La voce del mondo - Alephso

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Alephso
00venerdì 13 novembre 2009 12:17
Prefazione:
Un gruppo di studenti di biologia marina intraprende un viaggio a scopo di ricerca nello studio del linguaggio dei delfini.
Uno di loro, particolarmente sensibile, riuscira' a comunicare con questi splendidi animali
che lo inviteranno ad ascoltare insieme a loro "La voce del mondo".
Lo potete leggere e scaricare a questo indirizzo: www.box.net/shared/hzxc1y40s4
Caleidos
00mercoledì 30 dicembre 2009 21:10
"La voce del mondo" di Alessandro Sornaga
diAlessandro Sornaga



I Parte


Nel tentativo di debellare l’infezione virale che da un paio di mesi aveva colpito i delfini e le balene del Mediterraneo, uccidendone alcuni, un gruppo di studenti di biologia marina aveva intensificato gli sforzi per interpretare i suoni emessi dai delfini, sperando così di riuscire a farsi dire cosa poteva avere scatenato la malattia. Tutti gli studi fatti fino ad ora avevano dato come risultato soltanto risposte istintive degli animali, variabili secondo la frequenza, il richiamo, ma niente che potesse avvicinare l’idea di comunicare con loro e capire il loro linguaggio. Solo un episodio era rimasto inspiegato: in una notte di luna nuova i delfini erano improvvisamente scomparsi e non rispondevano più ai segnali emessi dal modulatore sulla barca.
Il mare si era improvvisamente ingrossato e nubi minacciose, sospinte da un forte vento d’alta quota, percorrevano velocemente il cielo oscurando la fioca luce delle stelle. Antonio era voluto restare sulla prua della barca nonostante le onde che, infrangendosi sulla chiglia, spazzavano letteralmente il ponte. Gli altri erano tutti sottocoperta incollati agli strumenti al fine di trovare qualche traccia dei delfini; lui, però, voleva capire cosa stava succedendo ed era rimasto fuori con i suoi richiami e con l’auricolare collegato ai microfoni sottomarini. L’ecoscandaglio aveva individuato un paio di balene e qualche banco di pesci abbastanza rilevante, ma i delfini, che non avevano finora mai abbandonato quella zona, non davano alcuna traccia della loro presenza. Ancora più strano era il fatto che i collari radiotrasmittenti, di cui alcuni animali erano stati dotati, non emettevano più segnali ed era veramente difficile riuscire a dare una spiegazione logica di questo fatto.
“I collari hanno una portata di 80 km, non possono essere andati tanto lontano da uscire fuori portata”- Laura era veramente agitata, lei era la responsabile del radar e l’idea che i collari fossero andati persi le metteva addosso un’angoscia tremenda. -“E poi, prima che i segnali sparissero, erano tutti qui, nelle vicinanze della barca” - “Anche io intercettavo i loro richiami con i microfoni e, ad un certo punto, non ho sentito più niente!”
Gianni era il più preparato del gruppo, registrava le voci degli animali e le riproduceva con il simulatore grafico. Aveva anche costruito dei fischietti con una piccola ancia regolabile, grazie ai quali si potevano riprodurre alcuni suoni ad alta frequenza che richiamavano i delfini. All’improvviso, così come era incominciato, il mare ritornò calmo e dopo una decina di minuti, Laura vide i segnali provenienti dai collari sul radar, tutti molto vicini alla barca; erano riapparsi di colpo tutti insieme.
Gianni aveva infilato le cuffie e continuava a ripetere: “Eccoli, li sento, li sento!”
Antonio si era affacciato chiamando gli altri con voce tremante ed emozionata : “Venite sul ponte, c’è da non credere ai nostri occhi!”
Raggiuntolo, videro uno spettacolo veramente inconsueto: nelle prime luci dell’alba si potevano vedere chiaramente i delfini che si esibivano in salti acrobatici e piroette; erano centinaia, non ne avevano mai visti così tanti. C’era anche un bel numero di balene che nuotavano in cerchio attorno ad un tratto di mare, in mezzo al quale si distinguevano chiaramente tre grandi delfini, candidi come la neve, che giravano, saltando, nel senso contrario a quello delle balene.
Lo spettacolo era durato una buona mezz’ora, poi, in pochi minuti, tutto era tornato alla normalità: la solita cinquantina di delfini che vivevano abitualmente in quella zona, compresi quelli con i collari e qualche balena, ma dopo giorni di ricerca e osservazione non si era più trovata traccia dei tre delfini bianchi e nemmeno della moltitudine di altri animali che li aveva accompagnati.

