Le mille e una notte...

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Nina§
00giovedì 8 giugno 2006 00:38
Mi hanno sempre affascinato le storie narrate ne..Le mille e una notte...

La storia di un re,Shahriyàr, che amareggiato per il fatto che la moglie lo avesse tradito fa nascere dentro di sè e coltiva un odio viscerale verso tutto il genere femminile odio per il quale egli ordina al vizir, padre della bella Sharazad, una vergine per ogni notte, ogni notte trascorsa la quale le faceva uccidere. E questo finchè Sharazad si offre di passare la notte con il re, nel tentativo di fermare quella insensata strage di innocenti....
Shahrazàd utilizza lo strumento più bello che ogni donna ha dentro di sè e che dovrebbe sempre utilizzare...la capacità di tenere sveglia la curiosità di un uomo e così per evitare la morte per mille e una notte rende partecipe il re dei suoi racconti. Quando Shahrazàd smette di raccontare, il re ha ormai dimenticato per amor suo l'antico odio per le donne.
Se il Sire di questa corte acconsente, mi piacerebbe postare alcuni brani...intanto nell'attesa del suo consenso ne posto uno!





Storia di una donna e dei suoi cinque corteggiatori


Mi è venuto in mente, o re felice, che c'era una volta, nel tempo andato, in una certa città, una donna, figlia di ricchi mercanti, la quale aveva un marito che era un gran viaggiatore. Ora accadde che una volta questo marito partì per visitare paesi lontani e la sua assenza si prolungò a tal punto che la moglie fu colta da grandissima noia, e non potendo più sopportare la sua solitudine, tanto più che era molto bella e nel fiore degli anni, accettò la corte di un giovanotto figlio di mercanti.
I due si amarono con tanta passione che da quel momento le giornate parvero alla donna non già lunghe ma brevissime e, poiché il giovane era instancabile nel dare quanto la donna era insaziabile nel prendere, così fra il dare e il prendere il tempo cominciò a scorrere molto lietamente e la donna smise di lagnarsi per la lunga assenza del marito viaggiatore.
Ora avvenne che un giorno questo giovanotto litigò con un uomo e lo picchiò e quest'uomo andò dal capo della polizia a sporgere denuncia, e il giovanotto venne preso e gettato in carcere.
Quando l'amante seppe che il giovanotto era stato chiuso in prigione, si disperò moltissimo e quasi perdette il senno, ma poi ci ripensò meglio; si vesti con gli abiti più belli e si recò a casa del capo della polizia. Lo salutò con un grazioso inchino e gli porse la seguente petizione scritta: " Colui che tu hai gettato in carcere è il Tal dei Tali mio fratello, il quale ha litigato con un certo Tizio; ma la cagione del litigio e il modo in cui si sono svolte le cose ti sono stati falsamente riferiti da testimoni non degni di fede. Perciò mio fratello è ora ingiustamente chiuso nelle tue carceri, e io sono rimasta sola e senza alcuno che provveda a me. Imploro quindi la tua clemenza affinché egli venga liberato. "
Quando il capo della polizia ebbe letto la supplica, osservò la donna, vide che era bella, e subito fu preso dal desiderio di possederla; perciò le disse: " Entra un momento nelle mie stanze, fintanto che io abbia risolto questa faccenda. Dopo, potrai portarti via tuo fratello. " " Signore mio, " rispose la donna; " solo Allàh Onnipotente è il mio protettore; io sono straniera in questa casa e non posso entrare nelle tue stanze. " " Parliamoci chiaro, " replicò il capo della polizia, " se vuoi che tuo fratello venga liberato, non v'è altro mezzo se non questo: che tu entri nelle mie stanze lasciando che io prenda di te tutto il mio piacere. " Quando udì queste parole, la donna sospirò e rispose: " Se così deve essere né v'è altro modo di fare uscire mio fratello dal carcere, sarà meglio che tu venga a casa mia, dove potrai riposare tutto il giorno senza che alcuno ci disturbi, e il mio onore sarà salvo. " " E dov'è casa tua? " " Nel tal posto, " rispose la donna, e gli fissò un appuntamento. Poi se ne andò lasciandolo pieno di desiderio e impaziente di soddisfarlo.
Visto come si erano messe le cose, la donna pensò di andare dal giudice della città, al quale disse: " 0 mio signore, sei tu il cadì di questa città? " " Sì! " rispose il cadì. " Ebbene, mio signore, degnati di considerare con clemenza il mio caso e l'altissimo non mancherà di ricompensarti! " Allora il cadì disse: " Quale torto ti è stato fatto? " E la donna rispose: " Signore mio, io ho un fratello e non ho altri a questo mondo che mi sostenga e mi protegga; ed è appunto per causa sua che sono venuta da te; infatti, il capo della polizia lo ha messo in prigione come un delinquente perché certi uomini hanno fatto contro di lui falsa testimonianza. Ora io ti supplico d'intercedere per lui presso il capo della polizia. "
Udendo queste parole, il cadì si avvicinò alla donna, la guardò e fu preso da violenta passione per lei, così che le disse: " Entra in casa e riposati un momento in compagnia delle mie schiave mentre io mando al capo della polizia l'ordine di liberare tuo fratello. E se ci sarà un'ammenda da pagare, la pagherò io di tasca mia, a patto che tu lasci ch'io sfoghi con te il mio desiderio perché il tuo bel modo di parlare mi ha reso innamorato di te."
Allora la donna disse: " Se tu, signore mio, fai queste cose, allora non possiamo più biasimare nessuno. " E il cadì replicò: " Se non entri in casa, puoi pure andartene per i fatti tuoi. " La donna sospirò, come se fosse rassegnata, e disse: " Se, così deve essere, signore, sarà meglio che questa cosa avvenga in casa mia, perché qui ci sono schiave, eunuchi e gente che va e gente che viene, e io sono una donna che non è abituata a simili faccende, e se lo faccio è perché vi sono costretta. " " E dov'è casa tua? " " Nel tal posto, " rispose la donna, e gli diede appuntamento per lo stesso giorno in cui aveva dato appuntamento al capo della polizia.
Uscita da casa del cadì, si recò nel luogo dove stava il visir, e dopo avergli presentato la petizione spiegandogli che aveva assolutamente bisogno dell'assistenza del fratello, lo supplicò d'intercedere in suo favore. Ma anche il visir, dopo avere osservato le forme graziose della donna, le disse che suo fratello poteva essere liberato solo se ella acconsentiva a fare subito con lui quella tal cosa.
Allora la donna gli disse: " Se non è possibile farne a meno, facciamola almeno a casa mia, un luogo più discreto per me e per te. Non è distante, e tu sai che noi donne amiamo la pulizia e gli agi. " " E dov'è casa tua? " " Nel tal posto, " rispose la donna, e gli fissò lo stesso appuntamento che aveva dato agli altri due.
Lasciato il 'visir, la donna si recò dal re della città, che stava seduto in trono, e dopo avere baciato la terra davanti ai suoi piedi lo supplicò che liberasse dal carcere il fratello. " Chi lo ha imprigionato? " domandò il re. E la donna rispose: " E stato il tuo capo della polizia. " Ma intanto il re, che l'aveva sentita parlare e aveva osservato la delicatezza delle sue forme, si senti bruciare il cuore da violento amore e ordinò alla donna di entrare con lui nel palazzo, mentre egli avrebbe dato ordine al cadì di liberare il fratello. " 0 potente signore, " rispose la donna, " non potrei andare ad aspettare mio fratello a casa mia, o recarmi io stessa a prenderlo alle carceri? " " Questo non può essere, " rispose il re, " perché io sono stato preso da grande amore per te ed è assolutamente indispensabile che io soddisfi questa passione. Se io non farò con te ciò che il marito fa con la moglie, tu non rivedrai mai tuo fratello. " " 0 re potentissimo, " rispose la donna baciando la terra davanti al sovrano, " a te nessuno può resistere ed è facile per te ottenere quello che chiedi, con le buone o con le cattive. Io sono felice che tu abbia posto gli occhi sopra di me, ma sarò ancor più felice se tu vorrai onorare con la tua presenza la mia casa, che è un luogo discreto ed appartato dove nessuno potrà interromperci. " E il re rispose: " In questo non voglio contraddirti. "
Allora la donna indicò al re dove fosse la sua casa e gli fissò lo stesso appuntamento che aveva fissato agli altri tre.
Così la donna uscì dal palazzo reale e si recò da un tale che faceva il falegname e gli disse: "Voglio che tu mi faccia per il tal giorno un armadio molto robusto, a quattro piani. Le misure devono essere queste e queste e voglio che ogni ripiano abbia un suo sportello e che questo sportello si chiuda con un solido catenaccio. Ora dimmi qual è il tuo prezzo, ché io te lo pagherò. "
Il falegname, che aveva adocchiato la sua cliente mentre costei parlava, rispose: " Signora mia, il tempo che tu mi dai per costruire quest'armadio è poco e se io dovessi chiederti un prezzo non potrei chiederti meno di quattro dinàr d'oro. Ma, se tu vorrai entrare un momento nel mio retrobottega per chiacchierare un poco, forse potremmo intenderci, e io ti fabbricherei l'armadio senza chiederti nemmeno un soldo. "
La donna rispose: " Certo, l'idea di risparmiare quattro dinàr d'oro non mi ripugna, ma ti pare che il tuo retrobottega sia il luogo adatto per fare il genere di discorsi che tu vuoi fare con me? lo credo che staremo molto più comodi e a nostro agio in casa mia, così, se tu mi porterai domani questo armadio, fatto come t'ho detto... A proposito, già che ci sei, sarà meglio che tu lo faccia di cinque ripiani invece che di quattro... ti prometto che discorreremo con tutta calma e tanto a lungo finché avrai fiato per discorrere. " A queste parole il falegname soddisfatto rispose: " Sia come tu vuoi, signora. Domani ti porterò l'armadio finito di tutto punto. "
Sistemata anche questa faccenda, la donna si recò a casa sua, prese quattro vesti da casa del marito e le portò dal tintore ordinandogli di tingerle in quattro colori diversi. Quindi si occupò a preparare tutto l'occorrente in fatto di cibi, bevande, fiori e profumi.
