ed io ti riporto...
... questa intervista che mi ha segnalato molto gentilmente e ringrazio infinitamente per averlo gfatto, ivan... eccovela!
Luciano Ligabue è ripartito con l'ultima sezione del suo tour in quattro parti. Dopo il megaevento di Campovolo a Reggio Emilia, il "Nome e Cognome tour" lo ha visto passare nei club, poi nei palasport, quindi negli stadi e ora nei teatri, raccogliendo in tutto questo il materiale per comporre prima di Natale un dvd che non è ancora chiaro se sarà composto di quattro o cinque dischi come si paventa o se sarà ridotto a più moderate proporzioni in fase di realizzazione. Al Filarmonico di Verona Ligabue ha portato il suo show acustico, accompagnato da Mauro Pagani e da quattro musicisti della sua band pronti a intervenire da soli o in piccoli gruppi a sostegno del rocker di Correggio. Luciano ha voluto mescolare in questa occasione due momenti della sua produzione, le canzoni e le poesie, quelle raccolte nel libro "Lettere d'amore nel frigo" (Giulio Einaudi editore) uscito giusto ieri, e che lo vede tracciare immagini e personaggi, con un certo spirito che per qualcuno ha il sapore di Spoon River o anche della "Domenica delle salme" di De André: «Due riferimenti che mettono soggezione - replica Ligabue - ma certo sono tante le poesie in cui emergono personaggi. Questo libro in realtà è stato scritto tre anni fa sull'onda emotiva di un periodo molto difficile, con la morte dei genitori, la separazione, una fase di vita altalenante. Ho scritto poesie per prendermi la libertà di buttare fuori tutto senza dover fare i conti con la musica e l'idea per me inderogabile di dover essere chiaro, accessibile, popolare. Qui non ce n'era bisogno. Qui volevo raccontare un punto di vista sul mondo che avesse a che fare con come vedevo gli altri. Ci sono molti personaggi com'era nei miei primi tre album, in cui raccontavo quello che vedevo fisicamente attorno a me».
Il libro contiene 77 poesie: «Il 7 è un numero molto importante per me. È un'ossessione. Il mio nome è fatto di sette lettere, come il cognome, e le mie iniziali sono due 7 rovesciati. E il libro contiene 77 poesie divise in sette sezioni in ognuna delle quali ce n'è una in rima e in metrica». Ma fra canzone e poesia Ligabue continua a concepire una netta divisione: «In queste poesie non c'è punteggiatura. Il ritmo devi metterlo tu. La canzone per me è invece mettere parole su una musica che ho scritto. La musica detta l'argomento e ha possibilità limitate. La poesia non ha inoltre l'esigenza di essere chiara come invece per me ha la canzone che è una riduzione del melodramma quindi deve essere fatta per la gente. La poesia e la canzone sono due cose differenti. Le uniche eccezioni che vedo in Italia sono De André e De Gregori che hanno scritto canzoni che sono poesie».
Che poeti ami? «Non sono un gran lettore di poesie, ma in quel periodo ero diventato ingordo. Sono stato affascinato dalla poesia narrativa di Bukowsky o Carver. Mi piace molto la modernità di Bukowsky e la sua poetica del quotidiano. Io nelle poesie come spesso nelle mie canzoni cerco spesso una "chiusa" positiva, che dà speranza come in "Post it" che si chiude con "nel frattempo accettare meraviglia"». Oggi Liga farà una pausa ma non andrà a Villa Manin a vedere Springsteen, atteso poi domani proprio a Verona, all'Arena. Sul Boss che lo ispirò agli inizi di carriera ha idee molto chiare: «Preferisco vederlo di nuovo assieme alla "E Street Band"».
Il tour di Ligabue riprenderà domani a Como e toccherà fra l'altro il 20 e il 27 ottobre Trento, il 22 Ferrara, il 28 la Fenice di Venezia, il 3 e 4 novembre Trieste, per chiudersi l'11 dicembre al Gran Teatro di Roma. «Voglio approfittare di questo tour - spiega Luciano - per fare tante date e mi piace l'idea di provare a cambiare ogni sera scaletta e poesie. Andare nei teatri poi è un'occasione straordinaria. Entrare alla Fenice e sfruttarne il lusso che ci è concesso è una vera "figata", e accedervi significa anche cercare il giusto equilibrio. Si deve rispettare il luogo senza che sia snaturata la mia espressione. È una sfida. Voglio vedere come ce la caviamo senza supporti, senza chitarre elettriche, tecnologia. Vediamo se superiamo la prova».
Cantautore, musicista, regista, romanziere, poeta... ma chi sei veramente? «Uno che si diverte a mettere in difficoltà chi lo vuole definire». Ti manca l'opera rock adesso... «Ma quella è un'idea venuta fuori per scherzo da Domenico Procacci, ma è difficile che si realizzi mai. Se già è un impegno fare un film che significa dedicargli un anno e mezzo della tua vita, fare un'opera che significa raccontare una storia per canzoni, movimenti, immagini visive, è al di sopra delle mie possibilità. Ce ne sono state solo due degne di questo nome: "Tommy" e "Jesus Christ Superstar"».
Giò Alajmo