Il laboratorio dell’università era riuscito ad isolare il virus e a preparare una cura adeguata a base di antibiotici e acido salicilico; ora si trattava di individuare gli animali malati e somministrare loro il farmaco per via orale, mischiandolo ad un macinato di pesce assimilabile anche dalle balene, fra le quali quelle malate erano facilmente individuabili, perché stavano quasi tutto il tempo a fior d’acqua, evitando di immergersi. Il virus provocava, infatti, una sorta di mancanza d’ossigeno nel sangue che costringeva gli animali a respirare molto di più per ovviare alla carenza. Ma i delfini erano molto più mobili, quelli malati riaffioravano più frequentemente, ma erano più difficilmente individuabili in mezzo agli altri e coprivano larghi tratti di mare a notevole velocità. Era un lavoro lungo ed inoltre la malattia era fortemente contagiosa e i ragazzi non potevano fare a meno di pensare al gran numero di animali che erano apparsi quella strana notte, con la paura che alcuni di quelli fossero stati contagiati, diffondendo così l’infezione in altre zone del Mediterraneo. In ogni modo le cose andavano senz’altro bene: le balene curate avevano presto ripreso la loro normale attività e, piano piano, anche fra i delfini non si individuavano più sintomi della malattia. I ragazzi avevano portato a buon fine questa operazione, senza però rinunciare agli esperimenti atti ad instaurare un dialogo.
Soprattutto Gianni passava la maggior parte del suo tempo ad ascoltare in cuffia le registrazioni di quella notte, isolando e catalogando, sul simulatore grafico, il numero enorme di suoni, per frequenza, durata e intensità. Aveva notato che i suoni provenienti dal tratto di mare dove c’erano i tre delfini bianchi venivano ripresi dagli altri, come un’eco ripetuto all’infinito. Era la conferma di un linguaggio ma gliene sfuggiva il significato, fino al momento in cui si domandò se non fosse per caso un messaggio diretto a qualcun altro, invece di una conversazione tra animali. Sembrava di essere in una chiesa, dove il sacerdote dice “Amen” e tutti i fedeli rispondono in coro “Amen”, ma i delfini erano più disciplinati e all’amen del loro sacerdote non rispondevano in coro ma con una sorta di passaparola, ottenendo un effetto simile a quello provocato dal sasso buttato nello stagno. Anche le balene contribuivano a questo effetto con dei segnali frequenti, quasi ritmati che, nell’esempio della chiesa, poteva rientrare come il sottofondo musicale di un organo.
Laura non era riuscita a spiegare l’improvviso silenzio del radar e faceva supposizioni legate a fenomeni magnetici che, però, non poteva dimostrare.
Antonio, invece, era diventato strano, parlava pochissimo e restava tutto il giorno e buona parte della notte sul ponte con l’auricolare e i fischietti, che suonava e regolava in continuazione.
Un paio di delfini curati avevano instaurato un rapporto con la barca, nuotavano vicini alla chiglia, esibendosi in salti spettacolari e non si allontanavano mai: uno di loro era dotato di collare e Laura, che aveva provveduto personalmente a catturarlo per metterglielo, l’aveva chiamato Zaffiro. Gli altri erano Smeraldo, Rubino, Giada, Platino, Diamante e Prezzemolo. Quest’ultimo si era guadagnato questo nome perché, ogni volta che Laura si immergeva, le veniva vicino e continuava a girarle attorno con un po’ di invadenza, che esprimeva comunque una forte volontà di socializzare.
Antonio sembrava avere instaurato un rapporto particolare con Zaffiro; dal ponte della barca lo chiamava con il fischietto, battendo ritmicamente le mani e lui rispondeva con suoni acuti, picchiando ripetutamente la coda sull’acqua. - “Antonio è convinto di parlare con lui” - aveva detto Laura a Gianni - “Mi ha detto che riesce a capire qualcosa ma che anche per lui è completamente intraducibile”.
“Non parlano l’uno con l’altro”- le aveva risposto Gianni -“ Dicono tutti insieme la stessa cosa, a qualcuno che non ho potuto identificare”
“Ma hai capito cosa dicono?”
“E’ un linguaggio molto difficile da decifrare, ma è comunque un linguaggio: bisognerebbe cominciare con il capire a chi si rivolgono e se, in qualche modo, viene data loro risposta.”
Antonio era sceso sottocoperta gridando:“ Un delfino bianco, un delfino bianco!”
Tutti e tre erano saliti sul ponte per vederlo, ma c’erano solo delfini grigi e Antonio, che indicava agli altri il punto in cui l’aveva visto, diceva : “Era là, ha fatto un paio di salti altissimi, dev’essersi immerso.” –
Laura guardò l’attrezzatura da sub e, dopo un’occhiata d’intesa con Gianni, si avvicinò alla muta ed iniziò ad indossarla.
Antonio continuava a modulare richiami con il fischietto battendo le mani, ma gli rispondeva solo Zaffiro con vigorose codate sull’acqua. In breve tempo Laura fu pronta e si lanciò in mare. Appena Prezzemolo la vide, cominciò il suo girotondo, comunicando una sfrenata voglia di giocare ed impedendo a Laura di muoversi liberamente e di avere una visuale piena.
Vedendo la complicazione, Antonio prese la sua attrezzatura e in un attimo fu pronto a immergersi. Si diresse rapidamente verso il punto che aveva indicato e si immerse.
Prezzemolo si convinse di lasciar andare Laura, grazie anche ai pesci che Gianni gli aveva lanciato dalla barca e così anche lei si immerse, dirigendosi verso il punto indicato. Arrivata a 20 metri di profondità vide Antonio che le indicava freneticamente una direzione: volto lo sguardo da quella parte, riuscì a scorgere le sagome di tre delfini bianchi, intenti ad allontanarsi a grande velocità. Li seguì per un po’ ma Prezzemolo tornò alla carica e la costrinse a risalire.
Una volta in superficie sentì Gianni che la chiamava --“Guarda, guarda!”- - e li vide tutti e tre saltare contemporaneamente, allontanandosi sempre di più dalla barca; erano davvero maestosi.
Gianni si mise subito al lavoro, riascoltando le registrazioni e facendo passare ogni suono nel simulatore grafico, che gli consentiva di riprodurlo con la stessa frequenza e intensità, con il modulatore e si accorse, quasi subito, che tutti i delfini attorno alla barca ripetevano il segnale, probabilmente mandato dai tre delfini bianchi ed esclamò ad alta voce:- “Forse abbiamo una voce guida!”
- Confrontò il grafico con quello che aveva ottenuto dalle registrazioni di quella notte e cominciò a modulare i suoni, cercando di fare equilibrare le due registrazioni.
- “Ecco , questa potrebbe essere la frequenza giusta, ma non si può riprodurre con i fischietti, è troppo bassa e l’ancia non è sufficientemente elastica.”
Antonio e Laura erano risaliti sulla barca ed avevano già cominciato a preparare la cena, ma Gianni non se ne era nemmeno accorto, intento com’era, con le cuffie incollate, a svolgere quella ricerca.


II Parte

Il professor Silvio Moretti, docente di Biologia Marina all’Università di Genova, aveva letto con attenzione il rapporto steso da Antonio sulla spedizione e voleva confrontare i dati di Gianni con altri che lui stesso aveva registrato durante una sua precedente ricerca.
“Fenomeni di questo tipo” -aveva detto rivolto ai suoi studenti - “non erano mai stati registrati ma, in tutta verità, a me è già successa una cosa molto simile: in una notte senza luna, al largo della Costa d’Avorio, un gruppo considerevole di cetacei di varie dimensioni, fra i quali anche alcune orche e un centinaio di delfini, si erano radunati vicino alla mia barca ed avevano cominciato una sorta di girotondo, che durò circa un’ora. Non potei registrarli perché ero in gita di piacere e non avevo portato con me l’attrezzatura, ma comunque, grazie ad un piccolo microfono sottomarino collegato all’impianto stereo, feci una cassetta dalla quale, in seguito, riuscii ad ottenere questi grafici con il simulatore dell’Università.”¬
Gianni prese i grafici del professore e dopo una veloce lettura disse che non coincidevano con i suoi perché la frequenza da lui registrata era molto più bassa. Il professore si giustificò dicendo che, con l’attrezzatura che aveva utilizzato, non era stato possibile ottenere una riproduzione fedele, soprattutto per le basse frequenze: “Comunque ci sono sicuramente delle importanti affinità fra i due fenomeni osservati, a cominciare dalla luna nuova che si riscontra in entrambe le situazioni. Ci sono sicuramente elementi sufficienti per richiedere un finanziamento.. al fine di organizzare una spedizione nel Mediterraneo e, se riesco a convincere chi dico io, anche nell’Oceano Atlantico.” ¬I ragazzi si erano guardati per un istante emozionantissimi e poi avevano gridato in coro: “Evviva!”¬ Si erano alzati stringendosi le mani, porgendole a turno al professore. Quest’ultimo aggiunse con entusiasmo molto controllato:- “Questa volta però ci sarò anch’io e forse anche qualcun altro; ci sarà da lavorare adesso, bisogna approfondire lo studio dei vostri dati e preparare il materiale necessario a richiedere il finanziamento.”¬
Laura si fece subito pensierosa per via del problema che aveva acuto con i collari trasmittenti, al quale non era riuscita a dare una spiegazione plausibile, ma il professore la anticipò dicendole, con un sorriso, che era convinto come lei che si fosse trattato di un fenomeno magnetico del quale non si poteva dare dimostrazione perché non erano stati dotati delle apparecchiature necessarie: “Questa volta le richiederemo e vedrete che salterà fuori qualcosa di grosso da questa storia.”
Antonio nello scrivere la relazione aveva tralasciato un particolare importante e questa cosa lo metteva a disagio: decise così di parlarne con Gianni, nonostante temesse che certe sue idee sulla telepatia non fossero condivise dagli altri perché prive di dimostrabilità scientifica.
Quella notte, mentre Laura e Gianni erano sottocoperta, era rimasto sul ponte perché gli sembrava di sentire una voce, c’era qualcosa di strano nel vento, nei suoni del mare, in ogni rumore che si sentiva: era come se la natura, la Terra stesse parlando e quei suoni si traducessero nella sua mente in una voce molto simile ai richiami dei delfini. Inoltre, da quella notte, aveva la sensazione di poter comunicare con loro perché, quando soffiava nei fischietti, sentiva i suoi pensieri passare attraverso il suo respiro e uscire quindi sotto forma di ultrasuono.
“Non vorrei avere preso troppo sul serio questa storia, ho quasi paura di soffrire di allucinazioni.” Gianni aveva ascoltato con interesse ma consigliò ad Antonio di non aggiungere nella relazione ulteriori dati non dimostrabili, ce ne erano già abbastanza e rischiavano per passare per esploratori del paranormale. Il loro intento era quello di riuscire a comunicare con i delfini e già questo era difficilmente ammissibile da un gran numero di scettici, fra i quali anche alcuni docenti dell’Università.
Il lavoro procedeva lentamente, era difficile far capire, senza possibilità di altra interpretazione, che il richiamo principale, quello dei delfini bianchi, era un segnale guida al quale gli altri rispondevano. Qualcuno nell’Università aveva ipotizzato una battuta di caccia collettiva, i delfini tutti intorno spaventavano i pesci, spingendoli verso le balene che li catturavano in un vortice d’acqua, consentendone una facile cattura da parte dei tre delfini bianchi. Anche questa ipotesi giocava comunque a favore del professor Moretti , che sottolineava l’autorità che quei tre animali avevano sugli altri, riportando così all’ipotesi del segnale guida.
Il professore li aveva chiamati la sera del sabato, dicendo che il lunedì successivo, in facoltà, avrebbero trovato una bella sorpresa e così quella domenica, sembrava non finire mai. Gianni era rimasto nel laboratorio e aveva fatto alcuni esperimenti che gli avevano consentito, alla fine, di costruire un fischietto con un’ancia molto elastica. Questa si poteva inserire in una valvola applicabile al boccaglio delle bombole e avrebbe consentito di chiamare i delfini anche in immersione, raggiungendo la frequenza bassa che aveva rilevato con il simulatore. Soddisfatto del suo lavoro, era andato subito da Laura per spiegarle come funzionava e l’aveva trovata in compagnia di Antonio e di Luca. Quest’ultimo era un loro amico comune che lavorava presso l’Acquario di Genova e che li aveva aiutati più volte, soprattutto a collaudare i richiami sui delfini dell’Acquario.
Luca stava ascoltando con intenso interesse il racconto di Antonio che non aveva omesso di spiegare anche la strana sensazione provata nel sentire quelle voci indecifrabili, che ancora adesso gli rimbombavano nella testa. - “Come mi piacerebbe venire con voi, ragazzi! Deve essere un’esperienza indimenticabile, però, purtroppo, devo lavorare, i miei delfini hanno bisogno di me.”-

