La madre di tutte le battaglie

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Attila 68
00venerdì 7 aprile 2006 22:44
Quello che trovate sotto è uno scritto lunghissimo, ed è una semplice trasposizione di quanto accaduto a Bergamo domenica scorsa riveduta e corretta. Non vuole essere una presa in giro per nessuno ne tantomeno per i lions, una squadra che ritengo tutt'oggi essere la più forte d'Italia. nessuno si senta offeso, Ho solo lasciato andare una fantasia "malata" e in molti vi riconoscerete con nomi "stranu" . Consiglio agli interessati di stampare se no fate notte.
Io il football, lo vedo così.....
Attila.


Quando l’esercito era ormai pronto a muovere da Bozhen il sole si era levato da poco. Con il suo numero così ridotto di guerrieri, esso, non poteva certo incutere particolari timori, ne tanto meno spaventare un eventuale osservatore appostato su qualche cima montuosa li intorno intento a spiare i nostri movimenti. E sapevamo bene che le anime dannate dello stregone Vecchioex, celate dalle foreste circostanti, sicuramente spiavano i nostri movimenti per conto del loro odioso e malefico padrone. Sapevamo bene come ci odiasse dal profondo della sua nera anima. Nella precedente guerra, egli per puro vezzo, aveva deciso di colpirci con un suo sortilegio malefico, che doveva vederci soccombere già dalle prime battaglie, ma accadde invece che gli Dei della guerra, rimasero talmente compiaciuti dallo spirito con il quale scendevamo sui campi a combattere nonostante fossimo sempre soverchiati nel numero, che stesero la loro lama divina e protettiva su di noi , rompendo quell’incantesimo e facendo si che potessimo confrontarci con le nostre forze contro ogni avversario. Lo stregone Vecchioex, vedendo il suo sortilegio fallire miseramente, andò su tutte le furie e giurò dall’antro fognario nel quale dimorava vendetta e odio eterno verso di noi, e da allora divenne per lui missione di vita vederci morire tutti, ma non ce curavamo in quel momento, pensieri ben diversi offuscavano la nostra mattinata Come appunto il nostro numero e il potere di chi stavamo per andare a sfidare. proprio nelle sue terre.
Così come nella guerra precedente, e della quale i clangori non avevano ancora cessato di riecheggiare in tutte le terre conosciute, l’esercito della tribù barbara Giants era numericamente davvero il più esiguo tra tutti gli altri, ma come molti avevano dovuto apprendere loro malgrado in quella precedente guerra, non era certo nel numero, che essi riponevano la loro fiducia .
E leggende erano nate in quei tempi sui Giants e sulla loro fortezza rimasta inviolata per tutta la guerra. Si narrava che la città fosse infestata da un invisibile letale morbo, inoffensivo per quei guerrieri che vi vivevano, ma letale per chiunque osasse varcare quei bastioni. con intenti bellicosi. Tutti gli eserciti che l’anno prima avevano invaso la fortezza di Bozhen, avevano ben presto iniziato a perdere misteriosamente le forze, come se un invisibile avversario ne minasse la tempra lavorando silenzioso al fianco dei barbari, per poi arrivare a combattere sempre più debolmente, fino alla sconfitta finale. Perfino la terribile armata di Re Luchen, proveniente dalla città del mare Delphinia, aveva dovuto conoscere la maledizione della peste di “Barbalf il bianco” e i suoi Giants, ed aveva dovuto fare ritorno alle mura amiche recando una cocente sconfitta che nessuno poteva immaginare. Proprio dopo quella battaglia lo stregone Vecchioex ebbe un tale eccesso d’ira che per qualche tempo scomparve in un lago melmoso a meditare sortilegi e magie per tempi futuri.
Ed ora, quella ridotta ma unica armata stava sotto quei bastioni rimasti inviolati, preparando il primo passo per una nuova stagione di guerre.
Sguardi silenziosi e gesti consueti si erano visti pochi momenti prima della partenza, davanti le mura della fortezza di Bozhen, la città appestata dal morbo, poiché la le forze radunate, erano pronte a partire e ad entrare in una nuova tumultuosa era di acciaio sangue e polvere.
Sguardi silenziosi, ma di reciproca fiducia si erano incrociati, tra i vari guerrieri e generali, mentre si ultimavano i preparativi, sguardi di chi sa di avere al proprio fianco guerrieri unici, poi “Barbalf il bianco” era salito sul carro più grosso in cima allo schieramento, quello con aria condizionata, wc, dvd e abs, e dopo aver osservato tutta la sua armata per qualche istante, aveva dato un segnale.
E’ da quel gesto, che si è arrivato a scrivere oggi una nuova pagina di storia, e dietro quel gesto, l’intera armata mosse pigramente tra il rumore di zoccoli e delle enormi ruote in legno delle macchine da battaglia, alla volta del valico tra i monti che circondavano come una naturale protezione la città. Quel passaggio, li avrebbe portati nella valle, fino alla destinazione, le oscure terre di Osioth, il più sinistro e temuto dei luoghi nelle terre conosciute. La guerra era iniziata, senza alcun dubbio, e per noi pochi e affamati barbari, iniziava con la più temibile ed impossibile delle battaglie. Ne avremmo fatto volentieri a meno, ma gli Dei e il Dio supremo Can Tù, avevano emesso il loro volere a mezzo del più incredibile dei calendari, e non potevamo far altro che obbedirvi. E così, ci trovammo a dover sfidare la fortezza di Darth Rendher e le sue legioni di orchi terrificanti, che da ben 8 secoli dominavano le terre vicine senza aver mai conosciuto il sapore della sconfitta, nonostante 73 immani battaglie nelle quali i loro tanti diversi avversari, erano sistematicamente tornati alle loro case sconfitti, piegati nelle loro volontà e convinzioni. Otto secoli nei quali il solo pronunciare il nome delle armate di Osioth, incuteva in ogni esercito di umani paure e superstizioni, terrore e senso di impotenza, per non parlare poi, cosa poteva passare per ma mente di un guerriero, al pensiero di essere in marcia proprio verso quelle terre per sfidarli addirittura sul loro stesso campo di battaglia.
