L'affascinante simbolismo dell'Apocalisse e la cripta di Anagni (Parte 3)

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Nina@
00lunedì 10 gennaio 2005 10:10
La Gerusalemme celeste: chi sono i 144.000?
A fianco dei quattro esseri viventi e dei ventiquattro vegliardi appaiono per lodare Dio i segnati con il sigillo. Il loro numero è centoquarantaquattromila. La decodificazione è una delle più semplici dell'Apocalisse. Ritroviamo, infatti, nella visione della Gerusalemme celeste che discende dal cielo alla fine del libro, il numero delle 12 tribù d'Israele, come il numero dei 12 apostoli.

La città è cinta con da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli di Israele… Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i nomi dei dodici apostoli dell'Agnello (Ap 21, 12-14).




Dodici per dodici è uguale a centoquarantaquattro. Esprime il popolo preparato dall'antica alleanza (le dodici tribù) e compiuto nella nuova, tramite la predicazione degli apostoli. Ma il numero centoquarantaquattro è moltiplicato per mille, il numero che, come vedremo più in là esprime la pienezza, contrapposta al “breve tempo” del male (Ap 20, 1-3). Centoquarantaquattromila è, insomma, il numero della Chiesa. Sono tutti i credenti in Cristo nella loro proiezione escatologica, nati dall'antica e dalla nuova alleanza donata a tutti coloro che vengono segnato con il sigillo nel corso della storia. Così il testo di Ap 7, 4-8:

Poi udii il numero di coloro che furon segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila, segnati da ogni tribù dei figli d'Israele:
dalla tribù di Giuda dodicimila;
dalla tribù di Ruben dodicimila;
dalla tribù di Gad dodicimila;
dalla tribù di Aser dodicimila;
dalla tribù di Nèftali dodicimila;
dalla tribù di Manàsse dodicimila;
dalla tribù di Simeone dodicimila;
dalla tribù di Levi dodicimila;
dalla tribù di Issacar dodicimila;
dalla tribù di Zàbulon dodicimila;
dalla tribù di Giuseppe dodicimila;
dalla tribù di Beniamino dodicimila.

Ma ecco subito apparire un secondo gruppo, in Ap 7, 9-17:

Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce:
«La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello».
Allora tutti gli angeli che stavano intorno al trono e i vegliardi e i quattro esseri viventi, si inchinarono profondamente con la faccia davanti al trono e adorarono Dio dicendo:
«Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen».
Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: «Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro.
Non avranno più fame,
né avranno più sete,
né li colpirà il sole,
né arsura di sorta,
perché l'Agnello che sta in mezzo al trono
sarà il loro pastore
e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi».

Qui è il testo stesso a darci le indicazioni del simbolismo: sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione, rendendo candide le loro vesti con il sangue dell'Agnello. Sono, cioè, i martiri, coloro che hanno testimoniato Cristo fino al martirio. Le palme che hanno nelle mani diverranno, nell'iconografia, l'attributo di tutti i martiri, proprio a partire da questo testo.
Di nuovo vediamo come il simbolismo dell'Apocalisse sia sincronico, ridondante, non diacronico. Già i ventiquattro vegliardi rappresentavano “il fondamento celeste di tutto il popolo di Dio” ed i quattro esseri viventi erano il “punto di incontro fra l'opera salvifica di Dio e la risposta di tutto il creato” (U.Vanni). I centoquarantaquattromila e la immensa moltitudine dei martiri - che è insieme a parte dai centoquarantaquattromila, ma anche parte eletta di essi - esplicitano ancor più la risposta della Chiesa che loda Dio all'apertura dei sigilli. Insomma tutta la Chiesa è lì, intorno al Trono di Dio e dell'Agnello. L'Apocalisse non solo ci chiede di diventare cristiani, ma ci chiede di accorgerci che è la Chiesa il luogo di questo diventarlo, il luogo della salvezza.
Lettura totalmente distorta di questo brano è, allora, quella letteralista dei testimoni di Geova che non solo non si accorgono che il numero dei centoquarantaquattromila è, nel simbolo, ben più grande di quello della “immensa moltitudine” (la loro lettura pretende, a torto, che ci siano due diverse condizioni di salvezza, un Paradiso celeste per i centoquarantaquattromila privilegiati ed un Paradiso terrestre per l'immensa moltitudine), ma soprattutto non riescono a comprendere, per la loro posizione ideologica, che l'Apocalisse sta parlando semplicemente della Chiesa. La profondità della lettura ecclesiale di Apocalisse ci mostra la vittoria della Chiesa insieme a quella dell'Agnello. Accenniamo solo al fatto che tutta la tradizione cristiana rilegge a ragione, anche a partire da questo brano, tutti i testi veterotestamentari sulla Città Santa, su Gerusalemme, su Sion, come testi tipologici, prefigurativi della Santa Chiesa della Nuova Alleanza.