Gianni con un gesto amichevole, diede una pacca sulla spalla di Luca dicendogli -“Non sai quanta gente pagherebbe per fare il tuo lavoro, invece tu prendi pure lo stipendio! Vergognati!”- Così era passata la serata allegramente e, come per incanto, arrivò lunedì mattina.
Il professore li aspettava nel suo studio e con lui c’era una signora di media età, con le rughe marcate, rese ancor più evidenti dall’abbronzatura tipica delle persone che hanno trascorso lunghi periodi in mare. Era vestita con un pareo coloratissimo, raffigurante felini e farfalle, ma la cosa che più colpiva era il foulard rosso fiammante che aveva legato sulla testa al modo dei pirati e che lasciava intravedere un taglio di capelli da marines americano.
“Vi presento la Signora Velia Consoli.”
Il professore era raggiante e portò il braccio sulle spalle della signora, dimostrando un buon legame di amicizia. –
“Chiamatemi pure Lia.”- disse con un leggero accento francese- “Tu devi essere Laura.”
Sembrava più una rimpatriata di vecchi amici che non una presentazione per motivi di studio.
Il professore si fece improvvisamente scuro in volto e con aria sconsolata disse: “L’Università non ha fondi sufficienti per finanziare la nostra ricerca.”
Quelle parole erano risuonate nello studio come “l’eterno riposo dona a loro ,oh Signore” di un funerale e Gianni, ingoiato il rospo, si lasciò sfuggire un patetico:“Non si parte più.”
“Si parte, si parte!” La signora Velia aveva alzato le braccia al cielo e rideva con aria divertita; era come un raggio di sole che entra in una stanza buia, illuminando tutto.
“Velia ha messo a nostra disposizione la sua barca e si è offerta di coprire la spesa non sostenibile dall’Università.” - Il professore aveva due brillanti al posto delle pupille, mentre invitava i ragazzi a stringere la mano alla loro benefattrice. “C’è soltanto un piccolo particolare”- disse Lia -“Dal quale non si può prescindere: io verrò con voi!”
Invece di stringere le mani che le porgevano, aveva abbracciato i ragazzi uno ad uno e poi si era rimessa accanto al professore, prendendogli il braccio per riportarlo attorno al suo collo.
Usciti dallo studio, Antonio s’era avvicinato a Gianni dicendogli:- “Ho percepito una profonda tristezza nello sguardo di quella donna; deve avere una grande sensibilità e penso che ci sia qualcosa che la sta facendo soffrire.” –
Gianni, che l’aveva riconosciuta sulle riviste di biologia, gli aveva risposto scotendo le spalle - “Non capisco come tu faccia a leggere negli occhi della gente, comunque è vero: la signora Velia è la moglie di un famoso biologo marino, morto poco tempo fa. Penso voglia approfondire alcuni studi che lui non è riuscito a concludere.” - Laura, che aveva ascoltato gli amici in silenzio, esclamò strofinandosi le mani -“La cosa si fa sempre più interessante, sarà senz’altro una bella avventura!” -