Nel tempo, innumerevoli eserciti avevano sfidando o erano stati attaccati da quelle legioni, ma tutti erano stati sconfitti, derisi e distrutti, inseguiti e dispersi nelle foreste, annientati. Molti di questi svanirono e di loro non si seppe mai più nulla, e molte furono le leggende e i racconti, che sottovoce venivano narrati da anziani viandanti nelle locande buie e umide in cambio di qualche bicchiere di vino e di uno sgabello vicino al fuoco. Si narrava come fosse impossibile sconfiggere quei guerrieri, enormi, alcuni dei quali provvisti di un solo occhio al centro della testa, e che portavano corazze di oro e stoffe nere, che fossero protetti da un sortilegio di invulnerabilità evocato dallo stesso Darth Rendher, loro signore, loro padrone e unico sovrano. Si narrava di come il destino di chiunque avesse osato affrontarli, fosse sempre stato quello di perire nella sconfitta. Solo a quegli umani che si distinguevano in combattimento, veniva offerta la possibilità di avere salva la vita, in cambio del loro giuramento di fedeltà allo stregone di Osioth ed il loro unirsi alle sue legioni, e molti furono i generali che combattendoli riconobbero tra le fila dei guerrieri del sovrano di Osioth, alcuni dei loro migliori uomini dispersi o catturati in passate sconfitte.
Il potere di Darth Rendher era molto forte sugli umani, ed egli sapeva bene chi risparmiare in cambio del suo assoggettamento.
Si narrava che intere armate chiamate a raccolta da re di altre terre fossero state divorate morenti sui campi d’erba resa rossa dal loro stesso sangue.
E per quei secoli, la fortezza di Osioth, non conobbe mai la sconfitta, e nessun esercito potè mai intonare canti di vittoria all’interno delle sue mura, o riposare da vincitori sul suo campo di battaglia..
Non ci riuscì l’esercito venuto della città del profondo sud Cardinalia, nei tempi che furono, e non ci riuscirono gli uomini di Marinia guidati dal condottiero Al Len..
Non ci riuscì nemmeno Re Bebonhor che pur di accarezzare un sogno come quello, chiese ed ottenne l’alleanza tra le città di Kinga e Frogsia, i cui eserciti guidò nell’attacco ai Leoni di Rendher, incontrando però una cocente sconfitta che lo costrinse a rifugiarsi in una terra lontana chiamata "www.bebonori.com" ove vive ancora oggi in solitaria meditazione facendo solo pronostici..
Non ci riuscì nemmeno Re Luchen che condusse da Delphinia più volte eserciti davvero imponenti, impressionanti. Nel suo ultimo assalto ne riunì uno che forse tra tutti quelli visti, pareva l’unico in grado di poter davvero piegare definitivamente l’egemonia di Darth Rendher. Molti furono i condottieri che Luchen fece arrivare dal continente oltre l’oceano, e nella fase finale della battaglia sembrava che la vittoria fosse ormai sua, prima che un potente condottiero di Rhender, un certo Bar Thy Ski, cavalcasse nel cuore delle difese dell’armata di Delphinia fino a sferrare un colpo fatale, che in un istante zittì e spense le speranze di ogni umano accorso sulle colline attorno a seguire l’epico scontro. Gli orchi d’oro, banchettarono anche quella notte, e Re Luchen non si riprese mai da quella bruciante delusione, tanto che due anni dopo abdicò e sciolse il suo esercito che si disperse in altre guarnigioni.
E non ci era riuscito nemmeno Re Ben Hassi, del popolo Warriors della città di Warria, gli ultimi ad aver provato a contrastare il potere dello stregone nero, gli ultimi ad essere spazzati via dal campo di battaglia già a metà del confronto, e a divenire le nuove vittime di quell’esercito nero e oro leggendario ed invincibile.
Questi pensieri adombravano la mia mente, mentre pigramente guidavo il mio carro seguendo quello del guerriero Mar Thin che recava sul suo Rudes e Ciba. Al mio fianco invece il giovane Chicken sonnecchiava quasi incurante. Lo guardavo pensando che forse la sua giovane età e la sua incoscienza, potevano essere buone alleate nello scontro che andavamo a sostenere. Osservavo la campagna attorno che scorreva lenta nel sole della primavera, e un leggero sonno mi continuava a pervadere. In quella ultima notte, tutti noi nella guarnigione Tannhof sulla collina, avevamo avuto sonno agitato, e pieno di risvegli improvvisi sentendo il peso per la battaglia in arrivo. Più volte mi ero ritrovato a girarmi e rigirarmi nel mio giaciglio, finendo con il mettermi in un angolo della stanza ristudiare i piani di battaglia a lume di candela per non disturbare Chicken. Inoltre, i dispacci che ci erano giunti dai messaggeri inviati a Roma ad osservare lo scontro tra gli eserciti Gladio e Marinia che si era tenuto la sera precedente, ci avevano tenuti svegli fino a notte fonda. Si parlava di uno scontro epico e fiero fino all’ultimo sangue, nel quale alla fine dopo innumerevoli cambi di fronte l’armata Gladio aveva prevalso, ma una notizia riecheggiava più delle altre.
Sembrava che l’imperatore dei Gladio Lord Bozzhar nell’infuriare della battaglia e preso dal combattimento, avesse urtato in malo modo una delle divinità presenti a sovrintendere gli umani nello scontro, proprio una delle più imprevedibili e bizzose, il temutissimo e famigerato Semidio Pie Rath Atthel, refree da 5 dinastie, conosciuto da tutti i 7 eserciti per il suo potere e per la sua proverbiale magia. Il castigo per Lord Bozzhar era stato immediato e severissimo come ci si poteva immaginare e a nulla erano valse preghiere e spiegazioni. Mentre noi muovevamo verso l’oscuro territorio di Osioth, Lord Bozzhar veniva giudicato da un consiglio di semidei con le loro tuniche a strisce bianche e nere, e nulla si sapeva ancora di che ne sarebbe stato della sua sorte..