Le 7 Chiese
Negli affreschi di Anagni la Chiesa nella sua totalità è, invece, raffigurata a partire dai capitoli dell'Apocalisse che precedono i brani che abbiamo fin qui visto. E', infatti, in Ap 1, 9-20 che troviamo i seguenti versetti:

Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù, mi trovavo nell'isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù. Rapito in estasi, nel giorno del Signore, udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese: a Efeso, a Smirne, a Pèrgamo, a Tiàtira, a Sardi, a Filadèlfia e a Laodicèa. Ora, come mi voltai per vedere chi fosse colui che mi parlava, vidi sette candelabri d'oro e in mezzo ai candelabri c'era uno simile a figlio di uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d'oro. I capelli della testa erano candidi, simili a lana candida, come neve. Aveva gli occhi fiammeggianti come fuoco, i piedi avevano l'aspetto del bronzo splendente purificato nel crogiuolo. La voce era simile al fragore di grandi acque. Nella destra teneva sette stelle, dalla bocca gli usciva una spada affilata a doppio taglio e il suo volto somigliava al sole quando splende in tutta la sua forza.
Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la destra, mi disse: Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che accadranno dopo. Questo è il senso recondito delle sette stelle che hai visto nella mia destra e dei sette candelabri d'oro, eccolo: le sette stelle sono gli angeli delle sette Chiese e le sette lampade sono le sette Chiese.

E gli fa eco il versetto successivo, Ap 2, 1:

All'angelo della Chiesa di Efeso scrivi: Così parla Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro:

E' Cristo stesso che ci appare circondato da 7 angeli (gli angeli delle 7 chiese); essi rappresentano la dimensione terrestre e trascendente di ogni Chiesa e di tutta la Chiesa. I sette candelabri (di nuovo un simbolo che raddoppia l'altro) rappresentano le 7 chiese in preghiera sulla terra. Le 7 chiese – rappresentate da 7 stelle - sono inoltre tenute in mano da Cristo stesso. Cristo è, insomma, il Signore della Chiesa, la tiene – e le tiene – in mano; insieme appare in mezzo ad essa – e non altrove!
Così, più dettagliatamente, ci guida ancora p.Vanni nella comprensione dei simboli:

La visione stessa ha due parti. In un primo momento Cristo si presenta in termini simbolici e sconvolgenti, desunti in generale dall'AT (vv. 12-16): essi ci danno delle indicazioni grezze che vanno interpretate e poi messe da parte subito, ritenendo il concetto ricavato. Cristo viene indicato come presente e attivo nella sua chiesa in preghiera (i sette candelabri d'oro); è il Messia che prende possesso del suo regno (simile a figlio d'uomo, cfr. Dan 7, 13); il suo abbigliamento indica probabilmente una funzione sacerdotale (abito lungo fino ai piedi, fascia d'oro); appartiene alla sfera celeste e le prerogative di Dio sono attribuite a lui (capelli candidi, ecc.). Come Messia a livello divino tiene in mano tutta la sua chiesa assicurandole l'immortalità (sette stelle che poi, al v. 20, saranno identificate con gli angeli delle chiese: una designazione enigmatica, sembra delle chiese stesse nella loro dimensione terrestre e trascendente) e, intanto, rivolge ad essa la sua parola che ha una forza di penetrazione irresistibile (spada... a doppio taglio). E', in sintesi, il Cristo glorioso della trasfigurazione (il suo volto assomigliava al sole).
Cristo viene poi presentato, più realisticamente (vv. 17-20), come il Cristo del mistero pasquale. Morto e risorto, Egli possiede ora tutte le prerogative per realizzare la salvezza con tutte le sue implicazioni (ha potere sopra la morte e sopra gli inferi) [16] .



Nella cripta anagnina tutto questo simbolismo è come condensato nella volta che precede proprio l'abside che abbiamo già commentato. Cristo è dipinto al centro, nella mandorla, segno di gloria, con gli attributi divini (i capelli bianchi), con la veste sacerdotale (come insegna la lettera agli Ebrei, Cristo è il vero e sommo sacerdote che offrì una volta per tutte se stesso, ponendo termine ai sacrifici antichi che non avevano il potere di santificare per sempre), con la spada della sua parola potente che esce dalla sua bocca, con la mano destra che tiene le sette stelle, la chiesa nella sua eternità, e nella mano sinistra una chiave bianca ed una scura, il potere sul Paradiso e gli Inferi (novità iconografica, rispetto al testo di Apocalisse, ma in piena continuità con esso). A fianco della mandorla ecco i sette angeli delle sette chiese, i sette candelabri, ed, infine, sette edifici che le rappresentano ancora una volta. In basso è rappresentato anche Giovanni l'evangelista, colui che ha la visione del Cristo e della Chiesa a lui indissolubilmente unita.