Il giorno dell'appuntamento, la donna si vesti con il suo abito più ricco e più bello, si acconciò e si profumò, stese per terra morbidi e sontuosi tappeti, quindi si sedette in attesa del primo che sarebbe venuto. Ed ecco che il primo a presentarsi fu il cadì: quando la donna lo vide, si alzò, gli andò incontro e dopo aver baciato la terra davanti a lui lo prese per mano e lo fece sedere su un divano. Poi la donna si sdraiò accanto a lui e cominciò a scherzare e a fargli mille moine, sì che il cadì senti agitarsi dentro di sè l'eredità di suo padre e volle soddisfare subito il suo desiderio, ma la donna gli disse: " Signore mio, togliti codesti abiti e codesto turbante e mettiti indosso questa vestaglia gialla, e poniti in testa questo fazzoletto mentre io porto cibi e bevande. Dopo che ci saremo rifocillati, farai quello che vorrai. "
Così dicendo, gli prese gli abiti e il turbante e gli mise la vestaglia e il fazzoletto. Ma ecco che si senti bussare alla porta e il cadì chiese: " Chi è che bussa alla porta? " E la donna rispose: " Mio marito. " Allora il cadì disse: " E ora cosa si fa? Dove posso andare? " " Non aver paura, " disse la donna, " ti nasconderò in questo armadio. " " Fa' tu come ti sembra meglio. "
Così la donna lo prese per mano e lo spinse nel ripiano più basso dell'armadio. Poi chiuse lo sportello con il catenaccio e andò alla porta di casa dove trovò il capo della polizia. La donna s'inchinò a baciare la terra davanti a lui, poi lo prese per mano e lo condusse nella sala dove lo fece sedere sul divano e gli disse: " Mio signore, questa casa è la tua casa, questa dimora è la tua dimora ed io sono la tua serva; passeremo insieme una intera giornata, perciò togliti codesti abiti e indossa questa vestaglia rossa. " Così gli tolse gli abiti, gli fece indossare la vestaglia rossa e gli mise in capo un vecchio fazzoletto che aveva in casa; dopo di che si sedette accanto a lui sul divano e cominciò a fargli carezze e moine, mentre il capo della polizia l'abbracciava e la toccava ed era in un mare di delizie. A questo punto la donna gli disse: " Signore, questa giornata è tutta tua e nessuno la dividerà con te; ma prima usami il favore e la cortesia di scrivermi un ordine per il rilascio di mio fratello, così che io possa godere della tua compagnia con animo più leggero. " " Ascolto e obbedisco, " disse il capo della polizia; " per la mia vita e per i miei occhi avrai l'ordine! " E sull'istante scrisse al suo intendente una lettera del seguente tenore: " Appena riceverai questo messaggio, libera senza indugio il Tal dei Tali e non opporre al latore della presente alcuna difficoltà. " Poi appose il sigillo alla lettera e la consegnò alla donna, la quale, dopo averla riposta accuratamente, si sdraiò di nuovo sul divano e ricominciò a scherzare con il capo della polizia. Sennonché, a un certo punto qualcuno bussò alla porta. " Chi sarà mai? " chiese il capo della polizia. E la donna rispose: " Mio marito. " " E adesso che cosa faccio? " " Entra in questo armadio e restaci finché non lo avrò mandato via con un pretesto e potrò ritornare da te. " Ciò detto, lo ficcò nel secondo ripiano dell'armadio a cominciare dal basso e poi chiuse col catenaccio lo sportello; e intanto il cadì, che era chiuso nel ripiano inferiore, sentiva tutto quello che dicevano.
Poi la donna andò alla porta di casa, la apri, ed ecco che entrò il visir. Ella si inginocchiò davanti a lui e baciò la terra e lo ricevette con tutto l'onore e il rispetto dicendo: " o mio signore, tu mi fai un grande onore entrando in questa casa; che Allàh non ci tolga mai la luce della tua presenza! "
Quindi lo fece sedere sul divano e gli disse: " Signore, togliti questi abiti pesanti e il turbante e indossa questa veste più leggera. " Così dicendo, gli tolse gli abiti e il turbante e gli mise indosso una sorta di tunica azzurra con un alto cappuccio rosso. " Gli abiti che avevi erano quelli della tua carica, " gli disse, " ma ogni circostanza vuole il suo abito, e perciò è giusto che ora tu indossi questa veste leggera, che meglio si addice alle schermaglie amorose, allo spasso e al sonno. " Ciò detto, ella si sdraiò sul divano e cominciò a scherzare con il visir, finché questi senti che quella tal cosa non poteva più essere rimandata; ma la donna lo allontanò dicendo: " Signore mio, perché tanta fretta? Non ci mancherà certo il tempo. "
E mentre stavano chiacchierando ecco che si senti bussare alla porta e il visir le chiese: " Chi è mai? " " Mio marito. " " Che devo fare? " chiese il visir. " Entra in questo armadio, " disse la donna. " Non appena mi sarò sbarazzata di lui tornerò da te. Intanto, tu non aver paura di nulla. " Così lo fece entrare nel terzo ripiano dell'armadio e chiuse lo sportello con il catenaccio; dopo di che andò alla porta di casa, davanti alla quale c'era il re in persona.
Non appena ella vide il sovrano, baciò la terra davanti a lui e, presolo per mano, lo condusse nella sala e lo fece sedere con grande rispetto sul divano dicendogli: " In verità, o re, tu mi fai un altissimo onore, tanto che, se io ti offrissi il mondo intero e tutto ciò che esso contiene, tale dono non varrebbe uno solo dei passi che tu hai fatto per venire fin qui. " Poi, dopo essersi di nuovo inchinata e aver baciato la terra davanti al sovrano, gli disse: " Concedimi di dire una parola. " " Di' quello che vuoi,,," rispose il re, e allora la donna disse: " 0 mio signore, mettiti a tuo agio e togliti questi abiti e questo turbante. " Il re, ben lieto di accontentarla, si tolse di dosso gli abiti, che valevano per lo meno mille dinàr, e si mise addosso una vestarella sdrucita che valeva tutt'al più dieci dirham.
Poi la donna si mise a chiacchierare e a scherzare con lui; e mentre tutto ciò accadeva, gli altri che erano chiusi nell'armadio sentivano ogni cosa ma non osavano dire una parola.
E dopo un poco che erano lì a scherzare, il re, sentendo l'imprescindibile urgenza di possedere la giovane, allungò le mani per slacciarle gli abiti; ma quella gli disse: " Questa cosa avremo tempo di farla quante volte vorremo, ma prima io desidero che tu ti rifocilli e accetti ciò che ho preparato appositamente per te. "
Ma ecco che, mentre stavano parlando, si sentì picchiare alla porta, e il re chiese alla donna: " Chi è che bussa? " " Mio marito. "
Allora il re si corrucciò e disse: " Fa' che se ne vada con le buone, altrimenti verrò io alla porta e lo costringerò ad andarsene. " " Questo non starebbe bene, mio signore, " rispose la donna; " abbi pazienza e lascia che sia io a mandarlo via con qualche stratagemma. " " Ma intanto io che cosa farò? " Allora la donna lo prese per mano, lo fece entrare nel quarto ripiano dell'armadio e chiuse lo sportello con il catenaccio. Poi andò ad aprire la porta di casa ed ecco che entrò il falegname e la salutò.
E come lo vide la donna lo affrontò dicendogli: " Che razza di armadio mi hai fabbricato? " " Cosa c'è che non va, mia signora? " s'informò il falegname. E quella rispose: " Il ripiano in cima è troppo stretto. " Rispose il. falegname: " Questo non può essere. " E la donna: " Entra e vieni a vedere con i tuoi occhi; è così stretto che non ci entreresti nemmeno tu. " Al che il falegname rispose: " L'ho fatto tanto grande che ci entrerebbero quattro persone. " E dicendo ciò si infilò nel quinto ripiano; ed ecco che la donna gli chiuse addosso lo sportello mettendo il catenaccio. Poi prese la lettera del capo della polizia e si recò dall'intendente, il quale, dopo aver letto il messaggio e averlo baciato, consegnò alla donna il giovane amante. Ella raccontò all'amico tutto quello che aveva fatto, e questi disse: " E adesso,. come dovremo comportarci? " " Ce ne andremo in un'altra città, " rispose la donna, " perché dopo questa faccenda qui non è più aria per noi. "
Così i due presero tutti i loro averi, compresi gli abiti preziosi dei personaggi che erano rinchiusi nell'armadio, e dopo aver caricato ogni cosa sui cammelli partirono per un'altra città.
Intanto, i cinque chiusi nell'armadio se ne stavano in silenzio per paura che in casa ci fosse qualcuno e si accorgesse di loro.
E rimasero così per tre giorni e tre notti, senza mangiare, senza bere e senza poter soddisfare i bisogni corporali, fino a che il falegname, che aveva una gran voglia di orinare, non poté più trattenersi e mollò una gran bagnata in testa al re, e il re minse in testa al visir, e il visir orinò in testa al capo della polizia, e il capo della polizia pisciò in testa al cadì, il quale come sentì cadere quella gran pioggia cominciò a gridare:
" Che razza di porcheria è questa? Non basta che si debba stare chiusi qui dentro, dobbiamo anche sentirci pisciare in testa? " Allora il capo della polizia riconobbe la voce del cadì e gli gridò: " Che Allàh ti rimeriti, o cadì! " E così il cadì seppe che sopra di lui c'era il capo della polizia. Poi il capo della polizia alzò anch'egli la voce e disse rivolto a quello del piano di sopra: " Che razza di porcheria è questa? " E il visir di rimando: " Che Allàh ti rimeriti, o capo della polizia! " Cosi il capo della polizia seppe che sopra di lui c'era il visir. A sua volta il visir si mise a gridare: " Che razza di porcheria è questa? " Ma quando il re udì la voce del suo ministro rimase zitto e non si diede a conoscere. Allora il visir disse: " Allàh maledica colei che ci ha fatto questo scherzo! Quella dannata femmina è riuscita a chiudere in questo armadio i maggiori dignitari dello stato, fatta eccezione per il re. " Allora il re non si poté più trattenere ed esclamò: " Taci, o visir, perché io sono stato il primo a cadere nella rete di questa infame puttana. "
A questo punto il falegname cominciò a gridare: " E io in tutto questo che cosa c'entro? Le ho fabbricato un armadio per quattro dinàr d'oro, e, quando sono venuto a riscuotere, con un inganno mi ha fatto entrare qui e mi ci ha chiuso dentro. " Poi tutti e cinque cominciarono a chiacchierare per distrarre il sovrano e per non pensare ai loro guai.
E mentre ciò accadeva ecco che tornò dal suo lungo viaggio il marito della donna e, arrivato davanti alla porta di casa sua, cominciò a bussare. Ma per quanto bussasse nessuno gli veniva ad aprire. Allora si rivolse ai vicini e chiese notizie della moglie, ma questi non ne sapevano nulla ed anzi si meravigliavano moltissimo che nessuno andasse ad aprire perché fino a tre giorni prima avevano visto la donna che entrava ed usciva. Allora, temendo che fosse successa qualche disgrazia, sfondarono la porta ed entrarono tutti in casa con il marito in testa; e quando furono arrivati nella sala videro quel grande armadio, dal quale veniva uno strano rumore di voci. " Sicuramente, " disse un vicino, " questo armadio è abitato da spiriti maligni.
La cosa migliore da fare è di prenderlo e dargli fuoco. " Quando quelli che stavano dentro sentirono ciò, cominciarono a gridare: " Non lo fate! Non lo fate! " Allora il marito e i vicini si dissero l'un l'altro: " Questi sono proprio spiriti maligni, che per farci credere di essere creature mortali parlano con voce di uomini. " Udendo queste parole, il cadì cominciò a recitare alcuni versetti del Corano acciocché quelli che erano di fuori fossero sicuri che quelli che erano dentro non erano spiriti maligni. Poi disse ai vicini: " Avvicinatevi all'armadio in cui siamo rinchiusi. " E quando quelli furono vicini disse: "lo sono il cadì, e ho riconosciuto fra voi la voce del tale e del tal altro e sappiate che qui dentro non sono solo. " " Ma si può sapere chi vi ha ficcato lì dentro? " chiese il marito della donna. Allora il cadì raccontò dal principio alla fine tutto quanto era accaduto. Dopo di che mandarono a chiamare un falegname, il quale ruppe i cinque catenacci, apri i cinque sportelli ed ecco che uno dopo l'altro uscirono dall'armadio il cadì, il capo della polizia, il visir, il re e il falegname; e poiché erano vestiti con gli strani abbigliamenti che aveva posto loro indosso la donna, guardandosi l'un l'altro cominciarono a ridere di quella straordinaria avventura. Alla fine il re, vedendo in un canto il marito della donna, che era l'unico a non ridere di tutta quella faccenda, per consolarlo lo nominò suo visir della mano sinistra. Poi, dato che le più alte cariche dello stato non potevano comparire al cospetto della gente in quella buffa tenuta, furono mandati a prendere altri vestiti e ognuno assunse così l'aspetto che competeva alla sua alta posizione, dopo di che ciascuno se ne andò per i fatti suoi.
