La guerra dei pneumatici

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giacomo415
00martedì 6 novembre 2007 22:47
Quello dell’impiego bellico dei pneumatici, durante la seconda guerra mondiale, è un argomento molto vasto ed interessante, che fonde l’essenziale aspetto legato alla mobilità delle forze motorizzate, alla disponibilità di una materia prima strategica, quale era la gomma naturale, con i grandi progressi compiuti in quegli anni nella costruzione delle coperture.

Le ricerche nel campo della gomma sintetica, portate avanti in tutti i paesi allora industrializzati fin dall’inizio del XX secolo, ebbero il massimo sviluppo nella Germania sconfitta del primo dopoguerra.
L’apparato industriale tedesco non poteva permettersi di essere nuovamente portato al collasso dal mancato afflusso di una materia prima come la gomma naturale.

Il passo decisivo si ebbe con l’avvento del regime nazista, una delle prime leggi emanate dal regime fu quella di obbligare tutte le industrie tedesche ad usare gomma sintetica di produzione nazionale bandendo definitivamente l’uso della gomma naturale.

La scelta fu drastica e dolorosa, dal punto di vista industriale, ma consentì di ottenere in breve tempo grandi risultati nel miglioramento qualitativo della gomma sintetica.

Paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti non avendo le preoccupazioni dei tedeschi per quanto riguardava il rifornimento della materia prima percorsero la stessa strada con un passo più lento (e avvantaggiandosi delle scoperte tedesche).

Preso atto del deteriorato panorama internazionale, negli Stati Uniti, l’amministrazione Roosevelt, con l’approssimarsi della guerra, costituì un apposito ente, l’RRC (Rubber Reserve Company), dotato di ampi poteri.

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Lo scopo era quello di associare le quattro grandi compagnie del settore (Goodyear, Goodrich, Firestone e United States Rubber Company – ora Uniroyal) riunendole in un patto di condivisione dei brevetti e di suddivisione della produzione, blasfemia pura per le regole del mercato USA, il tutto giustificato da motivi di superiore interesse nazionale.

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L’RRC ebbe il compito di tenere sotto stretto controllo le scorte di gomma naturale, rafforzandole nel contempo, di applicare una rigida politica di risparmio in ambito federale oltre a mettere in atto una capillare opera di riciclaggio destinata al recupero di ogni libbra di gomma usata presente sul suolo americano.

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A scorrere le cifre della produzione USA di quegli anni non si può certo dire che abbiano fallito nel compito loro affidato!

Passando dalla materia prima alla produzione dobbiamo dire che i progressi compiuti in quegli anni furono davvero grandiosi.
Accennando per sommi capi allo stato dell’arte diremo che i pneumatici con camera d’aria e con struttura a tele incrociate avevano ormai soppiantato le gomme piene (vietate da quasi tutti i codici della strada di allora) o semipiene (come le nostre Celerflex).

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Nell’immagine il semipneumatico Celerflex montato sul CL39, ben visibili i fori per il passaggio dell’aria.

Una grande varietà di battistrada con scolpiture diverse affollava il mercato civile mondiale, le esigenze belliche portarono però ad una certa razionalizzazione nella produzione, fatto che oggi ci è di grande aiuto nel cercare di capire come andassero le cose al fronte.

Soprattutto gli sviluppi nella tecnica di fabbricazione delle tele costituenti la carcassa, passata dall’impiego del cotone a trama fitta a quello del Rayon a trama diradata (tessuto Cord) consentirono di avere pneumatici robusti ed elastici in grado di sopportare elevati carichi e velocità di rotazione.

Aggiungerei che, poco prima dell’inizio delle ostilità, alcuni costruttori avevano già messo a punto i primi pneumatici a carcassa metallica ma non se ne fece niente perché nessun governo si sarebbe mai sognato di consentire l’impiego di acciaio per una produzione del genere.

Nell’Italia di quegli anni la Pirelli era un’azienda solida con un ottimo know-how ed una buona capacità produttiva, dal 1937 si avvaleva, nel settore della ricerca, della preziosa collaborazione fornita dal professor Giulio Natta, giovane direttore dell’Istituto di Chimica Industriale al Politecnico di Milano.

Il professor Natta, nel 1963, sarebbe stato insignito del premio Nobel per le sue ricerche nel campo della polimerizzazione stereospecifica del propilene.

Diciamo che la produzione di pneumatici sia qualitativamente che quantitativamente, anche per le esigenze militari del nostro paese, era soddisfacente. Che le cose potessero continuare allo stesso modo dopo aver dichiarato la guerra a Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica, naturalmente, era un altro paio di maniche.