Il numero 666. Il male non viene spiegato, ma, dispiegandosi, viene sconfitto
La cripta anagnina non rappresenta tutte le visioni dell'Apocalisse. Ma, in ciò che in essa troviamo, già tutto è racchiuso. Se il male si scatena contro il Cristo e la Chiesa, la sua sconfitta è comunque già segnata. La sofferenza degli uomini, dei credenti, dei martiri è l'ultima prova, prima della gioia finale per la definitiva distruzione del male.
L'Apocalisse racconta come il dispiegarsi del male diventi massimo proprio dinanzi alla presenza di Cristo e della Chiesa. Il male non aveva, precedentemente, rivelato tutta la sua insensatezza e la sua cattiveria, fino alla venuta del Figlio di Dio. Proprio opponendosi al Cristo mostra la sua incapacità di cogliere il segno dei tempi: ecco allora il suo rifiuto caparbio, la sua totale stoltezza. E' dalla venuta del Signore in poi che il male si rivela proprio come il nemico di Dio e della vita, come il nemico di Cristo, l'antiCristo, anche se questo termine, come già abbiamo visto, non viene mai adoperato dall'Apocalisse. E' dall'incarnazione in poi che il male pretende di essere adorato come l'unico signore, negando assolutamente la sua obbedienza alla rivelazione di Dio nel Figlio.
L'Apocalisse afferma chiaramente la natura demoniaca del male, rappresentata dal drago del cap. 12, ma subito le affianca l'aspetto umano, rappresentata dalle due bestie, una che comanda e l'altra che invita ad adorare la prima (cap. 13). Il drago si serve delle realizzazioni storiche dello stato dispotico e della propaganda che lo sostiene, che si contrappongono al Cristo ed alla sua Chiesa.
Questo il commento di p.Vanni che precisa i dettagli:

Tutto questo capitolo è dominato dalle vicende della donna (v. 1) e del drago (v.3). L'autore sfrutta forse qualche racconto popolare di origine mitologica; ma il simbolismo complesso che egli esprime è tutto attinto all'AT. La donna rappresenta il popolo di Dio, il drago le forse demoniache; la loro vicenda esprime momenti e aspetti dello scontro fra bene e male, nel quale si articola e si sviluppa la storia della salvezza.
Un segno grandioso (12, 1): è un fatto straordinario, portentoso, che appartiene di per sè alla trascendenza (nel cielo) ma che deve essere interpretato dagli uomini.
Una donna vestita di sole: la donna simboleggia l'unico popolo di Dio, quello dell'AT che ora è conosciuto nel Nuovo. La fedeltà divina alle promesse – cfr. Sal 89, 37-38) – lo avvolge e lo riveste (sole); esso poggiando stabilmente sulle promesse divine è superiore alle vicende del tempo (luna); le dodici tribù di Israele sono la prima radice del popolo di Dio, radice che poi si sviluppa, nel NT, nei dodici apostoli: le dodici stelle simboleggiano questo fatto.
Un enorme drago rosso (13, 3-4): il drago è “il serpente antico, colui che chiamiamo diavolo e satana” (12, 9) ci viene presentato come una forza immane di natura ostile e sanguinaria (rosso), tende ad immettersi nella storia dell'uomo specialmente nei centri di potere (sette teste e sette diademi) ha un carattere dissacratore (stelle gettate sulla terra). Questa forza mostruosa insidia il popolo di Dio.
12, 5. Un figlio: la citazione del Salmo 2, 9 applicata a Cristo in tutto il contesto della chiesa primitiva, ci dice che il Figlio della Donna è Cristo stesso. Egli nasce di fatto: la comunità ecclesiale “dà alla luce”, realizza storicamente – in ogni epoca – il suo Cristo, fino a raggiungere, alla fine della storia della salvezza, il Cristo completo (cfr. Ef 4, 14). Questo risultato della comunità, anche se teme, confrontato con le forze ostili antitetiche (drago), viene garantito e messo al sicuro contro la forza del drago dall'intervento della potenza divina (fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono, v. 5) [17] .

