Le vecchie marmellate di famiglia

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kamo58
00mercoledì 22 giugno 2011 12:00
Giorni fa, girovagavo nel blog di kimberlyn e leggendo una sua ricetta, per la conservazione delle ciliege sciroppate, mi sono riaffiorati vecchi ricordi. Li ho voluti scrivere per condividerli.


Il solstizio d’estate, mi ha fatto venire in mente che è iniziata la stagione calda, coi suoi frutti succosi, le sue verdure fragranti e odorose di terra e di sole.
Quando ero bambina, in casa si preparavano e si conservavano i sapori e i profumi d’estate, per poterli tirare fuori e gustare, nelle fredde giornate invernali.
Si partiva, con mia madre e i miei fratelli, verso il mercato rionale, col carrello della spesa da riempire di pomodori, ciliegie, pesche, albicocche mature.
Sarà la nostalgia del passato, però quei sapori erano molto più intensi di quello che ci offre il mercato al giorno d’oggi. Sapori che ho ritrovato in campagna, gustandoli ad occhi chiusi, per ritrovare le antiche atmosfere.
Si tornava arrancando per la strada, pieni di buste, il carrellino stracolmo di pomodori, rigorosamente S. Marzano, che mia madre contrattando con i venditori, aveva ottenuto ad un prezzo più basso. Una cassetta intera, trenta chili di succosi pomodoro profumati.
Altre volte, si trattava di albicocche, di pesche e di pere da fare sciroppate oppure delle agognate visciole, regine di una marmellata da leccarsi le dita. Niente di più sublime per la sottoscritta, che la crostata di visciole, tradizione culinaria della mia città.
Preparare salsa di pomodoro da imbottigliare in una cucina di città, non era cosa semplice. Iniziavamo con il lavaggio nel lavandino, poi si gettavano quelli marci, si toglievano le parti ammaccate e si passavano nell’apposito apparecchio elettrico, comperato per facilitare l’operazione. Da una parte uscivano le bucce pressate insieme ai semi, a spirale, dall’altra il succo purpureo.
C’era l’imbottigliatura, la chiusura dei tappi, un gran lavorio da parte un po’ di tutti. Due pentoloni, bollivano sui fuochi del gas. La cucina era invasa di vapore, si sudava ad ogni movimento. Poi, c’era da pulire tutto, persino gli schizzi di pomodoro sulle mattonelle. Un grande lavoro che veniva ripagato nelle nostre merende a base di salsa fatta in casa e fette di pane casereccio irrorate d’olio.
La salsa di pomodoro era soltanto la parte più impegnativa del lavoro estivo. Mia madre, preparava anche pesche, pere e grossi chicchi d’uva Italia, sotto sciroppo, nei barattoli di vetro con la gomma arancione a chiusura ermetica. Dovevano poi riposare almeno un mese, prima di essere aperti e gustati. L’attesa, per noi golosoni era snervante. Ce le guardavamo attraverso il vetro, quelle pesche arancione acceso, come tanti spicchi di sole, conservati per ridonare il calore nel freddo inverno.
La marmellata di visciole, la più amata era anche la più sudata. Non avevamo attrezzi adatti, perciò tutti erano addetti alla sgocciolatura. Un lavoro di pazienza, certosino, che se da una parte impegnava le mani, rese scure e macchiate dal succo di ciliegia, dall’altro faceva spaziare la mente, che divagava dietro ai sogni del momento.
Alcune finivano nel barattolo intere, seppellite dal biancore dello zucchero. Ne spuntava qualche piccola parte rubina dietro il vetro spesso. Venivano messe al sole del balcone esposto a sud. Pian piano, col calore lo zucchero fondeva e si mescolava ai succhi del frutto, diventando tutto un rosso cupo del color del Chianti. Ogni giorno, venivano scosse, per far amalgamare bene gli ingredienti. Uno shekerar di zucchero e ciliegie che non produceva rumore alcuno, ma contribuiva all’armonia di sapore che ne sarebbe scaturita in seguito.
Chiudeva la stagione la cotognata. Anni fa, queste frutta, ormai quasi scomparse dal normale circuito di mercato, si trovavano abbastanza facilmente dai produttori locali. Ora a me, tocca centellinare quelle che crescono nell’unico alberello in campagna, un tesoro di pomi d’oro.
Ci si potevano rimettere le dita nello sbucciare le cotogne, durissime nella polpa. La marmellata che ne usciva, allungata con un poco di succo di limone, era così spessa che spalmarla diventava un’opera di abilità.
Avevamo un appartamento in affitto al mare. L’aria di mare fa bene alla salute, diceva mia madre. In quella casa, arredata coi vecchi mobili di mio nonno, ormai scomparso, venivano stipate, in uno scaffale, uno sull’altro, i barattoli di marmellate, frutta sciroppata e pomodori, che avevamo preparato nei mesi caldi. I barattoli facevano la spola tra la città e il mare, un po’ come le brezze che spirano portando profumi e sapori della natura.
Ad ogni apertura di barattolo, un poco del caldo e dell’estate ne riusciva fuori, quando intabarrati nei maglioni dal collo alto, facevamo colazione con le marmellate e merenda col succo di pomodoro. Ci sembrava quasi di sentire ancora il profumo di salsedine.

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