Le streghe nell'Europa medievale...

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"Palantir"
00lunedì 20 ottobre 2003 01:28
Le streghe nell’Europa medievale erano adoratrici
del Diavolo o depositarie di antiche conoscenze?


E’ una notte di primavera, magari proprio la vigilia del 1 maggio, e per le campagne, sui monti, nei boschi, si accendono grandi fuochi. Centinaia di persone accorrono festose: la maggioranza povera gente, uomini, donne e anche bambini del popolo; pochi i nobili, principalmente, nell’anonimato. Ma intorno a quei fuochi non esistono differenze sociali: si è tutti lì per danzare, per mangiare (ciascuno porta qualcosa, le primizie del raccolto o, chi se lo può permettere, la carne di qualche capo macellato per l’occasione; tanti portano pane, torte, focacce), per bere e, soprattutto, per celebrare la primavera e l’estate incipiente, rallegrandosi perché anche quest’anno la Madre Terra gratificherà con il raccolto chi su di essa vive e la onora. E’ una notte di festa, durante la quale è concesso unirsi, uomini e donne, in piena libertà; e se nasceranno dei figli da queste unioni, saranno figli della Dea, onorati e rispettati per la loro provenienza numinosa. Un’occasione gioiosa e innocua, testamento di analoghi ritrovi a cui usavano recarsi i padri e i padri dei padri, che risalgono lungo le generazioni fino a un passato remoto e mai del tutto dimenticato.




Già da qualche giorno, sul sagrato del duomo, si stanno accatastando fasci di legna intorno a un palo, fissato verticalmente, triste parodia della croce del Cristo. Molte persone accorrono curiose, la maggioranza uomini ecclesiastici, medici, eruditi, ma anche gente del popolo. Le locande sono prese d’assalto, non c’è più posto da giorni, le stanze migliori, quelle che si affacciano direttamente sullo spiazzo, sono occupate dai personaggi più eminenti venuti da lontano. La gente parla a bassa voce, i movimenti sono contenuti, un’impalpabile aura di terrore serpeggia fra le strade e si fa più visibile negli occhi degli umili contadini, dei braccianti o degli artigiani.


Al grido: “Si brucia la strega!”, inizia il grande spettacolo di pubblica edificazione, a cui accorrono sbigottiti anche coloro che, la strega, la conoscevano bene. A uno di loro ha curato, con le sue arti luciferine, una grave polmonite; a un altro ha aggiustato una frattura; se quella donna non è morta di parto lo deve a lei e alla sua malefica conoscenza del corpo umano. Quando, nel giorno fatale, la guaritrice viene condotta al rogo su un carretto, legata mani e piedi, ma tenendo alta la testa rasata, passando in mezzo alla folla con un lievissimo sorriso, tutti si segnano, alcuni si voltano per non incontrare il suo sguardo, pochi piangono senza farsi scorgere: lacrime di gratitudine per una strega amica che si dirige verso il suo ultimo fuoco.




I termini “Europa” e “Medioevo”, di fatto, non significano nulla: non si può condensare in una parola un periodo storico e un’entità geografica tanto vasti, composti ciascuno da molteplici realtà eterogenee. In questa sede, tuttavia, vogliamo considerarli come un unicum, perché lungo tutto l’arco del Medioevo e del Rinascimento e in ogni regione d’Europa, benché con diversa intensità e frequenza, si sono visti ardere fuochi nei boschi, i falò intorno a cui danzavano le streghe, le cosiddette “amanti del Diavolo”, e nelle piazze, i roghi su cui venivano arse, emblematici spettacoli di purificazione dal Demonio. Nel Medioevo, infatti, Satana era presente ovunque: tutto ciò che deviava, o che avrebbe potuto essere sospetto di devianza dall’ortodossia morale e religiosa era opera del Male, che sceglieva per incarnarsi proprio gli elementi della società più deboli, vale a dire le minoranze religiose o etniche, i lebbrosi e, soprattutto, le donne. Poteva bastare che una donna sapesse leggere o scrivere perché intorno a lei aleggiasse un odore di zolfo; se poi conosceva anche il moto degli astri o le proprietà terapeutiche delle erbe, oppure osava curare malattie e affezioni di vario genere, ostentando una conoscenza del corpo umano che non era propria neppure dei medici (per lo più preti, teorici e filosofi che delegavano la chirurgia ai barbieri, in quanto vile azione sulla materia, inclini a provare ripugnanza per l’anatomia e per la fisiologia), allora il suo sapere non poteva che provenire dalle potenze infernali.

