- The Game -
00sabato 9 settembre 2006 15:22
«Nella tua solitudine riesci ad ascoltare il melodioso silenzio che ti dona il tuo essere puro.
Una lacrima squarcia il tuo viso. Una, solo una basta a racchiudere tutto l'odio di cui è intriso il tuo animo.
Tra dolore e sofferenza è racchiuso il tuo cuore... Un cuore forte, quanto la roccia.
M'anche qualcosa d'insignificante, può scalfire la pietra. Una goccia, che cola in eterno... Che corrode.
E così, anche il tuo cuore si dimostra forte, ma al contempo... Fragile. Ogni lacrima versata, ogni grido di contrizione, ogni gemito di sofferenza...
Ma... Ci vuole tempo, tempo, tempo. Ed è questo il vero ed unico nostro nemico. Ogni istante che trascorre, porta via con sè ricordi, emozioni, e... Vite. Il tempo è un assassino. Che uccide senza rimorsi, ne pietà. Che uccide... Contro il volere d'ognuno di noi e d'un Dio che mai c'è stato, contro la giustizia. Una giustizia che ha occhi solo per crimini terreni, che accusa solo coloro che hanno saputo assaporare la dolcezza della vendetta. Che hanno saputo render pan per focaccia. Che giustizia c'è, se non posso rendere il favore all'assassino d'un mio caro? Che giustizia c'è, se non posso abbandonarmi tra i guanciali del mio letto ad un sonno profondo e tranquillo... Senza consumare i miei attimi di vita, lasciando che il rancore corroda la mia ragione, che stritoli il mio cuore.
Non esiste un destino peggiore dello sprecare la propria vita. La tua anima può vendicarsi del tuo assassino, sì... Ma quale sfogo può esserci per chi viene ucciso dal tempo?
Tieni a mente ciò che t'ho detto e continuerò a ripeterti. Rifletti, Dan. Rifletti. Questo Mondo è troppo crudele per lasciare che condizioni le nostre vite, ed il nostro modo di pensare. Dobbiamo agire secondo i nostri criteri. Seguire la giustizia ti renderà virtuoso agli occhi dei tuoi simili, ma seguire i tuoi ideali... Ti renderà Grande. Ogni uomo può avere tutto dalla vita, deve solo meritare d'avvalersene. E tu, Dan... Tu puoi meritarlo. Devi solo pensare con la TUA testa, e non con quella di chi governa queste terre. L'unica cosa che dovrai seguire sarà la tua fede. Credi nel dolore, nella sofferenza revocataci dall'avidità del Dio. Lui vuole la nostra gratitudine, ma noi non acconsentiremo. Noi divulgheremo il nostro culto. Noi ameremo ciò che dovremmo odiare, noi odieremo ciò che dovremmo amare.
Ricordalo, Dan.»
Un filo di luce trapelò all'interno del vano, nel mentre in cui il reverendo Krancher varcò la soglia, lasciando Dracomir alle sue riflessioni. Solenne silenzio tra le mura della stanza, immersa nel buio. Qualcosa luccicava tra l'immensità delle tenebre. Dracomir lasciò scorrere l'oggetto tra le proprie dita. D'argento la cornice che contornava una vecchia foto, traviata dal tempo... Il tempo. Anche Aeternum gliene parlava spesso. Ma i pensieri del reverendo e del bianco druido erano in totale contraddizione. Krancher gli aveva suggerito più volte di ragionare da sè, di seguire una propria filosofia di vita... A pensarci bene, Dan non l'aveva mai fatto. Dapprima a quel dannato monastero tra le strade innevate di Mosca, dov'era costretto a rispettare norme partorite da menti crudeli ed insensibili. Poi con l'Eterno... Con Xero... Ed ora col Reverendo Krancher. Aveva sempre promosso idee non sue. Le aveva seguite, con passione. Ma solo allora si rese conto di quanti sbagli aveva commesso.
