MEDITIAMO LE SCRITTURE (Vol 4) Anno B

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Coordin.
00domenica 27 novembre 2011 08:13
don Roberto Rossi
Attendiamo vigilanti la venuta del Salvatore

L' Avvento apre l'anno liturgico: non solo lo avvia, ma lo anima. Il suo significato profondo è quello di notificare un evento: «Ecco, viene il Signore»; mostra il Dio che si fa incontro, parla, si promette, discende. Nell'anno liturgico Cristo, Figlio di Dio, sta all'inizio (il Natale), è al centro della storia (pasqua), ci sarà alla fine (Cristo re dell'universo). La traduzione letterale del termine "avvento" significa "arrivo, futuro, avvenire". In questo contesto si coglie subito una compenetrazione di presente e di futuro: l'esistenza è già data ed è sempre da ricevere. Si celebra la memoria dell'incarnazione del Verbo di Dio, che è già avvenuta nel passato, è presente nell'oggi, permane nel futuro e si compirà ritornando sulla terra. Dio assicura la sua presenza, viene a noi e arriva per noi, sempre più si "abbassa" in modo da raggiungerci. Si rivela attraverso il creato, poi diventa compagno di viaggio per Israele, parla attraverso i profeti, infine mostra al mondo il suo volto umano in Gesù fattosi carne. Il "venire di Dio" si realizza, in modo speciale, nell'assemblea riunita per la preghiera comunitaria: «Dove due o più persone si riuniscono nel mio nome, io sono presente in mezzo a loro», in ogni sacramento celebrato dalla Chiesa e nell'uomo che soffre e che ama.
Abitualmente, quando si parla di Avvento, si pensa al periodo di preparazione al Natale. La liturgia della Parola della prima domenica richiama alla vigilanza perché Cristo può ritornare sulla terra in qualsiasi momento. In genere, si parla poco del ritorno glorioso del Signore pur essendo una costante della vita cristiana: «State attenti, vegliate, perché non sapete quando è il momento» (Marco 13,33). il pensiero e la consapevolezza del ritorno di Cristo evitano il rischio di chiudersi nel presente e in ogni tipo di egoismo. La vita odierna, con tutte le sue gioie e i suoi dolori, è "penultima" e non costituisce la fase definitiva. Ogni figlio di Dio è un pellegrino e, camminando, vive questa consapevolezza: Cristo è già con noi, ogni giorno, fino alla fine dei tempi; Lui è già presente e attivo nella storia dell'umanità. Noi non aspettiamo la fine del mondo, ma il ritorno, la venuta di una precisa Persona: il Salvatore.
Il tempo di Avvento ha questa doppia caratteristica: è tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all'attesa della venuta gloriosa del Cristo. L'Avvento è un vero dono di Dio, tempo forte dello spirito, tempo di grazia e di autentica conversione. L'attesa e la speranza sono espresse dall'ascolto più assiduo della Parola di Dio. In questo tempo gesti, preghiere, canti, colore delle vesti liturgiche, tutto concorre a creare un clima di gioiosa attesa.
Possiamo sottolineare la grande preghiera che il profeta rivolge al Signore: "Oh, se tu squarciassi i cieli e scendessi!" E' una delle preghiere più belle della Bibbia: c'è il riconoscimento onesto dell'insufficienza dell'uomo, ma c'è anche la fiducia piena in Dio, che resta fedele all'Amore anche dopo il nostro peccato. Addirittura poco prima il profeta aveva scritto con un ardire straor­dinario: "O Dio, non essere insensibile, perché tu sei nostro padre, poiché Abramo non ci riconosce e Israele non si ricorda di noi. Tu, Signore, tu sei nostro padre; da sempre ti chiami nostro redentore" (ls. 63,15-16). Sono parole che commuovono per l'intensità della fede nella bontà di Dio; sono parole nelle quali dobbiamo tutti ritrovarci per dare voce al gemito della nostra povertà e al grido della nostra speranza.
Oggi noi viviamo la stessa situazione: stanno cadendo tante illu­sioni, sorgono tanti problemi, e l'uomo sincero lentamente sta ritornando a bussare alla porta di Dio.
Però noi abbiamo una novità rispetto ai tempi del profeta: noi sappiamo che Dio ha già risposto alla preghiera del profeta; noi sap­piamo che Dio ha già mandato il suo Figlio e quindi, per quanto mal­vagi siano i tempi, la vita umana ora si muove sempre con Cristo. Dio si è coinvolto al massimo con la famiglia umana.
È proprio questo che fa dire a San Paolo: "Ringrazio continuamente il mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in Lui siete stati arricchiti di tutti i doni" (1 Cor. 1,3).
Non vogliamo dimenticarlo mai: con la venuta di Cristo, Dio ha tolto tutte le distanze e ha iniziato a creare il futuro promesso.

Coordin.
00martedì 29 novembre 2011 08:38
Meditazione
Un cuore semplice per vedere

Lo spirito di Dio che, secondo il profeta Isaia, si posa sul Messia, si rivela nel Vangelo come lo Spirito Santo che fa vibrare il Figlio nell'invocazione del Padre a favore dei poveri e dei piccoli. Il dono di Dio si amplifica e passa dal Messia ai suoi discepoli. In lui troviamo conforto per questa giornata e per tutta la nostra vita.

I sette doni dello Spirito Santo vengono enumerati secondo la scansione indicata dal profeta Isaia. Il numero sette indica pienezza e abbondanza, fino a traboccare. Il clima di ingiustizia che pervadeva la società antica e che trova anche oggi tante manifestazioni, sottili o palesi, si apre alla sorpresa del Dio che salva. Essere poveri non vorrà più dire essere oppressi; l'esercizio della giustizia non sarà più casuale, poiché sta per fiorire un mondo di pace, quasi una ripresa del paradiso terrestre nel quale anche gli animali feroci saranno in pace, tra loro e con gli uomini. Dove e come e quando possiamo fare esperienza di questa rappacificazione? Il mondo è attraversato da ingiustizie e usurpazioni, è sconvolto da guerre e soprusi. Dov'è la pace dei popoli, la pace del cuore? Esiste un luogo dove questo è possibile, e Gesù lo indica: "Venite a me voi tutti, che siete affaticati e oppressi..." Il luogo è Gesù stesso. Come scriveva Papa Ratzinger nel suo libro su Gesù, Gesù non è venuto tanto a portarci i suoi doni, ma il suo Regno, che si identifica con Lui stesso. Gesù è venuto a portarci Dio. Dove trovare quindi la pace? Dove sperimentare il Regno presente? Ecco la risposta: nell'affidamento al Signore Gesù, nella familiarità con Lui, nel riconoscimento della sua presenza, resa viva e amica nella Chiesa. Non possiamo vivere come se il mondo e la nostra vita fossero vuoti della sua presenza; come se non fosse accaduto nulla alla nostra vita. Non vale la pena perdere tempo a invidiare chi l'ha riconosciuto in Palestina prima di noi. "Molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro..." Viviamo consapevoli che 'già viene il suo bisbiglio' (Clemente Rebora). Anzi, 'Egli è qui, come il primo giorno' (Charles Péguy).

Ti rendo lode o Padre, per avermi rivelato e donato Gesù. Donami un cuore semplice di fanciullo per riconoscere e accogliere il dono della presenza del tuo Figlio.

Cerco tante cose e tanti luoghi per trovare la pace. C'è un luogo e una persona: Gesù. In un momento di adorazione silenziosa in chiesa o di preghiera in casa voglio affidarmi a lui e gustare la sua presenza.

Commento a cura di don Angelo Busetto
Coordin.
00mercoledì 30 novembre 2011 09:07
Monaci Benedettini Silvestrini
Maestro, dove abiti?

Oggi la liturgia fissa il suo sguardo su l'Apostolo Sant'Andrea, fratello di Pietro, chiamato a condividere i momenti più intimi con Gesù, come la trasfigurazione e l'agonia nel Getsemani. Annunciatore del vangelo in Asia Minore e in Grecia. Consuma il suo martirio a Patrasso, in Grecia. Le sue reliquie, venerate in San Pietro a Roma, da Paolo VI sono state restituite alla Chiesa Ortodossa greca, e esposte alla venerazione nel luogo del suo martirio. Nella liturgia della parola San Paolo che scrive ai Romani, affermando la necessità del mandato per la predicazione la quale susciterà la fede in seguito all'ascolto a cui deve seguire la testimonianza. Matteo invece ci ricorda con quale prontezza i fratelli Pietro e Andrea, seguiti poi da Giacomo e Giovanni, dietro la chiamata di Gesù, lasciano tutto e lo seguono nei suoi itinerari da villaggio a villaggio per annunziare la buona novella. In Sant'Andrea si ammirano due atteggiamenti: La ricerca e la testimonianza. Andrea è discepolo di Giovanni il Battista. Prima della sua morte, il suo maestro lo invita a seguire Gesù. Egli però vuole sapere chi è questo Gesù di Nazareth. Ascoltiamo Giovanni: "E i due discepoli seguono Gesù. Gesù allora, vedendo che lo seguivano, disse: Che cercate? Gli risposero: Rabbì (che significa maestro) dove abiti? Disse loro: Venite e vedrete. Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono con lui. Erano circa le quattro del pomeriggio." I due discepoli del Battista sono Andrea e Giovanni Evangelista. Dopo questa esperienza di vita insieme a Gesù Andrea ha capito: Ora sa chi è Gesù e diventa suo missionario. Egli incontra per primo suo fratello Simone e gli disse: Abbiamo trovato il Messia (che significa Cristo) e lo condusse da Gesù. Dopo questo incontro, quando si sente chiamato da Gesù insieme con il fratello, non pone indugi. Lascia tutto e segue il maestro. La sua testimonianza è piena di fede. Muore sulla croce a X detta appunto "croce di sant'Andrea". Penso che sarebbe nostro dovere seguire la ricerca di Andrea nella nostra vita: La ricerca convinta di Dio e del suo piano di salvezza preparato attraverso il Cristo. Dovremmo apprendere da Sant'Andrea a rispondere prontamente alle sollecitazioni della grazia e a non mantenere solo per noi quanto abbiamo scoperto nell'ambito della fede ma annunciarlo sui tetti e testimoniandola con la vita e la parola.

Coordin.
00giovedì 1 dicembre 2011 08:51
padre Lino Pedron
Commento su Matteo 7, 21.24-27

Gesù ci insegna che la preghiera deve essere in perfetta sintonia con la pratica della vita cristiana. Se non si compie la volontà del Padre, la preghiera non serve a nulla.

Gesù rimprovera l'autosufficienza di chi si ritiene a posto e dice: "Signore, Signore!" quando, in realtà, Gesù non è affatto il Signore della sua vita. La fiducia nel Signore non deve fare da paravento alla malvagità né la misericordia da pretesto alla dissolutezza ( cfr Gd 4; Rm 2,4).

La volontà del Padre è il suo disegno di salvezza. La preghiera richiesta da Gesù deve portare il cristiano a impegnarsi con entusiasmo e fino alla morte nell'opera della salvezza. Dio non sa cosa farsene delle belle parole di preghiera se non sono seguite dalle opere dell'amore.

Nella parabola dell'uomo saggio e dell'uomo stolto viene riassunto il significato di tutto il discorso della montagna. Non basta ascoltare le parole di Gesù, bisogna anche metterle in pratica. L'ascolto è il presupposto per il fare. Uno infatti agisce secondo le parole che ha dentro. La differenza tra sapienza e stoltezza sta nel fare le parole del Signore o le proprie, nello scegliere come fondamento del proprio agire la roccia che è Dio o la sabbia del proprio io.

La roccia che dà stabilità al cristiano è Cristo. La parabola ci indica le due condizioni necessarie perché la vita cristiana risulti solida: deve fondarsi si Cristo e passare dalle parole ai fatti. Non c'è vera adesione a Cristo senza l'impegno morale. Il fondamento sicuro della vita cristiana è la pratica degli insegnamenti di Gesù. L'ascolto è necessario, ma quel che più conta è l'esecuzione di ciò che è stato ascoltato.

Alla dogana della morte non passa nulla di quello che abbiamo, ma solo quello che abbiamo dato e quella che siamo. Chi non costruisce sull'amore, viene sepolto dalle macerie di ciò che ha costruito sul proprio egoismo.

