La storia della R1

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KneeSlider2002
00giovedì 12 agosto 2004 03:25
YZF-R1
Tutto è iniziato con un foglio bianco, durante una riunione informale negli edifici all'interno dei paddock del circuito di Killarney, nei pressi di Città del Capo, in Sudafrica. I migliori giornalisti specializzati del settore, provenienti da tutto il mondo, stavano provando la YZF1000R Thunderace, al suo esordio. Mentre tutta l'attenzione dei mezzi di comunicazione era concentrata sulla nuova sportiva Yamaha, nel caldissimo e soleggiato Sudafrica un gruppo di importanti progettisti della Yamaha Motor Giappone colse l'occasione per discutere di nuove idee con i responsabili di prodotto europei, in un'atmosfera di totale relax.

Kunihiko Miwa, l'uomo chiave nello sviluppo della serie R, era appena stato promosso a capo del progetto per "una nuova moto supersportiva"
Mario Inumaru, senior product planner e responsabile per l'intero mercato europeo, caldeggiava l'idea di una moto davvero radicale, con l'intenzione di rivoluzionare la classe delle supersportive ispirate alle competizioni. Le vendite di questo segmento, alla metà degli anni novanta, avevano subito un rallentamento, ma l'Europa era ancora un mercato interessante per le moto dal carattere decisamente sportivo. I responsabili di prodotto della Yamaha Motor Europe, negli uffici di Amsterdam, credevano fortemente in questo segmento, e potete immaginare la loro soddisfazione quando il team di progettisti giapponesi accolse con entusiasmo le loro idee.


Nessun Compromesso

Così, mentre i più qualificati giornalisti sportivi nel settore delle due ruote "testavano" la Thunderace, un piccolo gruppo di ingegneri e progettisti nei locali allestiti all'interno dei paddock, poco lontano da loro, stava già pensando alla prossima moto, ancora più estrema! Mr. Miwa disse ai progettisti che aveva già in mente un nuovissimo propulsore a 4 cilindri, con l'idea di integrare telaio e motore in un'unica struttura, per realizzare la moto più leggera e compatta della categoria. Prese la penna e scarabocchiò le idee tecniche di base su un foglio di carta. I progettisti gli diedero un'occhiata. Uno di loro aggiunse a matita le parole "Nessun Compromesso". Questo diventò in seguito il concetto chiave per lo sviluppo della R1. Miwa-san accettò una sfida quasi impossibile quando delineò i parametri base del nuovo progetto: 150 CV, peso contenuto sotto i 180 kg e maneggevolezza da 600cc. Il tutto, nella stessa moto!


Scelte tecniche ancora valide

Miwa e il suo team lavorarono senza soste per circa un anno. Non rimase molto tempo per il sushi e per il sakè. (per chi non conoscesse la cucina giapponese, si tratta di pesce crudo e distillato di riso). Lo schema di base elaborato dai tecnici è valido ancora oggi, e detta ancora i parametri di valutazione delle altre supersportive.


Motore a 4 cilindri ultracompatto, grazie alla disposizione su tre assi dell'albero motore e degli alberi primario e secondario del cambio
Telaio Deltabox II con il motore (inclinato in avanti) come elemento strutturale, per ottenere la massima rigidità, contenendo i pesi.
Forcellone oscillante extralungo, combinato con l'interasse corto, per un controllo totale e un'eccellente stabilità.
Posizione del pilota al centro della moto, per assicurare la migliore distribuzione dei pesi.
Attenzione maniacale per i dettagli


Mai una moto destinata alla produzione di serie come la R1 era stata oggetto di un'attenzione così maniacale per ogni dettaglio, anche il più piccolo. Miwa-san fu così soprannominato "Mr. Nessun Compromesso".

Bastano alcuni esempi per illustrare questa ricerca esasperata della perfezione. Per ottenere un passaggio più diretto tra la leva e la scatola del cambio, la sezione del telaio sopra il fulcro del forcellone oscillante è forata. Una soluzione innovativa, che garantisce una superiore sensibilità negli innesti e nelle scalate, perché l'albero del cambio non subisce flessioni. Il manubrio è un blocco unico in alluminio, e l'assenza di saldature lo rende più leggero del 46%. Sono solo due esempi, ma spiegano come l'attenzione dei tecnici Yamaha per ogni dettaglio abbia permesso alla R1 di diventare una delle supersportive più evolute sul mercato.