Lasciò che i propri polpastrelli scorressero lungo i bordi dell'oggetto. Il vetro che celava la fotografia era offuscato, e dell'immagine non si vedeva che un confuso groviglio di bigi colori. Dan l'aveva prelevato tra i resti di quella che era la SUA casa, una volta. Venne distrutta quand'era ancora un bambino sui quattro anni, venne distrutta da... Da...
Ogniquavolta Dracomir tentava di scavare a fondo tra le proprie memorie, struggenti fitte laceravano il suo cranio... Quasi stesse per esplodere, quasi volesse custodire in eterno il segreto che da anni tormentava i pensieri del Rumeno.
La foto raffigurava i suoi genitori. Venne scattata parecchi anni prima, quando loro portarono Dan in vacanza in Russia... A Mosca. Quando, si suppone, morirono per circostanze ignote. Quando il male e la sventura s'avventarono sull'atleta.
Dan si chiedeva come i propri genitori avessero potuto abbandonarlo a quella maniera, come il Dio che per anni aveva venerato gliel'avesse lasciato fare. Le disgrazie si succedevano... Una lunga serie di disgrazie. E lui, il Messia, se ne stava lì... A guardare.
Un brivido di rabbia, un lungo e gelido brivido. Poi, Darian, sfasciò l'artefatto. Non pago, scaraventò i resti contro il buio vuoto dinanzi a sè. Cadde sulle proprie ginocchia, in preda alla disperazione. Odore di sangue si respirava all'interno del vano: il reverendo, poco prima, aveva subito l'ordinario rito di devozione. Dan si lasciò trasportare dal proprio istinto, percorrendo carponi il pavimento, sino a raggiungere la lama che aveva lacerato le carni di Krancher, pochi minuti orsono.
Con decisione si rimboccò la manica sinistra, scoprendo il polso. Un grosso crocifisso era tatuato lungo l'epidermide... Era stato marchiato durante la propria infanzia, dai sacerdoti, a Mosca. Strinse il pugno, con forza... Poi, un affondo netto.
Si ferì, tagliando la zona tatuata con l'ausilio dell'arma bianca. Era una ferita profonda, probabilmente presto avrebbe causato un'emorragia. Il sangue scorreva denso lungo il corpo del wrestler, che pareva non accusare minimamente il dolore.
Spalancò la mano destra, lasciando precipitare al suolo l'arma.
Gridò, con tutta la propria forza. Non un urlo di scontento, di dolore o di sofferenza... Un urlo di rabbia.
Passò due dita della propria mano contro la lesione, macchiandole di sangue. Quella linfa vitale scintillò nella fitta penombra.
Incise alla cieca parole lungo il pavimento in pietra... Col sangue. Col proprio sangue.
Si dice la speranza sia l'ultima a morire...
Temo d'esser morto, questa tarda a trasparire.
Sempre al seguito di uomini troppo ambiziosi.
Pronti a promuovere le proprie idee nei modi più rischiosi.
Li ho seguiti senza tregua preso dalla suggestione.
Troppo impegnato a trovare una soluzione.
Una soluzione che non c'è, ad un problema che sussiste.
Nel voler capire tutto l'umanità insiste.
Ho appreso che la salvezza d'ogni uomo sta nel fatto...
Che bisogna voltar le spalle a questo triste baratto.
Dio ci dona una vita dolorosa e sofferente...
In cambio chiede d'adularlo perennemente.
Ma una cosa sola da far c'è... Non c'è Dio ne c'è discepolo.
C'è soltanto un uomo libero e l'ultimo ostacolo.
Capire che i misteri a volte è bene non svelarli.
Perchè pregare chi pare intenzionato ad ignorarvi?
Diceva il reverendo di seguire il proprio istinto.
Io finalmente ho appreso quest'insegnamento.
Mai più agli ordini d'altre entità.
Sarò solo, senza nulla eccetto la mia libertà.
Saprò accettare questa vita così com'è.
La vivrò fino all'ultimo, senza cercar alcun perchè.
E così, tra le pietre di questa stanza annerita...
Il Cantore delle Angosce effonde la propria Rabbia Infinita.
Dan Darian Dimitrie Dracomir, Liber Niger, Canto II