Coordin.
00venerdì 2 dicembre 2011 09:44
a cura dei Carmelitani
Commento Matteo 9,27-31

1) Preghiera
Ridesta la tua potenza e vieni, Signore: nei pericoli che ci minacciano a causa dei nostri peccati, la tua protezione ci liberi, il tuo soccorso ci salvi. Tu sei Dio e vivi e regni con Dio Padre, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

2) Lettura del Vangelo
Dal Vangelo secondo Matteo 9,27-31
In quel tempo, mentre Gesù si allontanava di là, due ciechi lo seguivano urlando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi». Entrato in casa, i ciechi gli si accostarono, e Gesù disse loro: «Credete voi che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, o Signore!». Allora toccò loro gli occhi e disse: «Sia fatto a voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi. Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». Ma essi, appena usciti, ne sparsero la fama in tutta quella regione

3) Riflessione
Di nuovo, il vangelo di oggi mette dinanzi a noi l'incontro di Gesù con la miseria umana. Gesù non si tira indietro, non si nasconde. Accoglie le persone e nella sua accoglienza piena di tenerezza rivela l'amore di Dio.
? Due ciechi seguono Gesù e gridano: "Figlio di Davide, abbi pietà di noi!". A Gesù non piaceva molto il titolo di Figlio di Davide. Critica l'insegnamento degli scribi che dicevano che il Messia doveva essere figlio di Davide: "Davide stesso lo chiama Signore: come dunque può essere suo figlio?" (Mc 12,37).
? Giungendo a casa, Gesù chiede ai ciechi: "Credete voi che io possa fare questo?" E loro rispondono: "Sì, Signore!" Una cosa è avere la dottrina giusta in testa, ben altro è avere la fede corretta nel cuore. La dottrina dei due ciechi non era molto giusta, poiché chiamavano Gesù Figlio di Davide. Ma a Gesù non importa essere chiamato così, a lui importa che abbiano una fede corretta.
? Lui tocca gli occhi e dice: "Sia fatto a voi secondo la vostra fede!" Immediatamente gli occhi si aprirono. Malgrado il fatto di non essere in possesso di una dottrina corretta, i due ciechi hanno una fede corretta. Oggi molte persone sono più preoccupate di una dottrina corretta che di una fede corretta.
? E' bene non dimenticare un piccolo dettaglio di ospitalità. Gesù giunge a casa ed i due ciechi entrano anche loro nella sua casa, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Loro si sentono a loro agio nella casa di Gesù. Ed oggi? Una religiosa diceva: "Oggi la situazione del mondo è tale che mi sento sfiduciata persino verso i poveri!" E' molto cambiata la situazione, da prima ad ora!
? Gesù chiede di non divulgare il miracolo. Ma la proibizione non fu molto rispettata. Tutti e due uscirono e sparsero la Buona Notizia. Annunciare il Vangelo, cioè, la Buona Notizia, vuol dire condividere con gli altri il bene che Dio ci fa nella vita.

4) Per un confronto personale
? Ho nella mia vita qualche Buona Notizia di Dio da condividere con gli altri?
? Su quale punto insisto di più: in una dottrina corretta o in una fede corretta?

5) Preghiera finale
Canterò senza fine le grazie del Signore,
con la mia bocca annunzierò la tua fedeltà nei secoli. (Sal 88)

Coordin.
00sabato 3 dicembre 2011 10:13
padre Lino Pedron
Commento su Matteo 9, 35-38; 10, 1.6-8

Il numero dei dodici ricorda i dodici patriarchi delle tribù d'Israele e quindi ci presenta i dodici discepoli come i capostipiti spirituali del popolo di Dio che Gesù sta per ricostituire. La principale fisionomia dei dodici è quella di essere i continuatori dell'opera di Gesù, quasi il prolungamento della sua persona.

Il potere conferito ai dodici discepoli è quello di cacciare i demoni e guarire tutte le malattie, quindi di eliminare ogni sofferenza umana. Dobbiamo però ricordare con forza che il comando di predicare il vangelo del regno di Dio precede nell'ordine tutti gli altri e li supera per importanza.

Prima Gesù ha detto che le folle "erano stanche e sfinite come pecore senza pastore" (9,36). Ora dice che sono "pecore perdute" cioè disperse, fuori dall'ovile. E' volontà del Padre che il vangelo del regno dei cieli sia annunciato prima al popolo d'Israele. La delimitazione dell'ambito in cui vengono mandati i dodici è quella stessa del Cristo, inviato esclusivamente a Israele (Mt 15,21-28). Solo con la sua risurrezione Gesù riceve dal Padre il potere illimitato in cielo e in terra e quindi dà l'avvio definitivo alla missione universale dei suoi discepoli (Mt 28, 18-20).

La predicazione degli apostoli riprende e continua l'annuncio del regno dei cieli fatto da Gesù (Mt 4,17) e da Giovanni Battista (Mt 3,2). Questo annuncio viene fatto con la parola (v.7), con le azioni di bene (v. 8a) e con la testimonianza della vita (vv.8a -10).

La testimonianza della vita consiste nella gratuità. Gli inviati di Dio non lavorano per il proprio onore, né per la propria grandezza, né per il proprio arricchimento. Il non ricercare il proprio interesse è certamente la prova più grande della bontà della causa che essi promuovono (1Cor 9,18; At 20,33; 1Tm 3,8; ecc.).

Coordin.
00domenica 4 dicembre 2011 08:51
don Maurizio Prandi
Anche Dio ha bisogno degli uomini

La seconda lettura che oggi la chiesa ci consegna ben ci colloca nel tempo della attesa: mentre aspettate e affrettate la venuta del Signore Dio? noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova? una prima idea allora che mi piace condividere con voi e che lega il vangelo di domenica scorsa con la liturgia della Parola di oggi è proprio quella dell?attesa? frettolosa! Attendiamo la venuta del Signore, ma non restiamo con le mani in mano! Non restiamo oziosi, ricordate? Il padrone di casa esce, però ad ognuno dei suoi servi affida un compito, una responsabilità.
Facciamo oggi un secondo passo importante per quello che riguarda la nostra preparazione al Natale, importante perché ci vengono consegnate parole che ci aiutano in quello che domenica scorsa definivo come il cammino alla ricerca del volto di Dio.

Guardate che bella la prima parola che ci viene consegnata oggi, è la parola della consolazione: Consolate, consolate il mio popolo. Ci viene affidata la parola della consolazione, ovvero la parola del conforto, del sollievo. Un compito, bello, ci viene affidato. Fare spazio al Signore che viene è fare spazio al suo ?essere consolazione?, al suo essere vicino, compagno in ogni nostra solitudine ed è anche imparare e desiderare di essere parola e presenza consolante a nostra volta per i fratelli e le sorelle che Dio ci dona di incontrare.

E subito dopo un?indicazione per poter raggiungere l?altro: Parlate al cuore di Gerusalemme: mi pare questo un invito bellissimo! Parlare al cuore perché soltanto il cuore può capire, parlare al cuore perché soltanto il cuore può discernere, perché il cuore non fraintende, perché il cuore ascolta e accende la vita, soltanto parlando al cuore l?altro può comprendere che è giunto il momento di ricominciare, di darsi come uno scossone per scrollarsi di dosso un certo intorpidimento. Gli esiliati in Babilonia forse vivevano proprio un momento simile in quanto la loro vita si stava come appiattendo, cercavano di farsi la loro vita; per alcuni di loro era stato anche facile raggiungere posti importanti nella corte e nell?amministrazione babilonese. Ecco che forte, per coloro che avevano toccato con mano un certo agio e un certo lusso, nasceva la tentazione di stabilirsi per sempre in quelle terre, con la conseguenza di un allontanamento da Dio, dalla sua legge, dalla terra che Dio aveva promesso al suo popolo. Ecco che le parole di oggi allora sono un invito a destarsi, a scuotersi, a ricominciare dal deserto per poter dire: ecco il luogo nel quale posso stare di fronte al mio Dio, ecco il luogo nel quale posso preparare la strada per accogliere Dio che mi viene incontro.

Infine l?immagine che la prima lettura ci dona: il pastore. Ecco il Signore Dio che viene con potenza, con il suo braccio esercita il dominio e qui accade quello che per tanti può essere quella sorpresa che accennavo la settimana scorsa: la potenza di Dio è assumere il volto di un pastore che fa pascolare il gregge e l?esercitare il dominio è radunare con il braccio per portare sul petto? ecco che ogni volta che faccio ?sogni di gloria? per la mia vita, sono chiamato a fare mia questa parola del profeta Isaia.

Concludo con un accenno al vangelo: abbiamo ascoltato le prime parole scritte nel vangelo di Marco e le prime parole ci raccontano di un Dio che ha bisogno degli uomini: dinanzi a te mando il mio messaggero, egli preparerà la tua via. Che bello? Dio non ci taglia fuori ma ci coinvolge nella sua avventura, ci invita ad essere corresponsabili e ci affida un compito importantissimo stando al vangelo: essere voci che gridano nel deserto, ovvero nei luoghi nei quali meno evidenti sono i segni della misericordia e della presenza di Dio. Siamo invitati a raggiungere quei luoghi, abitarli, riconoscervi una presenza e annunciarla, al di là di ogni apparente assenza. Soltanto lì, in quel deserto è possibile aprire una strada, soltanto lì, in quel dolore è possibile dire Dio ti guarda, soltanto lì, in quella solitudine è possibile dire Dio cammina con te portandoti in braccio, soltanto lì, in quella lontananza, in quel peccato, è possibile sentirsi comunque accolti, perdonati, amati.

Coordin.
00lunedì 5 dicembre 2011 10:09
Monaci Benedettini Silvestrini
La vera e completa guarigione

"La potenza del Signore gli faceva operare guarigioni". Gesù siede come "maestro"; egli insegna con le parole e con le opere; queste mirano a confermare gli insegnamenti e le azioni diventano prodigi perché debbono smuovere alla fede autentica nel Cristo, l'inviato del Padre per la salvezza del mondo. Un uomo da salvare è lì fuori e giace paralitico sul suo lettuccio; non è in grado di muoversi e i portatori vorrebbero avvicinarlo a Gesù, Non ci riescono a causa della folla. Lo calano dal tetto e Gesù, "veduta la loro fede, disse: "Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi". È il premio della fede, è il premio della fraternità e dell'amore, ma è solo la prima parte del miracolo, quello che suscita lo scandalo e l'indignazione degli scribi e dei farisei, ancora chiusi nei loro assurdi e segreti ragionamenti. Gesù, scruta nei loro cuori e dice: «Che cosa andate ragionando nei vostri cuori? Che cosa è più facile, dire: Ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire: Alzati e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati: io ti dico - esclamò rivolto al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e và a casa tua». Ora l'azione divina e completa: "l'uomo" è stato guarito nell'anima e nel corpo. Gesù, ancora una volta ha rivelato l'amore misericordioso del Padre e ha confermato la natura della sua perenne missione nel mondo. Oggi siamo particolarmente sollecitati a ricordare tutte le opere di misericordia che possiamo compiere nei confronti dei nostri fratelli: Gesù premia la fede dei "portatori" di quell'uomo, riserva grazie speciali ad ognuno che è pronto a farsi carico delle altrui debolezze. Non possiamo dimenticare che lo stesso Gesù ci dirà nel giudizio finale "In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me".

Coordin.
00martedì 6 dicembre 2011 08:38
a cura dei Carmelitani
Commento Matteo 18,12-14

1) Preghiera
O Dio, che hai fatto giungere ai confini della terra il lieto annunzio del Salvatore, fa' che tutti gli uomini accolgano con sincera esultanza la gloria del suo Natale. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

2) Lettura del Vangelo
Dal Vangelo secondo Matteo 18,12-14
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta?
Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite.
Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli".

