La «lectio divina» da Origene ad Agostino

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Cattolico_Romano
00lunedì 31 agosto 2009 18:46
La «lectio divina» da Origene ad Agostino

E Ambrogio inventò la lettura «senza voce»


Dal 31 agosto al 4 settembre si tiene a Cracovia il decimo Colloquio internazionale dedicato a Origene. Pubblichiamo quasi integralmente il testo di una delle relazioni.

di Enrico dal Covolo

Fin dai primi secoli cristiani i padri greci hanno coltivato e raccomandato quella che Origene chiama la thèia anàgnosis, e che i padri latini chiamano lectio divina:  e proprio su questo segmento di storia della lectio divina vorremmo concentrare adesso la nostra attenzione, esaminandone i due snodi fondamentali, il primo - decisivo - segnato da Origene, l'altro da Ambrogio e da Agostino.

Questo itinerario storico e teologico non consente di apprezzare lo sviluppo della lectio divina nella tradizione orientale, dopo Origene. Rimane il fatto che l'influsso dei padri orientali è decisivo nella storia complessiva della lectio divina. Tuttavia è nell'ambiente di lingua latina che la lectio si definisce con maggiore precisione nelle sue tappe fondamentali (lectio, meditatio, oratio e contemplatio), a partire appunto da sant'Ambrogio.



In primo luogo ci riferiamo dunque al III secolo, e a quella "svolta origeniana" che ha segnato irreversibilmente la teologia dei padri.

Come è noto, la "svolta origeniana" corrisponde in sostanza alla fondazione della teologia nell'esegesi, o meglio alla perfetta simbiosi tra teologia ed esegesi:  "Solo con Origene si giunge - a dire di Manlio Simonetti - all'interpretazione sistematica di libri interi della Scrittura o di larga parte di essi, e questo modo di insegnare", cioè di fare teologia, "si sarebbe perpetuato nella scuola alessandrina... La conoscenza, ampia se ben lungi che completa, che abbiamo sia delle omelie sia dei commentari di Origene ci permette di conoscere a fondo il suo modo d'insegnare, che si identifica col suo modo d'interpretare la Scrittura".

Rimane, è vero, il De principiis, che si configura come una serie abbastanza organica di discussioni relative a fondamentali argomenti teologici (Dio, l'uomo, il mondo), affrontati in modo da approfondire razionalmente il dato di fede. Ma è altrettanto vero che proprio nel De principiis Origene teorizza l'esegesi spirituale della Bibbia come cardine della conoscenza di fede e della perfezione di vita.
In verità la sigla propria del metodo teologico di Origene sembra risiedere appunto nella sua incessante raccomandazione a trascorrere dalla lettera allo spirito delle Scritture, per progredire nella conoscenza di Dio:  e questo "allegorismo" - come osservava già Hans Urs von Balthasar - "non è nient'altro che lo sviluppo del dogma cristiano operato dall'insegnamento dei dottori della Chiesa, insegnamento che è, esso stesso, Scrittura in atto".

Coerentemente, la critica è concorde nell'apprezzare il "ruolo primordiale" esercitato da Origene nello sviluppo della lectio divina.

È soprattutto nelle Omelie sul Levitico che Origene esplicita in massimo grado il rapporto inscindibile che lega tra loro la vita del credente - l'esercizio del sacerdozio comune e l'itinerario incessante di perfezione, a cui il fedele è chiamato - e la scienza delle Scritture, la thèia anàgnosis, ovvero la "divina ricognizione" della sacra pagina:  in definitiva, come vedremo, la lectio divina.

In particolare nella quarta omelia, prendendo lo spunto dalla legislazione levitica, secondo cui il fuoco per l'olocausto doveva ardere perennemente sull'altare (Levitico, 6, 8-13), Origene apostrofa così i suoi fedeli:  "Ascolta:  deve sempre esserci il fuoco sull'altare. E tu, se vuoi essere sacerdote di Dio - come sta scritto, "Voi tutti sarete sacerdoti del Signore" e a te è detto "Stirpe eletta, sacerdozio regale, popolo che Dio si è acquistato" - se vuoi esercitare il sacerdozio della tua anima, non lasciare mai che si allontani il fuoco dal tuo altare" (Omelia sul Levitico, 4, 6).

Qui l'Alessandrino allude scopertamente alle condizioni spirituali, che rendono il fedele più o meno degno di esercitare il suo sacerdozio. Così infatti prosegue l'omelia:  "Ciò significa quello che il Signore comanda nei Vangeli, che "siano i vostri fianchi cinti e le vostre lucerne accese". Dunque sia sempre acceso per te il fuoco della fede e la lucerna della scienza".

In definitiva, da una parte i "fianchi cinti" e gli "indumenti sacerdotali", vale a dire la purezza e l'onestà della vita, dall'altra il "fuoco sempre acceso", cioè la fede e la scienza delle Scritture - perché non esiste per l'Alessandrino un'altra scienza vera, se non questa - rappresentano per Origene i requisiti indispensabili di un'autentica vita cristiana.

