il vangelo di oggi presenta le due prime raccomandazioni: non accumulare beni (6,19-21) e non guardare il mondo con occhi malati (6,22-23).
? Matteo 6,19-21: Non accumulare tesori sulla terra. Se, per esempio, oggi in TV si annuncia che il mese prossimo mancheranno nel mercato zucchero e caffè, tutti compreremo il massimo possibile di caffè e zucchero. Accumuliamo, perché non abbiamo fiducia. Nei quaranta anni di deserto, la gente è stata provata per vedere se era capace di osservare la legge di Dio (Es 16,4). La prova consisteva in questo: vedere se erano capaci di raccogliere solamente la manna necessaria per un solo giorno, e non accumulare per il giorno seguente. Gesù dice: "Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano." Cosa significa accumulare tesori nel cielo? Si tratta di sapere dove pongo la base della mia esistenza. Se la pongo nei beni materiali di questa terra, corro sempre il pericolo di perdere ciò che ho accumulato. Se metto la base in Dio, nessuno potrà distruggerla ed avrò la libertà interiore di condividere con gli altri ciò che posso. Per fare in modo che questo sia possibile e vivibile, è importante giungere ad una convivenza comunitaria che favorisca la condivisione e l'aiuto reciproco, ed in cui la maggiore ricchezza o tesoro non è la ricchezza materiale, bensì la ricchezza o il tesoro della convivenza fraterna nata dalla certezza portata da Gesù: Dio è Padre e Madre di tutti. Perché là dove è il tuo tesoro, è anche il tuo cuore.
? Matteo 6,22-23: La lucerna del corpo è l'occhio. Per capire ciò che Gesù chiede è necessario avere occhi nuovi. Gesù è esigente e chiede molto: non accumulare (6,19-21), non servire Dio e il denaro insieme (6,24), non preoccuparsi del cibo e delle bevande (6,25-34). Queste raccomandazioni esigenti hanno a che vedere con quella parte della vita umana dove le persone hanno più angoscia e preoccupazioni. Fa parte anche del Discorso della Montagna, che è più difficile da capire e praticare. Per questo Gesù dice: "Se il tuo occhio è malato,....". Alcuni traducono occhio malato e occhio sano. Altri traducono occhio meschino e occhio generoso. E' uguale. In realtà, la peggiore malattia che si possa immaginare è una persona chiusa in se stessa e nei suoi beni e che si fida solo di loro. È la malattia della meschinità! Chi guarda la vita con questi occhi vivrà nella tristezza e nell'oscurità. La medicina per curare questa malattia è la conversione, il cambio di mentalità e di ideologia. Mettere la base della vita in Dio e così lo sguardo diventa generoso e la vita tutta diventa luminosa, perché fa nascere la condivisione e la fraternità.
? Gesù vuole un cambiamento radicale. Vuole l'osservanza della legge dell'anno sabbatico, dove viene detto che nella comunità dei credenti, non ci possono essere poveri (Dt 15,4). La convivenza umana deve essere organizzata in modo tale che una persona non debba preoccuparsi del cibo e delle bevande, dei vestiti e della casa, della salute e dell'educazione (Mt 6,25-34). Ma ciò è possibile se tutti cerchiamo prima il Regno di Dio e la sua giustizia (Mt 6,33). Il Regno di Dio vuol dire permettere che Dio regni: è imitare Dio (Mt 5,48). L'imitazione di Dio porta alla condivisione giusta dei beni e dell'amore creativo, che genera una vera fraternità. La Provvidenza Divina deve essere mediata dall'organizzazione fraterna. Solo così è possibile eliminare qualsiasi preoccupazione per il domani (Mt 6,34).


4) Per un confronto personale

? Gesù disse: "Là dove è il tuo tesoro, è anche il tuo cuore". Dove si trova la mia ricchezza: nel denaro o nella fraternità?
? Qual è la luce che ho nei miei occhi per guardare la vita, gli avvenimenti?


5) Preghiera finale

Il Signore ha scelto Sion,
l'ha voluta per sua dimora:
"Questo è il mio riposo per sempre;
qui abiterò, perché l'ho desiderato." (Sal 131)
Coordin.
00sabato 22 giugno 2013 08:41
Eremo San Biagio
Commento su Mt 6,25

Dalla Parola del giorno
"Non affannatevi".

