L'affascinante simbolismo dell'Apocalisse e la cripta di Anagni (parte 2)

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Nina@
00lunedì 10 gennaio 2005 10:07
Gli affreschi della cripta di Anagni pongono al centro del nostro sguardo un brano dell'Apocalisse che è decisivo per l'interpretazione complessiva di tutto il libro. E' il brano di Ap 5, 1-14:

"Vidi nella mano destra di Colui che era assiso sul trono un libro a forma di rotolo, scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli. Vidi un angelo forte che proclamava a gran voce: «Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?». Ma nessuno né in cielo, né in terra, né sotto terra era in grado di aprire il libro e di leggerlo. Io piangevo molto perché non si trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo. Uno dei vegliardi mi disse: «Non piangere più; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli». Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come immolato. Egli aveva sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra. E l'Agnello giunse e prese il libro dalla destra di Colui che era seduto sul trono. E quando l'ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all'Agnello, avendo ciascuno un'arpa e coppe d'oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi. Cantavano un canto nuovo:
«Tu sei degno di prendere il libro
e di aprirne i sigilli,
perché sei stato immolato
e hai riscattato per Dio con il tuo sangue
uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione
e li hai costituiti per il nostro Dio
un regno di sacerdoti
e regneranno sopra la terra».
Durante la visione poi intesi voci di molti angeli intorno al trono e agli esseri viventi e ai vegliardi. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce:
«L'Agnello che fu immolato
è degno di ricevere potenza e ricchezza,
sapienza e forza,
onore, gloria e benedizione».
Tutte le creature del cielo e della terra, sotto la terra e nel mare e tutte le cose ivi contenute, udii che dicevano:
«A Colui che siede sul trono e all'Agnello
lode, onore, gloria e potenza,
nei secoli dei secoli».
E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E i vegliardi si prostrarono in adorazione".


La cripta di Anagni evidenzia questo testo ponendo la sua raffigurazione nell'abside, là dove si fissa lo sguardo di chi si reca per celebrare la santa eucarestia; l'autore stesso dell'Apocalisse evidenzia questa pericope ponendola all'inizio della sezione dei sette sigilli che saranno via via aperti, all'inizio cioè di tutta la lotta tra il Cristo ed il male.
Ap 5, 1-14 non solo è posto letterariamente prima del dispiegarsi della lotta che si consumerà fino alla battaglia finale che segnerà la definitiva sconfitta del male ad opera di Cristo, ma vuole fornire al lettore, fin dall'inizio, le connotazioni decisive di ciò che sarà descritto successivamente.
Procediamo con ordine. Al centro del testo e dell'affresco sta l'Agnello. L'Agnello ha in mano un libro. Il libro è, appunto, il libro del dispiegarsi della storia. Esso è sigillato con sette sigilli. "Nessuno né in cielo, né in terra, né sotto terra era in grado di leggerlo" (Ap 5, 3). E' la chiara affermazione che nessuna creatura capisce, da sola, il senso della storia. Nessuno sa dire il perché del nascere, del morire, dell'amare, del soffrire. Nessuno lo sa, senza la presenza della grazia di Dio. L'uomo e la sua storia sono un enigma, un mistero che attende una chiave di interpretazione che divenga poi anche orientamento per scegliere il bene, ciò che vale, una volta conosciuta la verità. Giovanni "piangeva molto perché non si trovava nessuno in grado di leggere il libro" (Ap 5, 4), finché uno dei vegliardi disse: "Non piangere più; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli". E' proprio la frase che il pittore di Anagni sceglie per trascriverla sul libro dell'Agnello: "Ecce vicit leo de tribu Iuda radix David aperire librum".
Il pianto dell'evangelista è il pianto dell'intera umanità che non comprende fino in fondo il senso ed il mistero della vita umana, il dramma dell'umanità che vuole comprendere la storia e la vita, ma ne è impossibilitata.
Ma ecco lo sciogliersi del dramma, appunto. Uno è capace di farlo! E' l'Agnello che è anche il Leone di Giuda e il Germoglio di Davide. E' Cristo stesso che è, da un lato, compimento della profezia dell'Antico Testamento. E', infatti, Figlio di Davide, il discendente del re Davide, che i profeti avevano annunziato come Messia, come Cristo. Il canto dell'Osanna al Figlio di Davide che accoglie Gesù nell'ingresso nella città santa è il corrispettivo della sua appartenenza alla tribù di Davide e della sua nascita a Betlemme, la città, appunto, del "santo re". E, insieme Gesù è anche il "leone della tribù di Giuda" che, come la benedizione del patriarca Giacobbe aveva annunziato, avrebbe avuto lo scettro eterno del potere di Dio sul mondo. “Un giovane leone è Giuda… Non sarà tolto lo scettro da Giuda, né il bastone del comando dai suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l'obbedienza dei popoli” (Gen 49, 9-10).
L'Agnello, dice il nostro testo, è "ritto e… come immolato" (Ap 5, 6). Gli affreschi di Anagni lo rappresentano come immolato, come vedremo subito, nella parete sinistra dell'abside, sgozzato e sull'altare - segni della crocifissione!
Nell'abside, invece, esso è "ritto". E' il Cristo risorto che è di nuovo in piedi dopo essere stato adagiato, disteso nel letto della morte. E' la sua "vittoria", la vittoria sulla morte, sul peccato, sul male della storia, che lo rende capace di interpretare la storia. Proprio nella sconfitta del male, attraverso la sua venuta, la morte e la resurrezione - e nella conseguente nascita della Chiesa - sta tutto il segreto della storia. E' "l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo" (Gv 1, 29).
Così p.Ugo Vanni, gesuita, massimo studioso vivente dell'Apocalisse, commenta i simboli particolari relativi all'Agnello nel nostro brano [3] :