3) Riflessione
? Una parabola non è un insegnamento da ricevere in modo passivo o da rinchiudere nella memoria, bensì è un invito a partecipare alla scoperta della verità. Gesù comincia chiedendo: "Che ve ne pare?" Una parabola è una domanda con una risposta non definita. La risposta dipende dalla reazione e partecipazione degli ascoltatori. Cerchiamo, quindi, la risposta a questa parabola della pecora smarrita.
? Gesù racconta una storia molto breve e molto semplice: un pastore ha 100 pecore, ne perde una, lascia le 99 sulla montagna e va alla ricerca della pecorella smarrita. E Gesù chiede: "Che ve ne pare?" Ossia: "Voi fareste la stessa cosa?" Quale sarà stata la risposta dei pastori e delle altre persone che ascoltavano Gesù raccontare questa storia? Farebbero la stessa cosa? Qual è la mia risposta alla domanda di Gesù? Pensiamo bene prima di rispondere.
? Se tu avessi 100 pecore e ne perdessi una, cosa faresti? Non bisogna dimenticare che le montagne sono luoghi di difficile accesso, con profondi precipizi, abitati da animali pericolosi e dove i ladroni si nascondono. E non puoi dimenticare che hai perso una sola pecora, quindi ne hai ancora 99! Hai perso poco! Abbandoneresti le altre 99 su quelle montagne? Forse solo una persona con poco buon senso farebbe ciò che fece il pastore della parabola di Gesù? Pensatelo bene!
? I pastori che ascoltarono la storia di Gesù, avranno pensato e commentato: "Solo un pastore senza giudizio agisce in questo modo!" Sicuramente avranno chiesto a Gesù: "Gesù, scusa, ma chi è quel pastore di cui si sta parlando? Fare ciò che lui ha fatto, è pura follia!"
? Gesù risponde: "Questo pastore è Dio, nostro Padre, e la pecora smarrita sei tu!" Detto con altre parole, chi compie questa azione è Dio mosso dal suo grande amore per i piccoli, i poveri, gli esclusi! Solamente un amore molto grande è capace di compiere una follia così. L'amore con cui Dio ci ama supera la prudenza ed il buon senso umano. L'amore di Dio commette follie. Grazie a Dio! Se non fosse così, saremmo perduti!

4) Per un confronto personale
? Mettiti nella pelle della pecorella smarrita ed anima la tua fede e la tua speranza. Tu sei questa pecorella!
? Mettiti nei panni del pastore e verifica se il tuo amore per i piccoli è vero.

5) Preghiera finale
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore da tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome,
annunziate di giorno in giorno la sua salvezza. (Sal 95)

Coordin.
00mercoledì 7 dicembre 2011 08:38
padre Lino Pedron
Commento su Matteo 11, 28-30

Gli affaticati e gli oppressi sono coloro che penavano sotto le pesanti prescrizioni della legge e che si sentivano smarriti davanti alla dottrina difficile e complicata dei rabbini. Gesù invita tutti costoro a cercare nel suo vangelo la vera volontà di Dio: una volontà esigente, ma lineare e semplice, alla portata di tutti. Gesù si definisce mite e umile di cuore. Mite significa l'atteggiamento di Gesù nei confronti degli uomini, un atteggiamento lineare, coraggioso ma non violento; misericordioso, tollerante, pronto al perdono, ma anche severo ed esigente. Umile indica l'atteggiamento ubbidiente e docile alla volontà del Padre: un atteggiamento interiore, libero e voluto.

Il "riposo" che Gesù offre, corrisponde alla promessa biblica di pace e felicità. Al seguito di Gesù, la volontà di Dio non è più un giogo oppressivo e duro, ma genera già ora quella pace gioiosa promessa agli umili e ai miti, garanzia della salvezza definitiva. Gli insegnamenti degli scribi e dei farisei, invece, sono "pesanti fardelli che impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito" (Mt 23,4) e producono allontanamento da Dio e disperazione di potersi salvare.

Questo brano contiene un forte richiamo alla conversione rivolto a tutti, ma specialmente ai teologi. La rivelazione della sapienza di Dio incontra l'uomo non nella sua sapienza e assennatezza, ma dove smette di fare affidamento sulla propria sapienza. Dio dona la sua rivelazione a modo suo. Il cuore umano trova riposo quando accoglie come dono la bontà e l'amore di Dio e quando percorre deciso il cammino nel quale Cristo l'ha preceduto: il cammino della croce.

Coordin.
00giovedì 8 dicembre 2011 16:17
Gaetano Salvati
Il trionfo della Grazia

"Rallegrati piena di grazia: il Signore è con te" (Lc 1,28), disse l'angelo rivolgendosi a Maria, l'Immacolata. La dichiarazione riportata da san Luca ci chiarisce il significato della solennità di oggi ed è la radice del dogma mariano (Ineffabilis Deus).
La Madre del Salvatore è "la piena di grazia" (v.28), nel senso che Dio l'ha preservata dal peccato, l'ha purificata e santificata in modo radicale. In lei si compie il nuovo inizio del mondo, la nuova creazione. In questo contesto, l'Immacolata Concezione di Maria viene a realizzarsi solo attraverso l'iniziativa (mediazione) di Gesù Cristo, per i cui meriti lei è mantenuta immune dal peccato originale e può aderire, liberamente, al disegno salvifico del Padre. Infatti, alle parole dell'angelo sulla sua futura gravidanza, la Vergine non ha esitato a rispondere: "avvenga per me secondo la tua parola" (v.38). Testimonianza che rivela il trionfo dell'amore della Trinità nella persona della Vergine Maria; ancora, il dono di grazia (gratuito) che anticipa ogni atto meritorio della Madre del Signore. Dunque, la risposta sincera e libera al disegno divino su di Lei, fa della Vergine di Nazaret, la donna amabile, la creatura più attraente, la persona concepita senza il peccato di Adamo ed Eva (Gen 3,11-13) in cui il Padre fisserà la sua dimora. L'Immacolata Concezione, allora, è la considerazione certa del primato dell'iniziativa divina, e il contenuto più radicale e perfetto dell'opera di redenzione attuata da Cristo.
Ma, che cosa insegna il dogma dell'Immacolata Concezione all'uomo contemporaneo?
Contro l'idea dell'uomo regolatore di se stesso e artefice del suo destino, risuona, innocente e gloriosa, l'assoluto e libero primato dell'iniziativa divina nella storia della salvezza: ciò si realizza in maniera singolare nella persona della Vergine Maria.
Il dogma dell'Immacolata Concezione di Maria Vergine indica all'uomo che la vera libertà non è accantonare Dio per compiere il male. Le azioni malvagie, infatti, turbano il normale procedere nella storia, e non innalzano l'uomo verso la gloria eterna. L'Immacolata insegna che l'uomo non è un burattino nelle mani di Dio, non una monotona persona che dice sempre di si: con Dio non si perde mai la libertà. L'uomo che si affida a Dio rinviene la vera libertà, la meravigliosa libertà di agire nel bene, cioè in Dio; e, in Lui, la creatura comprende la nuova esistenza come donazione suprema di se al Creatore e all'umanità. Questa è la ragione per cui la Vergine è la Madre di ogni consolazione e di ogni difesa: chiunque, in qualsiasi urgenza, può rivolgersi a Lei, perché è la Signora della comprensione. Lei è la vera immagine del Figlio, Pastore del gregge: è il segno della speranza che incoraggia l'uomo a proseguire il cammino cristiano.
Affidiamo le nostre vite al suo cuore Immacolato. Ascoltiamo il suo dolce invito a comprometterci con Dio: vedremo che la nostra esistenza non sarà mai noiosa, perché Dio è l'origine della nostra realizzazione nel tempo.
Fratelli, poniamo come luce del nostro itinerario terreno Maria Immacolata: lei ci aiuterà a testimoniare nel mondo il Figlio e garantirà la finale destinazione: la partecipazione alla vita divina. Amen.

Coordin.
00venerdì 9 dicembre 2011 08:26
a cura dei Carmelitani
Commento Matteo 11,16-19

1) Preghiera
Rafforza, o Padre, la nostra vigilanza nell'attesa del tuo Figlio, perché, illuminati dalla sua parola di salvezza, andiamo incontro a lui con le lampade accese. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

2) Lettura del Vangelo
Dal Vangelo secondo Matteo 11,16-19
In quel tempo, Gesù disse alla folla: "A chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono:
Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,
abbiamo cantato un lamento e non avete pianto.
È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio.
È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori.
Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere".

3) Riflessione
? Ai leaders, ai saggi, non sempre piace quando qualcuno li critica o li interpella. Ciò succedeva nel tempo di Gesù e succede oggi, sia nella società che nella chiesa. Giovanni Battista, vide, criticò, e non fu accettato. Dicevano: "E' posseduto dal demonio!" Gesù vide, criticò e non fu accettato. Dicevano: "E' fuori di sè!", "Pazzo!" (Mc 3,21), "E' posseduto dal demonio!" (Mc 3,22), "É un samaritano!" (Gv 8,48), "Non è da Dio!" (Gv. 9,16). Oggi succede la stessa cosa. Ci sono persone che si afferrano a ciò che sempre è stato insegnato e non accettano un altro modo di spiegare e vivere la fede. Poi inventano motivi e pretese per non aderire: "É marxismo!", "Va contro la Legge di Dio!", "É disobbedienza alla tradizione ed al magistero!"
? Gesù si lamenta per la mancanza di coerenza della sua gente. Loro inventavano sempre qualche pretesto per non accettare il messaggio di Dio che Gesù annunciava. Di fatto, è relativamente facile trovare argomenti e pretesti per rifiutare coloro che pensano in modo diverso dal nostro.
? Gesù reagisce e rende pubblica la loro incoerenza. Loro si consideravano saggi, ma erano come dei bambini che vogliono divertire la gente in piazza e che si ribellano quando la gente non si muove secondo la musica che loro suonano. O coloro che si ritengono saggi senza avere nulla di veramente saggio. Solo accettavano coloro che avevano le loro stesse idee. E così loro stessi, per il loro atteggiamento incoerente, condannavano se stessi.

4) Per un confronto personale
? Fino a che punto sono coerente con la mia fede?
? Ho una coscienza critica nei riguardi del sistema sociale ed ecclesiastico che, dalle volte, inventa motivi e pretese per legittimare la situazione ed impedire qualsiasi cambiamento?

5) Preghiera finale
Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi,
non indugia nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli stolti;
ma si compiace della legge del Signore,
la sua legge medita giorno e notte. (Sal 1)

Coordin.
00sabato 10 dicembre 2011 08:34
a cura dei Carmelitani
Commento Matteo 17,10-13

1) Preghiera
Sorga in noi, Dio onnipotente, lo splendore della tua gloria, Cristo tuo unico Figlio; la sua venuta vinca le tenebre del male e ci riveli al mondo come figli della luce. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive regna con te, nell'unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

2) Lettura del Vangelo
Dal Vangelo secondo Matteo 17,10-13
Nel discendere dal monte, i discepoli domandarono a Gesù: "Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?"
Ed egli rispose: "Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa.
Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, l'hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro".
Allora i discepoli compresero che egli parlava di Giovanni il Battista.

3) Riflessione
? I discepoli hanno appena visto Mosè ed Elia dinanzi a Gesù nella trasfigurazione sulla montagna (Mt 17,3). La gente in generale credeva che Elia doveva ritornare per preparare la venuta del Regno. Diceva il profeta Malachia: "Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore, perché converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri; così che io venendo non colpisca il paese con lo sterminio!" (Ml 3,23-24; cf. Eccli 48,10). I discepoli vogliono sapere: "Cosa significa l'insegnamento dei dottori della Legge, quando dicono che Elia deve venire prima?" Poiché Gesù, il messia, era già lì, era già arrivato, ed Elia non era ancora venuto. Qual è il valore di questo insegnamento del ritorno di Elia?
? Gesù risponde: "Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, l'hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro". Ed allora i discepoli compresero che Gesù parlava di Giovanni Battista.
? In quella situazione di dominazione romana che disintegrava il clan e la convivenza familiare, la gente si aspettava che Elia ritornasse per ricostruire le comunità: ricondurre il cuore dei genitori verso i figli ed il cuore dei figli verso i genitori. Era questa la grande speranza della gente. Anche oggi, il sistema neoliberale del consumismo disintegra le famiglie e promuove la massificazione che distrugge la vita.
? Ricostruire e rifare il tessuto sociale e la convivenza comunitaria delle famiglie è pericoloso, perché mina la base del sistema di dominazione. Per questo fu ucciso Giovanni Battista. Lui aveva un progetto di riforma della convivenza umana (cf. Lc 3,7-14). Svolgeva la missione di Elia (Lc 1,17). Per questo fu ucciso.
? Gesù continua la stessa missione di Giovanni: ricostruire la vita in comunità. Poiché Dio è Padre, noi siamo tutti fratelli e sorelle. Gesù riunisce due amori: amore verso Dio ed amore verso il prossimo e gli da visibilità nella nuova forma di convivenza. Per questo, come Giovanni, anche lui fu messo a morte. Per questo, Gesù, il Figlio dell'Uomo, sarà condannato a morte.

4) Per un confronto personale
? Mettendomi nella posizione dei discepoli: l'ideologia del consumismo ha potere su di me?
? Mettendomi nella posizione di Gesù: ho la forza di reagire e creare una nuova convivenza umana?