Nina§
00giovedì 8 giugno 2006 14:23
La storia di Abu Qir e Abu Sir



Il Sire nn dice niente...e io ne posto un'altra!


C'erano una volta, nella città di Alessandria, due uomini di cui uno faceva il tintore e si chiamava Abu Qir e l'altro il barbiere e si chiamava Abu Sir; e questi due uomini erano vicini al mercato perché le loro botteghe si trovavano l'una accanto all'altra. Il tintore era un imbroglione e un bugiardo impudente e aveva una faccia come se fosse stata intagliata nella pietra dura o peggio ancora nei gradini di una sinagoga; infatti non si vergognava degli imbrogli che combinava ai danni della gente.
Costui aveva l'abitudine, quando qualcuno gli portava della stoffa da tingere, di farsi pagare il prezzo in anticipo, dicendo che il denaro gli serviva per comprare le tinture; invece, lo sperperava in cibi e bevande, e non di quelli comuni ma dei più squisiti e raffinati che ci fossero. E quando aveva speso i soldi vendeva anche la stoffa del cliente e il ricavato lo consumava pure in cibi e bevande. Poi, quando il cliente si presentava da lui, gli diceva: " Ripassa domani prima dell'alba e troverai la tua stoffa tinta. " E quello se ne andava in pace pensando: " Un giorno non è lontano dall'altro! " E ritornava il giorno dopo, ma il tintore gli diceva: " Fammi il piacere di ripassare domani, perché ieri non ho lavorato in quanto ho avuto ospiti a casa e ho dovuto intrattenerli, come si conviene ad ogni buon musulmano. Torna domani all'alba e troverai la tua stoffa tinta. " E quando il cliente ripassava l'indomani mattina si sentiva dire dal tintore: " Abbi pazienza, ripassa domani perché ieri mia moglie ha partorito e io sono stato occupato tutto il giorno. " E così, con un pretesto o con un altro, rimandava sempre il cliente, finché questi perdeva la pazienza e gli diceva: " Ma insomma quanto tempo andrai avanti a dirmi: Ridammi la mia stoffa perché non voglio più farla tingere. " Allora il tintore prendeva a battersi il petto, alzava le braccia al cielo e diceva: " Per Allàh, fratello mio, io arrossisco davanti a te, ma bisogna pure che ti dica la verità e possa Allàh castigare coloro che danneggiano la brava gente,! " " Insomma, " diceva il cliente, " che cosa è successo? " " Sappi, fratello mio, " diceva il tintore, " che io feci quello che tu mi avevi ordinato e tinsi la stoffa in modo perfetto e la misi ad asciugare sulle funi. Ma ecco che mentre stava lì ad asciugare qualcuno la rubò e io non so chi sia stato. " Allora, se il cliente era di indole pacifica, esclamava: " Allàh mi compenserà! " e se ne andava per i fatti suoi; se invece era un tipo collerico, cominciava a gridare e a insultare il tintore, ma non riusciva mai a cavar fuori qualcosa da costui, nemmeno trascinandolo in tribunale. E così il tintore andò avanti per un pezzo a imbrogliare la gente, finché la voce delle sue malefatte non cominciò a spargersi per la città, sì che nessuno volle più servirsi da Abu Qir, la cui malizia era diventata proverbiale, e ormai cadevano nei suoi imbrogli solo gli stranieri e coloro che non lo conoscevano. In conseguenza di ciò, gli affari cominciarono a languire ed egli aveva preso l'abitudine di andarsene nella bottega del vicino, il barbiere Abu Sir, e di starsene seduto lì mentre teneva d'occhio la porta del suo negozio. E se vedeva qualche sconosciuto con della stoffa in mano che si fermava davanti alla sua bottega, subito si alzava e si faceva incontro al cliente chiedendogli: " Che cosa cerchi? " E quello gli diceva: " Prendi questa roba e tingimela. " Allora il tintore gli chiedeva: " In che colore vuoi che la tinga? " perché, sebbene fosse un imbroglione, era però espertissimo nella sua arte ed era capace di tingere in ogni colore, ma a causa delle cattive azioni che commetteva era ridotto a lottare contro la miseria. Così Abu Qir prendeva la stoffa, si faceva dare il prezzo in anticipo e quando l'ignaro cliente se n'era andato, subito correva al mercato a venderla e con il ricavato comprava carne, verdura, tabacco e non si sa quante altre cose. Se però sulla porta della bottega vedeva qualcuno che gli aveva già portato della stoffa da tingere, allora rimaneva nascosto dal barbiere e si guardava bene dal mostrarsi.
In questo modo andò avanti un anno dopo l'altro, fino a che un giorno capitò da lui un uomo di quelli che vanno per le spicce e gli diede della stoffa da tingere e il tintore come al solito la vendette e ne sperperò il ricavato. Il padrone della stoffa tornò un giorno dopo l'altro senza mai riuscire a trovare il tintore in bottega, perché questi, non appena vedeva di lontano quel cliente dai modi bruschi, subito scappava a rifugiarsi nella bottega del barbiere Abu Sir. Alla fine quel tale, vedendo che non riusciva a combinare nulla, si stancò e si rivolse al cadì. Questi ordinò ai suoi uscieri di andare a sequestrare la stoffa del cliente nel negozio ma, quando gli uscieri arrivarono alla bottega di Abu Qir, non vi trovarono dentro nemmeno un pezzetto di stoffa né alcuna cosa che avesse valore. Allora, in presenza di un certo numero di musulmani, chiusero le porte, le inchiodarono e il capo degli uscieri, presa la chiave della bottega, disse ai vicini: " Fate sapere ad Abu Qir il tintore che se rivuole la chiave si presenti al cadi con la stoffa del tale. " Allora Abu Sir disse ad Abu Qir: " Si può sapere che imbroglio è questo? Ogni volta che ti portano della stoffa da tingere, tu la perdi! Dove è finita la stoffa di quel tale? " " Mio caro vicino, " rispose il tintore, " me l'hanno rubata. " " Questo è un portento! " esclamò il barbiere. " E' mai possibile che tutte le volte che qualcuno ti dà della stoffa da tingere i ladri te la rubino? Forse che la tua bottega è diventata il luogo di ritrovo di tutti i mariuoli della città? lo ho la sensazione che tu menti. Perciò raccontami la verità. " " Ebbene, vicino caro, " rispose Abu Qir, " sappi che nessuno mi ha mai rubato nulla. " " Ma allora che cosa ci fai con la roba della gente? " E il tintore rispose: " Ogni volta che qualcuno mi porta della stoffa da tingere, io la vendo e spendo i soldi che ne ricavo. " " E questo ti è permesso da Allàh? " fece Abu Sir. " Lo faccio solo perché vi sono costretto dalla povertà: gli affari vanno male e io non guadagno abbastanza per vivere. " E il tintore andò avanti a lamentarsi del suo mestiere dicendo che non gli dava abbastanza per vivere e che gli affari andavano ogni giorno peggio. Anche Abu Sir si lagnò dei pochi guadagni che faceva con il suo lavoro: " Nel mio mestiere io sono maestro e non ho eguali in questa città; eppure nessuno viene a radersi da me perché la mia bottega è povera; cosi, fratello mio, ho finito per odiare questo lavoro. " " Anch'io odio il mio, per via del fatto che non mi serve a niente, " fece Abu Qir. " Ma allora io dico, fratello mio, perché restiamo in questa città? Andiamocene, tu e io, in qualche altro paese; abbiamo per le mani due mestieri che sono ricercati in tutto il mondo; cosi cambieremo aria e nello stesso tempo ci toglieremo da tutti questi guai. " E tanto disse che il barbiere finì per convincersi che l'idea era buona; e così rimasero d'accordo di partire insieme.
Dopo che la cosa fu decisa, Abu Qir disse ad Abu Sir: " Vicino mio, ora siamo diventati come fratelli e fra noi non c'è differenza. Perciò ritengo che dovremo recitare la fàtiha per impegnarci a questo: che colui il quale trova lavoro per primo dovrà con i suoi guadagni sostentare quello che rimane disoccupato. Ciò che avanza lo metteremo in una cassetta e quando saremo tornati ad Alessandria ce lo divideremo secondo giustizia. " " Così sia, " rispose Abu Sir, e con questo accordo lessero il capitolo iniziale del Corano. Poi Abu Sir chiuse la propria bottega e restituì le chiavi al padrone, mentre Abu Qir lasciava che l'usciere del cadì si tenesse le chiavi della sua bottega, la cui porta era inchiodata. Fatto questo, presero tutte le loro cose e la mattina dopo si imbarcarono per il salso mare su una galea. Partirono quello stesso giorno e le cose cominciarono subito a mettersi bene perché, per buona fortuna di Abu Sir, sulla nave non c'era nemmeno un barbiere, sebbene vi fossero centoventi passeggeri più il capitano e la ciurma. Perciò quando furono partiti il barbiere disse al tintore: " Fratello mio, ora siamo in mare e avremo bisogno di mangiare e di bere; ma le nostre provvigioni sono scarse e forse il viaggio sarà molto lungo; perciò prenderò la bacinella e gli altri attrezzi e me ne andrò fra i passeggeri e chissà che qualcuno non mi dica: < Vieni, o barbiere, e fammi la barba >, e io lo raderò per una focaccia, per una moneta d'argento o per un po' d'acqua. Penso che l'idea possa tornare a tutto vantaggio mio e anche tuo. " " Non ci vedo nulla di male, " rispose il tintore e si mise a dormire mentre il barbiere prese gli strumenti e il bacile, si gettò sulle spalle uno straccio a mo' di asciugamano, perché era un barbiere povero, e se ne andò in giro fra i passeggeri. Ed ecco che un tale gli disse: " Ehilà, maestro, fammi la barba! " E quando fu ben rasato il cliente diede mezzo dirham ad Abu Sir il quale però gli disse: " Fratello mio, questa moneta mi serve a poco in mezzo al mare. Se tu mi dessi una focaccia sarei più contento perché io ho un compagno che viaggia con me e abbiamo poche provviste. "
Così il cliente gli diede una focaccia e una fetta di formaggio e gli riempì il bacile di acqua fresca. Il barbiere portò queste cose ad Abù Qir e gli disse: " Mangia il pane e il formaggio e bevi l'acqua. " Così quello mangiò e bevve mentre Abu Sir con i suoi attrezzi e il bacile e lo straccio sulle spalle tornava a girare fra i passeggeri. Un cliente gli diede due focacce, un altro un pezzo di formaggio e tutti cominciarono a richiedere i suoi servizi perché non c'era un altro barbiere a bordo. Allora Abu Sir cominciò a stabilire lui i prezzi e quando qualcuno gli diceva: " Ehilà, maestro, radimi! " lui chiedeva due focacce e mezzo dirham e i clienti glieli davano senza fiatare, così che quando arrivò la sera aveva già messo insieme trenta dirham, oltre a una quantità di formaggio, di olive e di bottarga. Fra gli altri, rase anche il capitano con il quale si lamentò delle poche provviste che aveva; e quello allora gli disse: " Tu sei il benvenuto! Vieni ogni sera a cenare da me con il tuo compagno e non preoccuparti di nulla finché viaggerai su questa nave. "
Allora il barbiere tornò dal tintore, che stava ancora dormendo, e lo svegliò; e quando Abu Qir aprì gli occhi e vide tutta quell'abbondanza di pane, di formaggio, di olive e di bottarga chiese: " Da dove viene tutta questa roba? " " Dalla generosità 'dell'Onnipotente, " rispose Abu Sir. Abu Qir avrebbe voluto subito mettersi a mangiare, ma il barbiere gli disse: " Non mangiare questa roba, fratello mio, lasciamola per un'altra occasione. Sappi infatti che anche il capitano è mio cliente e mi sono lamentato con lui delle poche provviste che avevamo. E allora lui mi ha detto: Così stasera cominceremo ad andare a cena da lui. " Ma Abu Qir rispose: " Non posso alzarmi, perché la testa mi gira a causa del mal di mare: perciò lascia che mangi questa roba e tu va' a cena dal capitano. " " In questo non ci vedo niente di male, " rispose Abu Sir, e si mise a sedere a guardarlo mentre mangiava. Vide così che strappava pezzi di focaccia come il cavatore strappa le pietre dalla cava e inghiottiva i bocconi come un elefante che non abbia mangiato da dieci giorni, e non aveva ancora ingollato un boccone che già se ne cacciava in bocca un altro e fissava quello che aveva in mano con gli occhi voraci di un orco, e sbuffava e soffiava come un toro affamato davanti alla paglia e alle fave.