Tuttavia Origene nelle sue opere insiste molto di più sul "fuoco acceso", cioè sulla lettura e sulla meditazione della Parola di Dio, che sui "fianchi cinti".

In ogni caso, la vera "tessera" per accedere al cammino di perfezione è per lui la scienza delle Scritture, cioè quella medesima thèia anàgnosis che egli raccomanda a Gregorio, quando gli scrive:  "Dédicati alla lectio delle divine Scritture; applicati a questo con perseveranza. Impégnati nella lectio con l'intenzione di credere e di piacere a Dio. Se durante la lectio ti trovi davanti a una porta chiusa, bussa e te l'aprirà quel custode, del quale Gesù ha detto:  "Il guardiano gliela aprirà". Applicandoti così alla lectio divina, cerca con lealtà e fiducia incrollabile in Dio il senso delle Scritture divine, che in esse si cela con grande ampiezza. Non ti devi però accontentare di bussare e di cercare:  per comprendere le cose di Dio ti è assolutamente necessaria l'oratio. È per esortarci a essa che il Salvatore ci ha detto non soltanto:  "Cercate e troverete" e "Bussate e vi sarà aperto", ma ha aggiunto:  "Chiedete e riceverete"" (Lettera a Gregorio, 4).

Colui che per primo ha raccolto ed elaborato la dottrina esegetica di Origene in Occidente è Ambrogio. Si può dire anzi che egli ha trasferito in ambiente latino la thèia anàgnosis origeniana, iniziando così la storia di quella lectio divina, che verrà codificata compiutamente solo in età medievale.

Sappiamo che nel leggere la Scrittura, come nell'accostarne i vari personaggi, Ambrogio usava il metodo allegorico-spirituale, che di fatto presiede alla lectio divina. Infatti la lettura spirituale della Bibbia - così come la intendevano i padri alessandrini, e come Ambrogio imparò a praticarla - implica contemporaneamente l'attenzione all'esegesi letterale e storica, ma soprattutto l'anelito incessante di andare oltre il velo della lettera.


 
In questo senso Ambrogio allude più volte alla lectio divina, espressione che proprio nei suoi scritti compare per la prima volta nella letteratura cristiana latina.

Nel De bono mortis egli si propone di svolgere la riflessione prendendo esempio dalla lectio di alcuni testi biblici. Spiegando il Salmo 118 (119), raccomanda l'esercizio della cotidiana lectio e della frequente meditatio, perché l'anima sia nutrita dalla linfa del Vangelo. Infine, commentando la risposta di Gesù a Satana, "Non di solo pane vivrà l'uomo" (Luca, 4, 4), Ambrogio annota che con tali parole Gesù ci esorta a "nutrirci del Verbo celeste" mediante la lectio divina.
Da parte sua Agostino, "discepolo di Ambrogio", raccomandava ad Antonino e alla sua famiglia il nutrimento della lectio divina, e nel De opere monachorum fissava un posto preciso alla lectio nella giornata del monaco.

Così, a conclusione di questo itinerario storico-teologico, propongo una sorta di icona patristica, che, interpretata alla luce di quello che è stato detto, può rappresentare in estrema sintesi gli inizi della lectio divina in Occidente.

Nel sesto libro delle Confessioni Agostino racconta del suo incontro con Ambrogio. Agostino scrive testualmente che, quando si recava dal vescovo di Milano, lo trovava regolarmente impegnato con catervae di persone piene di problemi, per le cui necessità egli si prodigava; oppure, quando non era con loro - e questo accadeva per lo spazio di pochissimo tempo - o ristorava il corpo con il necessario, o alimentava lo spirito con letture. E qui Agostino fa le sue meraviglie, perché Ambrogio leggeva le Scritture a bocca chiusa, solo con gli occhi:  "cum legebat - scrive Agostino - oculi ducebantur per paginas et cor intellectum rimabatur, vox autem et lingua quiescebant" (Confessioni, 6, 3).

Come è noto, nei primi secoli cristiani la lettura era strettamente concepita ai fini della proclamazione, e il leggere ad alta voce facilitava la comprensione pure a chi leggeva:  che Ambrogio potesse scorrere le pagine con gli occhi soltanto, segnala ad Agostino ammirato una capacità assolutamente singolare di lettura e di intimità con le Scritture.

Ebbene, in quella "lettura a fior di labbra", dove il cuore si impegna a raggiungere l'intelligenza delle Scritture, si può intravedere il seme della lectio divina in Occidente:  Agostino stesso lo raccolse dal vescovo Ambrogio, per consegnarlo alla tradizione monastica e ai suoi sviluppi successivi, fino ai nostri giorni.


(©L'Osservatore Romano - 31 agosto - 1 settembre 2009)
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