La colonna procedeva tranquilla nel suo cammino, sotto un cielo azzurro con qualche nuvola primaverile. La giornata si stava facendo calda, e mentre tenevo placido le redini con una mano sola del mio carro Toyota Yaris, pensavo che ciò poteva diventare un problema per la nostra ristretta armata. In molti in quella giornata sarebbero stati chiamati da “Barbalf il bianco” e il suo aiutante di battaglia Wud, al doppio se non triplo sforzo. Le speranze dei nostri ranghi erano poggiati su una quindicina di veterani, accompagnati da giovani guerrieri che facevano le loro prime esperienze belliche, volenterosi, dediti, ma pur sempre giovani ed inesperti, eppure, con quelle forze dovevamo affrontare quella giornata di guerra. Non era mistero nelle altre armate il divario delle forze in campo che ci sarebbe stato tra noi e l’esercito dello stregone nero “Darth Rendher”, ma proprio per questo, tutti guardavano a noi con una sorta di tacita ammirazione e con rispetto, e ciò ci piaceva. Una tacita fratellanza tra umani per chi stava per scendere in campo contro il soprannaturale e l’occulto. Guardavano a noi indicandoci ad esempi presso le loro scuole di guerra ai giovani combattenti, e questo ci faceva sentire orgogliosi, ed ancora, neppure lontanamente, potevamo immaginare cosa stava per succedere. Poco prima che il sole fosse nel punto più alto del suo cammino, giungemmo lungo la via ad una grande locanda per i viaggiatori chiamata Autho Grill, e qui “Barbalf” fermò la colonna ed ordinò una sosta per far riposare i cavalli e gli uomini. Scendemmo tutti e ci apprestammo a consumare frugali pasti ben sapendo che il tempo era poco e quasi sentendo la vicinanza di quell’oscuro luogo che era la nostra destinazione.
La giornata era molto bella, eppure all’orizzonte già potevamo vedere enormi nuvoloni neri bassi e addensati in un preciso punto, e nei momenti di silenzio, si potevano udire sordi brontolii provenire da quella direzione, verso la quale sguardi in apprensione, iniziavano ad essere diretti.
Sedemmo in silenzio a mangiare, cercando di distogliere i pensieri e alleggerire la tensione. Tutti i guerrieri più anziani cercavano di ostentare tranquillità ed allegria al fine di tenere su il morale della truppa, ma ben sapevo cosa poteva passare nei loro pensieri reconditi. Più volte avevo incrociato lo sguardo dei condottieri Mar Thin, di Ciba, quello dei 5 stranieri arrivati da poco alla nostra fortezza da oltre l’oceano, quello di Mazzh Holen o Carn Nharhol, o quello dei i comandanti di campi Oli Vhet e Wud, e potevo percepire la loro tensione, che era uguale alla mia. Ogni volta che i discorsi ritornavano sulla battaglia prossima a venire, era come se l’aria divenisse d’improvviso difficile da respirare, e pareva quasi che le nuvole all’orizzonte e quei sommessi brontolii si facessero più forti e minacciosi. Dopo nemmeno un’ora, la colonna era di nuovo in marcia, e stavolta, la tensione era davvero palpabile. Non rideva più nessuno, ne sul carro grande di “Barbalf il bianco”, e nemmeno su quelli più piccoli al seguito lungo la via. Nessuno parlava, nessuno aveva voglia di distogliere il pensiero, poiché il solo fatto di aver da poco varcato i confini con le terre di Osioth, ci faceva sentire in pericolo e minacciati da presenze che nemmeno riuscivamo ancora a vedere. Eppure, potevamo sentire fruscii e brusii nella vegetazione che avevamo ai lati del cammino, e sapevamo bene come “Darth Rendher” fosse già stato informato da ore del nostro arrivo. Cicken seduto sul mio carro al mio fianco, sembrava aver perso quella apparente incosciente tranquillità. Lui giovane guerriero dalle ottime speranze, lui chiamato poco tempo prima ad un onorevole confrontarsi con i migliori guerrieri della terra conosciuta, nell’NFLE, sembrava ora preoccuparsi anche lui di quel cielo innaturale e quelle enormi nubi nere vorticanti veloci sopra un punto ben preciso. Mi guardò in silenzio ma capii cosa si stava domandando e risposi semplicemente:
“Si giovane guerriero, la dimora dello stregone nero è la sotto, proprio sotto quelle nubi!”
Ostentai calma ed indifferenza per rassicurarlo, ma non avevo ne una né l’altra.
E fu allora che lo scorgemmo in tutto il suo terrificante aspetto. Un lampo e poi un tuono spaventoso diradarono all’improvviso parte di quelle nubi vorticanti attorno ad un’altissima torre di pietra rossa, il campanile di Osio, e fu così che potemmo vedere sulla sua cima un enorme occhio di fuoco che ruggendo si concentrò sulla nostra colonna deformandosi leggermente verso di noi, quasi volesse distaccarsi da quel sostegno di pietra e bruciarci tutti in un istante. La colonna si arrestò di colpo e i cavalli si imbizzarrirono nervosi impennandosi in ogni direzione, e molti furono quelli che al fragore istintivamente cercarono riparo sotto i carri o dietro la vegetazione.
L’occhio dello stregone nero, l’occhio di Darth Rendher che tutto vede e tutto sa, ci aveva scorti, e ci stava consegnando il suo messaggio di odio. Ci vollero diversi secondi perché la colonna si ricomponesse, mentre nel cielo,ora divenuto scuro, il terribile tuono di poco prima riecheggiava ancora esaurendo il suo ruggito feroce. Barbalf il bianco richiamò secco tutti all’ordine e fece riprendere la marcia il prima possibile. Sapeva bene che ora il malumore o i timori potevano prendere il sopravvento tra le sue fila, e doveva assolutamente tenere l’esercito nella disciplina.