III Parte


I preparativi per la partenza erano stati frenetici, ma tutto era pronto finalmente. La barca era bellissima: un tre alberi di 16 metri, tirato a lucido da poco in cantiere ed arredato con un gusto esotico ma anche molto ordinato e soprattutto molto funzionale. Sottocoperta c’era una cabina per ciascuno dei cinque avventurosi ed una grande sala dove erano stati collocati gli strumenti di ricerca, messi a disposizione dall’Università: c’era l’ecoscandaglio, un sonar molto sofisticato, il simulatore grafico, il modulatore più un rivelatore magnetico, un contatore geiger e uno strumento che ricordava quelli delle sale operatorie, che emetteva un bip regolare, molto simile al battito del cuore.
La cucina era piccola ma ben attrezzata: grazie ad un grande forno a microonde ed una serie infinita di padelle, padelline, piatti, piattini e posate e, cosa più importante, un grande frigorifero e una capiente cambusa piena zeppa di ogni ben di Dio. C’era anche una piccola saletta con una scrivania, uno schedario, un divanetto e una televisione collegata con una parabola satellitare. Sul ponte c’erano attrezzature da pesca sistemate con ordine e delle poltroncine ribaltabili fissate sulla barca. A poppa era fissato un seggiolino con la cinghia per la pesca d’altura.
I ragazzi sembravano matricole in gita scolastica, curiosavano dappertutto senza sosta, meravigliati dalla bellezza della Lia. Sì, proprio così, quella barca si chiamava Lia, quasi a rappresentare il vistoso egocentrismo della sua proprietaria.
Non avevano ancora finito di ficcanasare, che Antonio vide un delfino con il collare saltare vicinissimo alla barca. - “E’ Platino!” - esclamò Laura che li poteva riconoscere con una facilità estrema, ma solo lei sapeva come fare. “Siamo entrati nel Santuario Marino.”
La zona che avevano raggiunto era abitata da un rilevante numero di delfini e balene, era una zona protetta a circa 15 miglia al largo fra Genova e Montecarlo ed era stata denominata dai ricercatori e dagli ambientalisti “Il Santuario Marino”. Le balene vivevano li perché vi potevano trovare grande quantità di cril, un gamberetto di piccole dimensioni di cui vanno ghiotte e ne mangiano a quintali.
Antonio prese subito il fischietto e cominciò a battere le mani nell’evidente tentativo di chiamare Zaffiro e questi non deluse le aspettative, uscì dall’acqua a mezzo busto e si avvicinò alla barca emettendo quel suono così simile ad una risata, tipico dei delfini che vogliono socializzare. Poi si immerse , uscì dall’acqua con un salto altissimo e cominciò a dare vigorosi colpi di coda sulla superficie del mare.
Il professore e Lia assistevano alla scena come due bambini al circo mentre Laura si era infilata sottocoperta, dove Gianni era già seduto al simulatore, con le cuffie infilate, aveva acceso l’apparecchio radar e, con un sospiro di sollievo, aveva detto - “Ci sono tutti e sette, i miei bambini sono ancora tutti qui.” - Poco lontano uno sbuffo di vapore rivelò la presenza di una balena che si portava dietro il suo piccolo. - “Soffia, soffia!” - gridò il professore emulando le gesta del capitano Akab all’inseguimento della balena bianca.
Lia si era avvicinata dicendo:- “Non cerchiamo una balena bianca, ma i tre delfini.” –
Era l’ultimo quarto di luna, la notte successiva sarebbe stata di luna nuova; bisognava prepararsi per il meglio, tarare gli strumenti, provare l’attrezzatura di immersione, compreso il fischietto costruito da Gianni e coordinare il lavoro definendo i ruoli di ognuno. Lia prese in mano la situazione, dimostrando una grande capacità organizzativa ed una notevole autorità: ai ragazzi non sembrava vero, ma aveva spedito il professore in cucina a preparare la cena e adesso si apprestava di persona a collaudare l’attrezzatura da sub.
Gianni aveva già piazzato i microfoni sottomarini e adesso era alle prese con il modulatore che non voleva saperne di emettere suoni. Antonio aveva piazzato sul ponte delle potenti casse collegate ai microfoni, che gli avrebbero evitato quel noioso auricolare e aveva regolato le ance dei fischietti su diverse tonalità, dando ad ognuno una precisa collocazione in una cassetta costruita apposta per contenerli in ordine, pronti ad entrare in azione.
“La cena è pronta!” Il professore aveva rivelato eccellenti capacità culinarie nel cuocere la pizza surgelata nel forno a microonde. Dopo mangiato tutti si ritrovarono nelle loro cabine per poter essere ben svegli per affrontare la giornata che li aspettava.
Non c’era una nube in cielo e non si sentiva un alito di vento; la barca, nella bonaccia, sembrava immobile: si sentiva solo il ticchettio delle funi che picchiavano sull’albero, alla sua sommità.Il professore si era alzato per primo ed era salito sul ponte per godersi lo spettacolo dell’alba. Lia lo aveva imitato poco dopo e gli si era seduta accanto dicendo con un sospiro:“Questo spettacolo mi fa tornare in mente Jacques, anche lui non si perdeva mai il sorgere del sole.” - Il professore la guardò con affetto:“Tuo marito era un grand’uomo, il miglior biologo marino che abbia mai conosciuto; vedrai che riusciremo a dimostrare le sue teorie, questo pianeta parla con i delfini e loro possono rispondergli con i loro segnali.”
¬Laura aveva subito controllato lo schermo del radar per vedere dove fossero i suoi bambini, ormai li chiamava così, e poi aveva cominciato a preparare la colazione diffondendo per tutta la barca un buon profumo di caffè. Gianni si era infilato sotto la doccia da un quarto d’ora quando Antonio, spazientito, gli chiuse l’acqua e lo riempì di schiuma da barba; facevano tanto di quel rumore che non sentirono nemmeno il professore che gridava:
“Soffiano, soffiano!”
Un banco di balene composto da otto grandi cetacei e tre piccoli era passato a vicinissima distanza dalla barca, dandole uno scossone violentissimo. Antonio cadde rovinosamente addosso a Gianni, riempiendosi a sua volta di schiuma da barba e quando Laura arrivò per capire cosa fosse successo, non potè fare a meno di sbottare in una sonora risata.
La giornata trascorse velocemente, Laura aveva giocato tutto il giorno con Prezzemolo, Lia e il professore avevano fatto un’immersione e poi si erano chiusi nella saletta a svolgere l’ennesima ricerca sui trattati d Jacques, nel tentativo di raccogliere, in mezzo a quella mole enorme di cartelle, tutti i dati inerenti alla loro spedizione per poterli utilizzare con facilità nel momento opportuno.
Antonio e Gianni avevano parlato a lungo delle voci che il primo diceva di avere sentito e Gianni aveva riprodotto i suoni registrati quella notte con il modulatore, nel tentativo di capire cosa dicesse l’amico. Erano arrivati alla conclusione che l’atmosfera strana di quella notte aveva acceso la fantasia di Antonio, il quale si era un po’ lasciato suggestionare.
Il sole stava ormai tramontando , un cielo tappezzato di stelle prendeva pian piano il suo posto; si era alzata una leggera brezza che provocava un dolce rollio della barca. Erano tutti sul ponte e guardavano il mare in silenzio, condividendo quell’attesa infinita, nella speranza di vedere apparire i delfini bianchi. Laura continuava a scendere nervosamente sottocoperta, per controllare lo schermo radar che avrebbe potuto segnalare l’inizio dell’avvenimento. Ma alle prime luci dell’alba era rimasto solo Antonio che si era addormentato sul ponte e aveva fatto un sogno stranissimo, di cui ricordava ogni singolo particolare. –
“Svegliati Gianni!” - Antonio lo stava chiamando scuotendogli delicatamente una spalla. –
“Che c’è, lasciami dormire”- Gianni si era girato su un fianco dandogli le spalle.
“Ho sognato Zaffiro, mi ha parlato: ha detto di andare alle Bocche di Bonifacio, in Sardegna, per la prossima luna nuova. Lui verrà con noi.”
Gianni si era seduto sul letto ed aveva risposto con voce seria:- “Insomma, adesso basta! Oggi parleremo al professore di questa storia, tocca a lui decidere il da farsi!” –
Lia aveva deciso di togliere l’ancora per seguire una rotta già tracciata da suo marito e la navigazione era proseguita a motore, perché la bonaccia non consentiva l’utilizzo delle vele.
Laura si era svegliata tardissimo e come di consueto aveva subito controllato lo schermo radar, ma vi riuscì a intercettare un solo segnale: era Zaffiro, che, abbandonato il suo territorio , li stava seguendo affiancato alla barca.
Gianni parlò con il professore chiedendogli di convincere Antonio che non esistono fenomeni paranormali, ma questi non era completamente d’accordo. “Alcune persone”- aveva detto - “sviluppano sensibilità particolari nei confronti degli animali, tanti padroni di cani riescono a capire cosa serva alloro animale, solo guardandolo negli occhi. Comunque, per queste cose, è meglio parlare con Lia, suo marito era infatti un grande biologo marino e aveva sviluppato una teoria molto simile alle fantasie di Antonio ma completamente priva, purtroppo, di dimostrabilità scientifica; questo è l’unico punto oscuro nella brillante professione di Jacques.” -Così avevano organizzato un incontro collettivo per discutere dell’argomento.
Lia si era presentata con le cartelle di suo marito e i ragazzi la videro molto pensierosa, non come al suo solito. - “Silvio mi ha detto che uno di voi pensa di parlare con i delfini.” - I tre ragazzi si guardarono in faccia l’uno con l’altro sbigottiti, ma il professore, interpellando Antonio, gli disse di non avere paura, che per lui non c’era assolutamente niente di strano in quello che gli aveva detto Gianni. - “Il sogno di questa notte è stato così reale! Io di solito non ricordo mai le cose che sogno, ma questo ce l’ho ancora davanti agli occhi e ricordo benissimo le parole di Zaffiro. Mi diceva che per la prossima luna nuova, alle Bocche di Bonifacio, è previsto un raduno di delfini per ascoltare la Voce del Mondo.” –
Lia aveva aperto le sue cartelle e cercava fra i fogli in assoluto silenzio. Gianni e il professore guardavano Antonio che si grattava la testa riccioluta evidenziando un notevole imbarazzo. Laura ruppe il silenzio dicendo con tono emozionato - “Zaffiro, ho capito bene?

