L’equipaggio dello Sherman era costituito da cinque uomini.
Pilota, secondo pilota, marconista, cannoniere, capocarro.
In situazioni di emergenza il carro poteva operare in modo efficiente anche con soli quattro uomini a bordo.
La necessità di un equipaggio così “numeroso” era giustificata dalle stesse caratteristiche dei carri di allora. I frequenti rifornimenti di carburante e lubrificante, la pulizia del carro, il controllo e la regolazione giornaliera di una miriade di componenti meccanici, ottici, elettrici, la manutenzione delle armi di bordo erano compiti che, a stento, era possibile accudire in cinque.
Pilota e secondo pilota sedevano nella parte anteriore del carro, rispettivamente, a sinistra e a destra della scatola del cambio, avevano ciascuno un portello di accesso sovrastante il sedile.
Questi portelli potevano essere bloccati in posizione aperta o chiusa secondo le necessità.
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In questa immagine vediamo la parte anteriore del carro, chi ha fatto la foto stava al posto della torretta che, quindi, è rimossa. Al centro della foto abbiamo la scatola del cambio, ai due lati i sedili dei piloti (per necessità di chiarezza sono assenti i cuscini e gli schienali).
Il primo pilota ha davanti le leve di controllo, alla sua sinistra il pannello strumenti e alle sue spalle l’interruttore elettrico principale (master battery switch) e quello radio.
Dall’altro lato si distingue l’affusto della Browning M1919A4, che nella foto non è installata, e sul pavimento, alle spalle del secondo pilota, è possibile intravedere il portello di emergenza.
Nella parte bassa dell’immagine distinguiamo l’albero di trasmissione e la dinamo alla sua sinistra con il carter posto a protezione della cinghia che trasmette il moto dal primo alla seconda.
I comandi di guida non erano duplicati, come invece accadeva, per esempio, sui carri leggeri M5 ed M24 o sul più pesante M26. Per alternarsi ai comandi, quindi, era necessario cambiare di posto.
Il secondo pilota brandeggiava la mitragliatrice Browning ’30 attraverso uno snodo sferico. L’arma, utilizzata da questa posizione, era priva di un proprio congegno di puntamento, il mitragliere controllava l’effetto del tiro tramite il proprio iposcopio aiutato dai traccianti inseriti nei nastri del munizionamento.
Se necessario, questa stessa arma, era utilizzabile a terra mediante un normale treppiede stivato alle spalle del secondo pilota. In totale erano 4750 i colpi da ’30 trasportati sul carro.
Il secondo pilota, sui carri comando che ne erano dotati, era anche operatore della stazione radio SCR-506, posta sulla mensola alla sua destra.
Il pilota, abbiamo già detto, sedeva nella parte anteriore sinistra, aveva visione diretta dell’esterno, se le condizioni di sicurezza lo consentivano, sporgendo il capo dal portello, in questo caso era anche disponibile un parabrezza pieghevole che ne proteggeva il viso in caso di intemperie.
Quando non fosse stato possibile guidare con i portelli aperti erano disponibili un iposcopio fisso, con visuale diretta sulla direzione di marcia, ed uno rotante, montato su un piatto girevole, solidale con la parte mobile del portello.
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Una volta accomodati al posto di guida avremmo avuto, di fronte, le due leve di comando dei freni e dello sterzo, sul pavimento, ai due lati del fulcro delle leve, i pedali della frizione e dell’acceleratore, alla destra del sedile era posta la leva del cambio, con, alla sommità, il pulsante da premere per l’inserimento della prima e della retromarcia.
Sui carri di prima produzione, affiancata e poco oltre alla leva del cambio, avremmo trovato la leva del freno a mano, sostituita, su quelli di produzione più recente da un meccanismo che vedremo più avanti.
Altri comandi a portata di mano erano.
- la pompa di avviamento, destinata a “cicchettare” il motore in caso di avviamento a freddo;
- l’acceleratore a mano, utilizzato per la regolazione del minimo;
- il comando della sirena da usarsi come avvisatore acustico (mi chiedo quale effetto potesse ottenere, sul traffico ordinario, durante la marcia del carro, una semplice sirena, posto che solo il ruggito del Continental riusciva a sovrastare il gemito prodotto dai cingoli d’acciaio).