Il Diavolo, a quanto pare, non poteva fare a meno delle donne, in quanto ricettacolo di ogni male, queste creature meschine e peccaminose esistevano solo per portare l’uomo alla perdizione, e uno dei trucchi preferiti dal Maligno era proprio concedere alla donna la sapienza, che era e doveva restare una prerogativa soltanto maschile. Georges Duby, ne I peccati delle donne nel Medioevo (Editori Laterza, Bari, 1997), commenta il Livres de manières, composto al volgere del XII secolo da Stefano di Fougères, cappellano di corte di Enrico Plantageneto. L’opera, un poema in lingua latina scritto per l’edificazione dei cortigiani e redatto in stile brillante e leggero per renderne gradevole la lettura, dedica ampio spazio alla figura femminile, svelando quale creatura pestifera essa sia, in realtà, sotto le angeliche sembianze tanto amate dai poeti cortesi. L’ecclesiastico parla ai nobili e l’oggetto della sua riprovazione sono le dame, ma si può ragionevolmente asserire che in tutte le donne, di qualsiasi ceto, siano riconoscibili i difetti analizzati dal pio uomo. Tre sono essenzialmente i mali delle donne: innanzitutto, esse usano operare per cambiare il corso naturale delle cose. Mediante ricette di unguenti segreti, che si scambiano a vicenda, sussurrandole nel chiuso delle loro stanze, le dame cercano di modificare il loro aspetto per risultare più affascinanti: fanno uso di cosmetici e profumi che confondono gli uomini e ripugnano Dio, che non vuole che l’uomo cambi a proprio piacimento ciò che lui ha creato con somma perfezione. Ma questo non è nulla.



Il peggio è che le pozioni e i filtri delle donne hanno anche ben altri scopi, e di gran lunga più gravi: hanno potere anticoncezionale e abortivo, per liberarle dal frutto della colpa – a cui sono sempre pericolosamente vicine, a causa della loro irrefrenabile lussuria – o sono potenti veleni che, insieme a malefici e sortilegi, usano per svirilizzare o uccidere gli uomini e, nella fattispecie, i mariti. Le donne, poi, sono indocili e ribelli. Ecco perché lavorano nell’ombra per provocare la morte del legittimo sposo: esse non vogliono soggiacere alla dominazione del marito – o, se non sono ammogliate, del padre o del fratello maggiore – a cui sono obbligate per la loro condizione di creature inferiori. E’ così che queste “svergognate”, mentre rifiutano l’obbedienza imposta dal matrimonio o dai vincoli di parentela, si cercano un amante con cui intrattenere relazioni adulterine, contravvenendo a ogni regola divina e di buona morale. Questo perché, e siamo al terzo dei peccati femminili, le donne non sanno resistere ad alcuna tentazione. Travolte dalla lussuria, non fanno che cercare di portare gli uomini alla perdizione e non si accontentano dei mariti, a cui talvolta per malvagità rifiutano le loro grazie, ma arrivano addirittura a unirsi con valletti e servitori. Si può osservare come i tre vizi muliebri siano strettamente intrecciati fra loro: le donne, sfuggendo per perfidia al controllo dell’uomo a cui sono affidate, si danno indegnamente a chi preferiscono, legandolo con arti magiche, per poi sbarazzarsi del frutto del peccato con incantamenti diabolici.