Come vivere questa Parola?
È un insegnamento di Gesù, un imperativo, oggi, quanto mai terapeutico. La vita va talmente di corsa al lavoro e nelle varie strutture operative, che la famiglia ne risente, e anche la singola persona. L'affanno nasce lì: al cuore di una vita malata di 'dimenticanza'. Si dimentica che essa "vale più del cibo, più del vestito" come dice Gesù, vale in quanto dono di Dio. In lui infatti ha la sua sorgente e il suo prolungarsi negli orizzonti eterni.
Ciò che Gesù, da perfetto terapeuta, ci fa cogliere, è che bisogna proprio tendere alla libertà. Perché c'è un padrone che ti schiavizza interamente ed è il modo di gestire la vita secondo la mentalità mondana; e c'è un padrone che, se tu scegli di servirlo, ti riconsegna alla tua identità di immagine e somiglianza Sua, e perciò ti rende libero. Si tratta di Dio!
L'affanno nasce dalla dimenticanza e dal non osservare quello che fa Dio con le sue creature: gli uccelli, i fiori del campo. Guarda come ad ogni stagione si prende cura di loro. E quanto più avrà cura di te, di me, di tutti!
Se cerco anzitutto il regno di Dio nella mia vita, cioè scelgo di essere dalla parte di Gesù e valuto col suo criterio quello che sono chiamato a vivere, tutta l'onda viva dell'Amore di Dio entrerà fin nelle mie cellule e sarò uomo, donna non solo libero dall'affanno, ma capace di vivere e diffondere un senso di pace.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, considererò che la vera gioia di vivere prende le distanze dalla voglia di fare dell'efficientismo e dal ritenersi al centro di tutto.

Signore, donami la tua pace, non quella che dà il mondo. Mio Signore, mio Dio liberatore!

La voce di una beata
Come vorrei dire a tutte le anime quali sorgenti di forza, di pace e anche di felicità troverebbero se acconsentissero a vivere in intimità con Dio. Esse però non sanno aspettare. Se Dio non si comunica loro sensibilmente, abbandonano la sua santa presenza e, quando egli arriva carico di doni, non trova nessuno. L'anima è al di fuori, nelle cose esteriori, non abita più nel proprio intimo!
Elisabetta della Trinità
Coordin.
00domenica 23 giugno 2013 07:59
don Alberto Brignoli
Rinnegare noi stessi...perché no?