5) Preghiera finale
Sia Signore la tua mano sull'uomo della tua destra,
sul figlio dell'uomo che per te hai reso forte.
Da te più non ci allontaneremo,
ci farai vivere e invocheremo il tuo nome. (Sal 79)

Coordin.
00domenica 11 dicembre 2011 09:03
padre Paul Devreux


Il Vangelo di oggi ci presenta Giovanni Battista come testimone, uno che ha visto venire la luce e l'annuncia a tutti.

La gente che lo ascolta è entusiasta e siccome è impaziente, spera che quello che deve venire sia proprio lui. Ecco perché chi viene ad interrogarlo gli domanda se lui è Elia o un profeta, ma Giovanni risponde con fermezza e in un modo sempre più sintetico che lui non è niente di tutto ciò che sperano. In realtà avrebbe potuto dire che era un profeta o un nuovo Elia, come dirà di lui lo stesso Gesù quando afferma ai suoi discepoli che "Elia è già tornato ma ne hanno fatto ciò che hanno voluto".

Non è facile rispondere alla domanda: "Chi sei?", e se poi gli altri provano ad esaltarti dicendoti che sei una persona importante, è facile montarsi la testa e pensare di essere importanti veramente. Giovanni non cade in questo tranello. Rimane molto umile, e alla fine dice che lui è solo "Voce".

Lui è solo uno strumento nelle mani di Dio per essere porta-voce di Dio, per annunciare la sua venuta e per invitare tutti a prepararsi ad accoglierlo.

E' bene che anche noi ci lasciamo porre questa domanda: chi sono io?

Dice anche che quello che deve venire è già in mezzo a noi, ma noi non lo conosciamo, e di conseguenza non lo vediamo. Per questo è importante anche oggi annunciare e preparare la sua venuta. Nessuno può mai dire: "Ormai lo conosco, so tutto di Lui". Facciamo tutto il possibile per scoprire la sua presenza intorno a noi.

Signore vieni e aiutaci a conoscerti.

Il segno che sto operando per preparare la via del Signore, sarà la contentezza.

Coordin.
00lunedì 12 dicembre 2011 08:38
Eremo San Biagio
Commento Nm 24,15-17

Dalla Parola del giorno
Oracolo di Balaam...oracolo dell'uomo dagli occhi penetranti; oracolo di chi ode le parole di Dio e conosce la scienza dell'Altissimo...e cade ed è tolto il velo dai suoi occhi. Io lo vedo, ma non ora, lo contemplo, ma non da vicino: Una stella spunta da Giacobbe... (Nm 24,15-17)

Come vivere questa Parola?
Gli occhi penetranti di un misterioso indovino d'Oriente, Balaam, si volgono finalmente verso il deserto per contemplare il volere divino e non più disperdersi nella pratica di vuoti riti magici. Caduto il velo dai suoi occhi, contempla da lontano la luce radiosa del mattino (cfr. Ap 22,16). È una stella che spunta da Giacobbe, che sorge con maestosità regale su Israele spezzando la durezza di chi si nasconde al suo fulgore.
La tradizione cristiana ha letto questo oracolo in chiave messianica. Cristo stesso è la stella che irradia l'infinita bellezza dell'Altissimo. Alla Sua luce vediamo la luce (Sal 36,10). Le dimore del cuore che lo accolgono sono come aloe secolari piantati dal Signore, come cedri maestosi che si stagliano lungo le acque.
L'aloe, com'è noto, è simbolo di longevità, il cedro di forza e imponenza. Attributi di chi si concede alla benedizione di Dio, in Cristo Gesù. In Lui ci è dato davvero di essere forti vitali e fecondi, come alberi rigogliosi che nel fluire del tempo, rivestiti d'eternità, danno frutti copiosi, in perenne giovinezza. Certo, siamo resi tali solo se volgiamo lo sguardo verso il deserto, luogo spirituale di silenzio adorante, in cui Dio si compiace manifestarsi, abilitandoci a penetrare umilmente nel suo mistero d'amore che salva, sottratti al velo della nostra supponenza che impedisce la vista e ottenebra il cuore.

Oggi nella mia pausa contemplativa, mi concederò dunque alla Luce che in me è sorgente della vita. Lascerò cadere i veli della banalità tessuti di abitudine che riducono il mio Natale quotidiano a distratta professione di fede. Questa la mia preghiera:

Squarcia i veli della mia supponenza e sii luce, Signore, al mio andare inquieto sulle vie incerte di una fede che talvolta sprofonda nell'oscurità. Mi affascini la via silenziosa del deserto che conduce all'incontro con il Figlio tuo, l'Amato, l'Atteso. Perché sia davvero Natale!

La voce di un grande scrittore
Nessun esploratore compie viaggi così lunghi come chi discende nel profondo del proprio cuore.
J. Green

Coordin.
00martedì 13 dicembre 2011 08:05
a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

O Padre, che per mezzo del tuo unico Figlio,
hai fatto di noi una nuova creatura,
guarda all?opera del tuo amore misericordioso,
e con la venuta del Redentore
salvaci dalle conseguenze del peccato.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...




2) Lettura

Dal Vangelo secondo Matteo 21,28-32
In quel tempo, Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: ?Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va? oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò.
Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò.
Chi dei due ha compiuto la volontà del padre??. Dicono: ?L?ultimo?.
E Gesù disse loro: ?In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli?.



3) Riflessione

? Il vangelo di oggi ci presenta una parabola. Come sempre, Gesù racconta una storia tratta dalla vita quotidiana delle famiglie; storia comune che parla da sé e non ha bisogno di molte spiegazioni. Subito, per mezzo di una domanda molto semplice, Gesù cerca di coinvolgere gli uditori e di comunicare un messaggio. Li coinvolge nella storia senza, per il momento, spiegare l?obiettivo che ha in mente. Quando hanno dato la loro risposta alla domanda, Gesù applica l?esempio agli uditori e questi si rendono conto che loro si sono condannati da soli!
? Matteo 21,28-30: La storia dei due figli. Gesù fa una domanda iniziale: "Che ve ne pare?? E? per attrarre l?attenzione delle persone affinché facciano attenzione alla storia che segue. Ed ecco la storia: "Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va? oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò?. Si tratta di una storia di vita familiare di ogni giorno. Le persone che ascoltano Gesù capiscono di cosa parla, poiché hanno vissuto questo tante volte nella propria casa. Per ora non si capisce ancora ciò che Gesù ha in mente. Qual è l?obiettivo che vorrà raggiungere con questa storia?
? Matteo 21,31ª: Il coinvolgimento delle autorità nella storia dei due figli. Gesù formula la storia sotto forma di una domanda. All?inizio dice: ?Che ve ne pare?? ed alla fine termina chiedendo: ?Quale dei due ha fatto la volontà del padre?" Coloro che ascoltano sono genitori e rispondono a partire da ciò che è successo varie volte con i propri figli: I capi dei sacerdoti e degli anziani risponderanno: "Il primo". Questa è la risposta che Gesù voleva sentire da loro e dove li coglie in flagrante per comunicare il suo messaggio.
? Matteo 21,31b-32: La conclusione di Gesù. ?E Gesù disse loro: ?In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli?.
La conclusione di Gesù è evidente e molto dura. Secondo l?opinione dei sacerdoti e degli anziani, i pubblicani e le prostitute erano persone peccatrici e impure che non facevano la volontà del Padre. Secondo l?opinione di Gesù, i pubblicani e le prostitute di fatto dicevano ?Non voglio?, ma finivano col fare la volontà del Padre, poiché si pentirono all?ascolto della predicazione di Giovanni Battista. Mentre loro, i sacerdoti e i pubblicani che ufficialmente sempre dicono ?Si, signore, vado!?, finivano con non osservare la volontà del Padre, poiché non vollero credere a Giovanni Battista.



4) Per un confronto personale

? Con quale dei due figli mi identifico?
? Chi sono oggi le prostitute e i pubblicani che dicono: ?Non voglio!?, ma che finiscono per fare la volontà del Padre?




5) Preghiera finale

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore,
ascoltino gli umili e si rallegrino.
(Sal 33)

Coordin.
00mercoledì 14 dicembre 2011 08:20
Monaci Benedettini Silvestrini
Sei tu o dobbiamo attendere un altro?

Quando l'attesa si fa più urgente, quando gli eventi del mondo sembrano precipitare nel baratro del male, l'invocazione di un salvatore diventa accorata. Lo stesso Giovanni, che aveva annunziato la presenza del Messia e l'aveva battezzato nel Giordano, raccoglie quest'ansia di certezza ed invia alcuni dei suoi discepoli per porgere a Gesù una precisa domanda: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?» Gesù rassicura Giovanni Battista e tutti noi. I segni, di cui parlavano le antiche profezie, e le opere che egli compie, manifestano in modo evidentissimo che il Regno di Dio si sta attuando, è già presente nella sua persona e nelle sue opere, si è calato ormai in modo definitivo nella storia del mondo: «andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Ecco come si manifesta concretamente il regno di Dio: è la salvezza delle anime e dei corpi, è la potenza di Dio che si pone a servizio dell'uomo. Fa tristezza il dover costatare che ancora oggi quell'interrogativo a cui è già stata data la più piena ed esauriente risposta, venga ancora ripetuto all'infinito. Ancora permane lo scandalo nei confronti di Gesù. Quel messaggio di salvezza, che ha coinvolto e coinvolge tutti gli uomini di tutti i tempi con preferenza per gli oppressi, i malati nel corpo e nello spirito, viene ancora ignorato e rifiutato. Fin quando permane l'interrogativo: «chi dobbiamo attendere?» e non sgorga la pienezza della fede, inevitabilmente Cristo non trova spazio ed accoglienza e altri regni tentano di instaurarsi sulla terra, altri salvatori si propongono. Coloro che si aprono alla buona Novella potranno godere invece di una pienezza che Giovanni, pur essendo un grande profeta, tra i nati di donna non è sorto uno più grande di lui, non ha potuto raggiungere.

Coordin.
00giovedì 15 dicembre 2011 08:41
a cura dei Carmelitani
Commento Matteo 1,18-24

1) Preghiera

Oppressi a lungo sotto il giogo del peccato, aspettiamo, o Padre, la nostra redenzione; la nuova nascita del tuo unico Figlio ci liberi dalla schiavitù antica. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive regna con te, nell?unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.



2) Lettura

Dal Vangelo secondo Matteo 1,18-24
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto.
Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: ?Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati?.
Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: ?Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele?, che significa Dio-con-noi.
Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l?angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.



3) Riflessione

? Nel Vangelo di Luca la storia dell?infanzia di Gesù (capitoli 1 e 2 di Luca) è incentrata attorno alla persona di Maria. Qui nel Vangelo di Matteo l?infanzia di Gesù (capitoli 1 e 2 di Matteo) è incentrata attorno alla persona di Giuseppe, il promesso sposo di Maria. Giuseppe era della discendenza di Davide. Per mezzo di lui Gesù appartiene alla razza di Davide. Così in Gesù, si compiono le promesse fatta da Dio a Davide ed alla sua discendenza.
? Come abbiamo visto nel vangelo di ieri, nelle quattro donne compagne di Maria, nella genealogia di Gesù, c?era qualcosa di anormale che non concordava con le norme della legge: Tamar, Raab, Ruth e Bezabea. Il Vangelo di oggi ci mostra che anche in Maria c?era qualcosa di anormale, contrario alle leggi dell?epoca. Agli occhi della gente di Nazaret lei apparve incinta prima di convivere con Giuseppe. Né la gente né il futuro marito sapevano l?origine di questa gravidanza. Se Giuseppe fosse stato giusto secondo la giustizia degli scribi e dei farisei, lui avrebbe dovuto denunciare Maria, e la pena che avrebbe dovuto subire sarebbe stata la morte, a colpi di pietra.
? Giuseppe era giusto, si, ma la sua giustizia era differente. Già anticipatamente praticava ciò che Gesù avrebbe insegnato più tardi: ?Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli? (Mt 5,20). E? per questo che Giuseppe, non comprendendo i fatti e non volendo ripudiare Maria, decise di licenziarla in segreto.
? Nella Bibbia, la scoperta della chiamata di Dio nei fatti della vita, avviene in diversi modi. Per esempio, attraverso la meditazione dei fatti (Lc 2,19.51), attraverso la meditazione della Bibbia (At 15,15-19; 17,2-3), attraverso gli angeli (la parola angelo significa messaggero), che aiutavano a scoprire il significato dei fatti (Mt 28,5-7). Giuseppe riuscì a percepire il significato di ciò che stava avvenendo in Maria mediante un sogno. Nel sogno un angelo si servì della Bibbia per chiarire l?origine della gravidanza di Maria. Veniva dall?azione dello Spirito di Dio.
? Quando tutto fu chiaro per Maria, lei disse: ?Ecco l?ancella del Signore. Si faccia in me secondo la tua Parola!? Quando tutto fu chiaro per Giuseppe, lui assunse Maria come sua sposa ed andarono a vivere insieme. Grazie alla giustizia di Giuseppe, Maria non fu messa a morte a colpi di pietra e Gesù continuò a vivere nel suo seno.