Ma ecco che venne da loro un marinaio e disse al barbiere: " Maestro, il capitano invita a cena te e il tuo compagno. " Allora il barbiere disse al tintore: " Non vuoi venire con noi? " E quello rispose: " Non posso muovermi. " Così il barbiere andò da solo e trovò il capitano, seduto davanti ad un vassoio carico d'una ventina e più di piatti, che insieme con i suoi commensali aspettava lui e il suo compagno. Quando il capitano lo vide, gli chiese: " Dov'è il tuo amico? " E Abu Sir rispose: " Signore mio, ha il mal di mare. " Allora il capitano gli disse: " Non è niente di male; gli passerà presto; tu portagli la sua parte della cena e torna qui che ti aspettiamo. " Poi il capitano mise in un piatto un poco di ogni pietanza e ne venne fuori una porzione che sarebbe bastata per dieci persone; la diede ad Abu Sir e gli disse: " Porta questa roba al tuo compagno. " Così Abu Sir prese il piatto e lo portò al tintore, e lo trovò che stava macinando con le ganasce come fosse stato un cammello e ingollava un boccone dopo l'altro. " Non t'avevo detto di non mangiare questa roba? " fece Abu Sir. " Il capitano è proprio una persona gentile. Guarda che cosa ti ha mandato quando ha saputo che avevi il mal di mare. " " Da' qua, " gridò il tintore e gli strappò di mano il piatto buttandosi sulle pietanze con la furia di un cane ringhioso o di un leone affamato o di un falco che sbrani un piccione. Allora Abu Sir lo lasciò e tornò dal capitano e cenò in santa pace e bevve il caffè con questi. Dopo di che tornò da Abu Qir e trovò che aveva mangiato ogni cosa e il piatto era completamente vuoto.
La mattina dopo Abu Sir si levò e ricominciò a far barbe e tutto quello che guadagnava lo portava al suo compagno, il quale mangiava, beveva e non si muoveva dal suo posto salvo che per fare ciò che altri non avrebbero potuto fare per lui; e come se non bastasse, ogni sera il barbiere gli portava dalla tavola del capitano un piatto pieno di cibo. Andarono avanti così per una ventina di giorni fino a che la nave gettò l'ancora nel porto di una città; allora presero congedo dal capitano e sbarcarono ed entrati che furono in città affittarono una stanza in un caravanserraglio. Abu Sir si procurò tutto l'occorrente per dormire e per cucinare, poi andò a fare la spesa e preparò il pranzo; Abu Qir, invece, non appena mise piede nella stanza del caravanserraglio, si buttò giù a dormire e si svegliò solo quando Abu Sir gli pose, davanti il piatto con il mangiare. Si svegliò, mangiò, poi, dicendo ad Abu Sir: " Abbi pazienza, ma non mi sento bene, " si rimise a dormire. Continuò in questo modo per quaranta giorni mentre il barbiere ogni mattina prendeva i suoi attrezzi e se ne andava in giro per la città, guadagnando secondo la sua fortuna e, quando tornava a casa trovava il tintore che dormiva ancora e lo svegliava. Non appena apriva gli occhi, quello si buttava sul cibo come uno che non riesca a saziare la propria fame, dopo di che si riaddormentava di nuovo. E in questo modo passarono altri quaranta giorni, e ogni volta che il barbiere gli diceva: " Tirati su e va' apprendere una boccata d'aria per la città; è un posto bello e piacevole e non ha l'eguale fra le altre città, " quello rispondeva invariabilmente: " Abbi pazienza, ma non mi sento bene. "
Abu Sir taceva, perché non voleva offendere i suoi sentimenti né voleva dirgli qualche parola aspra. Accadde però che il quarantunesimo giorno egli si ammalasse e non potesse andare in giro a lavorare; allora chiamò il portiere del caravanserraglio e lo pregò di andare a comperare qualcosa da mangiare e da bere, mentre Abu Qir non faceva altro che rimpinzarsi e dormire. Il portinaio continuò a servirli in questo modo per quattro giorni, al termine dei quali la malattia si aggravò e Abu Sir perse conoscenza. Allora Abu Qir, sentendo gli stimoli della fame, si alzò, frugò fra gli abiti del suo compagno e trovò mille dirham d'argento. Li prese, chiuse la porta della stanza e se ne andò senza dir niente a nessuno. E nemmeno il portinaio lo vide uscire, perché in quel momento si trovava al mercato. Abu Qir se ne andò difilato al bazar dove si comprò degli abiti costosi, poi si mise a passeggiare per le strade e si divertì a guardare la città e constatò che non aveva eguali fra le altre città. Ma osservò pure che tutti gli abitanti erano vestiti di bianco e di blu e che non esistevano altri colori.
Allora si recò da un tintore e, vedendo che nella bottega di costui ogni cosa era tinta di blu, tirò fuori un fazzoletto e disse: " Maestro, prendi questo, tingimelo e guadagnati la tua mercede. " Il tintore prese il fazzoletto e disse: " Ti verrà a costare venti dirham. " " Al nostro paese, " rispose Abu Qir, " me lo tingerebbero per due. " " E allora, " rispose quello, " va' a fartelo tingere al tuo paese!-
Il mio prezzo è venti dirham e non lo calerò di un soldo. " " Di che colore me lo tingerai? " " Te lo tingerò di blu. " " Lo vorrei tinto di rosso. " "Non sono capace di tingerlo in rosso. " " Allora tingilo in verde. " " Non sono capace di tingerlo in verde. " " In giallo. " " Neppure in giallo. " E Abu Qir continuò ad elencargli i diversi colori uno dopo l'altro fino a che il tintore disse: " In questa città siamo quaranta tintori, né uno di più né uno di meno. E quando uno di noi muore insegnano il mestiere al figlio, e se non ha figli il nostro numero diminuisce di uno; se invece lascia due figli insegnano il mestiere a uno dei due, e se quello che ha imparato il mestiere muore allora lo insegnano al fratello. Così è ordinata la nostra arte e noi sappiamo tingere solo in blu e in nessun altro colore. " Allora Abu Qir disse: " Sappi che anch'io sono tintore e sono capace di tingere in tutti i colori; e se tu mi prenderai al tuo servizio ti insegnerò tutti i segreti della mia arte, così che tu possa andare fiero fra i tuoi colleghi tintori. " Ma quello rispose: " Non ammettiamo stranieri nella nostra arte." " E se io aprissi una tintoria per conto mio? " chiese Abu Qir. " In nessun modo noi lo permetteremmo. " Allora Abu Qir lo lasciò e andò a trovare un altro tintore, al quale fece la stessa proposta ricevendone però l'identica risposta. E per tutto il giorno non fece altro che andare da un tintore all'altro finché non ebbe fatto il giro di tutti e quaranta gli artigiani; ma nessuno voleva accettarlo nel mestiere come padrone o come lavorante. Allora Abu Qir andò a trovare lo sceicco dei tintori e gli disse quello che gli era capitato, ed anche da questo si senti rispondere: " Noi non ammettiamo stranieri nella nostra arte. " Visto fallire anche questo tentativo, Abu Qir andò a lamentarsi dal re di quella città dicendo: " 0 re del nostro tempo, io sono uno straniero e di mestiere faccio il tintore. " E gli raccontò come erano andate le cose fra lui e i tintori della città aggiungendo: " lo sono capace di tingere in varie gradazioni di verde, quali verde-erba, verde pistacchio, verde-oliva e verde-pappagallo, e in varie gradazioni di nero, quali nero-carbone e nero-kuhl, e in varie gradazioni di giallo, quali arancio e limone ", e continuò ad elencargli tutta la gamma dei colori. Alla fine disse: " 0 re del nostro tempo, i tintori della tua città non sono capaci di lavorare con questi colori perché sanno tingere solo in blu, e ciò nonostante non vogliono accogliermi nel loro mestiere né come padrone né come lavorante. " E il re gli rispose: " Tu dici giusto, perciò io ti aprirò una tintoria e ti darò il capitale necessario, e tu non dovrai preoccuparti di costoro, perché chiunque si azzarderà a darti fastidio lo impiccherò davanti alla sua bottega. "
Poi mandò a chiamare gli architetti di corte e disse loro: " Andate in giro per la città con questo maestro tintore, e quando egli avrà scelto un posto di suo gradimento, sia bottega o caravanserraglio o qualcosa d'altro, fate sgombrare gli occupanti e costruitegli in quel luogo una tintoria secondo i suoi desideri. Fate tutto quello che egli vi ordinerà e non contrariatelo in nulla. " Poi gli regalò un bell'abito e gli diede due schiavi bianchi per servirlo, un cavallo con finimenti di broccato e mille dinàr, dicendo: " Spendili per le tue necessità fintanto che la costruzione non sia finita. " Con quell'abito addosso e montato su quel cavallo, Abu Qir aveva proprio l'aria di un emiro. Infine, il re gli assegnò una casa e gliela fece ammobiliare e quando fu pronta Abu Qir andò ad abitarci. L'indomani montò cavallo e se ne andò in giro per la città preceduto dagli architetti; guardò a destra e a sinistra fino a che vide un posto che gli piaceva e disse: " Questo fa al caso mio. " Allora presero il padrone del posto e lo portarono dal re, il quale lo risarcì dandogli tutto quello che voleva e anche di più. Quindi gli architetti si misero al lavoro mentre Abu Qir diceva loro: " Costruite così e così e fate questo e quello. " E alla fine gli costruirono una tintoria che non aveva l'eguale; allora Abu Qir sì presentò davanti al re e lo informò che la tintoria era stata costruita e che bisognava comperare le materie coloranti e gli attrezzi per farla funzionare. Allora il re disse: " Prendi questi quattromila dinàr come capitale e fammi vedere i frutti della tua arte. " Abu Qir prese il denaro e andò al mercato, dove trovò che le materie necessarie per i colori erano abbondanti e non costavano quasi nulla; così comprò tutto quello che gli occorreva per tingere; poi il re gli mandò cinquecento pezze di stoffa ed egli le tinse in tutti i colori, poi le stese ad asciugare davanti alla porta della tintoria. Quando la gente che passava davanti alla bottega vide quella meraviglia mai vista, cominciò ad assieparsi sulla porta godendosi lo spettacolo e chiedendo al tintore: " Maestro, come si chiamano questi colori? " E Abu Qir rispondeva: " Questo è rosso, e quello è giallo, e quell'altro è verde, " e così di seguito nominava tutti gli altri colori. Allora la gente si affrettò a portargli pezze di stoffa dicendogli: " Tingicela così e così e prenditi il prezzo che vuoi. " Quando ebbe finito di tingere le stoffe del re, Abu Qir le fece portare al Divano e come il re le vide ne fu molto contento e fece grandi donazioni al tintore. E inoltre tutti i soldati della guardia gli portarono delle stoffe dicendogli: " Tingicele così e così ", e Abu Qir le tingeva secondo i loro desideri e quelli gli davano oro e argento. In breve la sua fama si diffuse ovunque e la sua bottega fu conosciuta come la " Tintoria del Sultano ". Gli altri tintori non ebbero il coraggio di dir nulla contro di lui, ma si recarono alla sua bottega, gli baciarono le mani e, dopo essersi scusati per il modo in cui lo avevano trattato gli dissero: " Ti preghiamo di prenderci come tuoi lavoranti. " Ma Abu Qir non volle prendere nessuno di loro, perché aveva già al suo servizio schiavi e schiave ed era diventato un uomo ricco.