\"Rinnegare\"...che brutta parola. Significa negare di conoscere una persona, dichiarare di non averla mai neppure conosciuta, nonostante le si era legati da un vincolo di sangue o di affetto; per cui, ci si sottrae a ogni obbligo materiale e morale nei suoi confronti. Si rinnega un amico, la persona del cuore; si può giungere addirittura a rinnegare il proprio figlio e i propri genitori, quasi non li si fosse mai conosciuti. Ma mi dite voi come si può arrivare a \"rinnegare se stessi\"? Come è possibile che io dica agli altri: \"Non so chi sono, non mi riconosco più, non pongo più attenzione a me stesso?\". Eppure, nel Vangelo di oggi, è questo ciò che il Maestro ci chiede: rinnegare noi stessi, come condizione per \"venire dietro di lui\", ovvero per seguirlo.
Per poter seguire Gesù, è lui stesso che ci pone due condizioni: rinnegare noi stessi e prendere la nostra croce ogni giorno. Quello di prendere la nostra croce quotidiana, non mi pare sia un grosso problema: non c\'è bisogno che ce la andiamo a cercare, ogni giorno ha la sua pena, ogni giorno ha la sua croce e il suo affanno quotidiano. Ci sono giorni in cui la croce è talmente piccola da identificarsi con un piccolo malore, con un acciacco, con un\'azione sul lavoro non realizzata alla perfezione, con una parola sbagliata detta in famiglia...per cui, non ci pare nemmeno così gravoso o pesante portarla. Ci sono invece altri giorni in cui la croce è veramente pesante e faticosa da portare, per qualcosa che ci colpisce improvvisamente, e che magari poi diviene un assillo non solo per un giorno o due, ma per lunghi giorni a venire, una compagna di cammino a motivo della quale spesso non si riesce a intravedere dove e quando terminerà questa Via Crucis.
Questo che il Signore ci chiede, allora, non è una condizione da realizzare, perché è la vita stessa che lo realizzerà per noi: la condizione che ci viene chiesta è la prima, \"rinnegare noi stessi\". Ed è proprio il trasporto quotidiano della nostra croce che ci aiuterà a soddisfare questa condizione necessaria al discepolato e alla sequela di Gesù. Sì, perché portare la croce ogni giorno significa comprendere che non siamo noi a dettare le regole del gioco, a indicare il punto di partenza, la meta, e il tracciato di questo percorso. Queste sono le cose che ci è permesso di fare (e che, di fatto, facciamo) nelle nostre attività ordinarie, dove giustamente siamo noi a dover programmare, pensare, disporre, preparare, organizzare, perché quello che è nelle nostre intenzioni e nei nostri sogni diventi realtà. Lì sì, che dobbiamo conoscere fino in fondo noi stessi, le nostre capacità, i nostri limti, le risorse a nostra disposizione, apprezzare e valorizzare fino in fondo ciò che siamo perché ogni nostro progetto arrivi a pieno compimento. Perché se non conosco e non apprezzo me stesso (la cosiddetta \"autostima\"), difficilmente riuscirò a realizzare un\'idea, un sogno, un progetto di vita.
Ma con la sequela di Gesù, non funziona così: \"Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso\". Per seguire Gesù, non serve autostima, conoscenza di sé, capacità di porsi obiettivi, accumulare strategie e risorse e realizzare quanto prefisso: a tutto questo, ci pensa lui, perché è lui che detta le regole del gioco, è lui a indicare il punto di partenza, è lui a indicare la meta, è lui che segna il tracciato del percorso. Con la nostra croce sulle spalle, ogni giorno. Già questo ci sconvolge, perché significa spesso buttare all\'aria i nostri progetti, gettare via le nostre idee e pensare in maniera diametralmente opposta a come noi vorremmo.
Ma ciò che sconvolge di più è vedere che questo gioco le cui regole sono da lui dettate, questo cammino da lui indicato, termina esattamente nello stesso modo in cui l\'abbiamo condotto e portato sulle spalle...con la croce. Queste sono le cose che sconvolgono e che \"fanno male\" quando ti metti alla sequela del Maestro: tu speri che la croce che ti porti dietro ogni giorno, che quotidianamente ti carichi sulle spalle, a un certo punto divenga sempre più leggera e addirittura possa poi essere abbandonata lungo il cammino, per giungere più spediti alla meta. Invece, la meta coincide con il cammino: un cammino di croci, con la croce sulle spalle, e che termina con la croce ben piantata, ritta, al culmine di quel Calvario che è il nostro vivere quotidiano.
E nessuno verrà a darti una mano per scendere da quella croce, finché tutto sia compiuto. Anzi, ti guarderanno, come hanno guardato \"colui che hanno trafitto\"; tutt\'al più, puoi sperare che non ti disprezzino (come spesso avviene quando vivi con una croce quotidiana nella tua vita), tutt\'al più, puoi sperare che facciano su di te \"il lutto come per un figlio unico\" che ti piangano \"come si piange il primogenito\". Non aspettarti salvezza, onore e gloria da chi solo si attende la tua rovina, dagli uomini come te che, pensando solo a se stessi, cercano in tutti i modi di salvarsi dalla croce e dalla morte fuggendola.
Oggi c\'è però una parola di speranza in più: e questa non viene dalla gente che aspetta sempre e solo gli uomini di valore, gli eroi, i Giovanni Battista, gli Elia, gli antichi profeti di turno, per ottenere da loro salvezza. Oggi la speranza ci è data da chi non promette gloria, ma annuncia croce; da chi non promette esito e successo ma sconfitta e perdita della vita per causa sua: \"Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà\". E la speranza ci viene dalla certezza e dalla sicurezza con cui, da subito, quando il cammino è da poco iniziato, senza mezzi termini e senza mezze parole, ci annuncia la sua - e la nostra - missione: \"Il Figlio dell\'uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi e dai sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno\".
Se seguire Cristo rinnegando noi stessi e prendendo la nostra croce ogni giorno significa poi risorgere, ci viene spontaneo dire: perché no?
Coordin.
00lunedì 24 giugno 2013 07:31
Movimento Apostolico - rito romano
Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito

A volte ci si interroga, ci si chiede: perché noi, dopo anni e anni di vita cristiana, miseramente cadiamo, abbandoniamo, ci ritiriamo, lasciamo anche il nostro ministero, appendendo, come si diceva un tempo, la nostra tunica alle ortiche? Perché un ministro di Cristo Gesù fallisce nel suo ministero e nella sua vocazione? Perché oggi i matrimoni tra cristiani sono in rovina, allo sfascio? Perché la morale cristiana è quasi inesistente? Perché vi è la desertificazione della fede e della verità? Perché questo ritorno indietro, anziché procedere spediti in avanti, sempre?