Hai detto che Zaffiro ti ha parlato in sogno?” –
“Sì” - rispose Antonio - “Ha anche detto che lui sarebbe venuto con noi.”
- Laura scuoteva la testa dicendo:- “Incredibile! Non può essere vero!”- e Antonio, un po’ scoraggiato da quell’atteggiamento, disse:- “Ecco, adesso dirai che sono pazzo, a te non capita mai di sognare?” –
Laura lo guardò ridendo:- “Ma no! Non è questo che voglio dire. E’ che questa mattina ho controllato come sempre il radar e mi sono accorta che solo Zaffiro ci aveva seguiti e questo, anche se è incredibile, può dimostrare quello che hai detto riguardo il tuo sogno.” –
Lia, che fino a quel momento aveva continuato a sfogliare le relazioni di suo marito sollevò gli occhi raccogliendo un foglio dal tavolo e lesse:
“Neanche la luna la può sentire, poiché nascosta nel cielo stellato, ma loro sì, loro ascoltano, eccome! Tutta la notte la Terra ha parlato ed i delfini, che l’hanno capita, gli stan dicendo com’è la vita.” –
Ci fu un breve minuto di riflessione, dopo di che Lia prese la parola, aveva ricominciato a sorridere: “Per queste cose mio marito, che pure ha fatto importanti scoperte nel campo della biologia marina, è stato preso in giro per anni, ma adesso so che grazie a voi e soprattutto ad Antonio, che manifesta le stesse capacità percettive di Jacques, noi arriveremo finalmente alla verità. Per la prossima luna nuova noi saremo alle Bocche di Bonifacio!”
- Il professore annuì sorridendo e Antonio tirò un sospiro di sollievo. - “Davvero hai detto che Zaffiro ci sta seguendo? Vado subito a salutarlo.” Così dicendo si alzò dal tavolo, nella saletta, e uscì dichiarando, a suo modo, il termine della discussione. Gli altri restarono invece ancora seduti e Lia aveva guardato Gianni fisso negli occhi dicendogli:
- “Lo so che è difficile da credere, anche io ho fatto fatica a capire cosa volesse dire mio marito con quelle frasi piuttosto ricorrenti nelle sue relazioni e, quando lui cercava di spiegarmelo, la mia incredulità era tale da non potere accettare le sue divagazioni filosofiche; ma un giorno mi disse: <> ” –
Lia aveva gli occhi lucidi, leggermente umidi di pianto ma aveva una forza interiore tale da riuscire quasi a ipnotizzare chi le stava davanti. Gianni rifletté un momento su quelle parole poi rispose:- “Certo, non si può negare, ma nemmeno dimostrare.”
- Il professore lo interruppe:- “Noi lo dimostreremo innanzitutto per noi stessi, se poi ci saranno anche conferme scientifiche, ben vengano, ma non sono quelle che stiamo cercando.”
Antonio era salito sul ponte per salutare Zaffiro e il delfino aveva risposto subito al suo richiamo come di consueto. Di nuovo c’era il fatto che, nella mente di Antonio, i richiami del fischietto e le risposte del suo amico, si traducevano in parole, frasi con un senso compiuto del tipo - “Finalmente riusciamo a capirci, è bello parlare con te, il mondo ti sente suo amico e mi ha detto che ti vuole parlare.” E la cosa lo spaventò.
Laura gli si era avvicinata e gli aveva chiesto se capiva quello che Zaffiro gli stava dicendo, ma lui sentiva solo i suoni che arrivavano dal delfino e la sua mente non li traduceva più.
Il viaggio era proseguito fra avvistamenti di balene, immersioni ed esperimenti; un momento di panico generale si era verificato a causa dell’avvistamento da parte di Gianni di un grosso squalo, proprio mentre Lia, Antonio e Laura erano usciti per un immersione; ma lo squalo si era allontanato senza dare alcuna importanza ai sommozzatori che, in quel momento, si erano sentiti un po’ come tre bocconcini prelibati.
Era tornato il vento che consentiva finalmente la navigazione a vela, più veloce, silenziosa, economica e soprattutto ecologica. Avevano fatto parecchie tappe durante il viaggio, dall’isola d’Elba erano scesi fino a Capri e adesso stavano risalendo la costa occidentale della Sardegna diretti verso le Bocche di Bonifacio. Mancavano ancora tre notti alla prossima luna nuova. Antonio non era più riuscito a comunicare con Zaffiro, che però gli era apparso altre volte in sogno, incitandolo a credere nelle cose che sentiva e a non avere paura poiché non c’era proprio nulla da temere.
Nonostante questo Antonio non riusciva a rimuovere il blocco che si era innescato in lui quando aveva sentito che la Terra voleva parlargli si sentiva così piccolo, impreparato ad affrontare un interlocutore di simile portata e quindi si era chiuso, rendendo inutili i tentativi che tutti avevano fatto per aiutarlo. Gianni non era convinto delle capacità telepatiche di Antonio, aveva sempre cercato di tradurre quel linguaggio in maniera scientifica e si era impegnato molto nel catalogare ogni suono e la conseguente reazione che questo provocava nei delfini. Si era però accorto, da un po’ di tempo, che gli animali non reagivano sempre nello stesso modo ai segnali e quindi era alla ricerca di qualcos’altro, ma non sapeva nemmeno lui cosa cercare; qualcosa che potesse rendere i suoi richiami più precisi e Lia gli aveva detto - “Perché non quello che stai pensando mentre li moduli?”
-Aveva così condotto alcuni esperimenti con l’aiuto di Zaffiro, che li continuava a seguire imperterrito e scompariva solo quando si avvicinavano alla costa per scendere a terra, ma poi tornava immediatamente appena riprendevano il largo.Dal ponte gli mandava dei segnali con i fischietti, ai quali Zaffiro rispondeva con solerzia ma non sempre allo stesso modo.
Allora provò a mettere in pratica il consiglio di Lia: con il fischietto al quale i delfini rispondevano con un salto a pancia all’aria deludendo però le aspettative almeno sette volte su dieci, chiamò Zaffiro pensando mentre fischiava - “Avvicinati alla barca” - e Zaffiro eseguì; - “Adesso allontanati, salta rovesciato, salta rovesciato, ancora, ancora!”- Dieci su dieci -- “E non solo, se penso qualcos’altro, esegue quello che sto pensando, anche se il richiamo non è catalogato per dare quell’ordine. -
Le sue relazioni erano state valutate con attenzione dal professore che manifestava soddisfazione per i risultati ottenuti, ma si aspettava qualcosa di più:-
“La comunicazione è lo scambio reciproco di informazioni fra due o più elementi, è sicuramente importante che un altro capisca cosa stiamo dicendo, ma è altresì importante, per noi, capire cosa l’altro vuole comunicarci.” -