Questo per quanto riguarda Abu Qir.
Abu Sir, invece, dopo che il suo compagno lo ebbe chiuso nella stanza rubandogli il denaro, rimase gravemente ammalato e senza conoscenza per tre giorni, passati i quali il portinaio del caravanserraglio vide per caso la porta chiusa con il catenaccio e si ricordò di non aver più visto né sentito i due amici. Allora pensò: " Forse hanno tagliato la corda senza pagare l'affitto, o forse sono morti, o forse è capitata loro qualche altra cosa. " Aspettò fino a sera, poi salì di nuovo e sentì venire dall'interno della stanza i gemiti del barbiere. Vide che la chiave era nella serratura, così aprì la porta, entrò e, visto Abu Sir disteso che si lamentava, gli disse: " Che Allàh allontani da te ogni male; dove è il tuo amico? " Abu Sir rispose: " Per Allàh, ho ripreso i sensi solo oggi ed ho chiamato, ma nessuno mi ha risposto. Allàh sia sopra di te, fratello, cerca la borsa che ho sotto la testa, prendine cinque mezzi dirham e comprami qualcosa di nutriente perché sono sfinito dalla fame. " Il portinaio allungò la mano, prese la borsa ma la trovò vuota e disse al barbiere: " La borsa è vuota; dentro non c'è niente. " Allora Abu Sir capì che Abii Qir aveva preso i soldi e se n'era andato e chiese al portinaio: " Hai visto per caso il mio amico? " E il portinaio rispose: " Sono tre giorni che non lo vedo; anzi, pensavo che tu e lui foste partiti. " Il barbiere gridò: " No, purtroppo; il mio denaro gli ha fatto gola, lo ha preso ed è fuggito approfittando del fatto che ero malato. " Ciò detto, si mise a piangere e a lamentarsi, ma il portinaio gli fece: " Allàh tenga lontano da te ogni male e ripaghi lui per quello che ha fatto. " E ciò detto se ne andò a cucinargli un po' di brodo, gliene riempì una scodella e glielo portò, e continuò a curarlo e a dargli da mangiare a spese sue per due mesi, trascorsi i quali il barbiere fece una gran sudata e l'Onnipotente lo guarì della sua malattia. Quando fu di nuovo in piedi, Abu Sir disse al portinaio: " Semmai l'altissimo me ne darà i mezzi, ti ricompenserò per la tua bontà, sebbene colui che ricompensa sia solo Allàh. "
" Allàh sia lodato per la tua guarigione, " rispose il portinaio. " Quello che ho fatto l'ho fatto solo nel nome di Allàh il Misericordioso. " Cosi il barbiere uscì di nuovo dal caravanserraglio e se ne andò in giro per i mercati della città, fino a che il destino lo condusse nel suk dove era la tintoria di Abu Qir; egli vide, stese davanti alla bottega, stoffe di vari colori e una folla che faceva ressa per guardarle. Incuriosito chiese ad uno degli astanti: " Che luogo è questo? E perché tutta questa folla? " e quello gli rispose: " Questa è la Tintoria del Sultano, che è stata costruita apposta per uno straniero di nome Abu Qir; e ogni volta che, egli tinge delle stoffe accorriamo tutti perché ci divertiamo a vederlo lavorare in quanto al nostro paese non ci sono tintori che sappiano tingere con questi colori. E sappi che costui ha fatto la sua fortuna in questo e questo modo. " E così dicendo raccontò tutto quello che era capitato ad Abu Qir con i tintori, e poi con il sultano, e il modo in cui quest'ultimo gli aveva fatto costruire la tintoria, e ogni altra cosa. Sentendo ciò il barbiere si rallegrò e si disse: " Sia lodato Allàh che lo ha aiutato a diventare un maestro nel suo mestiere; senza dubbio egli è da scusare perché, se si è dimenticato di te, è stato a causa del suo lavoro. Ma tu sei stato gentile con lui e lo hai trattato generosamente quando non lavorava, così non appena ti vedrà sarà lieto e ti tratterà generosamente così come tu hai fatto con lui, " Dopo aver pensato ciò, Abu Sir si fece strada - verso la porta della tintoria e vide Abu Qir disteso su un divano accanto, all'uscio con indosso abiti regali e servito da quattro schiavi negri e da quattro schiavi bianchi, tutti vestiti con abiti ricchissimi. Vide inoltre dieci schiavi negri intenti a lavorare, in quanto Abu Qir, dopo averli comperati, aveva insegnato loro il mestiere e adesso lui se ne stava seduto su quel soffice divano a sorvegliarli come se fosse stato un gran visir o un potente monarca che non alzava un dito ma si limitava a dire agli uomini: " Fai questo e fai quest'altro. " Allora il barbiere si fece avanti pensando che Abu Qir sarebbe stato lieto di rivederlo e l'avrebbe salutato e l'avrebbe trattato con tutti gli onori. E invece, quando il tintore si accorse di Abu Sir, cominciò a gridare: " Mascalzone, quante volte ti ho detto di non fermarti sulla porta della mia bottega? Ladro che non sei altro, vuoi forse rovinare la mia reputazione davanti alla gente? Prendetelo! " Allora gli schiavi negri si precipitarono su Abu Sir tenendolo fermo mentre il tintore si alzava dal divano e diceva: " Buttatelo fuori. " Così gli schiavi lo buttarono in mezzo alla strada e Abu Qir prese un bastone e gli assestò cento bastonate sulla schiena, poi ordinò che lo rivoltassero e gli diede altre cento bastonate sulla pancia. Quindi gli disse: " Mascalzone, farabutto, se ti trovo ancora una volta sulla porta della mia tintoria ti spedirò dal re, il quale ti consegnerà al capo della polizia che ti taglierà la testa. Vattene, e che Allàh ti neghi le sue benedizioni. "
Così il povero Abu Sir si allontanò con il cuore a pezzi a causa della bastonatura e della scenata che gli era stata fatta, mentre gli astanti chiedevano ad Abu Qir: " Che cosa ha fatto quest'uomo? " " Quest'uomo, " rispose Abu Qir, " è un ladro, che ruba la stoffa dei clienti; mi ha già derubato non so quante volte, e ogni volta io mi sono detto < Allàh lo perdoni, è un pover'uomo > e non ho voluto infierire su di lui. Risarcivo di tasca mia i clienti e cercavo di far capire ragione a questo gaglioffo. Ma lui non se n'è dato per inteso. Perciò, se mi comparirà ancora una volta davanti, lo manderò dal re, che lo farà giustiziare liberando così i suoi sudditi da questa peste. " E allora tutti i presenti, sentendo come stavano le cose, cominciarono a lanciare improperi all'indirizzo del barbiere.
Questo, dunque, fu il comportamento di Abu Qir.
Quanto ad Abu Sir, tornò nel caravanserraglio e si mise a sedere, meditando su quello che il tintore gli aveva fatto; e rimase seduto fino a che il dolore delle bastonate non passò, quindi uscì di nuovo andandosene per i mercati della città. Ed ecco che gli venne in mente di andare a fare un bagno, così fermò un passante e gli chiese: " Fratello mio, qual è la strada per andare ai bagni? " E quello gli rispose: " E che cosa sarebbero questi bagni?" " Il bagno, " rispose Abu Sir, " è un posto dove la gente si lava, liberandosi di ogni sporcizia e impurità, e questa è una delle cose, più piacevoli del mondo. " E quell'altro rispose: " Se è per lavarti, va' al mare. " Ma il barbiere replicò: " Io cerco un bagno pubblico. " E allora quell'altro spazientito gli disse: " Noi non sappiamo che cosa sia un bagno pubblico, perché quando dobbiamo lavarci andiamo al mare; anche il re, quando vuole lavarsi, va al mare. " Quando Abu Sir si fu convinto che in quella città non c'erano bagni e che la gente non sapeva che cosa fosse un bagno pubblico, se ne andò al Divano del re e, dopo aver baciato la terra davanti al sovrano e avere invocato su di lui le benedizioni di Allàh, gli disse: " Sappi, sire, che io sono straniero e di professione bagnino, e appena arrivato nella tua città ho pensato di andare al bagno; ma non ne ho trovato nessuno. Come mai una città bella quale è la tua non ha un bagno pubblico, considerando che il bagno è uno dei più grandi piaceri di questo mondo? " Allora il re gli disse: " Che cosa sarebbe questo bagno pubblico? " Così Abu Sir gli spiegò che cosa fosse un bagno pubblico e come funzionasse e concluse dicendo: " La tua capitale non sarà una città perfetta fino a che non avrà un bagno pubblico. " " Che tu sia il benvenuto, " disse il re, e gli fece indossare un vestito che non aveva l'eguale, gli regalò un cavallo, due schiavi negri e quattro schiave ed altrettanti schiavi bianchi; gli mise poi a disposizione una casa arredata di tutto punto e lo colmò di doni anche più ricchi di quelli che aveva fatto al tintore. Dopo di ciò, ordinò agli architetti di corte: " Costruite per costui un bagno pubblico nel luogo che egli riterrà più opportuno. " Allora Abu Sir uscì con gli architetti e cominciò a girare la città fino a che vide un posto che gli sembrò adatto al caso. Lo disse agli architetti e quelli si misero subito al lavoro sotto la sua direzione, e lavorarono così bene che gli costruirono un bagno che non aveva l'eguale. Poi Abu Sir ordinò loro di dipingerlo, ed essi lo dipinsero meravigliosamente, così che era un piacere guardarlo; dopo di ciò Abu Sir tornò dal re e gli disse che il bagno era stato costruito e decorato, aggiungendo: " Ora non manca altro che la mobilia e l'attrezzatura. " Allora il re gli diede diecimila dinàr con cui Abu Sir arredò il bagno sistemando gli asciugamani bene in ordine sulle funi, e tutti quelli che passavano davanti alla porta del bagno guardavano e, rimanevano sbalorditi per la bellezza del locale. La gente si affollava per ammirare quello spettacolo che non aveva mai visto in vita sua e si chiedeva: " A che cosa serve questo edificio? " E Abu Sir rispondeva: " Questo è un bagno pubblico. " E tutti si meravigliavano grandemente.