..continua...
andywind
00giovedì 12 agosto 2004 09:05
davvero bella!!!! ce l'aveva un mio amico (no, cisu non parlavo di te, tu ce l'hai ancora la R1/2 [SM=x107546])
KneeSlider2002
00giovedì 12 agosto 2004 20:42
continuerà nei giorni seguenti
andywind
00venerdì 13 agosto 2004 09:23
cmq il primo dmodello era davvero senza compromessi (= inguidabile) [SM=x107499]
KneeSlider2002
00venerdì 13 agosto 2004 11:13
Re:

Scritto da: andywind 13/08/2004 9.23
cmq il primo dmodello era davvero senza compromessi (= inguidabile) [SM=x107499]


motore esuberante...ma telaio...
andywind
00venerdì 13 agosto 2004 11:25
Re: Re:

Scritto da: KneeSlider2002 13/08/2004 11.13

ma telaio...



un sercio!!! [SM=x107499]
KneeSlider2002
00venerdì 13 agosto 2004 13:37
2002...
Tratto da Superwheels

Uno vede una bella copertina patinata, con la R1 in piega e dice: "Toh, c'è la nuova Erreuno. L'hanno provata quelli di Superwheels. Vediamo un po'...".


Senza sapere, magari, i retroscena che ci sono dietro quella foto. Come se si trattasse di una foto e basta, e non anche di una storia. Beh, questa volta, ma solo per questa volta, e proprio perchè è piuttostoparticolare, abbiamo deciso di raccontarla tutta questa storia. Eccola.

Proprio nei giorni in cui si approssimava la "chiusura" del numero che avete in mano, cioè la stesura degli ultimi articoli, la stampa e la rilegatura del giornale, la Yamaha presentava, in contemporanea, la sua nuovissima R1. Normalmente, in questi casi, che si fa? Ci si mette il cuore in pace e si rimanda la pubblicazione dell'articolo al numero successivo oppure, se si tratta di un modello molto importante, si ritarda di uno o due giorni l'uscita del numero in edicola.

Questa volta però, con un po' di fortuna, di salti mortali, di stratagemmi e con qualche nottata in bianco con gli occhi incollati ai monitor dei "mec", i personal computer della redazione, abbiamo tentato lo sgobbo: pubblicare un test approfondito della R1, con tanto di foto di copertina, sul numero che, ormai, era già con una pagina nell'edicola.

Abbiamo parlato di copertina perché il problema principale era proprio la preparazione e la stampa di quest'ultima: il nostro tester Andrea Mazzali, inviato a Barcellona per la presentazione ufficiale della Yamaha, non sarebbe tornato in tempo con le foto dei test, e allora era necessario trovare un'idea al volo. C'era una sola possibilità: comprare una delle Erreuno destinate, in concomitanza con la presentazione in Spagna, all'operazione "porte aperte alla Yamaha".

Detto e fatto. li Direttore che, come ormai si sa, non nasconde il suo debole per la velocissima giapponese, ha deciso di fare questo investimento e ha convinto, senza nemmeno faticare troppo, il carissimo (ma non in senso di prezzi) Giovanni Buratti della concessionaria Moto Shop di Parma a venderci la prima R1 giunta in Italia.

Così il nostro Giovanni, che dopo questa operazione consideriamo come uno di noi, un bel sabato mattina, ci ha portato il bel "regalo" nei box di Varano, sia per la consegna ufficiale delle chiavi, sia per realizzare questa benedetta copertina.

Attori dell'operazione: la mitica Yamaha (dentro lo scatolone), Aldo Ballerini, destinato a farle compiere i primi passi in pista e a tirare giù le prime impressioni, il Ghego per la parte logistica, e il rude Marco Poli come coprotagonista delle pieghe più sensazionali... Per completare articolo abbiamo movimentato il professor Massimo Clarke, al quale è stata data in pasto la massiccia cartella stampa della Yamaha con le novità apportate per l'analisi tecnica e critica di questo esplosivo modello.

La prima parte della rappresentazione in pista, a Varano, come potrete leggere sulle prossime pagine, è filata via piuttosto liscia, ma poi, quando il "verro di Castelnuovo" ha afferrato con le sue zampe i due fini semimanubri della piccola R1 (con 13 km all'attivo) e ha iniziato a metterla direttamente dalla posizione verticale a quella sdraiata senza passare dal via, fidandosi sulle coperture nuove di zecca (e neppure troppo rodate) e soprattutto del suo granitico ginocchio magico (sul quale appoggia tutti i suoi erotici 100 kg di pura passione e almeno metà del peso della moto), beh, allora dovevate proprio vederle, le facce di Giovanni Buratti e dei nostro Direttore.

Erano appena preoccupati: l'uno per la sorte dell'ancora sua R1 in attesa dei perfezionamento del contratto; l'altro in ansia per la sorte della sua R1 in attesa solo dei perfezionamento dei contratto. Ma insomma, ragazzi, un po' di coraggio! In fondo, che sarà mai questa Erreuno? Non è un ammasso di ferro e plastica come tutte le altre moto? Ah, No? Ne vogliamo discutere?

