L'Irresistibile Sapore dell'Innocenza

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Rialtina
00domenica 5 giugno 2011 11:21
Quale splendido segreto!


Riva di Biasio è un luogo molto conosciuto, a Venezia: sul Canal Grande di fronte alla chiesa di San Geremia, deve il suo nome ad un oste che qui aveva la locanda, in un periodo che le cronache vogliono essere entro il primo ventennio del Cinquecento. Una denominazione - quella della lunga fondamenta - che è rimasta malgrado i tentativi della Serenissima di cancellarne la memoria. Finché visse, Biasio non fu infatti quel che si suole definire uno stinco di santo.
Erano tre anni che Antonio, da quando aveva iniziato a lavorare alle dipendenze di un impresario edile lì vicino, quando poteva faceva una «scappata» in taverna da Biagio, Biagio Cargnio, Biasio per gli amici. Il suo sguazeto, l'intingolo di carne, faceva davvero onore alla sua fama di insuperabile nel gusto, e compar Toni non vedeva proprio motivo per cambiare osteria.
Quale splendido segreto, quello dell'oste! In tutto quel tempo nessuno era riuscito a fargli dire quali ingredienti mescolasse nella pentola; non dovevano essere poi tanto costosi, visto che Biasio vendeva le sue scodelle di sugoso spezzatino veramente a buon prezzo. Sembrava non pagasse nemmeno la carne!
Toni si ripromise anche quel mattino di scoprirne il segreto, e fare un bel regalo alla moglie (e a se stesso...), procurandole la ricetta.
Fosse solo lo sguazeto, poi! La sua fama di luganegher si era sparsa fino in terraferma, e non c'era barca proveniente da Mestre che non fermasse all'osteria per far scorta delle fantastiche salsicce del Cargnio.
Così era perso, compar Toni, nei suoi pensieri, che nella foga di finire quel ben di Dio portò la scodella alla bocca per rovesciare fino all'ultima goccia di intingolo nello stomaco; fu in quello che qualcosa di duro, forse un pezzettino d'osso, gli rimase tra lingua e palato. Toni non era particolarmente schizzinoso, e nemmeno ci fece caso: lo sputò sul fondo della scodella, ma al momento di appoggiarla sul tavolo l'occhio cadde su quello strano ossicino.
L'operaio guardò meglio, e trattenne a stento un urlo. Sul fondo della scodella - non c'era verso di sbagliarsi - stava un piccolo pezzo di dito di un bambino, con tanto d'unghia. Troppe volte Toni aveva baciato e finto di mangiare le manine delle sue due figlie - che tanto si divertivano a giocare così con lui - per non riconoscere la falange di un cucciolo d'uomo.
Si alzò, e si accorse di essere completamente sudato. Vincendo una naturale ripugnanza, trovò la forza di raccogliere il ditino e di avvolgerlo, di nascosto, nel fazzoletto; poi pagò e uscì. Un minuto dopo la bottega del salsicciaio era piena di gendarmi. Nessuno di loro dimenticò mai, in futuro, lo spettacolo che si presentò ai loro occhi nell'entrare nel retrobottega: ovunque erano sparse piccole membra di bambini. Viscere, arti, minuscoli organi coi quali Biasio, spinto certo da estro diabolico, preparava le proprie saporite pietanze.
Al Cargnio non rimase che confessare le atrocità commesse, anche se non venne mai chiarito quanti bambini uccise, né come e dove si procurasse tanta carne innocente. La Quarantia Criminale non attese oltre: Biasio fu trascinato da un cavallo dal carcere alla sua bottega, e qui gli furono mozzate le mani;
con queste appese al collo, l'oste fu portato in Piazza San Marco, e decapitato tra le due colonne della riva. Il suo corpo, tagliato in quarti così come aveva fatto coi bambini, venne esposto su delle forche in quattro diversi luoghi della città. Anche l'osteria e la casa dell'uomo furono rase al suolo.
Ma da allora in poi, per i veneziani, quella rimase la riva di Biasio, malgrado in loro questo nome evochi il terrore di tante piccole vittime sconosciute, ed il loro muto dolore. ( WEB )
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