Quando ebbe scaldato l'acqua e messo ogni cosa in ordine, Abu Sir fece zampillare l'acqua nella grande piscina e questo spettacolo mandò in estasi tutti coloro che lo videro. Poi chiese al sovrano dieci schiavi non ancora adolescenti e quello gli diede dieci ragazzi belli come lune. Allora Abu Sir li insaponò e li lavò per bene dicendo loro: " Dovrete fare la stessa cosa ai clienti. " Quindi bruciò profumi e spedì un banditore ad annunciare per tutta la città: " 0 creature di Allàh accorrete tutti al bagno pubblico chiamato il Bagno del Sultano. " E allora tutti i sudditi di quel paese accorsero al bagno, e Abu Sir ordinò ai giovani schiavi di lavare i clienti. I clienti si tuffavano nella piscina e poi si sedevano sui gradini della medesima mentre i ragazzi li insaponavano come Abu Sir aveva insegnato loro di fare; e così per tre giorni la gente continuò ad accorrere al bagno, e fu servita gratis e uscì senza pagare. Il quarto giorno il barbiere invitò il re, il quale montò a cavallo, seguito da tutti i dignitari del regno, e se ne andò al bagno e qui giunto si tolse gli abiti ed entrò; allora Ahu Sir si avvicinò a lui e gli strofinò il corpo con i guanti di spugna togliendogli dalla pelle dei filamenti di sporcizia che man mano mostrava al re. il quale ne era tutto contento; dopo averlo lavato ben bene, Abu Sir fece immergere il re in una vasca di acqua mescolata ad essenza di rose, e quando ne uscì, il sovrano senti che il suo corpo era rinfrescato leggero e vivo come non lo era mai stato. Poi il barbiere fece distendere il sovrano su un lettuccio e i ragazzi cominciarono a massaggiarlo, mentre negli incensieri bruciava finissimo legno di aloe profumato. Allora il re disse: " Maestro, questo è quello che tu chiami un bagno? " " Sì, " rispose Abu Sir. E il re disse: " Per la mia vita, solo con questo bagno la mia città è diventata veramente una città. " E subito dopo aggiunse: " E quanto pensi di prendere a persona? " E Abu Sir rispose: " Quello che tu mi ordinerai di prendere. " Allora il re esclamò: " Chiunque si laverà nel tuo bagno, pagherà mille dinàr d'oro. " Ma Abu Sir gli disse: " Scusami, o re del nostro tempo, non tutti gli uomini sono uguali, ma vi sono di quelli ricchi e di quelli poveri, e se io esigo da ciascuno mille dinàr il bagno rimarrà vuoto, perché i poveri non potranno permettersi di pagare questa somma. " " E allora che prezzo vuoi stabilire? " gli chiese il re. E il barbiere rispose: " Lo lascerò alla loro generosità. Ognuno pagherà secondo quello che sente di poter pagare e noi riscuoteremo da ogni cliente secondo i mezzi che ha. In questo modo tutti accorreranno al bagno, e chi è ricco darà secondo il suo grado e chi è meno ricco darà quello che potrà. In tal modo il bagno sarà sempre pieno di clienti e prospererà: infatti, mille dinàr sono un regalo da re, e non tutti possono permettersi questa somma. " I dignitari della corte approvarono le parole di Abu Sir dicendo: " Questo è vero, o re del nostro tempo. Pensi forse che tutti siano come te, o re glorioso? " E il re rispose: " Voi dite bene! Ma questo straniero è povero, ed è nostro dovere trattarlo generosamente, perché egli ha creato nella nostra città questo bagno di cui non avevamo mai visto l'eguale in vita nostra e senza il quale la nostra città non sarebbe stata degna di essere quella che è. Perciò non ricompenseremo mai abbastanza i suoi servigi. " Ma i dignitari dissero: " E tu mostrati generoso con il tuo denaro, in modo che la liberalità del re sia nota ai poveri proprio in virtù del basso prezzo del bagno, così che tutti i tuoi sudditi possano benedirti. Ma, quanto a fissare un prezzo di mille dinàr, noi che siamo dignitari del tuo regno ti diciamo francamente che ci dispiacerebbe di pagarli; e allora come pensi che i poveri potrebbero permettersi un simile salasso? " E il re disse: " 0 miei dignitari, per questa volta ciascuno di voi gli darà cento dinàr più uno schiavo bianco, una schiava e uno schiavo negro. " E quelli dissero: " Va bene, gli daremo tutto questo; ma da oggi in poi chiunque entrerà nel bagno gli darà solo quello che può permettersi di pagare. " " In questo non vedo nulla di male, " disse il re. E poiché i dignitari che si erano bagnati con il re quel giorno erano quattrocento, così Abu Sir ricevette in totale quarantamila dinàr, oltre a quattrocento schiavi bianchi e a un ugual numero di negri e di schiave. Il re, dal canto suo, gli diede diecimila dinàr, nonché alcuni schiavi bianchi, dieci schiave, e un ugual numero di schiavi negri. Allora Abu Sir si avanzò, baciò la terra davanti al sovrano e disse: " 0 nobile sovrano, signore di giustizia, dove metterò tutte queste donne e questi schiavi? " E il re disse: " 0 povero di spirito, io ho ordinato ai miei nobili di trattarti in questo modo perché tu potessi mettere insieme una consistente fortuna, di modo che, nel caso ti pungesse il desiderio di rivedere il tuo paese, la tua famiglia e tu volessi ritornare in patria, tu potessi portar via dal nostro paese quanto è sufficiente per vivere con agiatezza. " E Abu Sir gli rispose: " 0 re del nostro tempo, che Allàh ti conceda ogni fortuna. Questi schiavi, queste schiave e questi negri si addicono solo a un sovrano! Se tu avessi ordinato di darmi solo del denaro, per me sarebbe stato molto più utile che non questo esercito. Infatti, costoro devono mangiare e bere e vestirsi, e le mie sostanze non basteranno mai per mantenere tutta questa gente. " Allora il re si mise a ridere e disse: " Per Allàh, tu parli bene! Questi schiavi infatti sono un vero esercito e tu non hai la possibilità di mantenerli; ma dimmi: sei disposto a vendermeli per cento dinàr a testa? " E Abu Sir disse: " Te li venderò per questo prezzo. " Allora il re ordinò al suo tesoriere di andare a prendere i quattrini e questo pagò ad Abu Sir il prezzo convenuto senza nemmeno trattenere per se la provvigione d'uso. Quando l'affare fu concluso, il re restituì gli schiavi ai loro proprietari dicendo: " Che ciascuno riprenda i propri schiavi; essi sono un dono che io faccio a voi. " E i dignitari obbedirono all'ordine del re e ciascuno prese quello che gli spettava, mentre Abu Sir diceva al sovrano: " Che Allàh ti liberi, o re del nostro tempo, così come tu hai liberato me da questi orchi le cui pance possono essere riempite solo da Allàh! " A questa uscita il re si mise a ridere di cuore, poi insieme con i grandi del regno, se ne andò dal bagno e tornò al palazzo, mentre il barbiere passava la nottata a contare i suoi soldi e a chiuderli in tanti sacchetti che poi sigillò.
La mattina dopo Abu Sir mandò in giro per la città un banditore ad annunciare: " Chiunque andrà nel Bagno del Sultano a lavarsi, pagherà quello che può e quello che la sua generosità gli impone di dare. " Poi il barbiere si sedette alla cassa e i clienti cominciarono ad affluire, e ognuno pagava quello che poteva, ma anche così la cassa in breve si riempì con i doni dell'Altissimo. Qualche tempo dopo, anche la regina esternò il desiderio di recarsi al bagno, e quando Abu Sir lo seppe divise la giornata in due metà e quella dall'alba a mezzogiorno la riservò agli uomini e quella da mezzogiorno al tramonto alle donne. E quando arrivò la sovrana egli mise alla cassa una schiava, perché aveva istruito quattro schiave nei servizi del bagno e queste erano diventate esperte bagnine. La regina rimase molto soddisfatta del bagno e quando uscì lasciò alla cassa mille dinàr.
E la notizia si diffuse per tutta la città aumentando la fama di Abu Sir, il quale diventò in breve noto a tutti e amico intimo delle guardie reali. Il re aveva preso l'abitudine di andare al bagno una volta alla settimana lasciando ogni volta mille dinàr, mentre gli altri giorni erano riservati ai ricchi e ai poveri insieme. Ora avvenne che un giorno anche il comandante della flotta del re andò al bagno, e Abu Sir si spogliò ed entrò personalmente nella vasca con lui, e lo insaponò e lo trattò con grande cortesia.
E quando il comandante fu uscito dalla vasca gli preparò un sorbetto e un caffè e alla fine non volle assolutamente accettare nulla, così che il comandante si trovò obbligato verso di lui a causa di tante gentilezze e non sapeva come fare per ripagarlo della sua cortesia.