Il mare della Sardegna era meraviglioso, ricco di pesci e di ogni forma di vita marina; un vero paradiso per uno studente di biologia. Attratto dal verde smeraldo mischiato all’azzurro intenso di quel tratto di mare, Gianni decise di avventurarsi in un immersione, cosa per lui non consueta, visto che, nonostante avesse il brevetto, preferiva sempre stare con i piedi all’asciutto. Montò al suo boccaglio la valvola e vi inserì il fischietto di sua invenzione, poi scese dalla scaletta della Lia e si immerse in quel mondo che aveva sempre studiato, ma che così raramente aveva potuto osservare da vicino uno spettacolo di colori in movimento, il fondale a quindici metri di profondità brulicava di vita, vide delle aragoste attraversare un tratto sabbioso e intrufolarsi in un grande cespuglio di alghe, un polpo, di notevoli dimensioni, vedendolo avvicinarsi, si era infilato nella sua tana, sotto un sasso, prendendo i sassolini tutti attorno e utilizzandoli per coprire l’ingresso della buca; si era fermato a guardare con attenzione e aveva visto l’occhio del polpo che lo fissava terrorizzato. Uno scorfano, non molto distante, si era mimetizzato con il fondale e adesso restava assolutamente immobile per catturare una delle tantissime occhiate che gli giravano intorno, ignare del pericolo.
Tornando verso la barca vide Zaffiro che gli veniva incontro e provò a chiamarlo con il suo fischietto: - “Vieni vicino a me”- - pensò fischiando, ma l’ancia era regolata sulla frequenza dei delfini bianchi e Zaffiro si voltò di scatto, allontanandosi a gran velocità.
“Sembrava spaventato”- -disse Gianni parlando dell’accaduto con Antonio e quest’ultimo volle provare di persona, salì sul ponte e chiamò Zaffiro fischiando nel richiamo e battendo le mani in aria. Zaffiro rispose al solito modo picchiando la coda sull’acqua ed emettendo suoni che purtroppo Antonio non capiva più. Allora prese il fischietto di Gianni e vi soffiò dentro pensando:- “Come mai non riesco più a capire il tuo linguaggio?” –
Zaffiro si era allontanato dalla barca e all’improvviso, con un gran salto, era sbucato fuori un delfino bianco bellissimo e aveva modulato dei suoni simili a quelli del fischietto.
-“Perché hai paura di ascoltare, non è colpa tua se gli uomini sono così difficili da capire, ma noi ci proviamo da sempre.” - Antonio aveva rimosso il blocco e riusciva di nuovo a sentire tradursi in parole la voce dei suoi migliori amici. Anche a Gianni, che era stato presente al fatto, era sembrato di sentire qualcosa nei suoi pensieri, ma non era riuscito ad interpretarlo nel modo giusto. Il delfino bianco se ne era andato immediatamente e i due ragazzi l’avevano seguito per un po’ con lo sguardo, mentre si allontanava con balzi giganteschi: in compenso era tornato Zaffiro e Antonio sentì nella sua mente - “Ben tornato fra di noi, temevamo di averti perso” - mentre il delfino emetteva suoni lunghi e chiari, come se avesse intonato una canzone.



IV Parte


Le Bocche di Bonifacio sono un posto meraviglioso, un luogo in cui la mente umana non può fare altro che aprirsi davanti allo spettacolo che la natura sa offrire. Imponenti masse granitiche grigio-rosa si specchiano in un mare limpido e pulsante di colori, resi intensi dai riflessi azzurri del cielo che è terso per gran parte dell’anno. Le correnti sottomarine continue permettono un costante ricambio, favorendo una vera esplosione di vita marina. Branchi di ricciole, dentici, saraghi, occhiate nascoste nelle spaccature fra le rocce, grossi gronghi, polpi e murene hanno la tana nelle pareti fiorite di Parazoanthus. Vi si possono trovare margherite di mare, gorgonie, corallo nero e rami di geradia saraglia lunghi oltre un metro.
In questo mondo incantato, dalla superficie dell’acqua, emerge il pennone del relitto della Marmorata, cargo greco di cinquantamila tonnellate affondato per una tempesta e che ora riposa silenzioso in questi fondali, ingioiellato dalle formazioni coralline che, nel tempo, l’hanno ricoperto. Situate tra la Sardegna e la Corsica, le Bocche di Bonifacio rivelano una ricchezza di paesaggi straordinaria: spiagge, cale, calette, sabbie bianchissime o rosate e, un po’ ovunque, isole disseminate nel mare come pietre preziose quali Caprera, Spargi, Budelli, Santa Maria, Razzoli, Santo Stefano e La Maddalena. Numerosi sono i piccoli isolotti costituiti, nella loro ossatura, quasi esclusivamente da granito, impreziosito da brandelli di rocce metamorfiche quali gneiss e micascisti. La vegetazione mediterranea domina sovrana incontrastata: qui, durante le immersioni nelle secche, si possono fare incontri con enormi cernie, che si lasciano avvicinare e accarezzare, prendendo il cibo dalle mani dei sommozzatori.


In questi luoghi incantati, il delfino Zaffiro non li aveva seguiti, ma aveva comunicato ad Antonio il luogo in cui avrebbe atteso il loro arrivo: circa a dieci miglia al largo della parte occidentale delle Bocche. Lia prese quindi quella direzione.
Con il tramontare del sole si era alzato il vento, che aveva accelerato il moto ondoso e reso terso il cielo, attribuendo alla volta stellata una luminosità tanto intensa, da rischiarare quella notte senza luna. Gianni, Laura e il professore erano sottocoperta a controllare gli strumenti , mentre Antonio e Lia avevano scelto di restare sul ponte e là erano, in silenzio, ad osservare l’infinito che si presentava così chiaramente davanti ai loro occhi. Potevano ascoltare i suoni provenienti dal fondo del mare grazie alle casse sul ponte, collegate ai microfoni e il canto dei delfini, soprattutto quello di Zaffiro, faceva da sottofondo a quella notte magica.
All’improvviso calò il silenzio, tacquero le voci del mare, lasciando prevalere i suoni della natura. Antonio e Lia non se ne accorsero subito, ma Gianni si era tolto le cuffie e si era avvicinato al professore che stava controllando il contatore geiger ed il rivelatore magnetico.-
“Sta succedendo qualcosa!” -- aveva detto avvicinandosi a lui. Il rivelatore stava segnalando l’inizio di un fenomeno magnetico e il professore fece notare a Gianni, indicandola con un dito, che anche la lampadina della sala aveva cominciato a pulsare come il battito del cuore.
Laura non vide più sul radar il segnale di Zaffiro, ma l’ecoscandaglio e il sonar lo davano come sempre in prossimità della barca e si era voltata verso il professore, il quale l’anticipò dicendo che il magnetismo terrestre stava sicuramente agendo sulle frequenze dei collari, impedendone la ricezione. Antonio, che fino a quel momento non si era accorto di nulla, cominciò a sentire dei suoni che si diffondevano nell’aria come trasportati dal vento ed arrivavano nella sua mente sotto forma di richiamo molto simile alla voce dei delfini. Lia gli si era avvicinata e aveva sussurrato con un filo di voce:
“Ascolta, capisci cosa sta dicendo?”
Laura era salita sul ponte accostandosi a Lia come una bambina in cerca di protezione. Antonio aveva preso il richiamo per Zaffiro e il delfino si era affacciato a fior d’acqua lanciando un solo segnale, lungo e ben definito, che si tradusse nella mente del ragazzo -“Adesso è tempo solo d’ascoltare.” -
Velia gli chiese questa volta con tono più deciso cosa il delfino gli avesse detto e Antonio ripeté la frase di Zaffiro, alzando le mani tese verso il cielo, per rendere solenne quel momento. Udiva nella mente la voce di mille delfini, ma non riusciva a tradurre il significato. Non era come ascoltare Zaffiro, quello lo sentiva davvero e poi la sua mente lo traduceva. In questo caso, invece, sentiva il mare, il vento, la voce della Terra e la sua mente trasponeva questi suoni nel linguaggio dei delfini.
Stava cominciando a scoraggiarsi, temeva di non farcela pensando che forse gli mancava un passaggio e , molto lentamente, stava abbassando le sue mani. Lia si avvicinò e incitandolo a continuare disse - “Anche Jacques sentiva quello che senti tu, restava delle notti intere ad ascoltare il vento, il mare, diceva che i suoni della natura sono un linguaggio e sono sicura che anche tu riuscirai a capirlo” - Antonio fu pervaso da un brivido di freddo, i peli delle braccia si drizzarono come antenne e i capelli sembravano degli spilli conficcati nella testa;sentiva una voce ora, bassa, profonda,che lo faceva vibrare come se lui stesso fosse una corda vocale. Lentamente come le aveva abbassate, rialzò le braccia al cielo e rimase ad ascoltare.
Velia nel frattempo aveva lasciato Laura e Antonio sul ponte ed era scesa sottocoperta con gli altri. Silvio era intento a registrare i dati del rivelatore magnetico che segnalava una fortissima attività intermittente. Anche Gianni era alle prese con il sonar, che aveva rivelato una concentrazione crescente di animali in quella zona. Presi come erano dalla loro ricerca non si accorsero di Lia che si era avvicinata allo strano strumento che lei stessa aveva portato a bordo, senza mai spiegare cosa fosse e a che cosa servisse e cominciò ad impostare tutte le funzioni, lavorando su una tastiera da computer che aveva estratto da un cassettino nascosto nel mobile. –
“Finalmente sapremo a cosa serve quel coso” - aveva detto il professore, lasciando i suoi appunti e avvicinandosi - “Allora, cos’è?”- “E’ un apparecchio inventato da mio marito, serve a riprodurre, in scala minore, le energie derivanti dai magnetismi terrestri.”
Gianni era affascinato da quello strumento e quindi anche lui lasciò il sonar avvicinandosi agli altri.
Tutta la notte Antonio aveva ascoltato la Voce del Mondo,quelle parole gli riempivano il cuore di gioia e la sua mente continuava a ripetere incessantemente il canto della vita.

