LA CASA DEL DIAVOLO

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CadillacRanch
00sabato 27 maggio 2006 15:41
Per quanto interminabile, assolata e immaginifica, la strada nasconde una sorta di stato d'animo a sè stante, piccoli motel polverosi e carcasse putrefatte, e ospita i protagonisti di questo road movie al sangue, un thriller spavaldo e rock 'n' roll, che nasconde dentro sè stesso la passione del cinema di Rob Zombie, chitarrista dimenticabile. Un pò come Tarantino, Zombie spolvera i vecchi horror anni '70 (i titoli di testa con fermo-immagine, impossibile non vedere il nesso), cult e personaggi indimenticabili (le parole "Love" e "Hate" tatuate sulle dita di Sid Haig, che riprendono il personaggio di Harry Powell-Robert Mitchum ne "La Morte Corre Sul Fiume"; i personaggi di Haig e Moseley col nome-tributo a Groucho), e riporta sullo schermo quella famigliola svampita e truculenta che già vedemmo ne "La Casa Dei Mille Corpi". In più crea una sorte di western sconfinando nell'iperviolenza spietata e nelle note di un nostalgico southern rock (colonna sonora magnifica, da Joe Walsh a Buck Owens, fino all'indimenticabile "Free Bird" dei Lynyrd Skynyrd). La vanteria e la psicologia dei personaggi non porta a nette distinzioni (se si pensa alla "svolta" di pensiero dello sceriffo - perfetto nella parte - William Forsythe), la vendetta si trasforma e l'atto di giustizia diventa atto di tortura, coniugando perfino la masochistica idea del voyeurismo nei confronti del dolore e della sofferenza. Forse il senso del film è vago, forse è proprio l'idea di riuscire a plasmare l'identikit di una storia d'amicizia e di lealtà in un contesto violento (ed è qui che viene fuori l'anima di Sam Peckinpah), ma alla fine la non-spiegazione è l'unica "spiegazione" possibile, il fatto di poter capire che a questo mondo esiste "un diavolo" che deve fare "il lavoro del diavolo", e i "buoni" in questo caso mettono solo a termine quel lavoro. Rob Zombie sa girare, scegliendo una ben specifica linea di direzione e un interno arsenale di tecniche di regia, rivisitando in largo e in lungo gli anni '70, e regalandoci alcune scene da antologia (soprattutto quella finale) capovolgendo il senso della purità del deserto e dei suoi segreti nascosti, facendolo diventare luogo di perdizione. Nella scena finale troviamo l'unica sensazione di relax percorrendo quelle strade, quando vediamo la Cadillac di Otis (impressionante somiglianza con Charles Manson) sulla carreggiata sotto le note degli Skynyrd, e, a dire il vero, mi aspettavo il momento della redenzione; ma , come già detto, non puoi cambiare il diavolo, nè i suoi reietti. Ultimo appunto: a mio avviso si candida ad essere tra i film più belli dell'anno.
nebakanezer
00domenica 28 maggio 2006 23:00
Ok grande colonna sonora....ma il bello finisce qua...insomma ok l'omaggio al cinema anni 70 per certi trucchetti ma Peckinpah non lo vede nemmeno di striscio...non scherziamo, dialoghi imbarazzanti, personaggi tagliati con l'accetta...sceneggiatura leggerina, sicuramente c'è di peggio...ma se questo è uno dei film più belli dell'anno sarà veramente un anno da dimenticare!
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