Un Agnello: l'autore prendendo lo spunto dall'Agnello pasquale dell'Esodo (Es 12-13), come pure dal Servitore di Jahweh del Deuteroisaia (Is 53,7), ci presenta in quattro quadri successivi Cristo che ha dato la vita in sacrificio per la moltitudine (Agnello come sgozzato), che è risorto (ritto in piedi), che ha totalità dell'energia messianica (sette corna) e la pienezza dello Spirito in azione (sette occhi).

L'Agnello è detto, nel presente, in grado (degno) (5,9) di appropriarsi il libro perché, in passato, Egli è stato immolato, mettendo così le premesse e i fondamenti di una salvezza completa la quale, in futuro, si realizzerà col regno di Dio, dell'Agnello e dei salvati nella terra rinnovata.

“Hai riscattato per Dio con il tuo sangue” (5,9) l'opera salvifica di Cristo viene espressa mediante la metafora di una compera: dando la sua vita Cristo ha fatto sì che gli uomini fossero tolti dalla loro situazione di alienazione nei riguardi di Dio e divenissero sua appartenenza. Un aspetto di questa appartenenza a Dio è dato dal fatto che il nuovo popolo è introdotto nell'ambito della sacralità cultuale divina, è un regno di sacerdoti (cfr 5,10).

I cieli e la terra in festa per la vittoria dell'Agnello
Quando l'Agnello prese il libro, “i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all'Agnello” (Ap 5, 8). L'Apocalisse aveva già descritto i quattro esseri viventi ed i ventiquattro vegliardi che sono intorno al "trono" di Dio:

"Subito fui rapito in estasi. Ed ecco, c'era un trono nel cielo, e sul trono uno stava seduto. Colui che stava seduto era simile nell'aspetto a diaspro e cornalina. Un arcobaleno simile a smeraldo avvolgeva il trono. Attorno al trono, poi, c'erano ventiquattro seggi e sui seggi stavano seduti ventiquattro vegliardi avvolti in candide vesti con corone d'oro sul capo. Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni; sette lampade accese ardevano davanti al trono, simbolo dei sette spiriti di Dio. Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo. In mezzo al trono e intorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni d'occhi davanti e di dietro. Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l'aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l'aspetto d'uomo, il quarto vivente era simile a un'aquila mentre vola. I quattro esseri viventi hanno ciascuno sei ali, intorno e dentro sono costellati di occhi; giorno e notte non cessano di ripetere:
Santo, santo, santo
il Signore Dio, l'Onnipotente,
Colui che era, che è e che viene!
E ogni volta che questi esseri viventi rendevano gloria, onore e grazie a Colui che è seduto sul trono e che vive nei secoli dei secoli, i ventiquattro vegliardi si prostravano davanti a Colui che siede sul trono e adoravano Colui che vive nei secoli dei secoli e gettavano le loro corone davanti al trono, dicendo: «Tu sei degno, o Signore e Dio nostro,
di ricevere la gloria, l'onore e la potenza,
perché tu hai creato tutte le cose,
e per la tua volontà furono create e sussistono»" (Ap 4, 2-11).

