La strage

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erikaluna
00mercoledì 1 luglio 2009 10:45
Viareggio. Un botto, una nuvola bianca, il cielo rosso, e la tragedia in fiamme e vite dilaniate- Che paura. Qua nella nostra frazione “d'arte e d'amore” non si è sentito niente, come essere così vicino, così lontano. Poi all'alba i messaggi sul cellulare, le immagini in tv appannate dalla commozione incredula di chi non riesce a capacitarsi che tutto ciò sia qui, adesso . Contatto. Rapidamente la mente collega come link automatici rapidi e precisi il luogo della tragedia con le persone che si conoscono e abitano nella zona già “rossa”. Un tam tam di parole e suoni che scandisce un appello nel cuore. Poco dopo ci si rende conto che la mappatura non è esatta, che gli eventi sono più grandi incomprensibili e imprevedibili dei tentativi razionali. L'altra sera era una giornata bella e calda, nei pressi della stazione si passa spesso, via nevralgica di collegamenti nel cuore della città, c'eravamo anche noi mezz'ora prima del botto. Il dramma è incalcolabile. Subito si viene a sapere che dei bambini coinvolti sono della nostra scuola, I bimbi erano nostri...nostri del quartiere, nostri della scuola, nostri della città...nostri di quella cosa dignitosa che dovrebbe essere la società civile. Vado dalle mie colleghe insegnanti di una delle vittime, l'abbraccio parla molto più di ogni suono. Dopo la paura il dolore e la rabbia, perchè un conto è la casualità, un conto la responsabilità. La città nella mattina è un assoluto irreale di silenzio e immagini contrastanti. Il silenzio avvolge tutto e tutto è contrasto: la disperazione sui visi delle persone, i colori accecanti dei costumi dei turisti, quel brulicare da città di mare che adesso tace. Solo parole troppo deboli che descrivono il rosso del cielo di una notte indimenticabile, i botti come tante bombe esplose, il frullo delle sirene, l'impossibilità di comprendere sul momento cosa stessa accadendo ( un incendio, un treno, un attentano...)la solitudine e la fragilità di chi si è riversato nelle strade Le auto bruciate sono scheletri di un ricordo che resterà indelebile, sopra i murales di manifesti che proprio la sera prima raccontavano di una stagione tutta da vivere, tra colori e linee a metà strada tra gli acquerelli e i manga. Tutto è bruciato tranne il dolore di chi ha perso qualcuno non lo si può raccontare e che rimane incandescente, appiccicato sulla pelle nuda dell'anima: più semplici gli abbracci, lo stringersi accanto, ma non la parola che definisce e sul momento fa ancora più male. Sembra un set apocalittico: le case crollate, e quelle bruciate. Le persone perdute, e quelle sopravvissute. E la città piena di sole, mare, turismo, musica e carnevale si veste con dignità di tragedia comunque troppo grande per le nostre risorse. Mai visti così tanti cronisti, tv e compagnia bella a raccontare la storia, ma anche le storie oltre le cronache mischiati ad altri curiosi cannibali di pixel e video. Nel pomeriggio anche il giullare del potere ferisce con la sua presenza un dramma che non si può raccontare. Nel frattempo mi stringe un abbraccio grande di amici, amori, colleghi passati,e il passato di rompente di chi si perde di vista torna nel presente, a dire che niente perde davvero: un abbraccio che parte da Massa, e viaggia Parma, Forlì, Torino, Trieste ,Venezia, Firenze,Ancona,Napoli, Palermo, un abbraccio forte che dà coraggio e non fa sentire soli. Il pomeriggio nel quartiere più colpito è intriso di aria irrespirabile, di mezzi di soccorso, di ragazzi dalle tante divise militari e di volontariato accomunati da un prezioso spirito di sacrificio e pura resistenza. Il pomeriggio mette una sete che non si toglie, un'arsura che ormai non è superficiale ma parte della propria epidermide.Sull'asfalto guanti sanitari, bende, scarpe oggetti dietro cui ci sono storie, spesso spezzate. Sentire i racconti dei testimoni che hanno visto i conoscenti improvvisamente contorcersi in torce umane è qualcosa che cambia il proprio “dentro”.Poi leggero scava un brivido di frustazione: a Cordoso nell'alluvione anche avere 20 anni e scavare fango aveva senso, qui tutto fa sentire impotenti: Intanto la scuola è un punto d'accoglienza, smistamento pasti e dormitori, allora anche una parola gentile, anche l'allestimento dei turni per i pasti o raccolta dei dati dei volontari diventano piccoli passi per ricomporre puzzle sventrati. Intorno i disegni , i cartelloni di un anno di scuola, in mezzo le storie degli sfollati, dei volontari. Ci troviamo tutti lì per caso, ed è un ritrovarsi senza essersi dati appuntamento: a fare poco, a fare molto, e anche per stare insieme. Perchè insieme c'è meno paura, ed insieme che la voglia di continuare torna a farsi sentire.

Note al margine: solo qualche tg ha il coraggio di chiamare strage...quello che comunemente è definito incidente. Viste le responsabilità umane intrinseche, direi che non c'è da scegliere tra le parole...








Note al margine: " la macchina da presa si ritrova al centro di uno spazio sconvolto , in cui sono stati distrutti tutti i rapporti e dove le unità di misura sono date dalle macerie: si tratta di muoversi lungo questo spazio, di ricomporlo con la stessa pietas con cui si ricompongono i corpi dilaniati dalla guerra, di ridefinirne tutte le dimensioni, di abbracciarne la totalità e salvarne ancora il senso di vitalità palpitante. " ( G. Brunetta)
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