E ancora:

Tutto il capitolo 13 è dominato dalla vicenda di due mostri che si succedono l'uno all'altro lungo lo stesso filo narrativo. L'autore ci presenta nel suo linguaggio simbolico due complesse formule di intelligibilità teologica: la prima riguarda lo stato che si autodivinizza, la seconda coloro che lo appoggiano con tutte le forme possibili di propaganda. Le immagini seguenti formeranno ulteriori precisazioni.
13, 1-2. Una bestia: secondo il simbolico valore tipico di quel simbolismo che fa intervenire gli animali come protagonisti, si indica qui una forza superumana, che viene subito caratterizzata in senso negativo (dal mare, come dall'abisso). La grande potenza della bestia si concretizzerà storicamente in una qualche forza terrena, ostile a Dio, sintesi unitaria delle quattro bestie indicate in Dan 7, 2-7, alle quali il nostro testo si riferisce.
13, 3. Una delle sue teste: per avviare la formula simbolica presentata prima verso una interpretazione e applicazione concreta, che la comunità dovrà fare, l'autore allude probabilmente alla leggenda di Nerone che, ucciso, sarebbe poi risorto a capo dei parti contro Roma.
13, 4-6. Sommando queste indicazioni a quelle precedenti abbiamo un risultato chiaro; l'autore ci presenta una forza storica, collegata o identificata col potere politico, che, usurpando i diritti divini e contrapponendosi a Dio, giunge a farsi adorare. E' lo stato inteso come un arbitro assoluto, di tutto, al di sopra del bene e del male...
13, 11-15. Un'altra bestia: è il secondo mostro che sarà in seguito qualificato esplicitamente come il falso profeta (cfr. 16, 13; 19, 20; 20, 10), esercita una attività complessa di propaganda in favore del primo. La sua attività assume una falsa natura religiosa; fatti riguardanti la vita del mostro sono presentati in una luce di prodigio; il risultato finale è che si forma del primo mostro un'immagine divinizzata, falsa in se stessa, ma resa vera nella mente della gente ingannata dal falso profeta [18] .

La visione delle due bestie ci fa incontrare proprio le realtà storiche di segno negativo che si oppongono al bene:

Vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo. La bestia che io vidi era simile a una pantera, con le zampe come quelle di un orso e la bocca come quella di un leone. Il drago le diede la sua forza, il suo trono e la sua potestà grande. Una delle sue teste sembrò colpita a morte, ma la sua piaga mortale fu guarita.
Allora la terra intera presa d'ammirazione, andò dietro alla bestia e gli uomini adorarono il drago perché aveva dato il potere alla bestia e adorarono la bestia dicendo: «Chi è simile alla bestia e chi può combattere con essa?».
Alla bestia fu data una bocca per proferire parole d'orgoglio e bestemmie, con il potere di agire per quarantadue mesi. Essa aprì la bocca per proferire bestemmie
contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua dimora, contro tutti quelli che abitano in cielo. Le fu permesso di far guerra contro i santi e di vincerli; le fu dato potere sopra ogni stirpe, popolo, lingua e nazione. L'adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell'Agnello immolato.
Chi ha orecchi, ascolti:
Colui che deve andare in prigionia,
andrà in prigionia;
colui che deve essere ucciso di spada
di spada sia ucciso.
In questo sta la costanza e la fede dei santi.
Vidi poi salire dalla terra un'altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago. Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. Operava grandi prodigi, fino a fare scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini. Per mezzo di questi prodigi, che le era permesso di compiere in presenza della bestia, sedusse gli abitanti della terra dicendo loro di erigere una statua alla bestia che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta. Le fu anche concesso di animare la statua della bestia sicché quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non adorassero la statua della bestia. Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d'uomo. E tal cifra è seicentosessantasei (13, 1-18).

E' evidente che il numero cifrato 666 viene usato per coprire un nome reale che sarebbe stato troppo pericoloso per l'autore dell'Apocalisse indicare esplicitamente. E' assolutamente senza senso e fuorviante cercare in altre epoche, ad esempio nella nostra, la coincidenza di quel numero. Piuttosto, ciò che può ripetersi nella storia non è tanto la sequenza dei tre sei, ma la dinamica di chi sostiene l'ingiusto potere anticristiano con ogni mezzo. Ma, nei secoli, per grazia di Dio, si ripete di questa bestia anche ciò che Ap dice al v 13, 18: “essa rappresenta un nome d'uomo”, cioè non è destinata a durare, passerà come passa la vita di ogni uomo. Sembrerà trionfare, per un istante, ma dovrà cedere dinanzi alla vittoria di Cristo.
Così, in un diverso studio, p.Vanni spiega l'interpretazione numerica più comune nei commentari:

La bibliografia copiosissima riguardate questo versetto ne sottolinea la difficoltà. L'equivalente più diffuso è quello di Nerone Cesare che si ottiene sommando insieme i valori numerici delle lettere ebraiche che lo esprimono (NRWN QSR: n=50+r=200+w=6+n=50+q=100+s=60+r=200: totale 666). Ma ha importanza oltre al risultato che si ottiene, il processo mentale coinvolgente con cui si ottiene [19] .

Proprio questo processo mentale invita a fare attenzione, perché in ogni epoca si ripresentano in forma diversa i caratteri di questa seconda bestia, come anche della prima, nelle forme sempre cangianti che le da il drago.
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 07:42.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com