Ma ora questi quattro esseri ed i ventiquattro vegliardi sono intorno all'Agnello. E' l'adorazione al Figlio che è adorato e conglorificato con il Padre:

E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E i vegliardi si prostrarono in adorazione" (Ap 5, 14).

Di nuovo la lettura di p.Vanni ci aiuta nella comprensione del testo [4] :


Ventiquattro vegliardi (4,4): questi “personaggi” misteriosi si trovano in uno stato di salvezza definitiva (vestiti di bianco), hanno già adesso il premio della loro attività (corone d'oro), e prendono parte autorevolmente allo svolgimento della salvezza (seduti sul trono). E' discussa la loro identificazione. In essi l'autore ha concentrato un complesso di simboli che esprimono la radicazione trascendente del popolo di Dio. I vegliardi sono dodici e dodici, come le tribù di Israele e gli apostoli uniti insieme; sono la base, il fondamento celeste di tutto il popolo di Dio. Ma, già in uno stato di salvezza, sono anche l'espressione del traguardo a cui il popolo di Dio tende: ed essi lo aiutano nel raggiungimento.

Quattro esseri viventi: ispirandosi a Ezechiele 1,5 – 10 e a Isaia 6,2 l'autore ci dice anzitutto che questi viventi sono pieni di occhi, ciò che nell'Apocalisse simboleggia l'azione molteplice dello Spirito cfr 5,6). Una loro seconda caratteristica è la molteplicità degli aspetti che possono assumere: aquila, uomo, vitello, leone, proprio come i viventi di Ezechiele. Una terza caratteristica è la lode che, come i Serafini di Isaia, esprimono continuamente a Dio. Nel decorso del libro i viventi partecipano insieme ai vegliardi alla lode divina e intervengono attivamente nello sviluppo dell'azione salvifica. Più che personaggi veri e propri – angeli, rappresentanti della creazione, ecc. – sono degli schemi simbolici che esprimono a livello celeste il punto di incontro tra l'iniziativa salvifica di Dio e la risposta di tutto il creato.

Gli affreschi di Anagni commentano la presenza dei 24 vegliardi con l'iscrizione latina: "Qui laudant Agnum seniores bis duodeni/ hos Vetus et Nova lex doctores contulit evi" che tradotta vuole dire: “La legge Antica e Nuova ha riunito questi due gruppi di dodici vegliardi che lodano l'Agnello, in quanto dottori della vita eterna" (per la traduzione del termine medioevale "aevum" con "vita eterna" ci rifacciamo a L.Cappelletti [5] che cita Onorio di Autun: "L'aevum viene prima del mondo, col mondo e dopo il mondo. Dunque pertiene solo a Dio, che non fu, e non sarà, ma sempre è"). Sono realmente l'immagine di tutto il popolo di Dio, cresciuto dall'Antica alla Nuova Alleanza, fino al compimento definitivo celeste, che loda il Cristo.
Negli affreschi e nel testo sacro hanno una cetra nella mano – simbolo della loro lode all'Agnello - e nell'altra le “coppe d'oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi” (Ap 5, 8). L'intercessione dei santi sale a Dio come un profumo, a maggior lode di Dio e come realtà efficace di benedizione che ridonda poi sulla storia.
“Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo” (Ap 4, 6) che vediamo dipinto ad Anagni sotto i 24 vegliardi [6] .

I 4 esseri viventi hanno origine nell'immagine - definita “barocca” da E.Charpentier - della visione della “gloria di Dio” nel profeta Ezechiele. Lì il carro della Gloria di Dio veniva contemplato nella sua mobilità. Quattro esseri animati con le loro ali indicavano in quella visione il movimento della Gloria di Dio, della Presenza stessa di Dio, che seguiva l'esilio del suo popolo:

Quanto alle loro fattezze, ognuno dei quattro aveva fattezze d'uomo; poi fattezze di leone a destra, fattezze di toro a sinistra, ognuno dei quattro, fattezze d'aquila; ciascuno aveva due ali che si toccavano e due che coprivano il corpo. Ciascuno si muoveva davanti a sé; andavano dove lo spirito li dirigeva e, muovendosi, non si voltavano indietro (Ez 1, 10-12).