E fu poco dopo, mentre gli uomini volgevano lo sguardo ovunque preoccupati, alla ricerca di eventuali minacce, e mentre il sole era ormai un ricordo lontano, capimmo di essere arrivati. Alla nostra destra stava un enorme campo di erba bassa, e attorno, innumerevoli teschi piantati su spade e lance, ovunque ai lati armi abbandonate, parti di corazze di varia foggia e varie appartenenze, scheletri con indosso ciò che rimaneva delle insegne di guerra e delle armature che avevano portato li prima di morire. Potevo riconoscere le insegne di tante gloriose casate del passato ormai scomparse da tempo, Pharaones, Seamen, Doves. Stavano li come un monito, come un avvertimento a lasciare subito quella terra oscura ed ostile come i suoi abitanti, ma mentre pensavo tutto ciò Barbalf già ordinava di allestire l’accampamento e di preparare armi e macchine da battaglia. Non si poteva più tornare indietro, non si poteva recedere a quel punto, ed inoltre, sapevamo bene che oramai l’esercito di Osioth ci aveva già sicuramente accerchiato, sebbene ancora non potevamo vederlo. Lo scontro era ormai prossimo e soprattutto, inevitabile, e per questo, decidemmo tutti che non avevamo più tempo per i timori e per le preoccupazioni, ma solo per combattere. Eravamo li per una guerra, e se avessimo dovuto perirvi, avremmo cercato di farlo in modo degno. I carri vennero scaricati velocemente e tra le tende i preparativi procedevano con fervore. Barbalf si ritirò nella sua tenda con aria seria, per stilare la lista dei guerrieri del suo esercito e dopo 30 secondi era già di ritorno a lavoro ultimato. Intanto, giovani untori erano stati inviati sul campo di battaglia, per una infida ma disperata missione. Apparentemente studiavano il terreno, ma in realtà vi spargevano invisibili alleati, ungevano l’erba di quel campo di battaglia con quel morbo che tante volte aveva silenziosamente combattuto al fianco dei pochi barbari Giants, ne versarono otri ed otri, nell’erba e sulla terra, nella vana speranza che sortissero un qualche effetto anche su quelle armate. Era appena terminato il discorso di Barbalf e Wud agli uomini, che ci ritrovammo sul campo di battaglia soli e ad attendere, mentre sulla collina adiacente al campo si era già riversata una folla di osservatori. Dovevamo apparire loro come una piccola macchia bianca in tutto quel verde, e proprio mentre mi chiedevo cosa attendessero gli orchi a mostrarsi, ecco che un suono lugubre sortì dalla torre di pietra, come un lungo latrato di un corno da battaglia, mentre l’occhio fiammeggiante iniziava a pulsare. Un attimo dopo l’esercito di Darth Rendher faceva ingresso sul campo di battaglia. La sola loro vista mi provocò rabbia e disagio, e il mio cavallo iniziò a muoversi nervoso nitrendo di paura. Fecero ingresso al passo, senza fretta, ci osservavano da dentro quegli elmi bui d’oro, sprezzanti e arroganti, pregustavano banchetti da protrarre fino a notte fonda, e potevo percepire l’ansia sulle facce dei miei guerrieri. Erano davvero enormi come si narrava nelle locande, portavano segni di innumerevoli battaglie, ovunque su braccia e gambe cicatrici richiuse dalla magia nera dello stregone, e tatuaggi delle tribù di provenienza, e si muovevano senza fretta, quasi ad assaporare le nostre paure. Mentre sfilavano passarono abbastanza vicini perché io potessi riconoscerne qualcuno dei più leggendari e temibili. Vidi infatti Bel Lhor, seguito da Doth, vidi Cas Thel Lhan, vidi Magn, e riconobbi infine anche Fiehrl e Capo Dhagl, due guerrieri convertiti al lato oscuro dallo stregone nero proprio nella guerra precedente. Si schierarono con tutta calma e quando ebbero terminato, guardai i miei compagni d’armi più anziani e mi resi conto che anche loro stavano pensando che dovevamo essere dei pazzi ad essere li a sfidarli nel loro campo sotto le mura della loro fortezza. Il loro schieramento era talmente vasto e sconfinato che avrebbe potuto tranquillamente circondarci e annientarci in poco tempo, ma le antiche leggi lo proibivano e cinque semidei con le loro tuniche a strisce bianco e nero erano giunti sul campo come l’usanza imponeva, per sovrintendere lo scontro. E la legge da sempre sanciva che lo scontro sul campo doveva avvenire tra pari numero di guerrieri. La nostra attenzione venne catturata da un essere avvolto in un saio nero, incappucciato, che stava seduto in sella ad un enorme dragone alato in cima alla collina in un buon punto di osservazione. A lui tutti i guerrieri Lions volgevano lo sguardo e parevano attendessero un suo segnale. Non vi era dubbio, quello era lo stregone nero, quello era Darth Rendher, venuto a godere della vista delle sue armate che stavano per spazzare via l’ennesimo esercito sfidante. La calma assoluta era scesa sul campo, i suoni parevano affievoliti ed il tempo sembrava dilatarsi, quando all’improvviso proprio da qual cappuccio giunse una voce che di umano non aveva nulla e che disse:
“Fate avanzare tutte le legioni, uccideteli tutti!”
E lo scontro ebbe inizio.
Sperando di cogliere di sorpresa gli orchi Barbalf il bianco ci ordinò di partire all’attacco, ma era più che altro una mossa per impedire loro di avere subito l’iniziativa, ed infatti dopo un rapido scambio di colpi nemmeno troppo significativi, l’offensiva venne richiamata alle tende senza aver riportato alcun vantaggio, ma era più che previsto e nemmeno il più ottimista si era atteso qualcosa di diverso, mentre adesso, cosa ben più interessante, c’era da vedere che cosa avrebbe ordito Darth Rendher e la sua demoniaca armata.