Questo per quanto riguarda Abu Sir. Nel frattempo, Abu Qir sentiva decantare da ogni parte questo bagno, e uno diceva: " Questo bagno è davvero un paradiso terrestre! " e un altro esclamava: " Se Allàh lo vuole, carissimo tal dei tali, domani vieni con noi in questo bagno delizioso! " Alla fine si disse: " Bisogna che faccia come tutti e che vada a vedere questo bagno che entusiasma tanto la gente. "
Così un bel giorno indossò il suo più bel vestito e a cavallo di una mula, seguito da quattro schiavi bianchi, e da quattro schiavi negri, se ne andò al bagno. Quando arrivò alla porta, sentì l'odore del legno di aloe bruciato e vide gente che entrava e che usciva e vide le panche di attesa piene di pezzi grossi e di poveri diavoli. Allora entrò nel vestibolo e vide Ahu Sir, che gli andò incontro facendogli festa; ma il tintore gli disse: " E' questo il modo in cui si comportano gli uomini dabbene? Io ho aperto una tintoria e sono diventato il miglior tintore della città: ho rapporti con il re e sono diventato ricco e autorevole. Ma tu, mai che sia venuto a cercarmi o che ti sia chiesto., < Dov'è il mio compagno? > Per parte mia, io ti ho cercato invano, ho mandato schiavi e servi a chiedere di te in tutti i caravanserragli e in altri posti, ma nessuno ha saputo dirmi dove eri andato né ho potuto avere tue notizie. " Allora Abu Sir gli disse: " Forse che io non sono venuto a trovarti e tu mi hai trattato da ladro bastonandomi e disonorandomi davanti alla gente? " A questo punto Abu Qir aggrottò la fronte e chiese: " Ma che cosa stai dicendo? Eri forse tu quello che ho bastonato? " " Sì, ero proprio io. " Allora Abu Qir gli giurò mille volte che non lo sapeva e gli disse: " C'era un tale che ti somigliava e che ogni giorno veniva in negozio a rubarmi la stoffa dei clienti, e io ti ho scambiato per lui. " E continuò facendo tutta una scena di rammarico e di pentimento, battendo le palme delle mani e dicendo: " Non c'è mai stata potenza se non in Allàh, il Glorioso e il Grande! Certo io ho peccato contro di te, ma anche tu, perché non ti sei fatto conoscere e non mi hai detto: A pensarci bene, la colpa è tua, perché non ti sei fatto riconoscere, soprattutto vedendo che io ero lì distratto dal lavoro. " " Che Allàh ti perdoni, amico mio! " rispose Abu Sir. " Tutto quanto è accaduto era scritto e solo Allàh può porvi rimedio. Entra, togliti gli abiti e bagnati a tuo piacimento. "
Allora il tintore disse: " Per Allàh, ti supplico, amico mio, di perdonarmi! " E Abu Sir rispose: " Allàh ti liberi da ogni biasimo e ti perdoni! In realtà tutto questo mi era stato decretato fin dall'eternità. " Poi Abu Qir gli chiese: " Come mai sei arrivato a sistemarti così bene? " " Colui che ha aiutato te ha aiutato anche me, " rispose Abu Sir. " Infatti io sono andato dal re, gli ho parlato dei nostri bagni pubblici e allora lui ha dato ordine di costruirmene uno>. " Allora il tintore disse: " Anch'io, come te, sono conosciuto dal sovrano e, se Allàh lo vuole, farò in modo che egli ti ami e ti favorisca sempre più per amor mio. Egli non sa che tu sei mio amico, ma io lo informerò di ciò e ti raccomanderò a lui. " Ma Abu Sir disse: " Ti ringrazio, ma non ho bisogno di raccomandazioni.
Il re e la sua corte mi hanno preso a benvolere e mi hanno regalato questo e quello. " E gli raccontò tutto quello che gli era accaduto, e alla fine gli disse: " Togliti gli abiti dietro alla cassa ed entra nella vasca, e io personalmente ti servirò e ti strofinerò con i guanti. "
Così Abu Sir entrò nel bagno con lui, e lo insaponò e lo strofinò e lo accudì fino a che Abu Qir uscì dalla vasca, e poi gli portò cibi e sorbetti per ristorarsi, mentre tutti i presenti si meravigliavano per questo trattamento. Alla fine Abu Qir avrebbe voluto lasciargli qualcosa, ma Abu Sir giurò che non avrebbe accettato nemmeno un soldo da lui e gli disse: " Mi vergogno al solo pensarlo! Tu sei mio amico e non vi è nessuna differenza fra noi. " Allora Abu Qir gli disse: " Per Allàh, amico mio, questo tuo bagno è veramente (ottimo, ma nel servizio manca qualcosa. " " Che cosa manca? " chiese Ahu Sir. E Abu Qir rispose: " Quell'impasto fatto di arsenico giallo e calce che serve così bene a depilare. Perché non ne prepari un po' e non l'offri al re, la prossima volta che viene al bagno, insegnandogli come usarlo per togliersi i peli? Vedrai che egli ti amerà e ti onorerà ancora di più. " " Hai proprio ragione! " esclamò Abu Sir. " E se Allàh lo vuole preparerò subito un po' di quella pasta. "
Uscito dal bagno Abu Qir montò sulla mula e se ne andò difilato dal re al quale disse: " 0 re del nostro tempo, devo darti un avvertimento! " " Di che avvertimento si tratta? " chiese il re. E Abu Qir di rimando: " Ho sentito dire che tu hai costruito un bagno. " " E' vero, " rispose il re. " E' venuto da me uno straniero e ho costruito per lui un bagno così come ho costruito per te una tintoria. E mi sembra proprio un bagno bellissimo che costituisce un ornamento della mia città. " " Ci sei mai entrato? " gli chiese il tintore. " Sì, " rispose il re. Allora Abu Qir si mise a gridare: " Che Allàh sia lodato in eterno per averti salvato dalle malefatte di quell'impostore, nemico della fede: sto parlando di quel perfido bagnino. " " Che cosa hai da dire contro di lui? " " Sappi, o re del nostro tempo, " replicò Abu Qir, " che se tu ti recherai ancora una volta nel bagno sicuramente perirai. " " E in che modo? " " Questo bagnino è nemico tuo e della fede, e ti ha indotto a costruire quel bagno solo per poter avere il modo di avvelenarti. Egli ha preparato una pasta che ti offrirà, quando entrerai nel bagno, dicendo: Invece, non è niente di simile, ma si tratta di un veleno mortale, ed egli fa ciò perché il sultano dei cristiani ha promesso a questo lurido individuo di liberargli la moglie e i figli, che sono suoi prigionieri, se egli ti ucciderà. Io so queste cose perché ero prigioniero con lui presso i cristiani e mi misi a esercitare la mia arte di tintore, come ho fatto qui, sì che il loro re prese a benvolermi e un bel giorno mi chiese che cosa desiderassi, e io gli dissi di liberarmi.
E una volta libero sono venuto a stabilirmi in questa città, e oggi mi è capitato d'incontrare quell'uomo nel bagno, e così gli ho chiesto: e lui mi ha risposto: Così rimanemmo d'accordo su questo punto, ed egli mi spedì con una nave in questa città, dove mi presentai al re, il quale mi fece costruire questo bagno. Ora, perciò, non mi resta che assassinarlo e tornare dal re dei nazareni, così ch'io possa riscattare i miei figli e mia moglie e chiedergli un donativo. > Allora io gli domandai: E lui mi rispose: Quando udii ciò, " concluse Abu Qir, " ho temuto per te, o mio benefattore, e perciò sono venuto ad avvisarti di quello che si sta macchinando contro la tua persona. "
Non appena ebbe udito questa storia, il re fu preso da violenta collera e disse al tintore: " Non farne parola con alcuno. " Poi decise di recarsi al bagno per accertarsi della verità. Non appena fu entrato, Abu Sir si pose subito al servizio del sovrano insaponandolo e frizionandolo. Dopo di che gli disse: " 0 re del nostro tempo, ti ho preparato una pasta che potrai usare per depilarti le parti basse. " E il re disse: " Portamela. " Il barbiere gli portò la pasta e il re, sentendo che aveva un odore nauseabondo, fu convinto che conteneva veleno. Allora, pieno d'ira e di furore, chiamò le guardie e disse loro: " Arrestatelo! " Poi il re sì rivestì e tornò al palazzo schiumante d'ira; ma nessuno conosceva la causa della sua collera, perché egli aveva tenuto la cosa segreta e i cortigiani non osavano interrogarlo. Appena giunto a palazzo, il re si recò nella sala delle udienze, ordinò che Abu Sir venisse condotto dinanzi a lui e contemporaneamente mandò a chiamare il comandante della flotta al 'quale disse: " Prendi questo gaglioffo, mettilo in un sacco con due quintali di calce viva e lega ben stretta l'imboccatura del sacco. Poi deponilo in una barca, esci in mare e vieni davanti al mio palazzo; mi vedrai seduto a una finestra. Allora domandami: E se io ti rispondo: tu scaraventa il sacco in mare in modo che costui muoia annegato e bruciato. " " Ascolto e obbedisco, " rispose il comandante della flotta e, preso Abu Sir, lo portò su un'isola che si trovava di fronte al palazzo del re e gli disse: " Una volta io venni nel tuo bagno e tu mi trattasti con grande onore e mi accudisti con estrema cortesia, e per giunta non volesti essere pagato. Perciò io riposi in te grande affetto. Dimmi dunque che cosa è successo fra te e il sovrano e quale azione spregevole hai compiuto per indurlo ad ordinarmi di farti morire di una morte così spaventosa. " " Io non ho fatto nulla, né so di aver commesse alcun delitto per meritare questo! " " In verità, " continuo il comandante, " tu avevi raggiunto a corte un'alta posizione mai raggiunta da alcuno, e coloro che sono fortunati sono anche invidiati. Forse qualcuno, geloso del tuo successo, ti ha calunniato davanti al sovrano suscitando in lui una collera così violenta; ma sta' di buon animo, perché non ti accadrà nulla di male. Poiché tu mi trattasti con tanta generosità e cortesia senza che noi nemmeno ci conoscessimo, io ti libererò. Ma dovrai rimanere con me su quest'isola fino a quando non capiterà qualche nave che faccia vela per il tuo paese di origine; allora io ti farò partire. " Agu Sir gli baciò le mani e lo ringraziò, dopo di che il comandante prese la calce viva e la mise nel sacco insieme con una grossissima pietra dicendo: " Ripongo la mia fiducia in Allàh! " Poi diede al barbiere una rete dicendogli: " Intanto tu getta in mare questa rete e vedi di pescare un po' di pesci, perché io sono tenuto a fornire ogni giorno il pesce alla mensa del re, ma oggi sono stato distratto da questo disgraziato accidente che ti è capitato e ho paura che vengano gli aiutanti del cuoco reale a cercare il pesce e non ne trovino. Così se tu peschi qualcosa, quelli se ne andranno contenti, mentre io mi recherò con la barca davanti al palazzo del re e farò finta di gettarti in mare. "
" Va' pure, " rispose Abu Sir, " e Dio ti aiuti! Io rimarrò qui a pescare. " Così il comandante mise il sacco nella barca e remò fin sotto il palazzo, dove vide il re seduto alla finestra e gli chiese: " 0 re del nostro tempo, devo gettarlo? " e il re rispose: " Gettalo! " E mentre accompagnava l'ordine con un gesto si vide qualcosa luccicare nell'aria cadere in mare.
Ora la cosa che era caduta in mare era l'anello del re; ma non si trattava di un anello qualunque, sebbene di un anello incantato grazie al quale il re, quando era adirato con qualcuno e voleva ucciderlo, bastava facesse un gesto con la mano destra, e subito dall'anello si sprigionava un lampo di luce che colpiva la testa dell'individuo facendola cadere; orbene, il re era riuscito ad aver ragione dei suoi nemici e ad ottenere l'obbedienza assoluta delle truppe solo in virtù di quell'anello. Così, quando il re si accorse che l'anello era caduto in mare, non disse nulla a nessuno, per paura che le truppe si sollevassero e lo uccidessero.