La Gloria di Dio usciva così dal Tempio di Gerusalemme, si fermava sul monte degli Ulivi, giungeva fin nell'esilio del popolo, in Mesopotamia, proprio ad indicare che Dio era onnipresente, non confinato alla terra di Israele, capace di seguire il popolo anche in terra straniera. Come la Gloria si spostava nel deserto dell'Esodo, precedendo e guidando il cammino, così il profeta Ezechiele la contemplava a Babilonia. L'Apocalisse riprende questa immagine tetramorfa veterotestamentaria – le fattezze d'uomo, di leone, di toro, di aquila - proprio ad indicare che l'onnipotenza e l'onnipresenza di Dio sono tali da generare adorazione in tutto il creato, in tutta la terra.
La tradizione cristiana successiva, a ragione, proprio in forza di una profonda comprensione della Scrittura, vedrà nei 4 esseri i simboli dei 4 evangelisti, risposta dell'uomo alla rivelazione definitiva di Dio, risposta che diviene proclamazione evangelica ai 4 punti cardinali, ovunque, tramite i santi evangelisti e la predicazione apostolica [7] . Sempre nella tradizione verrà continuamente sottolineata la corrispondenza dei 4 punti cardinali, Nord, Sud, Est, Ovest e degli evangelisti Matteo, Marco, Luca, Giovanni. E' in ogni direzione, ogni dove, che il vangelo risuona e produce vita e frutto.

L'apertura dei primi 4 sigilli. Cristo ed il male si affrontano
Alla presentazione del cuore della storia, del fine cui tutto converge, l'adorazione dell'Agnello vittorioso - fine già anticipata qui nell'Apocalisse dell'esito della storia - segue, al capitolo 6, la descrizione della lotta che porta alla vittoria di Cristo.
Intravediamo già qui come l'Apocalisse (come anche gli altri scritti giovannei) non sia un testo da leggere come una successione cronologica, ma come un libro a spirale, che ritorna sempre, in maniera ogni volta più approfondita, sulla realtà che è già stata annunziata.
I primi 4 sigilli che debbono essere sciolti sono rappresentati da altrettanti cavalieri – i sigilli sono così anche il contenuto stesso del libro che viene dissigillato! Nel testo di Ap 6, 1-8 ogni cavaliere è connotato con simboli caratteristici. Giovanni ci mostra la negatività del secondo, del terzo e del quarto, che ci appaiono come nemici dell'uomo, mentre ci fa intuire che nel primo ha voluto simbolizzare, nuovamente, lo stesso Cristo. Di nuovo non di una successione cronologica, semplicemente, si tratta, ma anche di una compresenza. Mentre i nemici dell'uomo lo insidiano, il Cristo stesso li insidia, presenza di sicura speranza e vittoria di Dio, pur nelle oscure vicende storiche. Questo il nostro testo:



Quando l'Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, vidi e udii il primo dei quattro esseri viventi che gridava come con voce di tuono: «Vieni». Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora. Quando l'Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che gridava: «Vieni». Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada. Quando l'Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d'orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati». Quando l'Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l'Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra (Ap 6, 1-8).

Così p.Vanni commenta il simbolismo dei quattro cavalieri:

Uno sguardo alla situazione di fatto dell'umanità, alla storia degli uomini, permette subito di individuare alcune componenti che la attraversano: la violenza, l'ingiustizia sociale, la morte col suo corteggio di mali. Espresse simbolicamente da cavalli dai colori caratteristici e da dei cavalieri, esse acquistano il rilievo di forze impetuose (cavalli), che invadono il campo della storia, travolgendo tutto. Ma una lettura adeguata non si ferma qui. Accanto alle forze di segno negativo ce n'è una di segno positivo, contrapposta ad esse: è la forza messianica di Cristo, simboleggiata dal cavaliere del cavallo bianco. Secondo un'interpretazione probabile basata su un confronto con Ap 19,11, è Cristo stesso. Appartenente alla sfera divina (cavallo bianco), con la qualifica permanente di vittorioso che poi metterà in atto definitivamente nel momento conclusivo della storia, dotato di armi micidiali (l'arco), Cristo è presentato qui come un'energia viva, vittoriosa di tutte le forze negative [8] .