Le esigenze imposte da un conflitto combattuto tra le nevi europee, i deserti africani e le foreste dell’estremo oriente, portarono negli anni seguenti i belligeranti all’adozione di veicoli, e pneumatici, con caratteristiche specifiche.

A questa varietà di esigenze, un poco mi duole dirlo, quelli che seppero dare la risposta più efficace furono gli inglesi.

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Senza addentrarci in lunghi discorsi e prendendo lo spunto dal fronte dell’Africa settentrionale possiamo dire che i leggeri autocarri britannici, gommati con efficienti coperture sand, erano quelli che si muovevano con maggiore disinvoltura sulle sabbie e sulle pietre del deserto.

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Mentre l’ossatura dei reparti motorizzati italiani e tedeschi era costituita da autocarri medio pesanti, quasi tutti con ruote gemellate posteriori, le forze loro opposte utilizzavano largamente autocarri più agili, con ruote posteriori singole, con minore portata, certo, però meno soggetti ad insabbiamenti e alle continue rotture di balestre che affliggevano i veicoli di maggiori dimensioni.

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Questi trattori Breda, ad esempio, con il loro stretti pneumatici ad alta pressione, avevano davvero poche possibilità di sopravvivere al di fuori della stretta striscia di strada bitumata.

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Avere una buona galleggiabilità significava poter scegliere più liberamente la via da percorrere, quando soggetti al fuoco nemico i conduttori potevano disperdersi più rapidamente senza tema di rimanere immobilizzati e, quindi, le probabilità di sopravvivenza di un’autocolonna potevano essere grandemente aumentate.

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Non solo quelli leggeri ma anche i più grossi autocarri inglesi, come questo Scammell che si porta via un carro tedesco catturato, avevano dei pneumatici di sezione e battistrada non confrontabili con quelli montati sui nostri (vedi sopra i nostri Lancia in colonna)

Allargando il discorso le prescrizioni del War Department riguardo i pneumatici classificavano gli stessi in cinque grandi categorie.

1) Standard Commercial Tires, cioè pneumatici di provenienza commerciale, da utilizzarsi sui veicoli destinati a circolare esclusivamente su strada.

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2) Cross Country Type (marchiati C.C.), destinati all’impiego fuoristrada, con battistrada a barre distanziate e con profonde solcature, aventi struttura più elastica rispetto ai modelli commerciali assorbivano meglio le asperità fornendo una migliore trazione, al prezzo di un minor carico ammesso.

Questo FWD su-coe, di produzione americana ma allestito all’inglese come trattore d’artiglieria, monta delle Goodyear “Heavy duty tractor lug type”.

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3) Sand Type (marchiati Sand), destinati esclusivamente all’impiego su terreni cedevoli, avevano un battistrada con scolpitura leggera e fianchi molto arrotondati con sezione abbondante.

La struttura era molto elastica, per consentire la marcia con pressioni di gonfiaggio bassissime da usarsi sulla sabbia soffice per poi provvedere immediatamente al ripristino della corretta pressione una volta ritornati su terreno più consistente.

Accanto a questo esemplare di Ford restaurato alla perfezione vediamo posati a terra due pneumatici Sand e precisamente un Dunlop con appoggiato sopra un Goodyear, direi che la cura dei dettagli da parte del proprietario non poteva essere maggiore!

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4) General Purpose Tyre (marchiati G.P.) erano un compromesso tra i Cross Country ed i Sand, avevano un battistrada simile ai C.C. ma con una struttura meno rigida, essendo un compromesso non eguagliavano nessuno dei due precedenti sul loro terreno specifico.

Il trattore della foto montava dei Goodyear mentre il 25 pdr al traino ha delle Dunlop, per sapere se fossero delle C.C. o delle G.P. avremmo dovuto leggere la marchiatura sul fianco, l’estetica era, comunque, identica.

5) Run Flat (marchiati R.F.) destinati ai soli veicoli da combattimento, esteticamente identici ai C.C. erano costruiti con una struttura molto più rigida, tanto rigida da sopportare poche se non nulle variazioni di carico. Il dato era poco importante in quanto anche le autoblindo, come i carri, avevano una variazione minima tra il peso a vuoto e quello in condizioni marcia. In caso di foratura la loro struttura ne impediva la fuoriuscita dal cerchio e consentiva di marciare sulla spalla ripiegata per distanze fino a 50 miglia a 40-50 mph.

I grandi produttori cui venne affidato l’incarico di approvvigionare le forze armate del Commonwealth erano la Dunlop, la Firestone, la Goodyear e la India Tyres Company (non fatevi ingannare dal nome, gli stabilimenti erano in Scozia ed il pacchetto azionario di controllo era in capo alla Dunlop).

