Una considerazione che sento ripetere spesso nel mio settore è che il clima creato dall'attuale congiuntura economica non consente di investire con fiducia. Cercando di andare oltre la trita formuletta, è vero che il "fare impresa" si scontra, oggi, con problemi tanto annosi quanto di difficile soluzione: il costo del lavoro, l'eccessiva imposizione fiscale, la carenza di infrastrutture, la scarsa preparazione scolastica - a quasi tutti i livelli - dei lavoratori che iniziano la loro vita produttiva, un diritto del lavoro che non è nè carne nè pesce, la sofferenza costante nel confrontarsi con realtà economiche che giocano secondo un altro regolamento, e via discorrendo.
Il dramma è che cercando di porre rimedio ad una qualunque di queste problematiche è quasi inevitabile assistere all'aggravarsi di un'altra - e non sono questioni per mettere mano alle quali una singola impresa ha sufficiente forza.
Tutto questo si riflette sul lato umano ed emotivo - si, anche gli imprenditori sono umani
- per cui, se negli anni dalla metà degli anni 80 alla metà degli anni 90 una buona parte degli utili era reinvestita nell'impresa stessa, oggi quegli stessi utili sono il costo della sfiducia, ovvero la ricchezza che viene accumulata in previsione di congiunture ancora più sfavorevoli.
Il lavoratore come si pone di fronte a tutto questo? Parole come precarizzazione, costo della vita, diminuzione del potere d'acquisto sono l'incubo di tutti. Strutturalmente, c'è poco da fare per il singolo. Noi, od i nostri genitori, facciamo la nostra parte creando ricchezza e reimmettendola nel circolo produttivo, ovvero guadagnando e spendendo. Il dramma è che le proporzioni tra ciò che si guadagna e ciò che si spende è in un loop insano... ma questo è un altro discorso.
Invece, il singolo lavoratore che cosa può fare per *se medesimo*? La risposta è, ahimè, banale quanto ovvia. Deve essere bravo. Deve essere altamente professionalizzato. Deve avere un vantaggio competitivo sugli *altri lavoratori* che lo renda prezioso e quindi relativamente ben pagato. Questo non risolve nulla, dal punto di vista strutturale, ma aiuta a tirare a fine mese. E non è poco.
La stessa sfiducia che è percepita diffusamente da tutti è percepita anche dalle imprese. Il sistema oggi premia le aziende che fanno altà qualità, per i prodotti delle quali la domanda - ad oggi - non sembra subire flessioni. Premia le aziende efficienti, per le quali è sempre possibile fare ricorso al credito, precluso invece alla minima difficoltà. Premia le aziende che abbandonano il mercato del lavoro interno, rivolgendosi ai mercati esteri che garantiscono un costo del lavoro sensibilmente ridotto che si ripercuote in maniera apprezzabile sui prezzi di vendita.
A prescindere da ogni considerazione etica e politica sia sul rapporto banca-impresa che sull'esterofilia dell'imprenditoria nostrana, mi pare indiscutibile che *anche* le imprese abbiano i loro problemi. Ora, cercare di stabilire se i problemi dell'impresa creino i problemi dei lavoratori o viceversa è un pò come cercare di stabilire se è venuto prima l'uovo o la gallina... un'esercizio di stile che, in quanto tale, non porta da nessuna parte.
Resta da chiedersi che cosa si può fare, ciò che esercizio di stile non è per niente. Qualcuno giderà... "Lo so io, cambiare il governo". Da elettore (sic!) del centrodestra, dico che sono assolutamente d'accordo. Ma da operatore economico ritengo - ma spero di sbagliarmi - che non basti. Ciò che serve, ciò che ci serve, è ritrovare la sensazione di giocare secondo regole chiare, precise ed uguali per tutti. E necessario avere fiducia negli arbitri (vedete il caso Fazio...), per dirne una.
Io oggi non aprirei mai un'attività mia, per dire. Non me la sentirei proprio. Quindi da un certo punto di vista mi sento di comprendere gli imprenditori che si tirano indietro, non assumono e non "imprendono", ma fanno catenaccio cercando di portare a casa un pareggio a reti inviolate. Credo che sia la mentalità del momento. E quella non la cambiano nè le leggi, nè i governi, nè l'Unione Europea, ma solo la percezione - o meno - di uno spiraglio.