Questo è quello che capitò al re. Per quanto riguarda Abu Sir, dopo che il capitano lo ebbe lasciato sull'isola egli gettò in mare la rete e subito la ritirò piena di pesci. Continuò così per un pezzo, e sempre la rete tornava a riva piena di pesci. Allora Abu Sir pensò: " Per Allàh, è tanto tempo che non mangio pesce! " e scelse nel mucchio un pesce grande e grasso dicendosi: " Quando il comandante torna, lo pregherò di friggermelo, così che io possa mangiarlo. " Poi prese un coltello e cominciò a sventrare il pesce, ma la punta della lama si impigliò in qualche cosa; allora Abu Sir guardò che cosa fosse e vide che si trattava dell'anello del re. Infatti il pesce, quando l'anello era caduto in mare, lo aveva inghiottito, e il destino lo aveva poi spinto verso quell'isola dove era andato a finire nella rete. Abu Sir prese l'anello e se lo infilò nel dito mignolo, non sapendo le virtù magiche che possedeva. Ed ecco di lì a poco vennero due aiutanti del cuoco di corte a cercare il pesce e vedendo Abu Sir gli dissero: " Ehi, tu, dov'è andato il comandante? " " Non lo so, " rispose Abu Sir, e fece un gesto con la mano destra; ed ecco, oh meraviglia! che le teste dei due giovanotti si staccarono dalle spalle e caddero a terra. Vedendo ciò, Abu Sir rimase stupefatto ed esclamò: " Chi mai sarà stato a uccidere costoro? " Era ancora tutto scombussolato per l'accaduto, quand'ecco che tornò il capitano e vedendo il mucchio di pesci e i due giovanotti distesi a terra e l'anello reale al dito di Abu Sir subito gli gridò: " Fratello mio, non muovere la mano che porta quell'anello, altrimenti mi ucciderai! " Abu Sir non ci capiva nulla, tuttavia tenne immobile la mano; allora il capitano si avvicinò a lui e gli disse: " Chi ha ucciso questi due uomini? " " Per Allàh, fratello mio, non ne so nulla. " " Credo che tu abbia ragione; ma dimmi, dove hai trovato quell'anello? " " L'ho trovato nel ventre di questo pesce. " " Anche questo è vero, " disse il capitano, " infatti ho visto l'anello luccicare e cadere in acqua dalla finestra del palazzo quando il re fece segno verso il sacco dicendomi : Cosi io gettai il sacco in acqua e fu allora che l'anello scivolò via dal dito del re e cadde in mare, dove questo pesce lo ha inghiottito e Allàh ha fatto poi in modo che venisse a cadere nella tua rete; ma dimmi, conosci tu le virtù di questo anello? " " Non sapevo che avesse delle virtù particolari. " Allora il capitano disse: " Sappi, dunque, che le truppe del re obbediscono al sovrano solo per paura di questo anello, che è incantato e possiede questa virtù : che quando il re è adirato contro qualcuno e vuole ucciderlo basta che faccia un cenno verso di lui con l'anello e la testa del meschino si stacca dalle spalle e cade a terra; infatti questo anello sprigiona un lampo di luce che colpisce l'oggetto dell'ira regale provocandone la morte. " Sentendo ciò, Abu Sir si rallegrò e disse al comandante: " Riportami subito in città. " E il comandante disse: " Lo farò, dato che ora non temo più che il re possa nuocerti. Infatti, basterebbe che tu facessi un cenno verso di lui con la mano e la sua testa ti cadrebbe ai piedi. E se tu hai intenzione di uccidere lui e tutti i suoi potrai farlo senza difficoltà. "
Ciò detto, fece salire in barca Abu Sir e lo riportò in città. E appena arrivati Abu Sir si recò difilato al palazzo reale ed entrò nella sala del consiglio, dove trovò il re seduto con aria cupa di fronte ai suoi ufficiali e preoccupato per via della perdita dell'anello. Quando vide Abu Sir, il re gli disse: " Non ti avevamo fatto gettare in mare? Come hai fatto ad uscirne? " " 0 re del nostro tempo, " rispose Abu Sir, " quando tu ordinasti di gettarmi in mare, il comandante mi portò su un'isola e mi chiese la ragione della tua collera dicendo: < Che cosa hai fatto al re perché decretasse la tua morte?> e io risposi: Allora egli mi rispose: Quindi mise nel sacco una grossa pietra al mio posto e gettò il tutto nel mare; ma, quando tu gli facesti segno di gettarmi, l'anello ti si sfilò dal dito, cadde in acqua e un pesce lo inghiottì. Ora, io stavo su quell'isola a pescare quando questo pesce, insieme con altri, cadde nella mia rete. Allora io lo presi pensando di cucinarlo, ma quando gli aprii il ventre vi trovai dentro l'anello, che m'infilai al dito. Ed ecco che vennero due servi delle tue cucine in cerca del pesce, e io feci loro un cenno con la mano, non conoscendo le virtù dell'anello, e quelli subito caddero a terra decapitati. Poi tornò il capitano e m'informò di ogni cosa; così io ti ho riportato l'anello, perché tu mi hai trattato con bontà e con il massimo onore e non voglio che quello che tu mi hai fatto vada perduto. Ecco il tuo anello: prendilo! Ma se io ho fatto contro di te qualcosa che merita la morte, dimmi qual è la mia colpa e uccidimi, così tu sarai assolto dal sangue che avrai versato. " Ciò detto, si sfilò l'anello dal dito e lo diede al re, il quale, vedendo la nobile condotta di Abu Sir, prese l'anello, se lo infilò al dito e gli parve che la vita tornasse di nuovo a scorrergli nelle vene. Poi si alzò in piedi e abbracciando il barbiere gli disse: " 0 uomo, tu sei davvero il fiore dei galantuomini! Non biasimarmi, ma perdonami per il torto che ti ho fatto. Chiunque altro fosse venuto in possesso di questo anello, non me lo avrebbe mai restituito. " Abu Sir rispose: " 0 re del nostro tempo, se vuoi che io ti perdoni, dimmi quale colpa attirò su di me la tua ira. " Allora il re gli disse: " Per Allàh, vedo adesso chiaramente che tu sei mondo da ogni sospetto, dal momento che hai compiuto questa nobile azione; fu il tintore a denunciarti a me con queste e queste parole. " E gli raccontò tutto quello che Abu Qir aveva detto: " Per Allàh, o re del nostro tempo, " rispose Abu Sir, " io non conosco alcun re dei nazareni e in vita mia non sono mai stato in un paese cristiano, né mi è mai passata per il cervello l'idea di ucciderti. Piuttosto questo tintore era mio amico e vicino nella città di Alessandria dove vivevamo di stenti; perciò decidemmo di partircene in cerca di fortuna e dopo aver recitato il capitolo iniziale del Corano ci promettemmo reciprocamente che quello dei due che avesse trovato per primo lavoro avrebbe aiutato l'altro. E dopo mi capitarono con lui queste e queste cose. " E Abu Sir raccontò al re tutto ciò che gli era accaduto con Abu Qir il tintore come questi lo avesse derubato dei suoi soldi e lo avesse lasciato solo e ammalato nella stanza del caravanserraglio e come il portinaio lo avesse nutrito a spese sue fino a che Allàh non lo aveva fatto guarire, e come egli fosse poi andato in giro per la città in cerca di lavoro fino a che era capitato davanti alla tintoria e guardando dalla porta aveva visto Abu Qir seduto nel negozio ed era entrato per salutarlo, ma quello lo aveva accusato di essere un ladro e lo aveva bastonato di santa ragione. In breve, raccontò per filo e per segno ogni particolare delle sue peripezie concludendo: " 0 re del nostro tempo, fu lui che mi consigliò di preparare il depilatorio e di offrirtelo dicendomi: < Il bagno è perfetto in ogni cosa, solo questo gli manca.> E sappi, o re del nostro tempo, che questo preparato è innocuo e che al nostro paese lo usiamo di continuo ed è un cosmetico indispensabile in ogni bagno; ma io me ne ero dimenticato, e fu il tintore a farmelo tornare in mente e ad invitarmi a prepararlo. Ma ora ti prego: manda a chiamare il portinaio del caravanserraglio e i lavoranti della tintoria e interrogali su tutto quello che ti ho detto. "
Così il re mandò a chiamare tutte quelle persone e le interrogò ed esse lo informarono della verità. Allora il re ordinò che gli trascinassero davanti il tintore, dicendo: "Sia condotto qui a piedi nudi, a capo scoperto e con le mani incatenate! " Ora, il tintore se ne stava a casa sua, tutto contento per la morte di Abu Sir; ma ecco che prima che egli potesse rendersene conto le guardie del re si precipitarono su di lui, lo incatenarono e lo trascinarono nella sala del consiglio, dove egli vide Abu Sir seduto al fianco dei re e il portiere del caravanserraglio e i lavoranti della tintoria in piedi da una parte. Allora il portinaio gli disse: " Non è forse costui il tuo amico, quello al quale tu hai rubato il denaro lasciandolo ammalato nel mio caravanserraglio e comportandoti con lui in questa e questa maniera? " E i lavoranti gli dissero: " Non è questo l'uomo che tu ci ordinasti di prendere e bastonate? " Allora il re vide chiara la perfidia di Abu Qir e fu convinto che quell'uomo meritava i tormenti peggiori di quelli che infliggono Munkar e Nakìr.
Così disse alle guardie: " Prendetelo e trascinatelo in giro per la città e per i mercati; poi chiudetelo in un sacco e gettatelo in mare. " A questo punto Abu Sir intervenne dicendo: " 0 re del nostro tempo, consentimi d'intercedere in suo favore, perché io gli perdono tutto quello che mi ha fatto. " Ma il re rispose: " Se tu gli perdoni il male che ti ha fatto, io non posso perdonargli i torti che ha fatto a me. " E ciò detto gridò alle guardie: " Portatelo via! " Così le guardie lo trascinarono per tutta la città; dopo di che lo chiusero in un sacco con la calce viva e lo gettarono in mare, dove morì annegato e bruciato. Poi il re disse al barbiere: " 0 Abu Sir, chiedimi tutto quello che vuoi e io te lo darò. " E quello rispose: " Ti chiedo, signore, di rimandarmi al mio paese. " Allora il re lo colmò di doni di ogni genere e fra le altre cose gli diede una nave carica di merci, con una ciurma di schiavi bianchi, e gli diede queste ed altre cose dopo avergli offerto la carica di visir, che però il barbiere non volle accettare. Così, di lì a qualche giorno, Abu Sir andò a prendere congedo dal re, sciolse le vele della sua nave e gettò le ancore solo quando ebbe raggiunto Alessandria. E appena arrivati scesero a terra, quand'ecco che uno degli schiavi vide un sacco sulla riva del mare e disse ad Abu Sir: " Signore, sulla spiaggia c'è un sacco grosso e pesante, con l'imboccatura legata, e non so che cosa contenga. " Allora Abu Sir si avvicinò al sacco, lo aprì e dentro ci trovò i resti di Abu Qir che il mare aveva portato fino a quella spiaggia. Ordinò allora che i resti di Abu Qir venissero ricomposti e seppelliti in riva al mare nei pressi della città di Alessandria, e fece costruire una tomba, che diventò poi un luogo di pellegrinaggio, e sulla porta della tomba scrisse queste parole:
" L'uomo si conosce fra gli uomini per le sue azioni che rendono manifesta la sua nobile ori gine. Le carogne del deserto galleggiano sull'acqua, mentre le perle rimangono celate sul fondo. Sta scritto nel cielo, sulle pagine dell'aria, Non sperate di ricavare zucchero dalle radici amare, dal sapore si riconoscerà sempre la cosa. "
Dopo di ciò, Abu Sir visse ancora qualche tempo fino a che Allàh lo chiamò a sé e lo seppellirono accanto alla tomba del suo compagno Abu Qir. Perciò quel posto venne chiamato Abu Qir e Abu Sir, ma oggi è conosciuto solo con il nome di Abu Qir. Questo è quanto della loro storia è giunto fino a noi, e sia gloria a Colui che è paziente in eterno e per la cui volontà avviene la notte e il giorno.
tazziana
00sabato 10 giugno 2006 12:39
Che gran zoccolona la donna della prima storia [SM=x131203]
Adesso mi riposo un po' ,questa lettura mi ha stremata [SM=x131204]
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