E’ interessante osservare come il primo dei peccati elencati, intorno a cui ruotano i seguenti, si possa tradurre in poche parole: tutte le donne, dalla prima all’ultima, le popolane e le principesse, conoscono e si tramandano in segreto i poteri delle erbe; le peggiori sono quelle che, nottetempo, escono dal loro corpo per recarsi in volo presso luoghi segreti, dove possono unirsi con altre della loro specie e adorare il Demonio, scatenando la loro lascivia in feste immonde e pagane. In una battuta, le donne sono tutte streghe. Durante il Medioevo, gli uomini hanno temuto le donne e il loro sapere, e hanno cercato in tutti i modi di imbrigliarlo e controllarlo. Questa fobia collettiva e universalmente diffusa è sfociata in una delle più sistematiche persecuzioni della storia: la caccia alle streghe. Migliaia di donne, talvolta, addirittura bambine, hanno trovato la morte sul rogo o fra i tormenti della tortura. Molte di loro erano sapienti, le sagge che, nei culti pagani, avrebbero rivestito il ruolo di sacerdotesse, e donne buone che mettevano il proprio sapere al servizio di amici e vicini per ridare salute e speranza, laddove si trovava solo miseria e timore per il futuro; ma una volta scatenata l’ossessione, è finito sul rogo un numero impressionante di innocenti, accusate e condannate per malvagità o per vendetta da anonimi collaboratori della giustizia divina. Denunce di stregoneria fioccavano alle orecchie degli alti prelati investiti della carica di inquisitori, nate magari da chiacchiere di paese e pettegolezzi fra vicine e fomentate dalla violenta misoginia dell’epoca. Nate come “fate” (Vanna de Anglis, Le Streghe. Roghi, processi, riti e pozioni, Edizioni Piemme, Casale Monferrato, 1999) e benefattrici dell’umanità, le donne sagge, le erboriste e le levatrici divennero in questo modo creature infernali, relegate ai margini della società e a una vita di terrore. Si trattava, soprattutto, di donne coraggiose: amavano a tal punto l’umanità che erano disposte a rischiare la vita per continuare a esercitare la loro arte millenaria. Nonostante tutte le persecuzioni, infatti, la trasmissione del sapere da strega a strega non si è mai interrotta.

Non si può attestare l’esistenza effettiva di un culto che le legasse: molte di esse esercitavano in maniera indipendente le loro conoscenze, senza mai essere entrate in contatto con altre guaritrici; per alcune, invece, i ritrovi fra “dame” erano un’occasione per confrontarsi e accrescere il loro sapere. Che venissero celebrati rituali in onore di divinità pagane è certo, soprattutto, nelle campagne in epoca altomedievale, ma non mancano esempi di streghe che operavano isolate, conducendo sotto ogni altro rispetto una vita del tutto irreprensibile, senza alcuna apparente deviazione dall’ortodossia religiosa. Ma, veramente, queste donne, oltre a conoscere un sapere proibito, erano anche amanti del Diavolo, abituate a sgozzare galletti neri nel novilunio e bambini non battezzati per ricavarne gli unguenti che avrebbero permesso loro di raggiungere a volo il luogo del Sabba? Se si può ammettere che, fra le migliaia di streghe giustiziate, qualcuna può anche aver commesso dei delitti orrendi, risulta difficile immaginare questa gran folla diretta alle feste oscure, a cavallo di un manico di scopa. L’uso di determinate sostanze psicotrope può aver spinto i soggetti più suggestionabili a credere di volare, e la soggezione infusa dagli inquisitori può aver persuaso i più deboli ad ammettere di aver adorato il Demonio e di meritare, per questo, la penitenza e la morte.

Il vasto numero di “streghe” si divide, quindi, in due campi ben determinati: se, da un lato, si può attestare l’esistenza di una sorta di setta femminile, dedita allo studio delle scienze naturali al fine di procurare benessere e sollievo, dall’altro, la storiografia raccoglie numerose testimonianze di processi a donne malate di isteria e imbevute di ignoranza, realmente convinte di avere a che fare con potenze sovrannaturali e malvagie. E se le prime accettavano il loro destino con piena consapevolezza delle loro azioni, le seconde cercavano la giusta punizione che le avrebbe purificate dai loro misfatti. In entrambi i casi il rogo era un simbolo di sublimazione. Il fuoco e la luce: lo stesso fuoco e la stessa luce che illuminava la notte della vigilia di maggio.




blak.cat
00lunedì 20 ottobre 2003 09:35
MOLTO MOLTO MOLTO BELLO! [SM=x131219]
arielbianca
00lunedì 20 ottobre 2003 13:10
Drammatico,vero e molto ben scritto.
"Palantir"
00lunedì 20 ottobre 2003 17:16
son contento che abbiate gradito questo scritto!
anche io leggendolo ne sono rimasto affascinato, perchè privo di quella pesantezza che l'argomento può portare...
Terribile, bello, molto vero![SM=x131219]
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