L'ENIGMA CHE SI CELA NEL «PADRE NOSTRO»

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Cattolico_Romano
00martedì 9 giugno 2009 21:48
L'ENIGMA CHE SI CELA NEL «PADRE NOSTRO»

Il Luogo più difficile del Nuovo Testamento non è nelle lettere di san Paolo, dove si incontrano vertiginosi paradossi del pensiero, ma in quella che sembra la più semplice delle preghiere, il Padre Nostro.

Quando noi diciamo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano», il testo greco del Vangelo scrive, al posto di «quotidiano», EPIOUSION, una parola per noi incomprensibile.

Già Origene all'inizio del terzo secolo, ricordava che essa non appariva in nessuno scrittore e filosofo greco: era soltanto qui, nel capitolo sesto del Vangelo di Matteo e nel capitolo undicesimo del Vangelo di Luca.

Origene ignorava che essa ricorreva molto probabilmente in un tardo papiro egiziano, insieme a un elenco di spese giornaliere: fave, ceci, olio, fegato, carni, fichi, sale, bietole. Mescolato tra queste parole che sembrano appartenere agli appunti di un padrone di casa, abbiamo: «mezzo obolo (cioè una somma piccolissima,) per EPIOUSION».

Non conosciamo quale fosse la originale parola aramaica, pronunciata dai primi discepoli di Gesù che sta nascosta dietro il misterioso EPIOUSION. Possiamo limitarci a un'ipotesi.

Quando, verso la fine del primo secolo dopo Cristo, un traduttore anonimo, volle renderla in greco, impiegò un termine del linguaggio popolare, che non ricorreva nei libri di filosofia e di religione. Aveva bisogno di una parola unica, ignota ai sapienti, che suscitasse tra loro meraviglia e forse scandalo: appunto per questo, essa gettava luce su ciò che aveva di scandaloso la nuova religione predicata sulle rive del Giordano. «Il padre nostro, quello EPIOUSION dà a noi oggi», così Gesù Cristo raccomandava di pregare.

Non so se avesse ragione Chesterton, quando sosteneva che Gesù possedeva una intelligenza supremamente ironica. Certo se è così, niente doveva piacergli più di questa parola della spesa quotidiana , che forse tutte le massaie conoscevano, usata per definire ciò che aveva di particolare e quasi esclusivo la religione annunciata agli ebrei e ai cristiani. Sono passati venti secoli e intorno a quel termine misterioso hanno sostato i Padri della chiesa: Tertulliano, Cipriano,, Origene, Cirillo di Gerusalemme, Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Teodoro di Mopsuestia, Agostino, e poi quanti altri, San Francesco, Lutero e centinaia di specialisti, che continuamente lo circuiscono con le armi della linguistica, della filologia e dell'anilisi testuale.

Cercheremo di raccogliere le diverse interpretazioni di EPIOUSIOS Per quanto sembrino opposte tra loro, esse disegnano un campo immaginativo, filosofico e religioso, che ci conduce verso il cuore della rivelazione cristiana. Il pane EPIOUSIOS che secondo Gesù dobbiamo richiedere a Dio è in primo luogo quello necessario alla nostra esistenza: il pane del bisogno e del sostentamento. Dobbiamo richiedere soltanto il pane che ci è indispensabile: nient'altro; il «pane della nostra ristrettezza», come dice la versione siriaca del Padre nostro.

I Vangeli ricordano di continuo che l'uomo è una creatura effimera, fragile, passeggera, che dipende dalle cose che lo circondano e dal paesaggio che Dio gli crea intorno. L'uomo manca di tutto. Come affermano le Beatitudini, egli è «afflitto», «ha fame e sete di giustizia», «è affaticato è aggravato»; e persino le sue qualità «povero di spirito», «mite», «puro di cuore», sono profondissime mancanze, assenze, privazioni e negazioni di se, le quali, diceva Platone nel Simposio, costituiscono il suo dono supremo. Il padre nostro ci ricorda che egli manca di pane. Se prega, Dio scende e gli da il pane: la prima grazia della sua esistenza.

Secondo il Vangelo di Matteo, Dio gli da Oggi questo pane: giorno per giorno, non domani, non ogni giorno, non sino alla fine della vita, come invece chiede il Vangelo di Luca. La preghiera di Matteo è istantanea e invoca una grazia istantanea: domani invocheremo un altro pane con un'altra preghiera. Sullo sfondo di questa richiesta, sta un passo famosissimo dell'Esodo.

Quando Jahvè fa scendere la manna dal cielo gli ebrei devono raccoglierla «giorno per giorno»: nessuno può conservarla fino al giorno successivo, perché altrimenti genera vermi e imputridisce.