4) Per un confronto personale

? Agli occhi degli scribi, la giustizia di Giuseppe sarebbe una disobbedienza. C?è in questo un messaggio per noi?
? Come scopri la chiamata della Parola di Dio nei fatti della tua vita?




5) Preghiera finale

Dio libererà il povero che grida
e il misero che non trova aiuto,
avrà pietà del debole e del povero
e salverà la vita dei suoi miseri.
(Sal 71)

Coordin.
00venerdì 16 dicembre 2011 08:14
don Luciano Sanvito Ridare valore alla testimonianza

RITROVARE LA TESTIMONIANZA NEL VALORE DELLA SUA FONTE

Giovanni era un testimone.


"...Voi avete voluto solo per un momento rallegrarvi alla sua luce..."


La testimonianza in se stessa, senza il rimando alla fonte di essa, perde valore e senso.
Ecco perché Gesù attesta alla propria presenza come fonte della testimonianza di Giovanni, che bisogna accogliere:

"Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni"

Nello stesso tempo Gesù rimanda la propria testimonianza al Padre, al suo esserne testimone.
Questo duplice richiamo: a Giovanni e al Padre, permette a Gesù di ritessere la testimonianza nel suo valore e senso pieno: da una parte il rimando alla terra, il luogo della testimonianza; dall'altra il rimando al Padre, il fine della testimonianza.

Accogliere la testimonianza significa orientarci sulla terra a vivere chi è testimoniato dal cielo.
In Gesù l'equilibrio concreto, l'esempio della testimonianza che si attua nella storia umana si incontra e si propone alla nostra storia personale, per rendere la testimonianza luce e sale della terra, sapienza nel Cristo.
Coordin.
00sabato 17 dicembre 2011 07:18
Monaci Benedettini Silvestrini
Un vangelo strano...

Da Abramo a Davide... da Davide alla deportazione in Babilonia... dalla deportazione a Cristo... Sentiamo un elenco di nomi, di personaggi più o meno conosciuti. Qualcuno potrebbe dire: un Vangelo strano questo di oggi. Ci aspetteremmo forse qualche consiglio da parte di Gesù, siamo in Avvento... qualche parabola che parli di miracoli, qualcosa più «palpabile», più comprensibile... E invece sentiamo solo un elenco di nomi, nomi qualche volta per niente santi... Generazioni, popoli, famiglie, uomini e donne che si susseguono... qualche volta nella grandezza, altre volte nell'ignominia, qualche volta nei trionfi, altre volte nelle miserie, qualche volta nelle grazie altre volte, purtroppo nei peccati... Ecco: dentro a questa massa umana della storia antica viene Dio, viene Cristo,... e non ha paura di calarsi dentro, non si vergogna di mescolarsi, confondersi con loro... Il Dio della promessa antica, quel Dio che era sempre vicino al suo popolo, ora, e questa volta per sempre, in eterno, si fa nostro prossimo, in tutto, Dio si fa uomo. La sua divinità, la sua santità, la sua grandezza si mescola, si fonde al sangue delle generazioni, si fonde perché vi fermenti il bene, l'amore, la gioia, la salvezza. Il divino si cala nel mondo, avvolto nel gelo dell'odio, per farlo fermentare, per farlo nuovo, per farlo di nuovo buono! Quando partecipiamo all'Eucaristia riceviamo anche noi un po' di quel Fermento, un pezzo di pane che non è più pane ma è quel fermento del mondo, il fermento che cambia, che trasforma tutta la pasta... Chiediamo al Signore la grazia di saper essere anche noi il lievito del mondo, laddove lui ci fa vivere.

Coordin.
00domenica 18 dicembre 2011 10:17
don Roberto Rossi
Ecco concepirai un figlio e lo chiamerai Gesù

In questa domenica possiamo definire gli atteggiamenti giusti per poter ripensare e rivivere il Natale del Signore. E non possiamo trovare strada miglio­re di quella di Maria: perché è la strada, che Dio stesso ha scelto per venire tra noi.
Maria di Nazareth, infatti, è la creatura ideale davanti a Dio. Ella attende nel silenzio di Nazareth: Maria non è una frivola, non è una donna lacerata da vuoti interessi, non è una donna contorta da inquietudini e dalla smania di avere sempre di più. Maria è una donna raccolta, attenta a leggere la vita in profondità, serena, aperta al mistero.
E noi? Oggi chi rivive il raccoglimento di Nazareth? Chi sa crearsi spazi di deserto per stare con Dio? Chi possiede un cuore in pace, serena­mente aggrappato alla sicurezza della bontà di Dio? Chi è attento ai segni della volontà di Dio negli avvenimenti di ogni giorno?
Maria conosce le Scritture. Tra la prima lettura e il Vangelo c'è un salto di mille anni. La prima lettura ci presenta Natan che parla a Davide in nome di Dio e dice: "lo farò a te una casa: il tuo trono sarà stabile per sempre!". Israele lesse questa profezia in senso messianico e maturò la certezza che da Davide sarebbe nato il Messia. Maria conosceva questa Scrittura. Infatti bastarono pochi riferi­menti dell'angelo per farle capire tutto ciò che stava accadendo.
Chi di noi oggi prende tempo per leggere la Bibbia? Quale cristiano oggi legge assiduamente le Scritture lasciandosi formare dalla sapienza che viene da Dio? Quale famiglia ha l'abitu­dine di pregare col Vangelo e sente suo primo dovere l'impegno di guidare i figli alla conoscenza delle Bibbia? Quanto sarebbe fruttuoso dare meno tempo alla televisione o al computer e più tempo alla Lettura della Parola di Dio!
Maria non è un'ingenua, non è una sprovveduta: neppure davanti a Dio! Ella chiede all'angelo: "Come accadrà questo? lo non conosco uomo" (Lc 1,34). Questa domanda non nasce dal dubbio, né dalla volontà di vede­re tutto chiaro: nasce soltanto dal desiderio di capire la volontà di Dio per seguirla. Maria è stupenda anche in questo: è modello per noi. Quante volte noi siamo pigri nella fede, lasciamo discorsi incompiuti con Dio, facciamo un passo avanti e due indietro! Quante volte il dubbio appanna la strada della fede e ci impedisce di sentire la pace nella volontà di Dio!
Maria è infine consapevole della sua piccolezza: non per falsa umiltà, ma perché Ella ha coscienza lucida dell'assoluta incapacità umana dinanzi alla salvezza. Maria sa che solo Dio può dare la gioia: per un dono libero, gratuito, mai meritato da nessuno. L'uomo può soltanto mettersi in condizione di ricevere il dono: ma la salvezza resta sempre un dono, un regalo. Per questo risponde all'angelo: "Eccomi! Sono la serva del Signore: disponga di me ed io sarò felice di ubbidire" (Lc 1,38).

Presto è Natale: possiamo ritrovare il silenzio, preghiamo con la Parola di Dio, riconoscerci mendicanti di una gioia che solo Dio può dare. In questi atteggiamenti il Natale ci sboccerà nel cuore come dono gratuito di Dio e faremo esperienza della stessa gioia che provò Maria nel giorno meraviglioso della Annunciazione.

Coordin.
00lunedì 19 dicembre 2011 09:22
a cura dei Carmelitani


1) Preghiera
O Dio, che hai rivelato al mondo con il parto della Vergine lo splendore della tua gloria,
concedi al tuo popolo di venerare con fede viva e di celebrare con sincero amore il grande mistero dell'incarnazione. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

2) Lettura del Vangelo
Dal Vangelo secondo Luca 1,5-25
Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abia, e aveva in moglie una discendente di Aronne chiamata Elisabetta. Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni.
Mentre Zaccaria officiava davanti al Signore nel turno della sua classe, secondo l'usanza del servizio sacerdotale, gli toccò in sorte di entrare nel tempio per fare l'offerta dell'incenso. Tutta l'assemblea del popolo pregava fuori nell'ora dell'incenso. Allora gli apparve un angelo del Signore, ritto alla destra dell'altare dell'incenso. Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timore. Ma l'angelo gli disse: "Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita, poiché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio. Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto". Zaccaria disse all'angelo: "Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni". L'angelo gli rispose: "Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio e sono stato mandato a parlarti e a portarti questo lieto annunzio. Ed ecco, sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a loro tempo".
Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto.
Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: "Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini".

3) Riflessione
? Il Vangelo di oggi ci parla della visita dell'angelo Gabriele a Zaccaria (Lc 1,5-25). Il Vangelo di domani ci parlerà della visita dello stesso angelo Gabriele a Maria (Lc 1,26-38). Luca pone le due visite una accanto all'altra, in modo che noi leggendo i due testi con attenzione, percepiamo le piccole e significative differenze tra l'una e l'altra visita, tra il Vecchio ed il Nuovo Testamento. Cerca e scopri le differenze tra le visite dell'angelo Gabriele a Zaccaria ed a Maria mediante le seguenti domande: Dove appare l'angelo? A chi appare? Qual'è l'annuncio? Qual'è la risposta? Qual'è la reazione della persona visitata dopo la visita ricevuta? Etc.
? Il primo messaggio dell'angelo di Dio a Zaccaria è: "Non temere!" Fino ad oggi, Dio causa ancora paura a molte persone e fino ad oggi il messaggio continua ad essere valido "Non temere!" Subito l'angelo aggiunge: "La tua preghiera è stata ascoltata!" Nella vita, tutto è frutto della preghiera!
? Zaccaria rappresenta il Vecchio Testamento. Lui crede, ma la sua fede è debole. Dopo la visita, rimane muto, incapace di comunicare con le persone. Il modo con cui si era rivelato fino a quel momento il progetto di salvezza, noto a Zaccaria, aveva esaurito tutte le sue risorse, mentre Dio stava dando inizio ad una nuova fase insieme a Maria.
? Nell'annuncio dell'angelo appare tutta l'importanza della missione del bambino che nascerà e che si chiamerà Giovanni: "non berrà vino né bevande inebrianti, sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre", cioè, Giovanni sarà una persona totalmente consacrata a Dio ed alla sua missione. "Ricondurrà molti figli di Israele al Signore loro Dio. Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto", cioè nel bambino Giovanni avverrà l'atteso ritorno del profeta Elia che dovrà venire a realizzare la ricostruzione della vita comunitaria: convertire i cuori dei genitori verso i figli ed i ribelli verso la saggezza dei giusti.
? In realtà, la missione di Giovanni fu molto importante. Secondo la gente, lui era un profeta (Mc 11,32). Molti anni dopo, ad Efeso, Paolo continuò ad incontrare persone che erano state battezzate col battesimo di Giovanni (At 19,3)
? Quando Elisabetta, essendo anziana, concepisce e rimane incinta, si nasconde per cinque mesi. Mentre Maria, invece di nascondersi, esce dalla sua casa e va a servire.

4) Per un confronto personale
? Cosa ti colpisce maggiormente in questa visita dell'angelo Gabriele a Zaccaria?
? Convertire il cuore dei genitori verso i figli e dei figli verso i genitori, cioè, ricostruire il tessuto del rapporto umano fin dalla base e rifare la vita in comunità. Era questa la missione di Giovanni. E' stata anche la missione di Gesù e continua ad essere la missione oggi più importante. Come contribuisco a questa missione?

5) Preghiera finale
Sei tu, Signore, la mia speranza,
la mia fiducia fin dalla mia giovinezza.
Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno,
dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno. (Sal 70)

Coordin.
00martedì 20 dicembre 2011 08:22
Monaci Benedettini Silvestrini
"Eccomi"!

