La pet therapy fa bene agli animali?

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Akyaky
00mercoledì 19 novembre 2008 17:36

Pet therapy nel reparto di pediatria in un ospedale di Como (Newpress)
La pet therapy è ormai diventata un’attività ben codificata, anche da leggi apposite, che comporta l’impiego di animali da compagnia come ausilio terapeutico in alcune situazioni patologiche umane, sia fisiche che psichiche. I dati più divulgati e noti al pubblico sono gli effetti sulla pressione: la carezza al micio tenderebbe a farla abbassare, mentre osservare i pesciolini variopinti dell’acquario rilassa la mente ed evoca pensieri bucolici; la passeggiata quotidiana con il cane migliora l’umore e allontana i rischi cardiovascolari oltre a far consumare qualche caloria in più; l’equitazione migliora il controllo muscolo-scheletrico di coloro che hanno problemi di coordinazione; i delfini si sono rivelati in grado di superare parzialmente la barriera dell’autismo. Anche altri effetti sono sfruttati e pubblicizzati, tra cui alcuni decisamente frivoli come il socializzare meglio con sconosciuti al parco perché si è possessori entrambi del cagnolone di turno, vedi la vecchia e gettonata storia della carica dei 101.

Praticamente su ogni rivista si recupera qualche informazione e suggerimento per «trattare» qualche malanno più o meno grave con la presenza o il contatto con un animale. C’è però un problema non indifferente e poco compreso che riguarda la tutela dell’animale «oggetto» terapeutico. Esistono due categorie relative a questo utilizzo del pet: la prima comprende gli animali «professionisti» cioè quelli addestrati specificatamente anche per anni e utilizzati di solito da associazioni di persone competenti e gestiti nel modo più corretto sia dal punto di vista sanitario che psicologico, come per esempio i cani destinati ai bambini con gravi lesioni cerebrali o i cavalli adatti alla rieducazione motoria. Non è probabile che un animale appartenente a questa categoria, possa finire in mezzo a una strada o a marcire in un canile anche perché sono animali molto costosi e frutto di scelte e selezione accurata.

Il secondo gruppo, più sfortunato e meno tutelato, comprende la moltitudine di animali della pet therapy «casareccia», cioè tutti quelli che vengono comprati o recuperati, senza specifico interesse, con la speranza di migliorare condizioni che spesso nulla hanno a che vedere con la presenza d animali, e può capitare, e capita, che il loro destino non sia dei più felici. Dice William Heberden: «New medicines and new methods of cure always work miracles, for a while», che significa che le nuove medicine e i nuovi metodi terapeutici fanno sempre miracoli, per un breve periodo. Molti di coloro che acquisiscono animali anche per altri motivi per fortuna se ne «innamorano», spesso dicendo che non immaginavano che fosse così avere un amico peloso e se ne infischiano poi del fatto che il motivo «medico» risulti non sfruttabile.

Ma cosa accade in alcuni casi se l’aspettativa di una vita più vantaggiosa e frizzante o un miglioramento della salute NON conseguono all’acquisizione del pet soprattutto se il motivo non è stato dall’inizio il reale desiderio di dividere la propria vita con l’animale domestico? Mentre i vari attrezzi ginnici acquistati all’asta televisiva nella speranza di diventare Brad Pitt si possono piegare e riporre sotto il letto o le scatole vuote dei farmaci si possono buttare nel pattume l’ingombrante animale va tenuto per tutta la sua vita, che quando va bene sarà di livello minimo di sopravvivenza, con cibi scadenti, poche passeggiate, e forse, alla prima occasione, il trasloco forzato. Quando va male, finito l’effetto euforizzante iniziale, il destino e quello praticamente certo dell’abbandono, con metodi più o meno carini a seconda del livello morale del proprietario.

Siamo così certi che gli animali che languono nei vari rifugi siano tutti stati abbandonati dal vacanziero folle? Nel caso dell’utilizzo di animali come «agenti terapeutici» sarebbe forse più appropriato specificare la controindicazione, che non si evidenzia praticamente mai negli articoli o servizi televisivi che trattano questo argomento e cioè che l’uso del “prodotto” (in questo caso il povero animale) è indicato solo ed esclusivamente a color che indipendentemente dalla necessità del farmaco abbiano comunque desiderio di rapportarsi con un animale domestico per motivi ben diversi e siano disposti ad accollarsene la responsabilità per tutti gli anni che durerà la sua vita.

Laura Torriani
Medico veterinario libero professionista - Associazione Avemus
(corriere della sera)
ciuteina
00venerdì 21 novembre 2008 09:25
Che tristezza! In effetti è vero, da qualche anno i media, giornali e tv, menzionano spesso la pet-therapy, e di solito risulta una cosa molto commovente.
Ne parlano però, o fanno passare immagini e riprese, restando sul vago, senza riferimenti precisi, senza fornirci informazioni più dettagliate, soprattutto sulle modalità precise con cui viene messo in atto questo metodo terapeutico.
Non sapevo dell'esistenza di animali-strumenti terapeutici di prima e seconda categoria. [SM=g27995]
Povere creature i secondi... ci vorrebbe un po' di sorveglianza per loro, su che fine fanno, da parte delle strutture che li mettono a disposizione.
violante999
00mercoledì 28 gennaio 2009 11:26
E' semplicemente l'ennesimo metodo di sfruttare gli animali.
Akela il solitario
00mercoledì 28 gennaio 2009 22:19
Ho visto in tv un tipo che parlava di pet therapy con gli uccellini in gabbia... Cosa alquanto macabra direi io.
Akyaky
00giovedì 5 febbraio 2009 05:33
Re:
violante999, 28/01/2009 11.26:

E' semplicemente l'ennesimo metodo di sfruttare gli animali.



no... no, non sempre credo... io credo che ci siano dei casi (ammetto che volevo lavorare nel campo) in cui umano e animale danno qualcosa l'uno all'altro. Parlo dei cavallini anziani che vengono dai macelli, dei cani del canile...

una volta veniva fatta questa cosa nel canile dove andavo. i cani (non tutti ovviamente!!!!) che la facevano erano molto felici. Uscivano dalla gabbia, coccole più del normale... dipende da come si fa, credo.
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