Di nuovo Anagni ci mostra come il Medioevo abbia pienamente e correttamente compreso il senso profondo dell'Apocalisse.
Subito alla destra dell'abside ecco, infatti, i nostri quattro cavalieri. La scritta sottostante - Has per picturas bis binas disce figuras, “Con l'aiuto di questi dipinti impara ad esaminare le immagini a due a due” – ci aiuta in una corretta lettura iconografica.

Non a caso il quarto cavallo è al galoppo (come il secondo) e colui che lo cavalca si volge e fugge come il secondo cavaliere. Il primo cavaliere insegue il secondo come fa il terzo col quarto, ma il primo cavaliere non è analogo al terzo che nel movimento, perché in realtà il primo insegue e combatte tutti e tre gli altri: guerra, inferno e morte [9] .


Il primo cavaliere è l'unico con l'aureola, segno evidente della corretta interpretazione cristologica data dal pittore al primo sigillo. Il suo colore è il bianco, proprio come in Ap 19, 11 – “Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava “Fedele” e “Verace”: egli giudica e combatte con giustizia”. Al bianco del cavallo e del cavaliere, segno identificativi di Colui che solo è fedele e verace, dell'Agnello, si sovrappone il mantello rosso, simbolo del sacrificio di sangue della croce di Cristo. Mentre gli altri cavalieri versano il sangue degli uomini, desiderando la loro fine, il primo versa il suo sangue per la salvezza, desiderando la loro vita.
Il primo cavaliere insegue il secondo, vestito di rosso. Restano solo poche tracce del color rosso del secondo, nella condizione attuale dell'affresco, ma lasciano intuire la resa coloristica originaria. E' la “guerra” con lo spadone sguainato, ma è in fuga dinanzi all'arco vittorioso del Cristo.
Il terzo cavaliere è tenebroso, scuro – “niger” nel latino. E' l'unico dei tre in fuga ad essere alato, rappresentando il demonio, il maligno, a cavallo dell'inferno. Ha una bilancia in mano ed insegue il quarto, la morte dal colore cianotico.
I tre cavalieri non potranno trionfare: Cristo li mette in fuga
Sebbene l'esegesi moderna dia una interpretazione più precisa dei tre cavalieri nemici del Cristo, non di meno la comprensione medioevale globale è acutissima, nella presentazione della vittoria di Cristo sulla malvagità dell'uomo, sul maligno e sulla morte. Questa comunque la decodificazione simbolica secondo p.U.Vanni [10] :

Nella storia si trova la violenza, nelle sue forme vistose e drastiche e in quelle più sottili e insidiose: gli uomini tendono a odiarsi, a uccidersi (secondo sigillo: 6, 3-4). Non solo. Gli uomini, nei loro rapporti reciproci, non rispettano le leggi che si sono date: si conculcano a vicenda nei loro diritti e doveri, si fanno tutti i soprusi. Accanto alla violenza imperversa l'ingiustizia (terzo sigillo: 6, 5-6). Ai mali che gli uomini si procurano da soli, se ne aggiunge una serie che essi devono subire: la morte, la fame, le malattie, ecc. Tutte queste realtà negative e più grandi dell'uomo interessano sempre almeno una parte dell'umanità (quarto sigillo: 6, 7-8).

L'apertura del quinto sigillo
Similmente a quanto già visto il quinto sigillo non ci presenta tanto un elemento cronologicamente successivo ai primi quattro, ma un altro aspetto sincronico della storia vittoriosa del Cristo. Ecco il testo:

Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa. E gridarono a gran voce:
«Fino a quando, Sovrano,
tu che sei santo e verace,
non farai giustizia
e non vendicherai il nostro sangue
sopra gli abitanti della terra?».
Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro (Ap 6, 9-11).



U.Vanni sintetizza così tale sigillo:

Vengono presentati – nel quinto sigillo – le insistenze dei martiri che fanno pressione su Dio perché si ristabilisca l'equilibrio turbato in senso negativo con la loro uccisione. L'impazienza dei martiri non dispiace a Dio. Viene loro detto di attendere che il numero dei loro fratelli si compia definitivamente [11] .