Immediatamente, un manipolo di orchi assunse formazione di attacco, e sul campo partì veloce la nostra difesa, che si schierò incurante e dimentica di chi avevano di fronte…e subito accadde qualcosa che mi fece apparire un sorriso all’angolo della bocca, poiché lo considerai un segno, un presagio. Innumerevoli volte negli anni precedenti, nascosto e camuffato tra i viandanti sulla collina e privo di insegne di appartenenza, avevo seguito gli scontri di quell’esercito invincibile, e ben conoscevo le loro tattiche e le loro consuetudini. In tante battaglie che avevo spiato, avevo sempre visto che se erano gli orchi a condurre un attacco, essi uscivano dal campo sempre con un vantaggio sui nemici. Ebbene, non quel giorno, non in quel caldo ed umido pomeriggio. La difesa dei miei barbari rispondeva colpo su colpo, e assestò fendenti di spada e rotazioni di asce bimani sopra la testa da fare spavento. Davanti ai nostri occhi si stava svolgendo un qualcosa che ci dava allo stesso tempo incredulità e fiducia. Potevamo vederlo li, davanti a noi, a poche decine di passi, gli orchi non riuscivano a violare la nostra difesa e a prendere quel vantaggio che tutti si sarebbero attesi. Provarono e riprovarono per un lungo tempo, ma non ci fu nulla da fare, non trovarono varchi e non riuscirono a sfondare nemmeno con la forza bruta e a chi stava fuori in attesa spasmodica di entrare sul campo a dare il proprio contributo, giungevano suoni spaventosi, e cosa più incredibile tra tutte, dopo aver protratto quell’assalto fino a quando avevano potuto, gli orchi dovettero ritirarsi tra le loro tende senza alcun risultato. Era un segno! Era un presagio! Li potevamo sentire grugnire inferociti e nervosi, per un qualcosa al quale davvero, non erano ne preparati, ne abituati. L’armata di Darth Rendher era uscita dal campo dopo il suo primo assalto in attacco e non recava alcun vantaggio, nessuna vittoria parziale. La nostra difesa lasciava soddisfatta il campo con sguardi che non avevano bisogno di parole, si rendevano conto senza alcun dubbio della cosa unica che avevano appena compiuto, ma solo un esiguo numero di nostri guerrieri potè andare a riposare, giacchè molti erano già chiamati a restare sul campo di battaglia per condurre la risposta offensiva. Con tutti questi pensieri che mi martellavano la mente e la volontà di provare a rovesciare il fato secolare, mi lanciai verso il centro del campo ove un semidio mi attendeva indicandomi il punto dal quale avremmo iniziato la nostra offensiva, quando Barbalf incrociò il mio sguardo, e capì che stava pensando le mie stesse cose. Se avevamo fermato gli orchi freschi e ad inizio battaglia, quel giorno poteva accadere davvero di tutto, e sottovoce mi disse:
“All’alba del terzo quarto, guarda ad est!”
Mi posizionai nel centro del mio schieramento nella prima linea di fanteria pesante, quando la luce si affievolì e fui coperto da una specie di ombra provocata da chi mi stava di fronte. In tutta la sua imponenza vedevo ora di fronte a noi la prima linea difensiva dell’esercito di Osioth. Erano tre enormi Troll, che mi sovrastavano in altezza e taglia, e subito capì che sarebbe stato uno scontro immane. Cas Thel Lhan, teneva l’ala alla nostra sinistra e in posizione ruggiva già, con nuvole di lapilli e cenere che fuoriuscivano dall’interno buio e impenetrabile alla vista del suo elmo d’oro.
Magn, schierato alla nostra destra, leggermente esterno, si preparava a tentare un aggiramento veloce della nostra linea per tentare di andare a colpire il nostro comandante Eyde, il quale leggermente arretrato nella protezione della linea, stava urlando gli ultimi aggiustamenti in maniera frenetica e nervosa, prima di ordinare la carica. Di fronte a me , al centro della linea difensiva, vi era una montagna oscura. Doth, era uno dei Troll più famigerati delle terre conosciute, ed era più alto di me di almeno tre palmi. Potevo sentire il suo respiro cavernoso e pesante, che nulla aveva di umano, e nel buio del suo elmo vidi per un attimo due sfere rosse fiammeggiare, prima che assumesse la sua posizione di difesa. Al mio fianco destro, stava un giovane guerriero chiamato a prendere parte forse per la prima volta in vita sua ad uno scontro così proibitivo, a causa del nostro esiguo numero. Potevo sentire la sua paura, e potevo anche comprenderla, e sapevo che li dovevo concentrare la mia attenzione, onde evitare che divenisse un punto debole del nostro fronte. Alla mia sinistra invece ero più tranquillo, li stava
Carn Nharhol, enorme, l’unico di noi che potesse vantare una taglia identica a quella dei tre Troll di fronte, se ne stava li silenzioso e placido e quasi beffardo, non parlava, e osservava dritto in faccia gli avversari senza ostentare alcuna emozione, ed ebbi l’impressione che la cosa facesse anche innervosire gli orchi, che in lui non vedevano alcun segno di timore.. Più esterno nella nostra linea stava il gigantesco uomo delle foreste del nord, Jaahrno, che rideva in faccia agli orchi meravigliati, e non sapevo se lo facesse colto da pazzia, o se eccitato per lo scontro pronto ed essere messo in atto. Egli non parlava la nostra lingua, ma in un dialetto elfico che conoscevamo in molti mi guardò e mi urlò dalla sua posizione:
“It’s so funny!!!”
Per poi scoppiare in una fragorosa risata. Non potei fare a meno di ridere anche io per la sua espressione, contagiato da quel suo folle modo di affrontare ciò che aveva di fronte. All’estrema destra della mia linea poi, Gen Nhar , una certezza, un guerriero la cui fama aveva attraversato ogni terra, un guerriero che non abbandonava il campo di battaglia se non a fine battaglia e di cui certo non avevo da preoccuparmi, sapevo che il Troll di fronte a lui, non avrebbe avuto nessun dono e nessuna vita facile.
Un suono sottile e continuo si alzò dal piccolo corno di uno dei semidei dalle tuniche a strisce, e subito dopo il silenzio regnava, era il segnale, la nostra carica poteva essere scatenata. Con ogni guerriero al suo posto e il piano stabilito, Eyde l’uomo della terra oltre oceano gridò i suoi comandi, e fu lo scontro. Immane, tremendo, ma non come ce lo attendevamo.