Lo sguardo misericordioso di Dio Padre, dopo aver visto lo stato miserevole in cui la nostra umanità si era ridotto, si posa sull'uomo fuori del paradiso terrestre, nudo, spaurito e sfregiato gravemente dal peccato e preannuncia la redenzione e la vittoria della Vergine sull'antico avversario. Dio, sempre fedele alle sue promesse, ci invita meditare l'annuncio dell'Angelo a Maria, la piccola vergine di Nazareth. Viene definita "piena di grazia", già ricolma di ogni dono, perché immacolata, concepita senza peccato, già pronta ad accogliere come in uno luminoso tabernacolo vivente il Verbo che si fa carne, per venire tra noi. La futura Madre, piccola e povera come si autodefinisce, non riesce immediatamente a comprendere come possa diventare mamma senza conoscere uomo, ma appena illuminata dall'Arcangelo Gabriele che ciò avverrà per opera dello Spirito Santo e che tutto rientra nel meraviglioso progetto divino dell'umana redenzione, Maria dichiara la sua completa disponibilità: «Eccomi, sono la serva del Signore; avvenga di me quello che hai detto». Significa concretamente l'adesione libera e totale alla volontà di Dio per sempre, senza riserva, sino alla fine, sino al Calvario. Significa anche la partecipazione attiva alla missione terrena del Figlio suo legata al tempo e a quella che come un memoriale, permane nei secoli. L'evangelista Giovanni direbbe dopo l'assenso di Maria: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità". Sta per ripetersi il miracolo dell'Incarnazione, il Natale è alle porte: siamo ancora invitati a ripetere il nostro "eccomi" al Signore e a contemplare la gloria del Figlio che nasce Bambino, ma che è pieno di grazia e di verità. Doni questi che urgono per ognuno di noi e che la Madre sempre vergine è pronta a donarci.

Coordin.
00mercoledì 21 dicembre 2011 08:15
 La gioia dell'incontro

Gioisci! Questo è il senso della formula standardizzata 'Ave'. E' la gioia che ha attraversato l'Antico Testamento e che trova il culmine nelle due letture proposte oggi a libera scelta, dal Cantico o da Sofonia. Si gioisce per una presenza, per uno che ci viene donato. E' lo sposo del Cantico, immagine splendente di Dio che ci ama; è il Re d'Israele 'in mezzo a te' come Salvatore potente. Elisabetta lo riconosce già nel bambino presente nel grembo di Maria; il bambino Giovanni Battista ne accoglie in un rimbalzo gioioso l'effetto salvifico. La gioia della vita è Uno che è presente.

L'incontro tra Elisabetta e Maria è l'incontro tra l'attesa e il compimento, tra la promessa e il suo realizzarsi. Avviene il primo riconoscimento del Fatto nuovo che è entrato nella storia: 'il mio Signore', come esclama Elisabetta. Ciascuna delle due mamme è contenta per il proprio figlio e per il figlio dell'altra: già questo è un raddoppio di gioia. Ma qui arriva a compimento l'attesa dei secoli. Si incontrano le acque che scendono scroscianti dalle rocce della storia di Israele e quelle del nuovo ruscello sgorgato dalla potenza di Dio. L'anziana Elisabetta e la giovane Maria. Colui che porta a termine l'Antico Testamento, e il Messia che inizia una nuova storia. I discepoli di Giovanni passeranno al nuovo Maestro, all'Uomo nuovo, iniziatore della nuova umanità. Tutto questo comincia ad accadere nel buon terreno delle Madri, e queste donne realizzano la propria vocazione e missione materna riconoscendo e accogliendo l'identità, la vocazione e la missione dei figli.
L'esito è la gioia. Si gioisce per una persona presente. E quale persona! La gioia vera della vita coincide con un bimbo che nasce, con un amico che si incontra, con un amore che sboccia. La gioia è l'altro. Qui, l'altro coincide con l'Altro, con Colui che è il tutto della vita, il Valore supremo e il senso di ogni cosa. La gioia non sta nell'avere delle cose, ma in un rapporto vero, capace di riconoscere l'altro, la sua dignità, la sua personalità; capace di riceverlo, ospitarlo, e quindi amarlo e seguirlo. Ci sono tante piccole e normali esperienze umane che documentano la verità di questo fatto nei rapporti familiari, amicali, amorosi. Ma tutto viene esaltato al massimo, quando l'altro è riconosciuto come segno di Dio e quindi la sua accoglienza coincide con l'accoglienza di Dio stesso, divenuto visibile e vicino come un amico.

'Benedetta tu fra tutte le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!". Lo dico a te o Maria, e nello stesso tempo lo dico alla Chiesa Madre, che mi dona Cristo rendendolo presente come un amico e come un figlio.

Ogni rapporto umano, di amicizia o di amore, trova compimento nella sua apertura a Cristo. La pienezza della gioia non sta nel contrapporre gli affetti umani all'amore di Cristo, ma nel viverli come segno che apre a un amore più grande. Domando di vivere in questo modo le mie amicizie e i miei amori.

Commento a cura di don Angelo Busetto
Coordin.
00giovedì 22 dicembre 2011 16:03
padre Lino Pedron
Commento su Luca 1,46-55

Questo cantico è molto vicino a quello che intonerà Gesù quando, esultando nello Spirito Santo, scoprirà che la benevolenza del Padre si rivela ai piccoli (Lc 10,21-22). Maria esalta l'opera di salvezza che Dio sta realizzando tra gli uomini.

Questo inno si sviluppa come un mosaico di citazioni e di allusioni bibliche, che trova un parallelo nel cantico di Anna (1Sam 2,1-10), considerato generalmente come la sua fonte principale sia dal punto di vista della situazione che della tematica e della formulazione. Qualche esegeta suggerisce di leggere questo cantico di Maria sullo sfondo della grande liberazione dell'Esodo e in particolare del celebre Cantico del mare (Es 15,1-18.21).

Maria canta la grandezza di Dio. Riconosce che Dio è Dio. La conseguenza della scoperta di Dio grande nell'amore è l'esultanza dello spirito. La scoperta dell'amore immenso di Dio per noi vince la paura. Chi conosce il vero Dio, gioisce della sua stessa gioia.

Il motivo del dono di Dio a Maria non è il suo merito, ma il suo demerito, la sua umiltà (da humus=terra, parola da cui deriva anche "uomo"). Maria è il nulla assoluto, che solo è in grado di ricevere il Tutto.

Dio è amore. L'amore è dono. Il dono è tale solo nella misura in cui non è meritato. Dio quindi è accolto in noi come amore e dono solo nella misura della coscienza del nostro demerito, della nostra lontananza, della nostra piccolezza e umiltà oggettive. Maria è il primo essere umano che riconosce il proprio nulla e la propria distanza infinita da Dio in modo pieno e assoluto. Il merito fondamentale di Maria è la coscienza del proprio demerito: ella riconosce la propria infinita nullità.

Per questo, giustamente, la Chiesa proclama Maria esentata dal peccato originale, che consiste nella menzogna antica che impedisce all'uomo questa umiltà fiduciosa, che dovrebbe essere tipica della creatura (cfr Sal 131).

L'umiltà di Maria non è quella virtù che porta ad abbassarsi. La sua non è virtù, ma la verità essenziale di ogni creatura, che lei riconosce e accetta: il proprio nulla, il proprio essere terra-terra. Tutte le generazioni gioiranno con lei della sua stessa gioia di Dio, perché in lei l'abisso di tutta l'umanità è stato colmato di luce e si è rivelato come capacità di concepire Dio, il Dono dei doni.

Dio è amore onnipotente. Lo ha mostrato donando totalmente se stesso. Il suo nome (la sua persona) è conosciuto e glorificato tra gli uomini perché Dio stesso santifica il suo nome rivelandosi e donandosi al povero.

Maria sintetizza in una sola parola tutti gli attributi di colui che ha già chiamato Signore, Dio, Salvatore, Potente, Santo: il nome di Dio è Misericordia. Dio è amore che non può non amare. E' misericordia che non può non sentire tenerezza verso la miseria delle sue creature. San Clemente di Alessandria afferma che "per la sua misteriosa divinità Dio è Padre. Ma la tenerezza che ha per noi lo fa diventare Madre. Amando, il Padre diventa femminile" (Dal Quis dives salvetur, 37, 2).

Maria descrive la storia biblica della salvezza in sette azioni di Dio. La descrizione con i verbi al passato significa quello che Dio ha già fatto nell'Antico Testamento, ma anche quello che ha compiuto nel Nuovo, perché il Cantico, composto dalla comunità cristiana, canta l'operato di Dio alla luce della risurrezione di Cristo già avvenuta.

A proposito di questa rivoluzione operata da Dio, che rovescia i potenti dai troni e manda a mani vuote i ricchi, notiamo che anche questa è un'opera grandiosa e commovente della misericordia di Dio: quando il potente cade nella polvere e il sazio prova l'indigenza, essi sono posti nella condizione per essere rialzati e saziati da Dio. Nell'esperienza del vuoto e nel crollo degli idoli, l'uomo si trova nella condizione migliore per cercare Dio.

In Maria è presente Dio fatto uomo. In lui si realizzano le promesse di Dio. E' per la fede in Cristo che si è discendenza di Abramo (Lc 3,8). Il compimento della promessa fatta da Dio ad Abramo è definitivo: "In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra" (Gen 12,3).

Coordin.
00venerdì 23 dicembre 2011 09:17
a cura dei Carmelitani
Commento Luca 1,57-66

1) Preghiera

Dio onnipotente ed eterno,
è ormai davanti a noi il Natale del tuo Figlio:
ci soccorra nella nostra indegnità
il Verbo che si è fatto uomo nel seno della Vergine Maria
e si è degnato di abitare fra noi.
Egli è Dio, e vive e regna con te...




2) Lettura

Dal Vangelo secondo Luca 1,57-66
In quei giorni, per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei.
All?ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: ?No, si chiamerà Giovanni?. Le dissero: ?Non c?è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome?.
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta, e scrisse: ?Giovanni è il suo nome?. Tutti furono meravigliati. In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: ?Che sarà mai questo bambino?? si dicevano. E davvero la mano del Signore stava con lui.



3) Riflessione

? Nei capitoli 1 e 2 del suo vangelo, Luca descrive l?annuncio e la nascita dei due piccoli, Giovanni e Gesù, che occuperanno un posto importante nella realizzazione del progetto di Dio. Ciò che Dio avvia nell?AT, comincia a realizzarsi per mezzo di loro. Per questo, in questi due capitoli, Luca evoca molti fatti e persone dell?AT e giunge ad imitare lo stile dell?AT. Tutto questo per suggerire che con la nascita di questi due bambini la storia compie un giro di 180 gradi ed inizia il tempo della realizzazione delle promesse di Dio per mezzo di Giovanni e di Gesù, e con la collaborazione dei genitori Elisabetta e Zaccaria e Maria e Giuseppe.
? C?è un certo parallelismo tra l?annuncio e la nascita dei due bambini:
a) L?annuncio della nascita di Giovanni (Lc 1,5-25) e di Gesù (Lc 1,26-38)
b) Le due mamme incinte si incontrano e sperimentano la presenza di Dio (Lc 1,27-56)
c) La nascita di Giovanni (Lc 1,57-58) e di Gesù (Lc 2,1-20)
d) La circoncisione nella comunità di Giovanni (Lc 1,59-66) e di Gesù (Lc 2,21-28)
e) Il canto di Zaccaria (Lc 1,67-79) e il canto di Simeone con la profezia di Anna (Lc 2,29-32)
f) La vita nascosta di Giovanni (Lc 1,80) e di Gesù (Lc 2,39-52)
? Luca 1,57-58: Nascita di Giovanni Battista. ?In quei giorni, per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei?. Come tante donne dell?AT, Elisabetta era sterile: Così come Dio ebbe pietà di Sara (Gen 16,1; 17,17; 18,12), di Rachele (Gen 29,31) e di Anna (1Sam 1,2.6.11) trasformando la sterilità in fecondità, così ebbe pietà di Elisabetta, ed ella concepì un figlio. Elisabetta si nascose per cinque mesi. Quando, dopo i cinque mesi, la gente potè vedere nel suo corpo la bontà di Dio verso Elisabetta, tutti si rallegrarono con lei. Questo ambiente comunitario, in cui tutti si coinvolgevano nella vita degli altri, sia nella gioia sia nel dolore, è l?ambiente in cui Giovanni e Gesù nacquero, crebbero e ricevettero la loro formazione. Un ambiente così segna la personalità degli uomini, per il resto della loro vita. Ed è proprio questo ambiente comunitario ciò che più ci manca oggi.
? Luca 1,59: Dare il nome l?ottavo giorno. ?All?ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria?. Il coinvolgimento della comunità nella vita della famiglia di Zaccaria, Elisabetta e Giovanni è tale che i parenti e vicini arrivano ad interferire perfino nella scelta del nome del bambino. Vogliono dare al bambino il nome del padre: Zaccaria!? Zaccaria vuol dire: Dio si è ricordato. Forse volevano esprimere la loro gratitudine a Dio per essersi ricordato di Elisabetta e di Zaccaria e per aver dato loro un figlio in vecchiaia.
? Luca 1,60-63: Il suo nome sarà Giovanni! Ma Elisabetta interviene e non permette che i parenti si occupino della questione del nome. Ricordando l?annuncio del nome fatto dall?angelo a Zaccaria (Lc 1,13), Elisabetta dice: "No! Si chiamerà Giovanni". In un luogo piccolo come è Ain Karem, in Giudea, il controllo sociale è molto forte. E quando una persona esce fuori dalle usanze comuni del luogo, viene criticata. Elisabetta non seguì le usanze del luogo e scelse un nome al di fuori dei modelli normali. Per questo, i parenti e i vicini reclamano dicendo: ?Non c?è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome!? I parenti non cedono con facilità e fanno cenni al padre per sapere da lui come vuole che sia chiamato suo figlio. Zacaria chiede una tavoletta e scrive: "Il suo nome è Giovanni." Tutti rimasero meravigliati, poiché devono aver percepito qualcosa del mistero di Dio che avvolgeva la nascita del piccolo.
E questa percezione che la gente ha del mistero di Dio presente nei fatti così comuni della vita, Luca vuole comunicarla a noi. Nel suo modo di descrivere gli avvenimenti, Luca non è come un fotografo che registra solo ciò che gli occhi possono vedere. Lui è come una persona che si serve dei Raggi X che registrano ciò che l?occhio umano non può vedere. Luca legge i fatti con i Raggi X della fede che rivela ciò che l?occhio umano non percepisce.
? Luca 1,64-66: La notizia del bambino si diffonde. ?Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: ?Chi sarà mai questo bambino?? si dicevano. E davvero la mano del Signore stava con lui?. Il modo in cui Luca descrive i fatti evoca le circostanze della nascita delle persone che nell?AT svolsero un ruolo importante nella realizzazione del progetto di Dio e la cui infanzia sembrava già marcata dal destino privilegiato che avrebbero avuto: Mosè (Es 2,1-10), Sansone (Jz 13,1-4 e 13,24-25), Samuele (1Sam 1,13-28 e 2,11).
? Negli scritti di Luca troviamo molte evocazioni dell?Antico Testamento. Infatti i due primi capitoli del suo Vangelo non sono storie nel senso che noi oggi diamo alla storia. Sono, piuttosto, uno specchio per aiutare i lettori a scoprire che Giovanni e Gesù sono venuti a compiere le profezie dell?Antico Testamento. Luca vuole dimostrare che Dio, attraverso i due bambini, è venuto a rispondere alle più profonde aspirazioni del cuore umano. Da un lato, Luca mostra che il Nuovo Testamento realizza ciò che l?Antico prefigurava. Dall?altro, mostra che il nuovo supera l?antico e non corrisponde in tutto a ciò che la gente dell?Antico Testamento immaginava e sperava. Nell?atteggiamento di Elisabetta e Zaccaria, di Maria e di Giuseppe, Luca rappresenta un modello di come convertirsi e credere nel Nuovo che sta giungendo.



