--->
Nell’inverno 1764-1765, Denneval indaga a fondo, raccoglie prove, esamina i resti delle vittime, studia le tracce lasciate dalla Bête ed organizza nuove battute, tutte però senza esito. Il 1° gennaio 1765, sui monti del Margéride, tra l’Haute-Loire e la Lozère, viene abbattuto un grosso lupo. Si grida alla vittoria, ma il 12 dello stesso mese, nei pressi di Coutasseire, sette coraggiosi ragazzini si vedono costretti ad affrontare la Bête, sbucata all’improvviso da un fitto bosco, soltanto con qualche coltello ed alcuni bastoni. L’animale sbrana un paio di fanciulli, ma alla fine, grazie all’ardimento dei fanciulli che non esitano a colpirlo ripetutamente, esso è costretto a ritirarsi nella foresta.
L’episodio scuote le coscienze della popolazione e frusta l’orgoglio dei “lupattieri” che intensificano le loro battute, iniziando ad utilizzare anche trappole, tagliole ed esche al veleno: soluzione, quest’ultima, che viene ben presto abbandonata a causa della morte di molti cani utilizzati dagli stessi cacciatori per inseguire la Bête. Poche settimane più tardi da Parigi giungono addirittura alcune compagnie di dragoni a cavallo a dare man forte ai cacciatori. Ma la belva, per nulla intimorita da questo sempre più vasto dispiegamento di forze, continua ad imperversare nella regione, coprendo lunghe distanze, effettuando agguati nelle zone più disparate e, pur prediligendo le aree boscose e lambite da corsi d’acqua, avvicinandosi sempre più ai centri abitati. Il 16 aprile 1765, la Bête attacca per la prima volta un uomo a cavallo e il 1° maggio un gentiluomo, Monsieur de La Chaumette, se la ritrova addirittura alla finestra della sua fattoria. De la Chaumette, con alcuni uomini, si arma e a quanto pare la riesce a ferire l’animale, senza però ucciderlo. Sul terreno vengono trovate abbondanti tracce di sangue. Il gentiluomo riferisce la notizia a Monsieur Denneval. Forse - pensa quest’ultimo - l’animale è andato a morire nel fitto della boscaglia. Purtroppo, si tratta di una vana speranza. Il giorno seguente, la Bête ricompare, infatti, a pochi chilometri dall’abitazione del nobile, facendo a pezzi una donna di cinquant’anni. Alcuni hanno addirittura l’impressione che questa astuta bestia sia ritornata sul posto con il proposito di vendicarsi. Non pochi iniziano a pensare che l’animale sia dotato di poteri soprannaturali. I curati della regione vedono nella Bête uno strumento del demonio ed organizzano processioni per allontanare il maleficio e per chiedere aiuto al Signore.
In tutta la Francia il panico dilaga, ed oltre i confini del regno iniziano a montare le prime sarcastiche polemiche circa l’inefficienza dei sistemi adottati per debellare il misterioso flagello del Gévaudan. Nella fattispecie è la stampa inglese (sempre molto critica nei confronti della società francese) a dileggiare con maggiore sarcasmo i “lupattieri” e i dragoni di Luigi XV. Nel maggio 1765, dopo che la Bête ha fatto fuori altre sette persone, un giornale di Londra annuncia - con una buona dose di maligna esagerazione - che “un esercito di 120.000 soldati francesi da mesi viene tenuto in scacco da un grosso lupo”. E’ troppo. Luigi XV decide di sostituire Denneval con Antoine de Beauterne, il suo ufficiale porta fucile, che vanta anch’egli una vasta conoscenza in materia di caccia. Il 20 giugno, de Beauterne (assistito dai suoi figli, da sei tiratori scelti e da altrettanti aiutanti) inizia anch’egli il suo safari nel Gévaudan. Il 4 luglio, nei pressi del villaggio di Broussolles, la Bête divora la sua ennesima vittima. De Beauterne esamina il cadavere e nei suoi pressi scopre le tracce di un lupo di dimensioni straordinarie. Verso la metà di settembre, l’animale viene avvistato lungo il corso del fiume Allier, a ridosso del villaggio di Pommier. Il 18, il cacciatore del re, assistito da 40 tra i più abili tiratori della regione, incrocia finalmente la fiera, che viene colpito ripetutamente alla testa e al corpo da una micidiale scarica di proiettili. Si tratta, effettivamente, di un lupo di taglia veramente notevole, con folto pelo e strane striature sul dorso. L’animale, che pesa ben 130 libbre contro le 50 di un lupo normale, viene ripulito, impagliato e trasportato a Parigi per essere mostrato alla corte. L’intera regione dell’Auvergne tira un sospiro di sollievo e de Beauterne viene portato in trionfo.