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Concludo, per stasera, con questa foto, come a dire che gomme da sabbia o meno, arrivava per tutti il momento di metter mano al badile e alle piastre.

Saluti [SM=x75448]
vecio45
00giovedì 8 novembre 2007 10:47
Grazie Giacomo per la bella esposizione sui pneumatici, materia penso quasi sconosciuta ai più. Un piccola disgressione: come al solito noi non ne azzechiamo una!
la max trid.
gabri.22
00venerdì 9 novembre 2007 17:46
Bellissimo intervento Giacomo!

Ho però una domanda:

All'nizio hai detto che l'industria italiana non se la cavava poi tanto male nel settore delle gomme sintetiche. Più avanti invece hai commentato delle foto evidenziando il fatto che presso l'allora Regio Esercito l'uso di pneumatici "speciali" fosse poco diffuso.

L'eccellenza dei nostri prodotti in cosa consisteva? Nei procedimenti di produzione, nella qualità dei prodotti "civili"( con la pecca di non idearne di "speciali".... [SM=x75467]

L'ultima domanda è ispirata ad un recente film direto da Mario Monicelli ( Le rose del deserto). L'episodio in questione mostra dei soldati che, di notte, viaggiano su un mezzo di cui esaltano le caratteristiche. Si chiama "Ovunque". Neppure per questo veicolo speciale si pensò di adottare "gomme" speciali? [SM=x75460]

PS: ovviamente nel film ( aderendo perfettamente alla tradizione cineatografica nostrana) il mezzo si impantana immediatamente... [SM=x75469]
giacomo415
00venerdì 9 novembre 2007 22:51
Re:
gabri.22, 09/11/2007 17.46:



All'nizio hai detto che l'industria italiana non se la cavava poi tanto male nel settore delle gomme sintetiche. Più avanti invece hai commentato delle foto evidenziando il fatto che presso l'allora Regio Esercito l'uso di pneumatici "speciali" fosse poco diffuso.

L'eccellenza dei nostri prodotti in cosa consisteva? Nei procedimenti di produzione, nella qualità dei prodotti "civili"( con la pecca di non idearne di "speciali".... [SM=x75467]

L'ultima domanda è ispirata ad un recente film direto da Mario Monicelli ( Le rose del deserto). L'episodio in questione mostra dei soldati che, di notte, viaggiano su un mezzo di cui esaltano le caratteristiche. Si chiama "Ovunque". Neppure per questo veicolo speciale si pensò di adottare "gomme" speciali? [SM=x75460]

PS: ovviamente nel film ( aderendo perfettamente alla tradizione cineatografica nostrana) il mezzo si impantana immediatamente... [SM=x75469]



La Pirelli era in grado di produrre ottimi pneumatici sia per uso civile che per uso militare.
Una parte della produzione era destinata anche all'esportazione.

Alcuni modelli di autocarri impiegati allora dal Regio Esercito erano di concezione moderna ed in grado di adempiere onestamente il loro dovere.

La guerra sul fronte dell'Africa Settentrionale ci dimostrò come, nonostante decenni di esperienza coloniale, la quasi totalità dei mezzi impiegati non fossero adeguati all'uso che se ne doveva fare.

I Lancia 3RO ed la famiglia dei "Dovunque" erano più che buoni, ben altro, però, si sarebbe dovuto studiare e produrre per l'impiego bellico in colonia.

Con un singolo esempio spero di chiarire quello che intendo dire.

Tornate al mio post precedente e guardate la foto degli artiglieri inglesi sul loro trattore.

Il pezzo al traino ha una eccellente gommatura da fuoristrada quando i nostri pezzi, tutti i nostri pezzi, non avevano ancora nemmeno le ruote pneumatiche.

Usate questo dettaglio come chiave di interpretazione per tutto il resto.

Saluti amareggiati [SM=x75448]




Mad88
00sabato 10 novembre 2007 09:18
giacomo415, 06/11/2007 22.47:

Il professor Natta, nel 1963, sarebbe stato insignito del premio Nobel per le sue ricerche nel campo della polimerizzazione stereospecifica del propilene.



A dire il vero lo prese in coppia con Carl Ziegler, che era diciamo il vero scopritore dei catallizatori stereospecifici.
giacomo415
00martedì 13 novembre 2007 19:48
Detto degli inglesi, è arrivato il momento di parlare dei cugini d’oltreoceano.