DESIGN E ALLESTIMENTO

L'AVEVAMO vista al Salone di Milano, ma ormai era passato così tanto tempo che vedendola dal vivo, appena sfilata dalla gabbia metallica dell'imballaggio, la nuova R1 ci sembrava ancora più bella. E pensare che il compito affidato ai designer non era per nulla facile: migliorare una linea originale come quella della grintosissima R1, ancora nuova, ancora piacevole ed emozionante, sembrava proprio un'impresa ai limiti dei possibile. Ma anche questa volta la Yamaha è riuscita a stupire, disegnando una forma che, soprattutto in un settore non particolarmente creativo come quello delle supersportive giapponesi, è davvero innovativa.


Resta inalterata solo la splendida fisionomia rapace dei cupolino, mentre tutto il resto cambia in modo sostanziale. Laddove da anni non si vedeva nulla di veramente nuovo, i designer hanno offerto il meglio della loro creatività: gli anonimi lati della carena sono ora diventati sottili appendici aerodinamiche che si innestano nei telaio e si chiudono con lo spoiler inferiore lasciando intravedere, dietro le ampio feritoie, la minacciosa testa nera dell'esplosivo propulsore.

L'alleggerimento estetico è l'idea che c'è alla base della nuova R1, che la allontana dalle concorrenti e anche dalla flessuosa precedente versione, che al suo cospetto sembra appesantita e ormai già invecchiata di dieci anni. Lo stesso concetto lo ritroviamo nel disegno dei codone, sottile e schiacciato, e dei serbatoio, molto simile al precedente ma più asciutto grazie all'aspetto nervoso a alla fiancatina allungata e rifinita in nero satinato che ne nasconde la parte inferiore.

Tagli e colori decisi

IL CODONE è l'elemento che meglio rappresenta l'attuale generale tendenza a disegnare linee sempre più sottili e spigolose. Anche qui compare, come ci si poteva attendere dopo averlo ammirato sulla R6, il gruppo ottico posteriore a led; in questo caso però lo troviamo trasformato in una ancor più esile fila di elementi luminosi.

Il telaio è stato oggetto di un'azzardata, quanto azzeccata scelta cromatica: ha perso il suo originale colore alluminio, ma in cambio ha ricevuto una grintosa finitura nera satinata, che si accorda con quella dei forcellone e di altri numerosi particolari, come i cerchi, i piedini di sostegno delle pinze dei freni, il parafango posteriore, la fascia inferiore della carena.

Finalmente sono scomparse le classiche "frecciate" di colore alla giapponese della precedente versione (che tra l'altro, fatte le dovute proporzioni, non erano neppure troppo ingombranti) che hanno, finalmente, lasciato il posto a due efficaci versioni monocolore: una blu ed una grigio metallizzato. A queste si affianca la classica livrea bicolore red/white, che ha il pregio di essere la colorazione ufficiale delle Yamaha da competizione, ma anche il difetto di spezzare l'armonia delle taglienti linee di questa racer di razza.


Un cruscotto tecnologico

LA STRUMENTAZIONE mantiene il compatto schema precedente, costituito da un contagiri analogico affiancato da un ampio display LCD. Il quadrante dei primo, con zona rossa da 11.750 giri e fondoscala a 13.000 giri, e più ampio e leggibile, ed è contornato da una ricca serie di spie. Vanta due interessanti novità: ha la luminosità regolabile su sei livelli e contiene un "flash" che si accende al raggiungimento del regime più adatto al cambio marcia. E' possibile modificare sia la luminosità di questo avvisatore luminoso, sia il numero di giri al quale viene chiamato in causa.

Il display digitale, posto a sinistra dei contagiri, e dedicato alla visualizzazione della velocità istantanea e dei chilometri percorsi (totali, più due parziali); in un piccolo schermo LCD, collocato sopra quest'ultimo, è visualizzata la temperatura.


ANALISI DINAMICA

UNA GIORNATA di intense prove dei nostro Mazzali sul circuito catalano di Montmelò, integrata con la prima, cauta uscita sulla nostra R11 a Varano, ci hanno permesso di tratteggiare un quadro abbastanza attendibile dello straordinario potenziale della nuova stella ipersportiva di lwata. Tanto per cominciare la posizione di guida non è cambiata in modo radicale, ma la sella e il codone sono stati ridisegnati per migliorarne l'ergonomia. La sella è stata alzata di 5 mm e così si è più caricati in avanti, verso il manubrio, in una posizione più sportiva. Ovviamente, appena si sale sulla nuova R1, è impossibile accorgersi di questa sottile modifica. Come pure della migliorata ergonomia. Non che i tecnici di Iwata abbiano mancato l'obiettivo che gli era stato assegnato, solo che in sella alla R1 sono ben altri i pensieri che frullano per la mente.