La risposta ci viene data da un adagio medievale: "Non progredi est regredi". Non progredire è regredire. Non crescere è diminuire. Non divenire adulti nella fede non è rimanere bambini in essa. È perderla del tutto. La fede scompare nei cuori perché non si cresce, non si progredisce, non si fanno salti in avanti. È questa l'unica dinamica perché la fede, la verità, la giustizia, la fedeltà diventino essenza stessa della nostra vita. Si facciano nostra natura. Quando la fede diviene nostra natura, nostra sostanza, allora non vi sarà mai ritorno indietro, perché ciò che si trasforma in natura mai più si sradicherà dalla nostra anima, dallo spirito, dal nostro corpo.

Il Vangelo secondo Luca sia quando parla di Gesù che quando presenta Cristo Signore nei primi anni della loro vita, afferma questa loro crescita. Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. Ogni giorno trasformava il suo corpo, la sua anima, il suo spirito in sapienza, verità, fedeltà, amore, carità, obbedienza. Anche di Giovanni è detto che cresceva. "Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele". Pensare una vita di discepoli del Signore, senza questa crescita costante nello Spirito Santo, sotto la sua potente luce e costante mozione e ispirazione, è inseguire delle chimere. È trovarsi domani ad abbandonare tutto, anche il ministero, la consacrazione, il patto, gli impegni che ci siamo assunti dinanzi a Dio e agli uomini.

Per crescere dobbiamo ogni giorno fabbricarci un deserto spirituale attorno alla nostra vita. Urge farsi violenza a se stessi. Rinunciare alla vita frenetica cui tutti siamo sottoposti. Giovanni fisicamente si ritirò nel deserto. Cristo Gesù ogni giorno si costruiva un deserto attorno a sé, ritirandosi in luoghi solitari per mettersi in comunione con Dio, nello Spirito Santo, in modo che fosse sempre nella più perfetta conoscenza della volontà del Padre. Non si può obbedire a Dio senza conoscere la volontà di Dio. Obbedire alla propria coscienza non è obbedire a Dio.

Oggi si obbedisce alla propria coscienza, alla propria scienza, alla visione umana che uno ha di sé. Ma questa non è vera obbedienza. La vera obbedienza è alla perfetta conoscenza della volontà di Dio e in questa conoscenza ogni giorno si deve crescere. Per questo è necessario crearsi quel deserto artificiale, spirituale, quotidiano per entrare in comunione con Dio sotto la potente luce dello Spirito Santo. Se non cresciamo, non obbediamo. Se non obbediamo, moriamo al nostro ministero.
Coordin.
00martedì 25 giugno 2013 07:21
Monaci Benedettini Silvestrini
La regola d'oro

Quando siamo illuminati dalla fede e facciamo esperienza della generosità e dell'amore gratuito ed infinito di Dio, quando soprattutto la sua misericordia ci risolleva dal peccato, non possiamo non aprirci allo stesso amore verso di lui, pur con i nostri limiti, e verso il nostro prossimo. In questo contesto leggiamo e meditiamo oggi le parole di Gesù: "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti". Potrebbe sembrare che la nostra carità verso gli altri debba partire dalla dose e dall'abbondanza del nostro egoismo; Gesù vuole farci intendere che la misura giusta dell'amore è Lui stesso che ci parla e ci darà la suprema testimonianza di amore con il dono della sua vita nell'immolazione della croce. È in Lui che impariamo ad amarci nel modo giusto, e con l'amore che egli ci dona che riusciamo ad amare disinteressatamente il nostro prossimo. Questa è la novità che è venuto a portare nel mondo, questa è la perla preziosa da coltivare nel cuore e da preservare dai porci che la inquinano e la corrompono. Sarà ancora l'amore a darci la giusta direzione nel difficile orientamento della vita preservandoci dalle facili illusioni che fanno credere che le porte e le vie più larghe e spaziose siano quella da imboccare e da percorrere nei nostri itinerari dello spirito. "Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa". "Quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!". La vita è il Regno di Dio in noi. È per questo che Gesù, parlando in parabole, ci dirà che per avere quel tesoro nascosto o quella perla preziosa, dobbiamo essere disposti a spendere tutto per averla: "Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra". Trovare il vero tesoro e la perla veramente preziosa implica la continua ed assidua ricerca, implica prima ancora una interiore illuminazione dello spirito che ci renda capaci da valutare e di scegliere. Chi sa se Gesù ancora oggi e con maggiore amarezza non debba ripetere: quanto pochi sono quelli che la trovano!".