Ma la festa dura ben poco. Lunedì 2 dicembre 1765, sui rilievi di Margeride, due giovani contadini al pascolo con le loro mucche vengono sbranati da una belva. La notizia si diffonde rapidamente e il re si adira con de Beauterne. Ovviamente, il grosso lupo impagliato ed esposto nei saloni di Versailles non è la Bête. Come in un incubo, gli attacchi del misterioso animale riprendono a ritmo sostenuto, gettando nella disperazione la popolazione del Gévaudan che ormai si credeva al sicuro.
Tra la primavera e l’inizio estate del 1766, l’animale uccide una dozzina tra pastori e contadini. Il 18 giugno, dopo l’ultima aggressione ad un ragazzino, un anziano contadino della frazione di Darmes (Besseyres-Saint-Mary), tale Jean Chastel, viene convocato, assieme a 12 cacciatori, dal marchese d’Apcher, intenzionato a promuovere l’ennesima battuta. Jean Chastel, assistito dai suoi tre figli e da una muta di cani, si reca a perlustrare un vasto bosco. Poche ore dopo, in località Sogne-d’Auvers, Chastel decide di fermarsi e di appostarsi tra gli alberi con i suoi. Il tempo di rilassarsi ed ecco che dalla macchia sbuca fuori la Bête. L’animale punta Chastel, ma l’anziano e coraggioso contadino imbraccia con calma il fucile e fa fuoco da breve distanza, colpendo la belva che rivela essere un grosso lupo di 100 libbre di peso. Le campane dei villaggi suonano a festa, e come Antoine de Beauterne anche Chastel trascina la sua preda di paese in paese per mostrarla alla gente. Poi, senza farla prima imbalsamare, la carica su un carro e la fa trasportare a Parigi dove, tuttavia, l’animale giunge in avanzato stato di putrefazione. I buffoni di corte trovano il modo per dileggiare il vecchio contadino (“dalla straordinaria puzza che emana si deduce che la Bête infernale sia proprio questa”). Tuttavia, il re fa consegnare al povero vecchio un premio di 72 livres.
Verso l’inverno del 1766, nel Gévaudan le aggressioni di contadini da parte di belve feroci iniziano a diradarsi progressivamente, fino a cessare completamente alla metà dell’anno seguente. E dall’estate del 1767 gli avvistamenti di strani animali cessano del tutto, lasciando però moltissimi interrogativi e dubbi. Nell’arco di tre anni, la Bête ha sbranato oltre 100 persone (certi sostengono 172), tre quarti dei quali bambini e adolescenti ed un quarto donne. Al contrario, nessun uomo adulto - e cosa ancora più strana, nessun capo di bestiame - risulta essere stato ferito o ammazzato. Le ipotesi circa la natura della Bête diventano uno degli argomenti più dibattuti di Francia, aprendo una querelle destinata a perpetuarsi fino ai giorni nostri. Nei salotti di corte e nelle osterie dei villaggi, i “partiti” sostenitori delle più svariate tesi si moltiplicano molto rapidamente. C’è chi sostiene che la Bête altro non sia che un grosso lupo, nella fattispecie quello ucciso da Chastel (dopo l’abbattimento dell’animale, il vecchio contadino dalla mira infallibile raccontò, tra l’altro, che il lupo da lui ucciso “si muoveva con metodo e criterio, proprio come un animale addomesticato ed addestrato dall’uomo”), anche perché con la sua eliminazione terminò il periodo di terrore, e c’è chi sostiene che si trattasse di un branco composto da almeno tre grossi lupi. Tesi, quest’ultima, sostenuta anche da alcuni zoologi contemporanei.