Probabilmente tra i più micidiali che avremmo trovato in quella guerra appena iniziata, ma non così disarmante e travolgente come in passato noi stessi avevamo dovuto provare, nostro malgrado. Doth, scattò ruggendo e emanando fiamme globulari e cenere, e caricando ad elmo basso fece roteare un enorme martello in pietra alla mia destra lanciandosi in quel varco che voleva aprire con una volontà demoniaca, ma non appena ebbi parato con il mio spadone bimani, potei sentire un secondo colpo che arrivava dal giovane Bob, quello che pochi istanti prima pareva atterrito, ed ora stava colpendo con ferocia quel mostro incastrato tra le nostre corazze, raddoppiando e continuando a colpire fino a quando questo non si ritirò furente facendo diversi passi indietro ruggendo. Non potei fare a meno di ridere, e non potei fare a meno di accorgermi che quel primo impatto mi raccontava già cose che presto sarebbero divenute leggende. Lo scontro, per quanto immane ed impegnativo, mi era parso sostenibile, affrontabile, e non aveva quel qualcosa di soprannaturale e impossibile da combattere che molti si sarebbero aspettati. Potevo vedere la loro difesa che indietreggiava subendo colpi, potevo percepire il disappunto di quelle creature così poco avezze al dover cedere terreno, e più indietreggiavano sotto ogni nostro assalto, più udivo urla di rabbia e di sconcerto tra le loro tende, ove gli altri orchi stavano assistendo impotenti a scene che proprio non si aspettavano, cioè vedere un loro assalto tornare all’accampamento senza vantaggio, e la loro difesa retrocedere fino a quasi il margine del campo, quasi ad essere ricacciati fuori.
Questo altalenarsi di assalti si protrasse per tutto il primo quarto di battaglia, senza che nessuno potesse ottenere un vantaggio dal campo, ma già questo rappresentava una virtuale vittoria per il nostro schieramento, qualcosa che nessuno aveva potuto vedere da tanto tempo e soprattutto un qualcosa che nessuno avrebbe potuto immaginare alla vista dell’esiguità delle nostre fila al cospetto di quell’armata terrificante che stavamo tenendo in scacco nonostante tutto. Per la prima volta dopo tanti e tanti anni, vedevo l’esercito di Darth Rendher in difficoltà. Li vedevo meravigliati, straniti ed iniziavano anche a ruggire tra loro minacciosi spinti dalla rabbia. Mi domandavo se il morbo di Bozhen stesse facendo il suo effetto, ma a quel punto, non aveva troppa importanza e ciò che volevo a tutti i costi era vedere come finiva quel confronto che sentivo col passare del tempo sempre più alla nostra portata. Gli orchi, riuscirono ad ottenere un primo ed unico vantaggio di quella prima parte, quando oramai mancava davvero poco alla metà della battaglia, e con quello, si ritirarono alle loro tende, ma senza grida vittoriose, infatti in quel giorno non gioivano, non schernivano, non ululavano risate e latrati rivolti al nostro accampamento. Il campo era vuoto adesso e mentre riprendevo le forze con un ginocchio a terra, potevo vedere la terra smossa e ciuffi d’erba macchiati del sangue di quella battaglia qua è la, ma la cosa che notavo con piacere, era che anche elmi d’oro e armi degli orchi giacevano abbandonate sul campo oltre che le nostre, a dimostrare che quel piccolo ed insicuro vantaggio era costato loro immane fatica. Stavamo raggruppati attorno a Barbalf il Bianco, Wud ed Oli Vhet ad ascoltare le loro parole, che dicevano che eravamo si in svantaggio, ma che considerato chi era l’avversario, e quanti eravamo noi li quel giorno, doveva essere considerata una vittoria parziale.
Mi ritrovai in disparte con Barbalf il bianco a parlare a voce bassa, ed entrambe convenivamo che se già fosse finita così la battaglia, saremmo tornati alla nostra fortezza più che soddisfatti, ma il fato, i segni, i presagi, tutto sembrava volerci dire che in quel giorno altro doveva succedere e la storia sarebbe cambiata per sempre. I guerrieri erano galvanizzati, in poco tempo li avevo visti rinfrancati nonostante l’immane confronto ed avevano già rindossato le loro corazze, e rimpugnato le loro armi, mancava poco alla ripresa della battaglia che avrebbero sicuramente iniziato gli orchi all’offensiva, e sapendolo, mi rivolsi ai miei uomini dicendo loro che se fossimo riusciti a respingere quel loro assalto iniziale, nel quale sicuramente sarebbero stati freschi e riposati, se fossimo riusciti a respingerli ancora fuori dal campo senza concedere loro alcun vantaggio, la loro volontà e le loro certezze si sarebbero incrinate gravemente ed avrebbero vacillato in maniera letale.
E così fu. Lanciarono una offensiva terrificante, che ci fece comprendere quanto Darth Rendher avesse potuto parlare ai suoi uomini adirato visto l’esito della prima metà battaglia. Tentarono tutto pur di aumentare il loro esiguo vantaggio e il loro condottiero d’oltre mare Fat Herik, urlava ordini e intrecciava tattiche con i suoi orchi. Ma ancora una volta il nostro schieramento difensivo fu epico, leggendario, e non solo non concesse terreno, ma addirittura iniziavamo a vedere orchi che rifiutavano lo scontro diretto, li potevamo vedere vacillare dopo scontri dai clangori terrificanti. Mar Thin e Rudes atterrarono con scontri terribili diversi nemici che tentavano di penetrare nel cuore della difesa, e i ruggiti di rabbia che emettevano indietreggiando ci davano la misura della loro frustrazione. Addirittura poi fu Cicken prima, e Gen Nhar dopo, che ottennero quello che per Darth Rendher doveva essere davvero un qualcosa di umiliante. Vedere il proprio condottiero disarcionato dietro la sua linea di protezione e scaraventato nella polvere dai due umani, dopo che questi due avevano trovato dei varchi nei quali fare velocissime incursioni. Vedere il condottiero Lions per le terre, guardare con occhi fiammeggianti d’ira coloro che non riuscivano più nemmeno a proteggerlo, fu per noi una spinta divina, a lanciarci nella storia. Il momento era giunto, ora potevamo sentirlo tutti con certezza. Ora tutti noi umani, potevamo vedere di fronte a noi l’armata soprannaturale, quella invincibile, quella invulnerabile, l’armata vittoriosa da 73 battaglie ed otto secoli, che sudava come noi, ansimava sotto la pressione dei colpi come noi , sanguinava, vacillava e urlava di rabbia e di dolore come noi, di fronte a noi, noi pochi uomini, noi prescelti.
