Demetra ritrovata
forse l'amore è cominciato nei tempi
della crescita morale quando ancora
non sapevo di essere donna e
tu non eri ancora sbocciato nel mondo
della paura virile e assolata.
Tutto è cominciato in quei giorni
di lucore infantile fra peschi in fiore
e piccoli dolci verdi alla menta.
E' cominciato con la storia di una figlia
campesina e di un padre sportivo
che cantava l'internazionale
dentro struggenti stanze di una casa
borghese fra pareti dipinte e
un odore di medicine delicate,
l'acqua bolliva su una spiritiera smaltata
e la febbre mi incantava la gola fredda
è lì che un giorno ho perso mia madre
Demetra per correre incontro a
uno sposo dai denti di ghiaccio
e l'alito di fichi secchi,
è lì che ho abbandonato le mie sorelle
per nascere dalla testa di mio padre
il bello e savio navigante del cielo,
nuova Atena priva di mistero
conservatrice delle leggi democratiche,
è lì che ho amato giocosamente
senza gloria con umiltà feroce e ingenua
il dio uomo che mi carezzava le guance
con dita di latte e mi parlava
con voce adultà di verità e di onore,
che mi guardava con occhi di vecchio
lustri occhi neri di bambino padre
dal cuore lento e asfittico e incolore
ho lasciato che mia madre mi
fasciasse la testa malata d'amore
stringendomi mummia sepolta sotto i teli
della sua tenerezza carnale di genitrice,
ho lasciato che mi baciasse i piedi
come un carbonaio dalle dita nere,
le ho dato un calcio vaporoso
nel petto gonfio di minestra calda
e l'ho lasciata una volta per tutte
nel suo letto di sangue e spezie
sconfitta e istupidita, senza terrore,
eppure muta da sempre della mutezza
cristallina di tutte le donne
Demetra mi ha cercata urlando
per i monti dell'infanzia straniera,
mi ha cercata lungo la costa
dell'adolescenza infiammata
senza trovarmi, Demetra madre innamorata
resa savia e immortale dalle richieste
dei padri che da lei voglio campi
dalle spighe ripiene vogliono
fiumi carichi di pesci luccicanti
piante pesanti di frutti stregati,
Demetra correva lupa marina con occhi irosi
cercando la mia coda lustra dietro ogni
roccia o cespuglio della penuria invernale.
Demetra le tue gambe sanno di vino
di palma e le tue unghie sono di vetro,
non troverai tua figlia la sposa
che gocciola sangue
perché i suoi passi sono diventati cauti
e quieti seguono i passi pesanti del
fausto sposo notturno nei fossi
brucianti fra lamelle di zolfo
in canali di ferro lambiti da ginestre assassine
immaginate un fiero e splendente
ragazzo ventenne dai capelli di aceto
e gli occhi lisci di toro ammalato
immaginate una bambina dal corpo bianco
di pane, le braccia come fiori velenosi
le palpebre pesanti di sonno impaurito,
immaginate un giardino di cavoli opalescenti
su cui corrono frullando farfalle bluastre
e mosconi dalle ali morbide che si incollano
alla pelle sudata sotto stelle invisibili e calde;
immaginate un fiume di lava e un quaderno
di matematica dai numeri inquadrati
in piccoli spazi verdi e rossi;
immaginate una mano morbida
che dorme inquieta sul foglio;
immaginate una treccia bionda
che ciondola nel vuoto nel mondo
l'odore del suo braccio che diventa
l'odore della vita e della scienza;
immaginate un padre e una figlia
indolenziti dal troppo amore
la bellezza di lui candida e sfiatata
gli occhi pesti di lei in silenzio
i piedi nelle scarpe camminano da soli
verso una strada senza rose dove
Pitagora canta la sua canzone della logica
sibillina, la voce di lui anguilla si arrotolava
nell'orecchio di marmo di lei e lì faceva il nido
nel calore della fatalità femminile;
immaginate un padre che non ha voglia
di essere padre e una figlia arrampicata
sulle sue dita languide come un'ape golosa
a succhiare il miele di quel cuore di maschio
insensato che voleva solo scappare
(continua)
da DACIA MARAINI, Mangiami pure
[Modificato da |Antigone| 11/06/2005 10.37]