Ho già accennato ai compiti che erano stati affidati all’RRC e quali fossero le grandi industrie americane investite della produzione delle gomme sulle quali far marciare quel colosso della motorizzazione che erano le forze armate USA.

La standardizzazione quasi perfetta raggiunta nella fabbricazione e nella distribuzione ai reparti combattenti dei veicoli loro necessari ebbe, come corollario, l’adozione di pochi modelli diversi di pneumatici, prodotti in quantità molto elevate.

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Nelle foto relative al periodo prebellico si nota come vi fosse una certa varietà nell’approvvigionamento dei pneumatici. Questo soprattutto in riferimento ai veicoli tattici, poiché halftrack, scout cars e le prime jeep, montavano gomme con disegni dei battistrada di vario genere, ciò perchè gli acquisti venivano effettuti sul mercato libero, al prezzo più conveniente e quindi, venivano montate delle cross country prodotte e vendute anche per uso civile.

Quando, però, il complesso produttivo industriale venne mobilitato fu il governo federale a stabilire cosa e come si dovesse produrre.
Ecco che allora, anche per i pneumatici USA, possiamo procedere con buona precisione all’indicazione dei modelli adottati.

1) Truck and Bus Tires;

2) Passenger Cars Tires;

Non tutti i veicoli impiegati dalle forze armate erano destinati al fronte e non tutti necessitavano di pneumatici speciali, quindi, autovetture, autobus, autocarri e rimorchi, destinati ad operare su strada montavano copertoni di genere civile detti anche regular o highway, secondo la definizione ufficiale.

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Esplicativo al riguardo è questo autocarro International nuovo di zecca, probabilmente ritratto all’uscita dalla catena di montaggio, con ancora addosso delle inopportune cromature.

3) Tactical Tires;

È il tipo di pneumatico militare probabilmente più conosciuto al mondo. Con disegno del battistrada non direzionale era disponibile in due versioni, Cross-Country e Mud-and-Snow, distinguibili, non troppo facilmente a prima vista, per l’andamento più arrotondato dei fianchi del primo tipo.

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Due immagini ci aiutano a riconoscere la differenza tra i due.

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La prima jeep, quella più in alto, monta i Cross-Country mentre la seconda, con i colori canadesi ed utilizzata come frontline ambulance, monta dei Mud-and-Snow. Se fate caso il battistrada della seconda termina con un angolo più pronunciato ed anche il fianco del pneumatico ha una diversa forma.

4) Combat Tires.
Esteticamente identico al precedente era costituito da una struttura più spessa, e rigida, destinato ai veicoli da combattimento, consentiva di proseguire la marcia anche in condizioni di perdita completa della tenuta d’aria.

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I pneumatici Combat oltre che, naturalmente, sulle autoblindo e sugli Halftrack erano montati anche sul grande complesso trattore/semirimorchio M26, visto che il suo impiego era previsto anche in prima linea.

Esistevano poi diversi altri tipi di pneumatici impiegati sui veicoli speciali tipo grader, pale meccaniche, trattori low speed e simili con caratteristiche e battistrada specifici dei quali è impossibile occuparci ora.

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Ogni regola ha le sue eccezioni, un esempio significativo è dato da questo Brockway pontiere che non monta dei pneumatici tattici conformi al suo “libretto”.

Ma come erano fatti i pneumatici di quel tempo?
I copertoni, e questa descrizione si adatta alla maggior parte di quelli prodotti dai vari belligeranti, erano costituiti dalla carcassa, dal battistrada e dai talloni.

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La carcassa era costituita da un numero variabile di tele (plies) sovrapposte ed intercalate da strati più o meno sottili gomma. Dapprima solo di cotone, con il perfezionamento delle tecniche costruttive per le tele venne impiegato il rayon, che garantiva una maggiore uniformità e resistenza dati dalla struttura della sua fibra.

In corrispondenza della giunzione con il battistrada la carcassa base era irrobustita da ulteriori strati di gomma e tessuto (cushion e breaker) destinati ad assorbire le asperità del terreno distribuendole sull’intera struttura oltre a mantenere battistrada e carcassa saldamente uniti.

Il battistrada (tread) era uno spesso strato anulare di gomma che rivestiva la carcassa lungo la fascia di appoggio al terreno ed era attraversato da solcature e rilievi con lo scopo di migliorare l’aderenza delle ruote.

La struttura della carcassa, oltre che la forma, la larghezza e la profondità delle solcature sul battistrada, variava a seconda dell’impiego cui il pneumatico era destinato.