Potevamo vedere le loro paure, potevamo vedere che non avevano il controllo del campo, quando Eyde entrò in campo, si sistemò dietro di noi della prima linea, e partendo dal margine estremo del campo di battaglia, con una avanzata inarrestabile, ci condusse fino al margine opposto a conquistare un vantaggio che ottenne personalmente, cavalcando solenne ed intoccato tra noi proprio mentre colpivamo gli increduli orchi tenendoli impegnati ed impedendo loro di potersi anche solo avvicinare al nostro comandante. I loro gesti, le loro reazioni, iniziavano a parlare per loro, sentivano di poter perdere quello scontro e non riuscivano a porre rimedio. Il morbo, la peste della fortezza di Bozhen stava facendo il suo effetto, e loro non potevano fare nulla. Uscimmo dal campo con la battaglia di nuovo in equilibrio, e tutto quello nulla fu, rispetto a quando qualche tempo dopo il nostro comandante riuscì addirittura a portarci in vantaggio con una eguale impresa.
Adesso quegli oscuri guerrieri parevano davvero aver perso tutta la loro aurea di invincibilità, e parevano davvero in affanno. Sulla collina fulmini e saette fuoriuscivano da quello stregone che in sella al suo drago imprecava e lanciava inutili sortilegi in una lingua sconosciuta ed oscura, il bergamasco, ma nemmeno lui sembrava poter far nulla in quel giorno in cui gli dei dovevano davvero essere compiaciuti e interessati da quella battaglia. Sapevamo bene come ciò che stava accadendo fosse già stato comunicato ai quattro angoli delle terre conosciute, e perfino noi a pensarci, stentavamo a credere tra un assalto e l’altro che stesse accadendo tutto ciò.
Eravamo sotto le mura di Osioth con un esercito affamato e soverchiato nel numero, e stavamo conducendo la battaglia in vantaggio, la conducevamo noi, dominavamo il campo di battaglia, mentre gli orchi rabbiosi e sbigottiti tentavano ora affannosamente di riconquistare almeno un equilibrio. Se all’alba di quel giorno, un oracolo mi avesse preannunciato una simile situazione, avrei pensato ad una follia, ora invece accadeva sotto i miei occhi e davanti alle mie armi. Doth e i suoi Troll, aveva caricato tutto il pomeriggio infuriato, ma mai, nemmeno una volta era riuscito a toccare il mio comandante. Ogni sua carica ruggente aveva sollevato nuvole di polvere e faceva vibrare la terra al suono della sua enorme mazza da guerra di pietra ed acciaio, eppure ad ogni suo colpo la mia lama e quella di Bob o quella della spada di Carn Nharhol lo aveva fermato e respinto, e per avere un’idea del suo disappunto, era sufficiente sentire quali ruggiti produceva, ogni volta che capiva che l’ennesimo suo attacco era stato vano. Ma la fatica adesso, iniziava davvero ad essere il nostro peggior nemico, mancava poco alla fine della battaglia, e la nostra difesa cercava disperatamente di tenere gli orchi lontani dal raggiungere nuovamente l’equilibrio. All’alba di quel giorno, avremmo sacrificato i nostri cari pur di avere in cambio un risultato di parità contro l’armata Lions, ma ora, ora che la battaglia era stata condotta così, non bastava più, ed avevamo una incredibile vittoria a portata di mani.
Ma non ci fu nulla da fare, quando mancavano 53 secondi alla fine della battaglia, il guerriero di Darth Rendher, Barb Bhot riuscì a cogliere al volo un’arma lanciata dal suo comandante e a conquistare quel pareggio che riequilibrava le sorti del confronto, e nel quale nemmeno loro speravano più. Mi sembrò davvero strano vederli esultare in quel modo per aver riagguantato un semplice pareggio, mi sembrò incredibile vederli tirare un respiro di sollievo considerato che non stavano vincendo, e per una volta, li vidi umani, come tutti gli altri.
Il silenzio era ora calato sul mio accampamento, quella incursione nei secondi finali ci aveva dato davvero una delusione che non volevamo conoscere. Dentro di me vi erano pensieri diversi, rabbia, frustrazione, delusione, e quel non saper decidere se dovevo e potevo accontentarmi di un risultato che era comunque incredibile, o se volevo entrare nella leggenda. Mi bastò guardare le facce degli altri guerrieri Giants non appena ci ritrovammo di nuovo a condurre l’ultima offensiva, l’ ultimo assalto.
I Giants quel giorno, volevano entrare nella leggenda.
Doth, era furente ora che le sue orde avevano riagguantato il risultato della battaglia, e scaricava le sue esigue forze come un demone, con colpi che mi piegavano lo spadone tra le mani. Ad ogni assalto, un tuono segnava il suo impatto su di me, respirava ruggendo, ansimava caricando come un dannato, e scintille, schegge e nuvole di polvere uscivano dagli scontri delle nostre armi. Sentivo rumori infernali dai miei compagni ai lati che cadevano, si rialzavano e ricominciavano a colpire, pur di difendere Eyde, quel fantastico unico guerriero che aveva saputo creare quella fiaba, e mentre tutto ciò accadeva, senza nemmeno che noi ce ne accorgessimo, ci aveva già condotti nella metà esatta del campo di battaglia, ma ora il tempo era terminato. I semidei con un gesto, fecero sapere a tutti, che il prossimo sarebbe stato l’ultimo assalto di quella battaglia, una battaglia che ora stava in bilico, in perfetta parità. Il tempo di un solo ultimo assalto, il tempo di un solo ultimo tentativo, il tempo di entrare nella leggenda per l’eternità, o per andare ad arricchire le fila di coloro che da quel campo erano sempre usciti sconfitti. Riprendemmo fiato, stavamo inginocchiati mentre a poche decine di passi gli orchi apparivano non meno ansimanti ed affaticati, sguardi furtivi da quegli elmi d’oro tentavano di trafugare notizie e le nostre tattiche, ma noi eravamo ora pronti, ci rialzammo, ci scambiammo un ultima occhiata e prendemmo posizione, era deciso, avremmo gettato le nostre vite oltre quella linea se fosse stato necessario..
Eyde sapeva bene come fosse improponibile da quel punto tentare di sfondare al centro, con una linea avanzata che aveva condotto tutta quella battaglia quasi sempre impegnata su i fronti offensivi e difensivi. Parlò calmo ai suoi cavalieri più leggeri e veloci, e disse loro di raggiungere le ali esterne dello schieramento, e poi e di cavalcare più veloci che potevano fino al margine estremo del campo davanti a noi, la dove lui avrebbe lanciato un’arma, che se raccolta prima di una mano degli orchi, ci avrebbe consegnato alla storia.