Coordin.
00mercoledì 26 giugno 2013 06:24
Gesù ci mette in guardia contro coloro che proclamandosi profeti, non trasmettono la sua parola: "Guardatevi dai falsi profeti". I falsi profeti non sono precursori di Cristo, non preparano la sua venuta, non sono servi del Buon Pastore, ma lupi rapaci, malgrado il loro travestimento. Ce ne sono molti anche ai nostri tempi, che proclamano messaggi presentandoli come messaggi di salvezza mentre sono parole che conducono alla perdizione: quelli che parlano di libertà e di morale permissiva, quelli che parlano di giustizia, ma predicano la violenza. Tutti costoro si travestono da pecore, cioè manifestano intenzioni eccellenti, ma Gesù ci avverte: "Dai loro frutti li riconoscerete". I predicatori di libertà, che proclamano l'emancipazione da ogni autorità, che pretendono di portare la vera vita e di sopprimere l'odiosa schiavitù, in realtà conducono ad un'altra schiavitù, ad esempio quella del sesso, della droga, perché il loro messaggio non è basato sul vero fondamento, che è il mistero di Cristo. I loro frutti sono frutti di morte, di degradazione. Noi dobbiamo ascoltare la voce di Cristo, che ci vuoi davvero liberi:
"Cristo ci ha liberati scrive san Paolo perché rimanessimo liberi". Non dobbiamo rinnegare l'aspirazione alla libertà che Dio stesso ha posto nel cuore dell'uomo,
ma dobbiamo essere lucidi a proposito del modo di trovare la vera libertà. Non è abbandonandosi a tutti gli istinti che si raggiunge, ma disciplinandoli per favorire l'aspirazione umana più profonda, che è l'amore vero.
I tanti profeti di giustizia proclamano di voler portare la giustizia alla nostra società, ed è evidentemente un'aspirazione ottima, ma può anche nascondere aspirazioni di lupi rapaci, che vengono per divorare e uccidere. Lo vediamo quando, in nome della giustizia, si commettono violenze di ogni genere. Dobbiamo lavorare per la giustizia con perseveranza, ma in modo coerente con l'ideale di giustizia, che si persegue non con la violenza e l'oppressione, ma con la costanza, l'impegno, la pazienza. Tutti i frutti dello Spirito conducono alla vera giustizia di Dio.
E necessario operare un discernimento, cercando sempre la via del Signore, che fa evitare gli eccessi opposti e ci dà il vero equilibrio, l'equilibrio della vita nuova, la vita del Cristo risorto, la vita di fede, in una parola.
Abramo nella prima lettura ci è presentato proprio come esempio di fede: "Abramo credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia". In questa pagina profondissima, che ha suscitato tante riflessioni di san Paolo e che lascia già intravedere tutto il mistero di Cristo e tutta la vita cristiana, vediamo insieme la speranza di Abramo, la sua fede e anche la sua adesione al mistero della carità di Dio. Abramo ascolta il Signore: "Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande". Così Dio ravviva la sua speranza, che deve superare le circostanze immediate che non lasciano spiragli verso un futuro: "Ecco, a me non hai dato una discendenza e un mio domestico sarà mio erede". Ma il Signore promette: "Non costui sarà il tuo erede, ma uno nato da te". Poi fa uscire Abramo, gli fa contemplare il cielo: "Conta le stelle, se riesci a contarle. Tale sarà la tua discendenza". Abramo crede e la sua fede lo rende giusto.
Queste parole di Dio, che immediatamente riguardano Isacco, più profondamente si riferiscono a Cristo: l'erede di Abramo è Cristo, la moltitudine dei figli di Abramo sono coloro che credono in Cristo, che saranno una cosa sola in lui, come dice san Paolo nella lettera ai Galati: "Tale sarà la tua discendenza". Le vere parole profetiche riguardano sempre Cristo.
Abramo ebbe fede nel Signore. Noi dobbiamo la parola di Cristo, che viene dai veri profeti, credere e trovare in essa la pienezza della vita. In questo testo però non è evocata soltanto la parola del Signore, ma anche la sua azione, che conclude l'alleanza. Il sacrificio misterioso, accompagnato da una manifestazione di terrore e di speranza insieme, è il segno profetico del sacrificio di Cristo, che stabilirà la nuova ed eterna alleanza. Così Abramo è già misteriosamente introdotto nel mistero di Cristo e lo sarà più profondamente ancora nel momento del sacrificio di Isacco. Abramo ascolta Dio e per la sua obbediente fede vede il giorno di Cristo e ne gioisce, come dirà Gesù nel Vangelo di Giovanni.
L'esempio di Abramo ci guida nella giusta direzione, quella della fede nella parola del Signore e del frutto dello Spirito, che trasforma la vita in modo conseguente alla fede.
Coordin.
00giovedì 27 giugno 2013 07:16
"Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli". Le esigenze di Gesù sono molto forti, quasi tremende per noi, così deboli e fragili. Tutto il discorso della montagna, nelle sue articolazioni, è un fermo invito al compimento della volontà di Dio con purezza, generosità, perfezione, e noi sappiamo bene quanto poco possiamo contare su noi stessi. Ma mentre ci presenta queste esigenze Gesù mette in noi il desiderio di rispondervi e ce ne dà il mezzo e la forza.
Un mezzo: "Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica è simile a un uomo saggio...". La parola di Gesù ci fa conoscere la volontà del Padre; se l'ascoltiamo non dobbiamo temere di esserne lontani:
siamo anzi immersi in essa e "in quel giorno" Gesù ci riconoscerà tra i benedetti del Padre suo.
La forza: Gesù ci dà un cuore nuovo, ci offre anzi il suo cuore, perché soltanto con il suo cuore obbediente possiamo adempiere la volontà del Padre, anche quando su di noi dovessero abbattersi la pioggia, il vento, i flutti delle prove e delle avversità, perché siamo fondati sulla roccia. Con la presenza di Dio in noi abbiamo la sua forza, la sua gioia, siamo già in paradiso.
Coordin.
00venerdì 28 giugno 2013 07:17
Monaci Benedettini Silvestrini
Lo toccò dicendo...