La vita è preziosa ed io la difendo,difendo le piante, nutrendone i semi;difendo gli uccelli e li aiuto a volare,donandogli il vento ed un nido in cui stare; difendo nel mare ogni forma di vita, portando la pioggia da fiumi e torrenti, muovendo le onde con forti correnti; difendo, con gli altri, anche gli esseri umani, che pure non sanno nemmeno ascoltare, intenti nel vivere il loro baccano; difendo me stesso, perché sono vivo, mi evolvo e mi esprimo nel mio movimento e anch’io, come vita, ho chi mi difende o meglio, mi abbraccia di amore infinito, mi aiuta scaldandomi ai raggi del sole e porta alla notte il suo manto di stelle, partecipa in forma di pura energia, a dare una voce alla nostra coscienza. Il cosmo, lo spazio, permette la vita, attraversa ogni parte, di questa materia, rendendola anch’essa Infinito a suo tempo.”


L’aurora illuminava il cielo piano piano, spegnendo dolcemente le stelle una ad una. Antonio non sentiva più il canto della vita, ma se lo ripeteva passandolo dal cuore. Laura era tornata di sotto, insieme agli altri per controllare lo schermo radar e vide riapparire il segnale di Zaffiro che il sonar collocava sempre nei pressi della barca, in compagnia di un numero crescente di delfini. Si erano resi conto che quello era il momento in cui sarebbe stata fornita la risposta a ciò che finora Antonio aveva potuto ascoltare.
Salirono sul ponte ed, immediatamente, videro i tre delfini bianchi saltare verso il cielo per dare il via alla danza. Subito dopo, sincronizzando i tempi, saltarono fuori dall’acqua centinaia di delfini mentre al largo, più lontano, un rilevante numero di splendide balene, partecipava in coro con soffi altissimi di vapore.
Antonio, braccia al cielo, lanciava verso il mare il suo ringraziamento, comunicando a voce un forte sentimento di entusiasmo, “grazie, è bellissimo vivere”. Poi, piano piano, videro i delfini allontanarsi in ogni direzione ed anche le balene se ne erano già andate quando, improvvisamente da sotto la barca, i tre delfini bianchi uscirono dall’acqua saltando insieme e rituffandosi ,provocando uno spruzzo d’acqua che bagnò tutti i presenti.
Antonio era sfinito, d’altronde era rimasto tutta la notte fuori con le braccia al cielo, ma non mancò comunque di cercare di descrivere quello che aveva sentito. Velia però lo fermò, dicendo che non era necessario perché con lo strumento inventato da suo marito, aveva registrato i fenomeni magnetici di quella notte e adesso, in laboratorio, poteva riprodurli e metterlo quindi nella condizione di rivivere quelle sensazioni e riascoltare la Voce del Mondo, il canto della vita. “Jacques lo faceva sempre, ma lui non poteva tradurre i suoni che percepiva e adesso tu ci sei riuscito e certamente potrai riascoltarlo ogni volta che vorrai.” Gianni era comunque preoccupato per come avrebbero potuto dare una dimostrazione scientifica o pratica dell’accaduto e disse - “Potrà sicuramente servire la statistica sulla frequente risposta dei delfini agli ordini impartiti loro tramite i fischietti, ma tutto il resto è comunque attribuibile alle doti psichiche di Antonio e non è possibile dimostrarlo”- Il professore sorrise con aria consolante e scuotendo le spalle rispose - “Noi lo sappiamo, ed è meraviglioso; la facoltà di filosofia è talmente vasta nelle sue diramazioni che può prevedere queste forme meramente teoriche di comunicazione, imposteremo così le nostre relazioni.”-
Mentre discutevano sull’argomento, Lia era scesa in cabina ed era tornata con una cartella, riportante un’etichetta con scritto “Jacques” dalla quale aveva estratto un foglio che si apprestava a leggere - “Eccolo il segreto per vivere felice, sentire ed osservare la grande meraviglia che il mondo ci regala ogni momento, non dando peso, quindi, alle stranezze varie di questa umanità. Ascolta, vedi, apprezza, condividi con la Terra, potrai sentirla dire:



VIVI FELICEMENTE


APPENDICE
Dopo un po’ di tempo, il professore, era riuscito finalmente a convocare una conferenza sulla Voce del Mondo. Il confronto diretto con i rappresentanti delle varie Teologie e Filosofie, fu organizzato da un suo collega ed amico, docente presso la facoltà di filosofia di Milano. Gianni e Laura non avevano potuto partecipare perché intenti a preparare la tesi di laurea. Antonio e Lia erano invece in prima fila nella grande sala congressi dell’università. Accanto a loro erano sedute alcune importanti personalità ecclesiastiche, un rabbino ebreo ed un paio di personaggi particolarmente carismatici, con la testa rasata ed una lunga veste arancione. La sala era gremita di gente: c’erano i filosofi new age pronti a supportare la relazione del professore con le loro teorie sull’armonia universale, nelle quali è previsto il dialogo spirituale con tutto ciò che ci circonda, i pastori protestanti che invece contestavano apertamente il fatto che il mondo avesse potuto comunicare con gli uomini, visto che questi sono fatti ad immagine e somiglianza di Dio e soltanto Lui avrebbe potuto fare un’azione così eclatante; c’erano anche alcuni signori molto compiti e distinti, appartenenti ad un’anonima loggia massonica autodeterminatasi a custodia della coscienza della conoscenza.
Il professor Moretti aveva appena finito di leggere dalla sua relazione la parte del Canto della Vita, quando fu costretto a fermarsi a causa di un mormorio crescente, che arrivò ben presto a sfiorare il turpiloquio.
I filosofi new age scandivano slogan verso i pastori protestanti che avevano rivolto al professore parole gravi come eretico e bestemmiatore. I sacerdoti cattolici avevano avviato un’accesa discussione con i frati Francescani, seduti in seconda fila, che asserivano che anche Francesco d’Assisi aveva parlato con gli animali, i quali, a parer loro, erano il tramite più diretto per arrivare a Dio; il rabbino ebreo si batteva ripetutamente il petto in segno di penitenza mentre, accanto a lui, i due saniasi avevano intonato un lacerante hari Crishna, che costringeva gli astanti ad urlare per farsi sentire; solo i massoni avevano mantenuto un ermetico silenzio e continuavano a prendere appunti sui loro quaderni utilizzando biro decorate da vistose penne d’aquila.
Il professore si era abbassato sotto il leggio, dove era posizionato l’impianto audio, per alzare il volume del microfono e questo aveva emesso un fischio che fece zittire di colpo tutti i presenti; lentamente si era avvicinato al microfono con un sorriso che appariva un po’ fuori luogo in quella ressa “che pure non sanno nemmeno ascoltare intenti nel vivere il loro baccano”;un messaggio così importante richiede particolare attenzione, la Voce del Mondo va ascoltata e poi meditata in ogni suo passaggio per riuscire a trarne insegnamento. Aveva ricominciato a leggere la sua relazione ed ora stava rispondendo ai pastori protestanti dicendo che Dio era sicuramente l’ispiratore delle parole ascoltate e lo si poteva trovare anche nella frase”partecipa in forma di pura energia a dare una voce alla nostra coscienza” e da quella parte non sollevarono obiezioni. Un sacerdote aveva però obiettato che era completamente estraneo il concetto di eternità che identifica l’opera divina. Il professore rimase un momento in silenzio davanti a quell’affermazione poi, scostato il testo della relazione, rispose: “il concetto di eternità è presente in ogni cosa, nel micro e nel macro cosmo. La Voce del Mondo conclude dicendo “il cosmo, lo spazio, permette la vita, attraversa ogni forma di questa materia, rendendola anch’essa infinito a suo tempo”, il cosmo è lo spazio infinito e consente la vita e quindi l’evoluzione della materia nello spazio infinito che origina il tempo, anch’esso inevitabilmente infinito o meglio identificabile con la parola eternità.
Il rabbino aveva cessato da un po’ le sue giaculatorie per consentire il dibattito ma, a quella affermazione, aveva ricominciato a battersi il petto e a pregare , attirando su di se l’attenzione dei presenti. Il professore sai sentì così in dovere di cedergli la parola quantomeno per comprendere il significato di quell’atteggiamento.
“La Sacra Bibbia parla di creazione e di apocalisse, questo non rende accettabile l’ipotesi dell’eternità, ciò che ha avuto un inizio avrà una conclusione, solo Dio,Yah, è eterno.
Il pubblico rimase ammutolito per un istante ma un rappresentante della loggia massonica asserì con tono grave “lo scetticismo di fronte all’inconcepibile è da sempre stato fonte di incomprensioni che hanno allontanato l’uomo dalla coscienza della conoscenza. Lia sentiva l’atmosfera pesante che gravava sulla sala, ognuno era fermo sulle proprie convinzioni: i Saniasi adorando la luce le attribuivano la fonte unica e inesauribile della vita, i Buddisti erano d’accordo con i new age e occupavano con il loro corpo lo spazio da loro definito come Nirvana o Coscienza Cosmica, il rabbino supportava con le Sacre Scritture la tesi della creazione lanciando di conseguenza inquietanti messaggi riguardanti la fine del mondo, i Sacerdoti ed i Protestanti erano d’accordo ma spingevano verso la risurrezione di Cristo quale speranza di futura vita per gli uomini di buona volontà e i Mussulmani avevano un concetto simile promesso da Maometto e arricchito con fiumi di latte e miele. Vedendo il professore in difficoltà, Lia si alzò e salì sul palco, si avvicinò al microfono dicendo “signori, per cortesia, calmatevi”. In breve tempo quell’animata discussione cominciò ad affievolirsi e lei si accorse, suo malgrado, di aver preso la parola.
“Ci sono tantissime ipotesi, tutte molto suggestive, ma comunque orientate verso una sola risposta e inoltre nate dalle stesse domande, chi sono io e chi è Dio? Io sono la materia del mio corpo, lo spazio in cui mi muovo ed il tempo che sto vivendo e sono fatta ad immagine e somiglianza di Dio. Lo spazio infinito o nirvana o coscienza cosmica ,è una realtà imperscrutabile di Dio, ma anche la materia lo è e con essa il tempo da lei generato nel moto perpetuo delle cose. Se penso all’infinito, non posso delimitarne i confini, semplicemente non ha fine e di conseguenza nemmeno inizio; bisogna accettare l’inconcepibile, non aggirarlo con sotterfugi strani; se lo spazio è infinito, infinite sono anche le galassie, le stelle ed i pianeti che vi gravitano, potreste immaginare uno spazio completamente vuoto oltre i confini di quello conosciuto? Se lo fate, state cercando dei sotterfugi per rifuggire l’inconcepibile e non è così che riuscirete a rispondervi.
Cosa ci deve costare ammettere che Dio è tutto questo, lo spazio, la materia, il tempo, li ha creati Lui, ma perché nel tentativo di capire chi è, dobbiamo per forza passare dal cosa ha fatto? Eventualmente a quello possiamo rispondere dopo, Dio è tutto e consente la vita, ecco che cosa ha fatto creandola, cosa fa e cosa farà per l’eternità; vi sembra forse poco? A me di certo basta per rispettarlo in ogni sua manifestazione, a partire dal mio corpo, a tutti gli esseri viventi, al nostro bel pianeta che davanti a tutti i vostri paroloni sta soffrendo ed ha bisogno che tutti noi cominciamo a rispettarlo.
Antonio aveva le lacrime agli occhi e si era alzato in piedi battendo le mani, subito seguito da tutti i presenti compresi il rabbino, i sacerdoti ed i tutori della coscienza della conoscenza che sventolavano le loro penne d’aquila in segno d’apprezzamento. Avevano finalmente riunito le coscienze e lo sforzo che si chiedeva ora a questa rumorosa umanità, era quello di vivere in armonia con tutti, con il mondo e con Dio, rispettando la vita in ogni sua espressione.
Per ora tutto questo è soltanto un racconto ma è già avvenuto dentro di me.
ALESSANDRO SORNAGA

Caleidos
00domenica 3 gennaio 2010 18:12
La voce del mondo
Caro Alephso,

Ho letto con piacere ed attenione il tuo racconto che offre un'immagine positiva e molti spunti di riflessione ed approfondimento.
Ho apprezzato lo svolgersi della trama del racconto nella bella atmosfera che evidenzia la tua buona conoscenza e passione avventurosa
per il mare.
Purtroppo, pur condividendo l'insegnamento de " La voce del mondo" devo constatare che ancor oggi l'umanità in gran parte è ancora distante anni luce dall'aver assimilato un concetto così puro e semplice.
La nostra società, il mondo in cui viviamo ogni giorno, è ancora fatto di sopravvivenza,di spraffazione, di povertà di guerra.
Troppi interessi economici, troppe speculazioni alimentano profonde differenze sociali.
Le religioni stesse sono diventate barriere alla comprensione reciproca e il "vivere felicemente" "in armonia con tutti" è un traguardo lontano quasi una utopia.

Cal
Alephso
00domenica 3 gennaio 2010 18:57
Grazie Caleidos, quello che scrivi e' abbastanza vero, purtroppo,
troppa ignoranza, alimentata da chi arricchisce velocemente grazie ad essa, troppa iniquita', ricchezze maldistribuite, cure mediche negate,
strutture inesistenti in troppi posti sul nostro bel pianeta che pure non sembra curarsi troppo di noi esseri umani, intenti, come siamo,
nel vivere il nostro baccano.
Non sappiamo, non riusciamo ad ascoltare "la voce del mondo",
potremmo in breve cancellare l'ignoranza dalla nostra societa',
sostenendoci e incentivandoci l'un l'altro, popolo con popolo,
fianco a fianco.
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