L'Apocalisse non può descrivere la vittoria di Cristo, senza mostrare anche la presenza della chiesa al suo fianco, tanto il Cristo ed il suo corpo, la Chiesa, sono indissolubilmente legati nella mente degli autori neotestamentari. Il riferimento particolare ai martiri si interseca con il simbolismo ecclesiale dei quattro esseri viventi e dei ventiquattro vegliardi. I martiri, coloro che sono stati uccisi perché cristiani, per la testimonianza data a Cristo e rifiutata dal mondo, sono protagonisti attivi dal cielo della storia che in terra continua a svolgersi. Non solo il Cristo, non solo i tre cavalieri maligni sono attivi: anche le insistenze dei martiri sono efficaci nello svilupparsi della storia.

I martiri sembrano non preoccuparsi di sé stessi, ma solo del bene da ristabilire: Dio, però, che non è un fabbricatore automatico di bene, si preoccupa di loro personalmente: a ciascuno viene data una “veste bianca” (6, 11ss.), simbolo qui di una condizione soprannaturale positiva e gioiosa, ormai acquisita irreversibilmente e personalmente. Nella “veste bianca” qualche studioso ha voluto vedere addirittura l'immagine del corpo risuscitato [12] .


Il decorso successivo della storia ancora conoscerà, dice l'Apocalisse, testimoni nel sangue del Signore finché “il numero dei loro fratelli si compia definitivamente” (Ap 6, 11). Il testo vuole confermare i cristiani perseguitati e a rischio di morte per la persecuzione romana – e per la persecuzione di ogni tempo contro la Chiesa – che ciò non è condizione inusuale e imprevista, ma conosciuta da Dio e fonte di vita eterna [13] .
Il quinto sigillo è affrescato, in maniera simmetrica ai primi quattro, alla sinistra dell'abside della cripta di Anagni. Abbiamo già visto sopra il raddoppiarsi del simbolo dell'Agnello, qui sgozzato – chiaro il segno del collo che lascia intravedere il sangue – qui posto sull'altare, ma ritto in piedi nuovamente e non prostrato nella polvere. La presenza dell'Agnello è duplicata, inoltre, nella presenza dell'immagine del Cristo che distribuisce le vesti bianche (qui rappresentate da stole bianche) ai martiri radunati intorno all'altare. La scritta sotto l'altare è ripresa dal nostro brano: Vindica Domine sanguinem nostrum, “Vendica, o Signore, il nostro sangue”, mentre in basso è scritto: Christe Deus presto vindex tu noster adesto, “O Cristo Dio, sii tu presto il nostro vindice”. Alla scena si aggiunge in alto a destra un angelo con il turibolo. Il pittore degli affreschi di Anagni anticipa le conclusioni scientifiche dell'esegesi moderna che unisce al quinto sigillo proprio l'azione dell'angelo con l'incensiere, con il turibolo, descritta nel secondo settenario, quello delle sette trombe, in Ap 8, 1-5:

Quando l'Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio in cielo per circa mezz'ora. Vidi che ai sette angeli ritti davanti a Dio furono date sette trombe.
Poi venne un altro angelo e si fermò all'altare, reggendo un incensiere d'oro. Gli furono dati molti profumi perché li offrisse insieme con le preghiere di tutti i santi bruciandoli sull'altare d'oro, posto davanti al trono. E dalla mano dell'angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio, insieme con le preghiere dei santi.

Già in 5, 8 (“Le coppe sono le preghiere dei santi”) avevamo incontrato l'importanza nella storia delle preghiere dei santi. Le coppe erano tenute in mano dai ventiquattro vegliardi. La Chiesa, nel suo essere insieme temporale ed eterna, è efficace nella sua preghiera. Non solo le preghiere dei martiri che sono già nella gloria, nel quinto sigillo, ma la preghiera di tutti i santi che sono nella storia contribuisce alla distruzione del male. L'incensiere, se da un lato è segno dell'aroma delle preghiere che sale, è anche segno dell'effetto inverso, del discendere della risposta di Dio all'invocazione perché cessi il male. Ap 5, 6 esprime questo secondo aspetto:

Poi l'angelo prese l'incensiere, lo riempì del fuoco preso dall'altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono scoppi di tuono, clamori, fulmini e scosse di terremoto.

