Libia

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DarkWalker
00lunedì 28 febbraio 2011 23:51
Nello scenario post guerra mondiale il ruolo dell’Italia era chiaro: tramite tra l’Occidente Nato e il vicino Oriente. Un ruolo imposto dalla geografia più che dalla diplomazia: non ci era andata poi tanto male, considerando che non abbiamo mai avuto un impero coloniale e che dal ’45 eravamo usciti sconfitti e pure malamente. Tuttavia, siamo stati all’altezza del compito, vuoi perché ci siamo adattati prima e meglio di altri ai pochi spazi che Yalta lasciava all’Europa, vuoi per la secolare convivenza con un potere religioso. Mattei e Craxi sono due nomi che altri paesi europei non hanno mai avuto nella seconda metà del novecento e non è un caso. Parallelamente, siamo indubbiamente tra i fondatori della Comunità Europea e checché se ne dica fra i principali fautori di una maggiore integrazione europea.
Ma tutto questo, se non ha una data certa di nascita, ne ha una facilmente intuibile di morte: la decapitazione di tangentopoli, una fine ingloriosa e senz’altro meritata di una classe politica e dirigente che, tra i molti e imperdonabili difetti, aveva anche il pregio di essere tale. È che la politica per farla bisogna saperla fare, e per saperla fare bisogna essere di professionisti. Al contrario la Seconda Repubblica è nata nel segno dell’incompetenza. E così, per dirne una, in un decennio ci siamo mangiati il nostro spazio nel mondo scambiandola con una parvenza di grandeur che non inganna nessuno. Del resto, il maggior politico contemporaneo è un impresario.
Mentre Stati dalle dimensioni enormi come Cina e Brasile stanno salendo la china, l’Italia berlusconiana si eclissa dalla scena europea, l’unico organismo che ci permetterebbe di avere una qualche autonomia nello scacchiere mondiale. Perdiamo seggi nel parlamento, l’Italia non è più una lingua ufficiale UE e del resto il nostro presidente del Consiglio usa i summit internazionali esclusivamente per parlare di politica interna. Usare gli esteri per accumulare consenso è una strategia già applicata e ben funzionante, che in passato ci è costata “solo” la guerra in Etiopia e il conseguente avvicinamento obbligato alla Germania nazista, ma tant’è. Tra il 2001 e il 2005, ci siamo nell’ordine inimicati il mondo arabo scattando subito nella guerra in Afghanistan e parlando di scontro di civiltà, sostituito una posizione protagonista in Europa con una totalmente servente di USA e Russia. Italia servitrice di due padroni, che ovviamente in mezzo a due colossi già in rotta di collisione (esempio, crisi georgiana, esempio, scudo stellare –da cui siamo esclusi) non ha alcun spazio utile. Successivamente, dal 2008, l’agenda si è infittita di appuntamenti con dittatori grandi e piccini ai quali i nostri rappresentanti hanno portato tutta la loro solidarietà. Fra questi, a uno in particolare sono stati attribuiti pieni onori e piena legittimazione: Gheddafi. L’accordo era più o meno questo: noi ti sganciamo un grosso assegno e ti regaliamo due navi, tu ti impegni a bloccare l’immigrazione violando i diritti umani al posto nostro. In altre parole, abbiamo pagato –sulla fiducia- un noto Stato-canaglia per farci da arbitro nella politica interna potendo aprire e chiudere a piacimento i rubinetti dell’immigrazione. Non a caso, già un anno dopo il predone del deserto tentava di fare la cresta alzando la posta.
Chiariamo le cose, Qaddafi non è proprio un dittatore qualsiasi come Mubarak o Ben Alì. Gheddafi ha tirato missili sull’Italia, aumentato le spese militari (sì, soldi armi e addestramento glieli abbiamo dati noi), finanziato il terrorismo internazionale, si oppone ai diritti umani e fa ostruzionismo in sede onu sui trattati che li stabiliscono. Siamo andati a fare affari con quello che tutti gli altri non vedono l’ora di evitare. Sia quel che sia, la propaganda in Libia ha martellato duro su questo trattato dell’amicizia tanto che l’Italia compare persino su tutti i passaporti (quanta buona pubblicità).
In tutto questo, si scatena la “tempesta perfetta”. La firma sull’assegno quasi è ancora fresca che “l’altra riva del mediterraneo” come va di moda ora chiamare il nord Africa si incendia e uno dopo l’altro traballano i dittatori ormai di ieri fra i quali proprio Gheddafi. Non è che fosse impossibile prevederlo, il precedente c’era già: Algeria, 2001, primavera nera. Ma per chi la politica la fa con le pacche sulle spalle e per chi è stato scelto ministro grazie alle sue doti di viveur evidentemente non era sufficiente.
In ogni caso, dalla prima sollevazione in Libia nel giro di ore la prima reazione delle autorità berlusconiane è non voler disturbare Gheddafi. La seconda –in pieno stile pdl- è ventilare un ipotetico nemico esterno (una Libia occidentale fondamentalista, o qualcosa del genere). La terza è “assolutamente l’Europa non deve intervenire, la Libia deve fare da sola”. La quarta, è che l’Italia si allinea nella condanna e nelle sanzioni.
Questo è quanto rimane del ruolo da protagonista dell’Italia che ha rifiutato di entrare nella squadra europea: ricattati sia da Gheddafi che dai rivoltosi, siamo dovuti comunque rientrare nei ranghi poco prima che attorno a noi si scavasse un fossato, qualsiasi accordo ora dovrà essere rinegoziato perché, ovviamente, per il nuovo governo, di transizione o meno, “chi ha dato ha dato” e bisognerà trovare spazio per quegli altri capitali europei la cui concorrenza si voleva eludere nella tenda circense di Gheddafi meno di due anni fa: meno di mille e una notte.
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00venerdì 28 ottobre 2011 15:41
Curioso come siano filoamericani i regimi caduti in nordafrica (Libia sdoganata persino da Bush) mentre le varie teocrazie siano rimaste intoccate. Tra l'altro per vari motivi non c'era nessuna grande teocrazia sunnita: l'Arabia Saudita è soprattutto una monarchia assoluta, Erdogan in Turchia ha le mani legate. Ora invece con questa storia della primavera araba tutto il nordafrica sta diventando teocratico.
E ricordiamoci che la primavera araba è il risultato del delirio del vecchio rinco Soros che crede di poter distruggere gli USA con quattro beduini.
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