Un silenzio irreale era calato su quella terra oscura, e perfino lo stregone pareva trattenesse il fiato adesso. Tutto giaceva fermo, tutto era come congelato in attesa dell’esito di quel gesto.
Mentre ero in posizione, sentivo solo drappi e stendardi scossi dal vento, e il respiro affannato dei guerrieri che raccoglievano ogni briciolo di residua energia, per quell’ultimo scontro.
Avevo intravisto un attimo prima di assumere la posizione le espressioni del mio accampamento, dove qualcuno parlava e scongiurava gli Dei, ed io stesso ricordo di aver levato gli occhi al cielo e di aver pensato nel mio animo:
“Adesso che ci avete condotti sino a qui, non potete abbandonarci!”
Al segnale convenuto, scagliai l’arma tra le mie gambe dietro di me verso Eyde, che la attendeva dieci passi più indietro distaccato, per avere più tempo ed essere più lontano dagli artigli e zanne degli orchi., mentre con la coda degli occhi avevo potuto vedere per un attimo i quattro nostri cavalieri partire cavalcare e spronare le bestie veloci come il vento, ed inseguiti da un gran numero di orchi furenti ed urlanti “Paaaas!” “Paaas!” dritti verso il margine del campo , proprio come il nostro comandante aveva chiesto, e subito i tre Troll della difesa erano già addosso alla nostra linea offensiva. Non potevo certo vedere cosa accadeva ai miei lati nelle zone dei compagni impegnato come ero, ma l’impatto fu spaventoso, e capì che doveva esserlo stato anche per gli altri, come capì anche che ora, si decideva tutto li in quello scontro finale.
Doth, sputando fuoco, prese la mia destra, e iniziò una carica immane tentando di aggirarmi in quel varco, ma il fido giovane Bob arrivò subito a colpirlo tentando di schiacciarlo contro la mia corazza. Il mostro, rimase incuneato tra noi, prima che Bob fosse scostato violentemente da un suo colpo delle enormi braccia, e ci ritrovassimo nuovamente uno contro uno.. Sapevo che difficilmente avrei potuto mantenere la posizione vista la sua spinta, ma sapevo anche che tutto quello che mi serviva era anche solo rallentare quel mostro e impedirgli di arrivare troppo presto con gli artigli sul mio comandante, così iniziai a concedergli terreno, ma un passo alla volta, solo pochi passi, e alla fine ci ritrovammo girati con le nostre schiene rivolte ai nostri rispettivi accampamenti e ancora avvinghiati in quell’ultima lotta risolutiva. Non potevo vedere più nulla, il sudore mi accecava, ed i colpi sul mio elmo erano talmente forti da farmi perdere l’orientamento, ma avevo potuto dare una rapida occhiata alla mia destra che mi aveva permesso di vedere ciò che speravo.
Eyde stava a pochi passi da me e dal mio avversario che iniziava ora a spingere più debolmente, ed era in piedi, intoccato, illeso, era piegato in avanti nel gesto di chi ha appena scagliato un giavellotto in avanti, ed ora osservava il cielo con negli occhi tutta la speranza di noi umani, e ciò significava che eravamo riusciti a proteggerlo anche in quell’ultimo assalto. Dopo un attimo ero di nuovo in un vortice di ultimi colpi a ricevere e dare fendenti con le ultime forze, con nelle orecchie i sui ruggiti rabbiosi, quando ad un certo punto si staccò da me e smise di combattere, lasciando che le sue braccia ora ricadessero lungo il corpo, stava di fronte a me sovrastandomi, ed osservava lontano il margine del campo con una espressione di incredulità che non dimenticherò mai. Una espressione che mi fece capire cosa era appena accaduto.
Un lampo accecante ed un tuono fragoroso ci fece piegare tutti in avanti e subito dopo potevo vedere in cima alla collina lo stregone nero Darth Rendher contorcersi prima di volare via urlando e imprecando in quella lingua sconosciuta in una ira senza uguali, L’urlo che proveniva dietro di me mi riportò alla realtà, e voltandomi, potei vedere il mio esercito che invasato da una gioia incontenibile invadeva il campo di battaglia, mentre gli orchi attoniti si guardavano silenziosi, senza nemmeno sapere cosa fare edesso, e già terrorizzati da quella che sarebbe stata la punizione del loro sovrano.
Boozar Galman, il nostro cavaliere nero, aveva preso al volo l’arma lanciata da Eyde prima di ogni altra mano, e piantandola li, nel cuore della difesa Lions, ci aveva fatto entrare nella leggenda. Il mio avversario guardava pietrificato ed incredulo. Da otto secoli, non provava una sensazione come quella.
Rimanemmo su quel campo per un tempo che non saprei descrivere, ci rimanemmo da vincitori, noi pochi umani, e già ai quattro angoli delle terre non si parlava che di quella leggendaria battaglia. Da ogni dove iniziavano già ad arrivare i messaggeri chiamati SMS, che recavano congratulazioni e messaggi di grande ammirazione, ma la fatica era talmente tanta che non riuscivamo ancora a comprendere nella sua interezza la dimensione di quell’avvenimento, che aveva appena cambiato tutto nella storia. Eravamo ancora talmente stanchi e frastornati, che ci domandavamo se tutto era accaduto realmente, mentre gli ultimi orchi scomparivano nella fortezza nera lasciandoci padroni del campo. Riprendevo le forze in un campo dove ormai potevo vedere solo i miei compagni in preda ai festeggiamenti, e mi resi conto di quante cose avevo imparato in quella battaglia, quante cose dovevo tenere a mente, quanti insegnamenti avevo ricevuto da quella giornata memorabile ed unica, arrivata così inattesa, così imprevedibile nella mia vita, quando ormai per me, era prossimo il momento del dover riporre per sempre le armi e le corazze.
Ma avevo la certezza che in quella notte, ogni guerriero Giants avrebbe dormito assieme ad una meravigliosa, fantastica unica leggenda.

Plaxico
00sabato 29 aprile 2006 13:06
M'era sfuggito. Un applauso e una stretta di mano romana.
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