4) Per un confronto personale

? Cosa ti ha maggiormente colpito nel modo in cui Luca descrive i fatti della vita?
? Come leggo i fatti della mia vita? Come fotografia o come raggi X?




5) Preghiera finale

Tutti i sentieri del Signore sono verità e grazia
per chi osserva il suo patto e i suoi precetti.
Il Signore si rivela a chi lo teme,
gli fa conoscere la sua alleanza.
(Sal 24)

Coordin.
00sabato 24 dicembre 2011 09:49
Eremo San Biagio
Commento a Lc 1,68-69.71

Dalla Parola del giorno
?Benedetto il Signore Dio d?Israele, perché ha visitato e redento il suo popo0lo e ha suscitato per noi una salvezza potente [?]: salvezza dai nostri nemici e dalle mani di quanti ci odiano.?

Come vivere questa Parola?
Questo cantico, pronunciato da Zaccaria, è pervaso dall?ispirazione potente dello Spirito Santo che rende il sacerdote dell?Antica Alleanza consapevole di avere in Giovanni il precursore di Colui che opererà l?assoluta NOVITÀ in Israele e una salvezza così potente da essere estesa a tutti ipopoli e a tutti i tempi, anche a questi nostri giorni.
In questa vigilia di Natale penso che sia importante penetrare il senso tanto consolante dell?espressione: ?SALVEZZA POTENTE?.
Sì, in questa nostra epoca la scienza e la tecnologia (Dio sia benedetto per gli scienziati e i tecnologi!) hanno fatto passi enormi per migliorare la vita umana, salvandola da malattie un tempo invincibili, da condizioni igieniche sociali e ambientali tutt?altro che rassicuranti. Ne prendiamo atto benedicendo Dio e assumendo anche la responsabilità di farci promotori e collaboratori di chi, in luoghi sottosviluppati, opera per giungere agli stessi esiti. Ma quel dire ?salvezza dai nostri nemici e da quanti ci odiano? che significa per noi? Ecco, dentro il grande panorama degli uomini ?amati da Dio? i nostri nemici sono anzitutto le ideologie che insegnano a vivere come se Dio fosse il grande assente o un bel mito per bambinetti della scuola dell?infanzia. E quelli che ci odiano chi sono? Ecco: sono quanti, proponendo come salvezza il solo benessere privato, odiano ? di fatto ? la nostra anima, la strangolano dentro mire egoistiche e terrenistiche.

Davvero, in questa vigilia di Natale, nella mia pausa contemplativa, mi è di grande giovamento non lasciarmi fagocitare dall?ansia delle compere e dai preparativi dei regali o del pranzo e cose simili. Sì, anche una letizia che dia colore al nostro stare insieme è significativa a Natale, ma la gioia di fondo è lasciarsi coinvolgere dal mistero di una SALVEZZA POTENTE che è Gesù, il Verbo incarnato.

Gesù che ti sei fatto bambino per salvarmi, salvami oggi da tutto quello che mi impedisce di amare. Che io ?rinasca? con te a una vita di amore.

La voce di un testimone
Che dal braciere del Natale sprizzi una scintilla d?amore!
Raoul Follereau

Coordin.
00domenica 25 dicembre 2011 09:56
Omelie.org - autori vari


PRIMO COMMENTO ALLE LETTURE
a cura di Marco Simeone

La festa di Natale per me è sempre stata una festa strana, forse perché è la più incrostata dalle sovrastrutture del mondo, o forse perché è una festa che parla di gioia, che è un sentimento particolare, e alla gioia ci si educa. È molto più facile esultare, farsi prendere dall'euforia o da tutti gli altri sentimenti "gratta e vinci" che siamo stimolati a vivere da ciò che ci circonda; oggi invece si parla insieme di gioia e di serenità, di pace e di speranza: roba seria. Si, perché quando la seconda lettura dice che è apparsa la grazia apportatrice di salvezza, il nostro cuore dovrebbe alzare il capo, proprio come un prigioniero a cui viene comunicata la scarcerazione, come un malato a cui viene detto che una medicina c'è, come una coppia in crisi che per un istante ritrova il sorriso e ritorna ai primi giorni del fidanzamento.
E questo vuol dire che il nostro cuore deve funzionare bene, saper andare in profondità, essere capace di ascoltarsi nel profondo, col coraggio anche di affrontare le ferite che ci sono; per questo abbiamo vissuto l'avvento, abbiamo provato a prepararci (con esiti altalenanti..). Eppure adesso ci siamo: è nato, è qui. Forse alla radice il Natale c'è proprio questo: una notizia. Ma attenzione che non si fermi soltanto a questo. Perché una notizia è un fatto che viene reso manifesto, poi sta a chi l'ascolta entrarci dentro o tenersene alla larga; come che sia, il fatto rimane lì in tutta la sua realtà.
Noi oggi accogliamo una notizia che conosciamo e che ancora non viviamo appieno (almeno io): Dio è l'Emmanuele, il Dio-con-noi, quello che ha piantato la sua tenda tra noi per restare, per fare corpo con noi. Bella notizia, ma cosa implica? Implica che io devo riconoscere che ho bisogno di Dio, bisogno come l'assetato dell'acqua, come l'affamato di cibo, come quello che crolla dal sonno: un bisogno dell'anima che è forte e tangibile almeno come quelli del nostro corpo. Ma l'assetato non si mette a fare i complimenti, non "spizzica", beve e si disseta.
Tutte le letture ci parlano di luce che brilla nelle tenebre: I - il popolo che cammina nelle tenebre; II - ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani che sono il buio dell'anima; il vangelo parla della notte dei pastori; dice un salmo che "alla Sua luce vediamo la luce"; la luce che brilla stanotte mi fa vedere quanta poca luce ci sia nella mia vita e quante tenebre la coccolano; e mi fa una proposta, ecco la notizia: Dio è venuto a stare con me per vivere insieme e per trasformarmi.
La gioia nasce da questo contrasto: se io sto bene per conto mio per il natale proverò una forma di benevolenza, ma in fondo al cuore declinerò l'offerta, tanto a che mi serve un'altra luce? Un'altra speranza? Come quando si gioca a carte: "sto!" le mie carte mi bastano. Oppure ho il coraggio di guardarmi dentro e allora cambia la musica. Isaia dice che il bastone dell'aguzzino è stato spezzato: io ho un aguzzino? Chi è? Quale è? Forse quel peccato o quel vizio (ira, pigrizia, etc.); oppure quel problema che mi ha tolto il sorriso: bene, oggi è stato spezzato. O come ci dice S. Paolo posso finalmente incamminarmi per avere un cuore puro, senza surrogati o scorciatoie al punto che posso "vivere con sobrietà, giustizia e pietà" felice di farlo, realizzato. Ma allora dovrei riconoscere che nel mio cuore ci sono desideri mondani: io?! Io che sono così bravo/bello/buono/cristiano? Quanti dei nostri desideri di bene potremmo dire che sono come Dio vuole, nei contenuti e nei metodi per realizzarli? Sono domande da farsi. O come ci dice il Vangelo che i pastori, non molto ben visti, dal punto di vista della pratica religiosa del tempo, avvisati dall'angelo si sono messi in movimento, ci hanno creduto al punto di prendere armi i e bagagli e incamminarsi. Qualcuno potrebbe dire che è difficile non credere quando un angelo ti ha parlato: io ricorderei semplicemente che Gesù faceva miracoli davanti ai farisei e questi non credevano, ma anche che tante volte Dio ci ha dato un segno chiaro ed inequivocabile e noi ancora facciamo i vaghi?
Aggiungiamo un altro pezzo: come si compie tutto ciò? Dio ha scelto una via così rocambolesca che ancora oggi facciamo fatica a comprendere tutte le implicazioni di quel gesto: visto che eravamo così malmessi, così in fondo al pozzo, che tra tiraci una fune per farci salire da noi, creare un ascensore che ci riportasse su, ha scelto di? tuffarsi e di stare con noi!
Ha scelto la condivisione della nostra realtà, ha scelto di soffrire come noi, ha scelto di soffrire per noi (a causa nostra e a favore nostro); che strano! Però forse significa che Dio Lui per primo ci crede all'amore, che si prende sul serio quando dice di volerci bene come un padre o come uno sposo "? nella buona e nella cattiva sorte?"; la via della debolezza che ha scelto Dio serve per riaccendere in noi la capacità di amare, di abbassare le difese e di riscoprire che siamo fatti a Sua immagine, che se non amiamo siamo morti, che la chiusura e la paura ci rendono aridi, sterili.
Un ultimissimo pensiero, perché altrimenti è troppo lunga la predica, potrebbe essere questo: dove nasce Gesù? Duemila anni fa in una grotta/stalla, molto più probabilmente nel sotto casa di qualcuno (luogo deputato a tenere anche gli animali). Un luogo che nessuno avrebbe mai pensato per un messia che volesse farsi accettare. E quest'anno quale è il luogo più impensato dove nasce Gesù? E sappiamo che nascere vuole dire tuffarcisi dentro. Io vi propongo un luogo nuovo: se quest'anno nascesse proprio in chiesa, nella Chiesa, perché il Suo corpo mistico arrivi a maturità? Cosa potrebbe cambiare nella Chiesa, nella mia comunità parrocchiale, in me che sono chiesa nel DNA dal giorno del mio battesimo? Una canzone famosa finisce col dire: "io mi sto preparando, ed è questa la novità".