Tutte le malattie, sia fisiche che spirituali, umiliano l'uomo, ne limitano le potenzialità e lo pongono in una situazione di bisogno urgente di un adeguato ed efficace soccorso. Alcune di esse creano ulteriore imbarazzo perché deturpano evidentemente l'immagine dell'uomo, ne sfigurano le sembianze, rendendolo sgradevole alla vista degli altri. Diventa più drammatica la situazione quando alla malattia viene annessa una idea di impurità e vi scorge il pericolo del contagio. Per questo i lebbrosi venivano emarginati dal società e rilegati in luoghi solitari ed inospitali, spesso in caverne. Oggi vediamo uno di loro uscire audacemente allo scoperto perché egli vuole incontrare Gesù. Ha una fervente preghiera da rivolgergli: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi». Se vuoi, tu puoi: ecco come egli fa emergere la sua splendida fede adorna di grande umiltà. Si affida a Cristo e si rimette alla sua volontà. Lo steso Gesù nella sua agonia dirà: «Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà». Anche Gesù stava dicendo a Dio «se vuoi!». Anche quando egli è diventato maestro di preghiera ci ha insegnato a dire: «Sia fatta la tua volontà». Sappiamo però, forse anche per personale esperienza, che fede e umiltà smuovono sempre il cuore di Cristo verso chi così impetra il suo intervento. Egli infatti «Lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii purificato. E subito la lebbra scomparve». È bello e consolante per noi vedere Gesù che tocca, senza schifarsi, le nostre più umilianti miserie: egli vuole stabilire una comunione piena con la nostra umanità, sembra voglia prendere contatto diretto con le nostre piaghe nella consapevolezza che dovrà poi assumerle tutte su di se per sanarci definitivamente. Prima di dirci «questo è il mio corpo, questo è il mio sangue» vuole scrutare e stabilire già una comunione con il nostro corpo, malato e sofferente, come sarà il suo nella crudelissima passione. Il toccare e il parlare formeranno i tratti essenziali delle nostre eucaristie; siamo chiamati a ripetere i suoi gesti e le sue parole con lo stesso intendo di guarire e di salvare. Il Signore ribadisce che non ci è lecito escludere la mediazione umana e sacerdotale per conseguire le nostre interiori purificazioni: il lebbroso è già guarito, ma Gesù gli ordina: «Và a mostrarti al sacerdote». Un monito preciso ed inequivocabile per tutti coloro che pretendono e scelgono di andare direttamente a Dio scavalcando i suoi ministri.
Coordin.
00sabato 29 giugno 2013 07:34
Movimento Apostolico - rito romano
Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa

Non si segue una persona. Si segue la verità o la falsità di una persona, le virtù o i vizi, la bontà o la malvagità, l\'empietà o la vera adorazione di Dio, l\'amore o l\'odio, il perdono o la vendetta, la povertà o la ricchezza, la scienza o l\'ignoranza, la luce o le tenebre che scaturiscono da essa. Conoscere chi si segue è un diritto inalienabile. Farsi conoscere da chi ci segue è un dovere che obbliga in ogni momento.

Quando una persona cambia statuto del suo essere, è giusto che lo manifesti, perché ognuno possa cambiare discepolato e sequela. Se invece si segue la persona, questa può sempre cambiare modalità e forme, sostanza e accidenti della sua vita, la sequela non cambia. Poiché invece si segue l\'essenza della persona, è giusto che questa essenza venga conosciuta in ogni suo più piccolo cambiamento o modifica.

I discepoli seguono Cristo Gesù. Gesù è obbligato a dire chi lui è. Lo deve manifestare in pienezza di verità. Nulla deve nascondere del suo essere più profondo, della sua vocazione, del suo ministero, della volontà che il Padre ha stabilito per Lui fin dall\'eternità. In fondo cosa è la vita pubblica di Gesù Signore se non una graduale manifestazione del suo essere più profondo, della sua vocazione più vera, della volontà di Dio scritta e profetizzata per Lui e che Lui dovrà compiere in ogni sua parte?

Da oggi Gesù inizia a rivelare ai suoi apostoli la sua verità secondo la volontà di Dio, verità di natura e di missione, verità per oggi e per il domani. La verità di Gesù non riguarda solo Lui, ma anche i suoi apostoli, primo fra tutti Pietro, che è chiamato ad essere il fondamento visibile sul quale Gesù vuole edificare la sua Chiesa. La verità di Gesù è coinvolgente. Essa non è solo per Lui, è anche per i discepoli e attraverso i discepoli per ogni altro uomo che si convertirà a Lui per la loro parola.

Per volontà del Padre, Pietro entra a far parte della verità di Cristo Gesù, diviene verità della verità del suo Maestro e Signore. Da questo momento Pietro non si appartiene più. La sua vita viene assunta dal Padre dei cieli ed è sua per sempre. Da questo istante Pietro, come Cristo Gesù, dovrà lasciarsi muovere e guidare solo dallo Spirito Santo. Non può camminare dietro i suoi pensieri e neanche dietro la sua coscienza anche se letta in una prolungata preghiera. La coscienza non appartiene più a Pietro. Essa è stata consegnata al Padre celeste ed è il Padre celeste che attraverso il suo Santo Spirito, dovrà governarla, orientarla, muoverla.

Questa verità è difficile da comprendere. Da questo istante è chiesto a Pietro di imitare il suo Maestro e Signore. Gesù al fiume Giordano si è spogliato della sua volontà, l\'ha consegnata al Padre, il Padre è come se l\'avesse sostituita con lo Spirito Santo. Per cui Pietro è in tutto come il suo Maestro: non può servirsi più né della sua volontà né della sua coscienza. Volontà e coscienza sono in Lui lo Spirito Santo che dovrà sempre condurlo sulla più pura volontà di Dio. Dalla sua vocazione Pietro si è espropriato di se stesso, non può avere più gusti, desideri, volontà, coscienza, debolezze, incertezze. Lui è tutto dello Spirito Santo e dallo Spirito Santo dovrà lasciarsi sempre muovere. È una vita non più sua, perché tutta consegnata a Dio. Ciò che si dona a Dio, lo si dona una volta per sempre. Non potrà mai più essere sottratto al Signore. Se lo si sottrae, si infrange un patto di natura.
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