Di fronte ai piloti, in posizioni che possono variare tra carro e carro, era fissata una bussola che consentiva di conservare, con buona approssimazione, la direzione di marcia in mancanza di riferimenti esterni.
Alla sinistra del pilota era situato il pannello con gli strumenti.
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Il pilota, prima dell’impiego quotidiano del proprio carro, doveva accertarsi che lo stesso apparisse e fosse in efficienza, che non vi fossero perdite di liquidi, che tutte le dotazioni, i fusti, gli attrezzi e gli estintori fossero fissati al loro posto, che i rifornimenti di carburante e lubrificante fossero stati eseguiti. In questo compito era aiutato dal suo secondo e da tutti gli altri membri dell’equipaggio, ognuno per la parte di sua competenza.
Se il carro era rimasto fermo per più di sei ore era necessario controllare che non vi fosse dell’olio accumulato all’interno delle teste dei due cilindri inferiori, in caso affermativo era necessario farlo defluire smontando le candele degli stessi e facendo girare a vuoto il motore mediante manovella.
Era poi necessario aprire i quattro rubinetti della benzina, uno per ogni serbatoio, posti sulla parete posteriore della camera di combattimento.
Dando per scontato che tutto fosse in ordine e che nessuno si trovasse all’esterno del carro in posizione pericolosa si procedeva al suo avviamento.
A motore freddo era necessario dare alcuni colpi, mai più di una decina, con la pompa d’avviamento.
La si portava fuori lentamente e la si riportava vivacemente alla posizione originaria, questo faceva affluire benzina direttamente ai condotti di aspirazione, facilitando l’avvio della combustione.
Si portava in fuori il pomello dell’acceleratore a mano per un centimetro o poco più.
Si portava la leva del cambio i posizione di folle, premendo contemporaneamente il pedale della frizione per la durata della messa in moto.
Si chiudeva il circuito dell’interruttore generale e si portava l’interruttore di accensione su BOTH.
A questo punto si chiudevano l’interruttore del motorino d’avviamento e quello dell’incrementatore BOOSTER (niente booster sui carri dotati di magnete Bosch).
Con ciò il motore si sarebbe avviato regolarmente.
Se necessario si sarebbe provveduto a dare ancora, in queste prime fasi, qualche cicchetto con la pompa di avviamento, man mano che la temperatura si avvicinava a quella di esercizio si sarebbe intervenuti sull’acceleratore a mano.
Per portare il motore alla giusta temperatura sarebbero stati necessari tra i 5 ed i 15 minuti.
Quando il motore avesse retto un regime di minimo di 800 giri al minuto, con la pressione dell’olio, al minimo, di 30/40 libbre ed una temperatura dello stesso di 80°F, il carro era pronto a muovere.
Su terreni regolari e di media pendenza si spuntava in seconda passando successivamente alle marce più alte non appena la velocità ed il regime di rotazione del motore lo avessero consentito.
L’impiego della prima marcia era destinato a spunti particolarmente impegnativi su terreni rotti o in presenza di forti pendenze, oppure in caso di traino di altro carro.
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Con il carro fermo, il motore al minimo, si premeva completamente il pedale della frizione, si ingranava la marcia desiderata, normalmente la seconda, ovvero prima o retromarcia, per ingranare le quali si doveva premere il pulsante posto sulla sommità della leva, rilasciando gradualmente la frizione si premeva progressivamente sull’acceleratore, fino a far muovere il carro. Nello stesso modo si passava ai rapporti superiori.
Scaricare i 400 cavalli del motore sulla frizione e sulla trasmissione giocando sui pedali della frizione e dell’acceleratore , senza rompere o bruciare nulla, era un compito da provetti conduttori.
Soprattutto in prima e retromarcia e quando si trattava di superare ostacoli, affrontare terreni viscidi o forti pendenze, sia in salita che in discesa, si doveva dosare con grande attenzione l’erogazione della potenza.