SECONDO COMMENTO ALLE LETTURE
a cura di Stefano e Teresa Cianfarani

Natale. Questa semplice parola emana un fascino misterioso, cui ben difficilmente un cuore può sottrarsi. Anche coloro che professano un'altra fede e i non credenti, cui l'antico racconto del Bambino di Betlemme non dice alcunché, preparano la festa e cercano di irradiare qua e là un raggio di gioia.
Attraverso i secoli, da Natale a Natale, da Notte Santa a Notte Santa, questa gioia ci colpisce. Anche ad un mondo profano, ad una società secolarizzata, questa notte porta qualcosa a cui nessuno sfugge: uno squarcio di luce, una ventata di gioia, anche per il più oscuro dei derelitti. In gran parte è soltanto folclore, diranno molti. Forse possono avere ragione. Ma che cosa importa? E se il folclore non fosse che la religione provvisoria dei poveri, in attesa della Rivelazione, alla quale basterebbe forse la gioiosa proclamazione che noi abbiamo da poco sentito in questa notte per trasformarsi in fede e in lode delle meraviglie di Dio? Perché la grazia di Dio è veramente manifestata per la salvezza di tutti gli uomini.
Sì, quando la sera gli alberi di Natale luccicano e ci si scambiano i doni, una nostalgia inappagata continua a tormentarci e a spingerci verso un'altra luce splendente, fintanto che le campane della messa di mezzanotte suonano e il miracolo della notte santa si rinnova su altari inondati di luci e di fiori: "E il Verbo si fece carne". Allora è il momento in cui la nostra speranza si sente beatamente appagata.
Nessuno è escluso da questa gioia. Neppure coloro che non sanno. Non importa che siano in pochi a comprendere, purché tutti possano partecipare al banchetto. Chi ha avuto la possibilità di comprendere, faccia in modo che anche gli altri prendano parte alla loro gioia. E la Chiesa, che è la sola a capire pienamente il Cristo nascente in questa notte fra le sue braccia, è in festa affinché il mondo intero riceva qualche briciola del banchetto. Anche al tempo di Gesù erano veramente in pochi a capire. A questa festa di gioia, non può essere dimenticato Colui che vi presiede. Un giorno Gesù ci svelerà il segreto della gioia di Dio. Lo farà tracciando il ritratto di un pastore che, avendo perduto una sola pecora delle cento che aveva, lascia le novantanove ed ogni altra cosa per andare alla ricerca della pecora smarrita. Avendola trovata, se la carica sulle spalle, e, felice, la riporta all'ovile. La gioia di Natale, è proprio questa gioia di Dio. Gioia di Dio siamo noi, che abbiamo bisogno della misericordia, noi per il quale il Figlio di Dio ha abbandonato tutto, il Padre e tutti gli esseri celesti, per raggiungerci e salvarci. Ci prenderà sulle spalle, ci porterà nelle sue braccia come si porta un neonato, e finirà per condurci per sempre nella gioia di Dio.
Ognuno di noi ha già sperimentato una simile felicità del Natale. Ma il cielo e la terra non sono ancora divenuti una cosa sola. La stella di Betlemme è una stella che continua a brillare anche oggi in una notte oscura. Già all'indomani del Natale la Chiesa depone i paramenti bianchi della festa ed indossa il colore del sangue e, nel quarto giorno, il violetto del lutto: Stefano, il protomartire, che seguì per primo il Signore nella morte, e i bambini innocenti, i lattanti di Betlemme e della Giudea, che furono ferocemente massacrati dalle rozze mani dei carnefici, sono i seguaci che attorniano il Bambino nella mangiatoia. Che significa questo? Dov'è ora il giubilo delle schiere celesti, dov'è la beatitudine silente della notte santa? Dov'è la pace in terra? Pace in terra agli uomini di buona volontà. Ma non tutti sono di buona volontà.
Per questo il Figlio dell'eterno Padre dovette scendere dalla gloria del cielo, perché il mistero dell'iniquità aveva avvolto la terra. Le tenebre ricoprivano la terra, ed egli venne come la luce che illumina le tenebre, ma le tenebre non l'hanno compreso. A quanti lo accolsero egli portò la luce e la pace; la pace col Padre celeste, la pace con quanti come essi sono figli della luce e figli del Padre celeste, e la pace interiore e profonda del cuore; ma non la pace con i figli delle tenebre. Ad essi il Principe della pace non porta la pace ma la spada. Per essi egli è pietra d'inciampo, contro cui urtano e si schiantano. Questa è una verità grave e seria, che l'incanto del Bambino nella mangiatoia non deve velare ai nostri occhi. Il mistero dell'incarnazione e il mistero del male sono strettamente uniti. Alla luce, che è discesa dal cielo, si oppone tanto più cupa e inquietante la notte del peccato.
Dove il Bambino divino intenda condurci sulla terra è cosa che non sappiamo e a proposito della quale non dobbiamo fare domande prima del tempo. Una cosa sola sappiamo, e cioè che a quanti amano il Signore tutte le cose ridondano in bene. E inoltre che le vie, per le quali il Salvatore conduce, vanno al di là di questa terra. I misteri del cristianesimo sono un tutto indivisibile. Chi ne approfondisce uno, finisce per toccare tutti gli altri. Così la via che si diparte da Betlemme procede inarrestabilmente verso il Golgota, va dalla mangiatoia alla croce. Quando la santissima Vergine presentò il Bambino al tempio, le fu predetto che la sua anima sarebbe stata trafitta da una spada, che quel bambino era posto per la caduta e la risurrezione di molti e come segno di contraddizione. Era l'annuncio della passione, della lotta fra la luce e le tenebre che si era già manifestata già attorno alla mangiatoia!
La spada del dolore trafisse il tuo cuore. Era morta la speranza? Il mondo era rimasto definitivamente senza luce, la vita senza meta? In quell'ora, probabilmente, nel tuo intimo avrai ascoltato nuovamente la parola dell'angelo, con cui aveva risposta al tuo timore nel momento dell'annunciazione: "Non temere Maria!". Quante volte il Signore, il tuo Figlio, aveva detto la stessa cosa ai suoi discepoli: Non temete! Nella notte del Golgota, tu sentisti nuovamente questa parola.
La redenzione, la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino.

Coordin.
00lunedì 26 dicembre 2011 10:16
Commento a cura di don Angelo Sceppacerca

Le parole di Gesù ai discepoli si avvereranno presto. Innanzitutto sulla sua persona: lui è l'Agnello immolato, condannato, flagellato e messo a morte. Ma sarà anche la dolorosa esperienza delle comunità cristiane dei primi decenni: perseguitate, isolate, umiliate. E poi, per molti cristiani, la situazione descritta dal Vangelo è ancora oggi una realtà in diverse parti del mondo. Viene subito da chiedersi: ci informiamo, almeno, su queste situazioni? Sosteniamo i nostri fratelli cristiani perseguitati e perfino uccisi?

Ogni discepolo è associato al destino dell'Agnello, preda della ferocia del lupo. Ma è proprio l'Agnello a svelare il senso del dramma della storia: il bene vince il male perdendo, e il male perde quando sembra che vinca. La croce è la parola più sapiente perché sa che il male si arresta solo quando uno che lo riceve non lo restituisce. È come dire che il male non sta tanto nel soffrire e nel morire, ma nel far soffrire e nel far morire. Gli agnelli, le pecore - tante volte nominati e portati ad esempio da Gesù nelle sue parabole - sono animali utili e miti: sia in vita che in morte, danno cibo e vestito. Sono il simbolo di Dio stesso, l'Agnello immolato che toglie il peccato - il male! - del mondo. Sta a noi essere prudenti e semplici: la prudenza, per sottrarci all'inganno del male; la semplicità che è la fiducia del bimbo che si affida alla madre. Ogni nostro patimento non sarà mai una sconfitta, ma la testimonianza resa al Signore della vita.

È difficile riuscire a restare fedeli al Signore nelle persecuzioni. Davanti ai lupi viene voglia di fuggire! Non tutti lo fanno. Nella Chiesa apostolica il giovane Stefano è stato fermo, in tribunale e sotto le pietre. Tra i primi diaconi, Stefano aveva compreso molto bene che cosa significasse pregare per gli uomini: "Dare sangue dal proprio cuore", offrire al loro cuore il sangue di Gesù. Mentre era colpito, Stefano intercedeva per i suoi persecutori. Intercedere significa cedere la propria vita fra due contendenti, essere disposti a dare la propria vita per l'altro. Padre Massimiliano Kolbe è un altro intercessore.

"Ieri abbiamo celebrato la nascita nel tempo del nostro Re eterno, oggi celebriamo la passione trionfale del soldato. La carità che fece scendere Cristo dal cielo sulla terra, innalzò Stefano dalla terra al cielo. Stefano aveva per armi la carità e con essa vinceva ovunque. Per mezzo della carità non cedette ai Giudei che infierivano contro di lui; per la carità verso il prossimo pregò per quanti lo lapidavano. Sostenuto dalla forza della carità vinse Saulo che infieriva crudelmente, e meritò di avere compagno in cielo colui che ebbe in terra persecutore. Dove Stefano, ucciso dalle pietre di Paolo, lo ha preceduto, là Paolo lo ha seguito per le preghiere di Stefano perché la carità esulta in tutt'e due". Così ha scritto di Stefano san Fulgenzio di Ruspe.

Stefano subì le stesse accuse rivolte pochi anni prima contro Gesù. Come Lui fu condannato a morte e ucciso. Il sinedrio non aveva il potere di ordinare esecuzioni capitali, ma non ebbe neanche il tempo di concludere il processo per emettere una regolare sentenza. Un gruppo di fanatici gli aveva sottratto Stefano, aizzando contro di lui il furore del popolo. Come Gesù, Stefano perdonò chi lo stava uccidendo. I cristiani raccolsero il corpo del martire e gli diedero degna sepoltura. La storia delle sue reliquie entrò nel mondo della leggenda e in ogni parte sorsero chiese in suo onore, ma il monumento più bello resta senza alcun dubbio quanto Luca scrisse di lui negli Atti degli apostoli.

Credente
00martedì 27 dicembre 2011 14:04
Messa Meditazione
Credere con gli occhi

Ancora una primizia. Giovanni è il discepolo che Gesù amava, e quindi il più vicino al suo cuore. Dopo la totalità del martirio, proclamata ieri attraverso il diacono Stefano, contempliamo oggi la totalità dell'amore, nato dalla quotidiana familiarità con Cristo, che ha condotto l'apostolo-evangelista a cogliere il mistero della sua umanità e della sua divinità.

L'apostolo che ha intravisto le profondità del mistero di Gesù, non è un mistico che ha divagato dentro visioni notturne o diurne, ma è un uomo concreto che ci riferisce la sua esperienza, un uomo che ha visto e udito e ha toccato con le proprie mani. Il prologo della sua prima lettera esprime l'esperienza del discepolo-testimone con il ritmo di un duetto musicale, dove i termini binari si inseguono per confermarsi a vicenda: udito e veduto, contemplato e toccato; la vita visibile e l'abbiamo veduta; rendiamo testimonianza e annunciamo... Quanto lo stesso Giovanni ha espresso nella profondità del prologo del Vangelo, egli ha avuto modo di verificarlo con la percezione dei sensi. Gesù è oggetto di una realtà sperimentabile; incontrandolo si riconosce non soltanto l'uomo, ma il Verbo stesso di Dio. Per questo, l'annuncio cristiano non si limita a una proposta verbale, ma diventa un invito a coinvolgersi con noi che abbiamo visto e udito, non perché i nostri interlocutori vengano condotti al nostro livello, ma perché possano sperimentare insieme con noi la comunione con Padre e il suo Figlio Gesù.
Questo testo riceve conferma dal racconto del Vangelo, intensamente descrittivo: la corsa dei due apostoli al sepolcro; la discrezione di Giovanni che lascia entrare per primo nel sepolcro il capo degli Apostoli, Pietro; e il suo sguardo acuto, che esamina con precisa attenzione la postura delle bende e del sudario sulla pietra del sepolcro, dove non si nota alcun trafugamento, come è stato recentemente rilevato dopo un esame attento dei verbi impiegati dall'evangelista.
Ecco dunque che cos'è la fede: si crede non per un impulso o una suggestione interiore, ma in forza di quel che si è visto e udito, trascinati dalla grazia a riconoscere il segno del Dio presente.

"Credo o Signore, ma tu sostieni la mia incredulità". Dammi occhi per vedere e mani per toccare. Donami la grazia di avvicinarmi ai luoghi e alle persone che rendono visibile la tua presenza.

Evitare la superficialità e la sentimentalità della fede, significa anche riconoscere i fatti attraverso i quali il Signore si manifesta. Una conoscenza accurata del Vangelo, introdotto da qualche opera pregevole come il libro del Papa su Gesù, costituisce una buona premessa alla fede.

Commento a cura di don Angelo Busetto

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