Così p.Vanni esplicita il senso del simbolismo:

E' il movimento di ritorno. Dopo che le preghiere sono salite, perfezionate, fino al cospetto di Dio, si ha la risposta da parte di Dio, che viene indicata – secondo immagini usuali e simboliche dell'AT – sotto la forma di fenomeni naturali e di sconvolgimenti cosmici. Quando poi nell'Apocalisse ci si avvierà alla sezione conclusiva, ritroveremo sottolineato questo effetto risolutivo delle preghiere dei santi negli interventi di Dio: i martiri nel quinto sigillo chiedevano la distruzione del male, l'equilibrio che Dio saprà ristabilire andrà, oltre l'immaginabile, al di là della loro richiesta: “Uno dei quattro viventi diede ai sette angeli sette coppe d'oro ripiene dell'ira del Dio vivente nei secoli… E udii una voce potente che usciva dal tempio e diceva: Andate e versate sulla terra le sette coppe dell'ira di Dio!” (Ap 15, 7; 16, 1).
Le stesse coppe d'oro ripiene prima delle preghiere dei santi hanno ora come contenuto una forza distruttiva del male propria di Dio. Questa forza è detta “ira”: Dio non annulla il male meccanicamente. Il male lo irrita, ed egli si sente impegnato personalmente nella sua distruzione. Lo hanno spinto a questo coinvolgimento appassionato proprio le preghiere dei santi, che hanno fatto presa su di lui [14] .

L'apertura del sesto sigillo
L'affresco nell'arco alla sinistra dell'abside ci mostra il sesto sigillo. E' la trascrizione pittorica di Ap 6, 12-17:

Quando l'Agnello aprì il sesto sigillo, vidi che vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come sacco di crine, la luna diventò tutta simile al sangue, le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come quando un fico, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i fichi immaturi. Il cielo si ritirò come un volume che si arrotola e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto. Allora i re della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti; e dicevano ai monti e alle rupi: Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall'ira dell'Agnello, perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi vi può resistere?


Vediamo,infatti, gli astri che vengono giù, il sole e la luna che mutano. Così ancora p.Vanni sintetizza la scena:

Gli sconvolgimenti descritti in 6, 12-17 sono simbolici di una presenza divina speciale. La natura, nel suo corso normale, manifesta indirettamente la presenza della gloria di Dio. La situazione abnorme che si determina esprime un intervento di Dio che, proprio mediante il confronto spontaneo con la situazione normale, si rivela come diretto e immediato. Si ha in definitiva il segno di una presenza di azione da parte di Dio, ma non si sa ancora quale effetto reale e concreto la presenza di Dio così simboleggiata assumerà [15] .

Nell'arco a destra dell'abside, simmetricamente al sesto sigillo, ecco l'angelo con un cartiglio che recita: Nolite nocere terrae et mari neque arboribus quoadusque signemus servos Dei nostri frontibus eorum, “Non devastate né la terra né il mare, né le piante finché non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi” (solo alcune lettere di questo testo si sono conservate).
E' il testo di Ap 7, 1-3:



Dopo ciò, vidi quattro angeli che stavano ai quattro angoli della terra, e trattenevano i quattro venti, perché non soffiassero sulla terra, né sul mare, né su alcuna pianta.
Vidi poi un altro angelo che saliva dall'oriente e aveva il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso il potere di devastare la terra e il mare: «Non devastate né la terra, né il mare, né le piante, finché non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi».

Quale che sia nello specifico il segno preciso indicato – il tau di Ez 9, 4, la croce, il nome di Dio o il battesimo – è evidente comunque il senso: la storia attende che la grazia di Dio faccia diventare cristiani! E' questo il vero senso del prolungarsi dei tempi, prima della fine, ed è questa la vera difesa dall'insignificanza apparente della storia.
L'angelo ha la croce astile con la prima e l'ultima lettera dell'alfabeto greco, l'alfa e l'omega, che, in Ap 1, 8 e 22, 13, esprimono che Cristo è l'inizio, l'origine ed il fine di tutto.
In una delle volte della cripta ecco gli angeli che trattengono i 4 diavoli o i 4 venti di distruzione (Ap 7, 1), proprio perché avvenga l'unica vera novità della storia: il diventare cristiani, l'essere segnati dalla grazia con il santo nome che da Cristo discende. Il tempo deve come arrestarsi –ma, sempre nell'assommarsi sincronico dei simboli, deve continuare a scorrere - perché questo possa compiersi, perché avvenga l'opera della grazia.
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