Il rischio di un fuorigiri, con danni immediati all’albero di trasmissione e al motore stesso, erano un pericolo costante, da prevenire con cura.
Il differenziale controllato, che abbiamo già descritto, consentiva di far compiere al carro le curve senza dover obbligatoriamente scalare la marcia, come invece avveniva ad esempio sui carri italiani, era comunque buona cosa dare gas prima di sterzare mantenendo sempre un rapporto adeguato alle condizioni di marcia.
Il pilota provvedeva alla sterzatura del mezzo tirando verso di se la leva corrispondente alla direzione da intraprendere, maggiore la forza di trazione minore il raggio della curva percorsa.
Tirando le due leve contemporaneamente si otteneva la frenatura equilibrata dei cingoli.
Per arrestare la marcia si rallentava gradualmente la corsa del mezzo togliendo gas e scalando marcia, tirando gradualmente le leve di sterzo poi si arrivava al fermo completo, non prima di aver premuto il pedale della frizione e portato il cambio in folle.
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Il freno di stazionamento era inserito premendo, prima, un apposito pedale di arresto situato alla base delle leve di sterzo e tirando le stesse leve con decisione, poi, col che si otteneva il blocco dei freni.
L’operazione inversa andava compiuta all’avvio del carro, tirando dapprima con energia le leve e portando il pedale in posizione di sblocco.
Durante la marcia, all’approssimarsi di tratti impegnativi era necessario selezionare il rapporto adatto prima di affrontare l’ostacolo, evitando di cambiare marcia durante il percorso.
Assolutamente sconsigliato cambiare marcia durante tratti in discesa, ad esempio.
Per la scelta del giusto rapporto di marcia, importantissimi erano l’esperienza e l’orecchio del pilota.
Come regola si può dire che se il regime di rotazione del motore scendeva sotto i 1800 giri al minuto con l’acceleratore premuto era giunto il momento di passare ad una marcia inferiore.
A questo punto si doveva rallentare la marcia, se necessario, in modo da trovarsi ad una velocità inferiore a quella massima consentita dal rapporto che si andava a selezionare.
Rilasciato completamente l’acceleratore si premeva la frizione portando la leva del cambio sulla posizione di folle.
Si rilasciava di nuovo la frizione dando contemporaneamente gas, portando così i diversi organi in movimento ad una velocità quanto più possibile omogenea.
Si premeva nuovamente la frizione portando la leva del cambio sul rapporto prescelto.
Per arrestare la marcia si procedeva al rallentamento graduale del mezzo, la frenatura si aveva
Il pilota, poi, doveva avere perfetta cognizione dell’ingombro del carro, sapere con precisione dove mettere i cingoli, considerare sempre nei suoi calcoli l’ingombro della bocca da fuoco, coniugare al meglio gli ordini del capocarro con la natura del percorso affrontato. E non era certo aiutato dalla visibilità di cui godeva la sua postazione.
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Da parte sua il secondo pilota non era una figura di secondo piano, era in base al suo giudizio che si decideva il modo di affrontare un ostacolo o un guado tutte quelle volte che era necessario precedere il carro a piedi per meglio rendersi conto di quel che si aveva di fronte.
Mentre i nostri si addestravano, finalmente, con un carro degno di questo nome, in Corea lo Sherman, che avrebbe meritato una tranquilla pensione, si batteva ancora in prima linea.
La vera epopea del carro, però, era stata scritta sui fronti europei del secondo conflitto mondiale.
In un manuale dell’US Army degli anni ‘40 destinato ai piloti dei carri si consiglia, dovendo affrontare un problema complesso, di scinderlo in diversi problemi più semplici, rendendone così più agevole la soluzione.
E io penso a cosa passasse per la mente di un ragazzo che doveva muovere il suo Sherman, su un terreno sconosciuto, magari una foresta o attraverso terreni coltivati e canali di irrigazione, in una cupa notte d’inverno, con qualcuno che ti spara addosso e con la consapevolezza che i quelle condizioni ogni stima errata, ogni incertezza, potevano portarti ad una fine orrenda.
Chissà se scindere il problema complesso lo avrà aiutato.
Ci sentiamo presto