Più tardi, sempre il Vangelo il di Matteo ammonisce: «non affannatevi per il domani», perché il domani avrà cura e si preoccuperà di se stesso: «a ciascun giorno basta la sua pena».

Così, all'inizio del secondo secolo un rabbino dice: «colui che ha da mangiare oggi e dice: cosa mangerò domani? è un uomo di poca fede». Queste frasi ebraiche e cristiane rivelano il respiro della rivelazione cristiana. La nostra vita è fatta di assoluto presente: attimo effimero dopo attimo effimero, momento dopo momento, istante dopo istante, ora dopo ora, punto dopo punto, ognuno sufficiente a se stesso e benedetto da Dio. Viviamo nell'ispirazione della grazia che Dio infonde, goccia dopo goccia, nel cuore di ognuno di noi.

Come dice Teodoro di Mopsuestia, «l'oggi designa l'ora, perché esistiamo oggi, non domani; anche quando giungiamo al giorno successivo, stiamo nell'oggi». A prima vista, non avvertiamo nel mondo cristiano nessuna durata, né intravediamo un domani o un futuro.

Non c'è un progetto, non c'è un piano, né un programma, e nessuna linea che ci conduca in qualche luogo che anticipiamo e prevediamo con il pensiero. Una traduzione del Padre nostro, proposta da Salvatore Calderone, ci rivela un'altra sfumatura dell'immaginazione cristiana.

Il pane EPIOUSIOS è quello indispensabile per il viaggio: il pane (o il viatico) necessario, come le fave, i ceci, l'olio, i fichi, il sale, le bietole, enumerate nel papiro egiziano. I cristiani sono dunque ospiti e stranieri sulla terra: anche quando sembrano immobili, compiono un viaggio, fatto di piccole tappe, che riprende ogni giorno, da un luogo a un altro luogo, sempre uguale e sempre diverso. Almeno nella preghiera, ogni tappa del viaggio è accompagnata dal dono celeste del pane.

Via via che sgraniamo il rosario dei significati, il panorama della mente cristiana, in apparenza, si capovolge. Il pane EPIOUSIOS diventa quello del futuro: «il pane per domani - così Gesù suggerisce di invocare il Padre - daccelo già oggi». In ogni istante della sua esistenza, il cristiano attende il pane del tempo della salvezza, della fine degli anni, del Regno che deve venire.

Forse il Regno è già qui, senza che noi lo sappiamo: forse verrà prestissimo, forse in un futuro che non possiamo né anticipare né prevedere; in qualsiasi caso, malgrado ogni rinvio e procrastinazione, esso scenderà luminosamente o segretamente tra noi.. Ma l'attesa non è completa. Il nostro oggi non è mai pieno. Se Dio ci dà, oggi, il «pane della nostra ristrettezza», esso è soltanto un anticipo.

Il pane assoluto lo avremo soltanto nel Regno dei Cieli; e perciò, quando mangiamo ciò che ci è necessario, dobbiamo ricordare (perché ricordiamo anche il futuro) la rivelazione piena e definitiva alla fine dei tempi. Il pane del domani ha molti nomi che i Padri della chiesa amano declinare con un piacere incontenibile: è la parola pronunciata da Gesù in Palestina: la parola che viene recitata e commentata dagli interpreti, il pane spirituale che sta sopra tutte le sostanze terrene, nutrendo l'anima e l'intelligenza degli uomini, il pane della vita che non si consuma mai; il Cristo, che dice di sé: «Io sono il pane di vita disceso dal cielo; se uno mangia questo pane, vivrà in eterno».

Quando tutti i nomi sono stati pronunciati, ciò che era effimero diventa stabile. Ciò che era passeggero perpetuo: il viaggio inquieto una quiete tranquilla; ciò che era povero e appena sufficiente al bisogno è una grazia sovrabbondante che eccede i desideri e i bisogni.

Così ora il viandante, che percorreva di tappa in tappa le strade, attendendo il viatico di ogni istante, abita una casa dalle mura traslucide, dove «una sorgente d'acqua zampilla per la vita eterna».

Poi c'è un ultimo passo, annunciato da Sant'Agostino. Quando i cristiani saranno nel Regno dei cieli non avranno più bisogno né di libri né di letture, né di parole pronunciate né di commenti alle parole orali e scritte. Balzeranno fuori dal regno della parola, al quale oggi appartengono, entrando in quello della pura visione e contemplazione.

«Allora, ascolteremo forse la Scrittura? allora vedremo e ascolteremo lo stesso Verbo di Dio, lo mangeremo, lo berremo, come adesso fanno gli angeli.

Gli angeli hanno forse bisogno di libri sacri, di commentatori e di lettori? Per nulla affatto. La loro lettura è la visione, poiché vedono la verità in persona e si saziano alla sorgente dalla quale noi beviamo soltanto gocce».


P. Citati

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