Innanzitutto ci si perde nel piacere di stringere con le gambe il nuovo serbatoio. Secco, spigoloso, corto. Si, corto. Perché il manubrio, stretto e inclinato, appare vicinissimo, così da imporre una "nuova" stuzzicante posizione avanzata e col busto quasi eretto. I comandi, sono lì vicini, a portata di mano, facili da raggiungere e da controllare: si capisce che questa è la situazione ideale per tenere a bada i 152 (nuovi) CV e goderseli sul misto. Tutti, fino all'ultimo.

E' un orologio

SI PUO' avere la mente affollata di tutti i pensieri dei mondo ma poi, una volta inserita la chiave nel quadro, ecco che tutto svanisce, in attesa dell'attimo in cui si premerà il magico pulsantino dello start. Il propulsore è così docile, pastoso e regolare che vengono dei dubbi sulla sua effettiva cattiveria. Anche percorrendo i primi metri non si ha alcun indizio dei terrificante potenziale che nasconde. Un sospetto però può giungere dalla velocità della risposta ai colpetti che si danno sul comando dell'acceleratore nella fase di riscaldamento: il venti valvole Yamaha reagisce con rabbia e facendo schizzare in alto l'ago dei contagiri.

Il contachilometri dei nostro esemplare segna un misero "1". Probabilmente si tratta dei km che ha percorso in origine per le operazioni di carico/scarico, allestimento, ma non certo su strada. Forse non è così, ma ci piace pensarlo. Ovviamente ci teniamo ben lontani dalla zona rossa e, senza superare i 5000 giri, senza stressare i freni (in rodaggio pure loro), inanelliamo i primi giri guidando come dei principianti, pensando pure alla scivolosissima patina di cera che ricopre i pneumatici, nuovi di zecca.

Così scopriamo subito, con piacere, che ciò che si poteva temere è stato assolutamente evitato. Spesso il sistema di iniezione si porta in "dote" una risposta brusca e antipatica ai chiudi-apri, ma su questa R1 tutto fila liscio come l'olio. Anzi, la risposta pare ancora più dolce di quella della versione a carburatori.

Anche a questi regimi ridicoli il venti valvole Yamaha si avverte fremere sotto la pelle come un mustang da rodeo in attesa dell'apertura del cancello. Il funzionamento, sottilmente ruvido che si avverte nei primi km dei rodaggio, trasmette una decisa sensazione di forza esplosiva. Ma occorre pazientare: il contachilometri ci dice che è ancora presto per provare l'ebbrezza dei 152 CV...

Inizia la rumba

DIFFICILE però resistere più a lungo, e al seguente passaggio sul rettilineo spalanchiamo il comando dell'acceleratore (tanto sia Giovanni Buratti, sia il Direttore, sono laggiù, in fondo alla pista, e magari non ci sentono...). L'erogazione è pulitissima, lineare, senza incertezze, senza la minima sbavatura.
Il propulsore è ancor più fluido dei precedente, ed è cosi "precisino" che potrebbe sembrare anche un po' noioso. Se non fosse per il fatto che l'erogazione è potente, brutale, anzi, brutalissima. E travolgente in prima (è meglio non perdere la concentrazione se non vogliamo ritrovarci a candela in zero secondi) e da mozzare il fiato in seconda marcia nella quale tutto avviene così rapidamente che solo al momento di inserire la terza si capisce che la ruota anteriore ha già percorso metà dei rettilineo per aria...

A proposito di cambio: c'è da dire che un bel passo avanti è stato compiuto in tema di funzionalità, e si può affermare che il suo comportamento, pur non raggiungendo la perfezione, è in generale avvertibilmente più morbido. C'è anche chi (Mazzali) ha dato una definizione molto sintetica ed efficace della nuova unità: "...non è ancora un cambio Honda, ma sicuramente non è più un cambio Yamaha!"

Ormai il ghiaccio è rotto, e al giro seguente ripetiamo lo sgobbo. Questa volta vogliamo arrivare a sfiorare la zona rossa. Finita la fase di riallineamento, con la moto ben stabilizzata in rettilineo e la seconda inserita, a circa 120 km/h indicati, ci "sfugge" il dito sulla frizione. La ruota anteriore si solleva e, siccome non ne vogliamo sapere di chiudere il gas, questa non scende più, fino al raggiungimento, istantaneo, della zona rossa. In "volo" inseriamo la terza, e la progressione è ancora così forte che l'avantreno prosegue la sua corsa nel vuoto, per planare delicatamente a qualche centinaia di metri dalla staccata. Perché la giornata è così corta? Buratti, quanto costa questa R1? Come quella dell'anno scorso? 13.070 Euro con le chiavi in mano? Ne vogliamo tre. Quattro.


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