I talloni (bead), infine, avevano il compito di delimitare i fianchi del copertone consentendo una perfetta adesione dello stesso al cerchio della ruota.
A quel tempo erano ormai scomparsi i talloni estensibili, tipici dei vecchi cerchi a raggi della prima motorizzazione, rimpiazzati dai talloni rigidi, resi tali dalla presenza di due cerchietti metallici per lato (bead wires).

All’interno del copertone, poi, era contenuta la camera d’aria, munita di un’apposita valvola, per l’introduzione dell’aria sotto pressione.

Il panorama non sarebbe completo senza un rapido sguardo alle diciture riportate sui fianchi delle coperture.

Relativamente a quelle di produzione americana compariva il nome del produttore e, a volte, anche una designazione commerciale del pneumatico.

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L’indicazione più importante era quella relativa alle dimensioni. Nell’illustrazione è raffigurata una 7.50-20, la prima cifra indicava, in pollici, la larghezza della sezione del pneumatico, montato sul cerchio, gonfio e senza carico. La seconda cifra, sempre in pollici, indicava il diametro interno del pneumatico che doveva combaciare, ovviamente, con il diametro del cerchio sul quale doveva montarsi.

Le misure, in Europa, potevano essere espresse anche in centimetri e millimetri, ci avrebbe aiutato a capirlo il separatore che, in questo caso, sarebbe stato il segno x (per) mentre per le indicazioni in pollici il separatore sarebbe stato, come in questo caso, un trattino o una barra (/).

Il Ply Rating originariamente indicava il numero delle tele incrociate costituenti la carcassa, da un minimo di 6 per le gomme della Jeep ad un massimo di 20 per quelle del portacarri M26, in seguito, con il progredire della tecnica costruttiva, indicò la robustezza del pneumatico (rating) slegando l’indicazione dall’effettivo numero delle tele impiegate.

La lettera S, o la sigla GR-S (Government Rubber-Synthetic) indicava l’impiego di gomma sintetica nella fabbricazione della copertura, la lettera poteva essere seguita da un numero (da 2 ad 8) indicante la percentuale di gomma sintetica impiegata.
Parimenti gli inglesi indicavano, in un cerchietto stampato sul fianco della copertura, con due numeri la percentuale di gomma sintetica impiegata sia nella carcassa che nel battistrada.
I pneumatici sintetici italiani erano identificati da una lettera F o riportavano la dicitura “Velocità ridotta” o “Sovraccarico vietato” e, per finire, quelli tedeschi si riconoscevano per la presenza delle lettere AB in un disco rosso o nero.

Altre specifiche diciture indicavano se il pneumatico fosse del genere Combat, e quindi utilizzabile solo nei casi previsti, o se fosse del genere Beadlocks (sigla BL o BLX). Su questi ultimi era possibile impiegare delle clip che univano ancor più saldamente il copertone al cerchio in previsione di impieghi particolarmente gravosi.

Immancabile, infine, un numero di serie che identificava la fornitura di appartenenza ed anche il singolo macchinario che l’aveva prodotta.

I cerchi sui quali i pneumatici erano montati potevano essere di vario tipo. Dal più semplice, quello in un sol pezzo, del genere impiegato sulle jeep, a quelli scomponibili, destinati ai veicoli più pesanti.

Quella rappresentata di seguito è la sequenza delle operazioni da compiersi per la sostituzione del pneumatico su di un cerchio scomponibile ed è tratta dal manuale uso e manutenzione dell’Halftrack M5.

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Una volta mollati i dadi e separate le due flange costituenti il cerchio era possibile rimuovere il copertone e provvedere alla sua sostituzione.

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Il pneumatico montato sugli Haftrack era del tipo combat, è ben visibile il distanziale metallico (beadlock) che manteneva in posizione, contro i bordi del cerchio, i due talloni, scongiurando, anche in caso di completa fuoriuscita dell’aria, il distacco della gomma dal cerchio.

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Sostituito il pneumatico e rimontato il cerchio, la ruota completa era pronta per il gonfiaggio e per l’uso.

Volendo era certo possibile rinunciare all’uso delle ruote pneumatiche…….

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……..o, addirittura delle ruote tout court.

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Il tentativo, per quanto perseguito con tenacia, non ebbe però grande seguito. [SM=x75466]

Fosse per me in un prossimo post direi qualcosa anche sulle catene, da montare sulle ruote, non quelle di Nazzari e Sanson, però il rischio che l’argomento sia, per dire, troppo di nicchia mi trattiene non poco. [SM=x75465]

Magari consulterò il nostro WM. [SM=x75457]

Saluti [SM=x75448]
onesto46
00martedì 13 novembre 2007 20:38
sei una fonte inesauribile. [SM=x75444]
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