Ma come in tutti i casi misteriosi in cui la leggenda tende a farsi largo tra le maglie della verità scientifica, sulla Bête fioriscono anche le più svariate e colorite interpretazioni. Verso l’inizio del XX secolo, alcuni pubblicisti francesi e inglesi ipotizzarono che dietro la Bête si celasse un serial killer (una specie di Jack lo Squartatore); mentre altri - ancora più fantasiosi - sostennero che si trattasse o di un orripilante ominide, dotato di pelliccia, denti a sciabola e forza erculea, saltato fuori da una delle tante grotte preistoriche presenti nella regione del Gévaudan; o forse di un mostruoso essere selvaggio allevato ed allattato dai lupi come Romolo e Remo e da essi addestrato a fare fuori piccoli ed indifesi cristiani. Sempre nel Novecento, altri studiosi ed appassionati di vicende misteriose si sono lanciati addirittura in interpretazioni alla X-Files, ipotizzando giganteschi vampiri pelosi a quattro zampe, assetati di sangue (effettivamente la Bête era solita dilaniare il collo delle sue vittime) o mutanti esseri alieni. Ma nella bagarre si sono buttati anche politologi e sociologi, sostenendo che dietro la Bête si nascondesse niente meno che una strage di stato, ordita da Luigi XV ai danni di una popolazione, quella dei dipartimenti francesi centromeridionali, che in passato aveva dato un certo appoggio agli ugonotti protestanti.
Accantonando, seppure con rispettoso beneficio di inventario, queste ultime bizzarre supposizioni, agli scettici ed ai raziocinanti non rimane che ascoltare la parola dei naturalisti, dei biologi e dei più seri esperti di criptozoologia, gli unici, in realtà, a possedere gli strumenti tecnici e scientifici utili a diradare le nebbie dell’ignoranza e della superstizione. Come ha scritto Lino Penati, che nel 1976 ha esaminato con attenzione e la dovuta prudenza l’enigma del Gévaudan, “alla luce delle più attendibili testimonianze dell’epoca - prima fra tutte quella del curato d’Aumont, autore di una particolareggiata memoria - si è portati ad escludere che la Bête potesse essere un lupo. Il sinuoso corpo dell’animale, le sue considerevoli dimensioni, il pelo rossiccio bruno, gli artigli, la coda lunga quattro piedi, la grossa testa, le orecchie a punta e le zanne, farebbero pensare ad un felino, magari ad una grossa lince, anche se in proposito sussistono non pochi dubbi”. Attaccata dai cani, la Bête, infatti, non ha mai tentato di rifugiarsi su un albero, come appunto avrebbe fatto un felino. Senza scartare a priori l’ipotesi di una grossa lince (animale che però non supera quasi mai i 35 chili di peso), alcuni studiosi contemporanei hanno azzardato anche la possibilità che dietro la Bête potesse agire un ghiottone (Gulo gulo) o un licaone: animali che tuttavia, per le loro contenute dimensioni e per la loro particolare distribuzione geografica (il licaone vive in Africa), male si adattano ad alcun reale paragone con la belva del Gévaudan.
Più plausibile risulta, invece, l’ipotesi (avanzata dal biologo americano C. H. D. Clarke, grande esperto di lupi ed affini) che la Bête fosse un ibrido tra un grosso cane, ad esempio un molosso, ed un lupo. Ad avvalorare questa tesi ci sarebbe, tra l’altro, l’abbattimento, avvenuto nel 1884 in Francia, ad Argenton, di un gigantesco ibrido cane-lupo di quasi 80 chilogrammi di peso. Sempre secondo Penati non sarebbe però da escludere un’ultima ipotesi, fino ad oggi mai prospettata. “E se la Bête du Gévaudan fosse stata un esemplare isolato o una coppia di tigri del Caucaso? I dati - sostiene Penati - sembrerebbero infatti concordare: le dimensioni, le fauci, il colore del lungo manto striato, sono elementi tipici di questo grosso felino. E in fin dei conti, fino dall’epoca preistorica, molte delle specie animali provenienti dall’Asia sono finite quasi tutte per approdare nel sud della Francia, nel “ridotto” delle Cevenne”.
Ma senza bisogno di scomodare la tigre del Caucaso (purtroppo estinta), non sembrerebbe del tutto peregrina un’ultima, simile seppur più banale ipotesi: quella di una tigre, di una leonessa o di un giaguaro fuggito da qualche circo ambulante o lasciato libero di proposito da un bizzarro ecologista ante litteram. In fondo, non moltissimi anni fa, nelle campagne intorno a Roma per settimane si aggirò una pantera nera, anche se al contrario della Bête, questo felino non provocò tra la popolazione alcun disagio ma, al contrario, un’ondata di spontanea (e forse eccessiva) solidarietà nei suoi confronti. Al punto da diventare il simbolo di un movimento studentesco in verità piuttosto velleitario e comunque molto più attratto dai miti ribelli e libertari della foresta che non dai più convenzionali, magari meno emozionanti, ma sicuramente più utili libri di testo.
tratto da
http://www.storico.org/Gevaudan.htm