In prima persona, i diari "imperfetti" di Piccone Stella. Kafka era un blogger?

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martee1964
00lunedì 7 luglio 2008 20:49
ROMA (6 luglio) - “Fa caldo, la scrivania sulla quale scrivo questa recensione è scomoda, bevo acqua fresca, una carezza al cane sperando che smetta di lamentarsi”. “Fa caldo, invece di stare al mare scrivo questa recensione per quella voglia di legittimazione culturale mai soddisfatta, neanche adesso che cliccando sullo start del pc appare “Bogliolo redattore”, scritta che non mi fa ancora sentire arrivata”. Fotografia del quotidiano nel primo virgolettato. Tentativo, mal riuscito, di descrivere il tormento dell’io nel secondo.

"Sono una partigiana del diario e una sua praticante", così come si definisce Simonetta Piccone Stella nel libro In prima persona, scrivere un diario (ed Il Mulino, 160 pagine, 11,50 euro) che non ha la presunzione di insegnare a scrivere, non cavalca la moda dei blog (ai quali fa solo un brevissimo accenno), ma racconta i diari come genere letterario, senza condannarli o beatificarli. Un semplice, quanto complesso, tentativo di descrivere cosa c’è dietro la voglia di parlare di sé.

Da Kafka a Virginia Woolf a Cesare Pavese. Tutti con il desiderio di guardarsi dentro e fissare il tormento dell’io su carta. Ci sono quelli che fotografano la quotidianità come Witold Gombrowicz e Michel Leiris con la loro smaniosa voglia di fissare l’attimo fuggente fino alla meticolosità del reportage etnografico. "Mi piacerebbe avere il coraggio di scrivere in questo quaderno cose di queste genere: oggi ho defecato in questa maniera, ho fatto l’amore in quest’altra", Leiris). O chi (Stendhal) saggiamente prometteva a se stesso:"Non sorvegliarmi troppo, non correggere mai".

Io c'ero. La Piccone Stella analizza il desiderio di segnare "ogni momento della vita marcandolo con l’io c’ero", non per dare tregua a un ego troppo ingombrante ma per risolvere, senza mai riuscirci, se stessi. "Conoscersi meglio per correggersi” come tentava Virginia Woolf che scoprì presto il senso catartico dello scrivere, l’abreazione descritta da Freud, ossia curare con la parola. “La malinconia – scriveva Woolf – diminuisce mentre scrivo”. Ma dal pensiero che nasce alla mano che scrive, o digita, il tempo è troppo. E nessuna parola scritta riesce a descrivere il tormento interiore. In Baudelaire nel suo “Il mio cuore messo a nudo” per colpa di limiti (autoimposti) sociali e morali. In Julien Green per incapacità di vedere tutto di se stessi.

Diari imperfetti. Non è sufficiente essere letterati. Non bastano le belle descrizioni di Leiris per far infuocare le pagine. Tutti intenti a rappresentare il proprio enigma, l’io più profonda che, scrive Piccone Stella, non si articola in parole, “è muto”, ma provare a descriverlo fa sentire meno soli. Diario è lotta per conoscere se stessi, lotta che esiste da sempre. Da quando Woolf si sentiva meglio anche solo ascoltando il rumore del pennino sulla carta. Da quando, oggi, milioni di blogger iniziano a sentire serenità appena cliccano su “scrivi un nuovo post” e poi su quel “pubblica” che non assicura libertà da se stessi (cosa l’assicura?), ma solo sentirsi meno soli per quel commento (“la penso come te”) che sconfigge anche solo per un istante la convinzione, nient’affatto piacevo le, di somigliare in modo rassicurante a nessuno che si conosce. Inseguono la propria ombra, come descrive la scrittrice, diaristi di grande fama, ma anche blogger sconosciuti, confondendo crudezza e profondità. Come Drien La Rochelle consapevole che raccontare la sua sifilide nei dettagli “non gli fa fare un passo nel suo mistero interiore”. Come honeyxy94 e il suo post sui dettagli della sua prima volta che non l’avvicina a sapere chi è e cosa sarà la sua seconda volta.

Mestiere di vivere, mestiere di scrivere. I bassifondi dell’essere descritti nei diari studiati dalla Piccone Stella, non trovano sopravvivenza nel “deposito di umori” dei diari della Woolf così come non la trovano nel blog di uno studente. Il mestiere di scrivere e quello di vivere si confondo in Cesare Pavese, Kafka e la Woolf. In ognuno in modo diverso. Nel primo in modo più netto, negli altri in un’alternarsi continuo. Fino all’”immaginazione che si emancipa” e diventa romanzo. Ma senza quei diari, senza quei tentativi falliti di avvicinarsi alla sincerità del proprio io, quei grandi scritti non ci sarebbero stati. Passando prima alla fotografia di se stessi, del male di sé, del disprezzo del tempo, per sua natura neutro, spiega la scrittrice, al quale si sovrappongono significati simbolici. Come la domenica, la più osannata dai blogger malinconici, definiti da alcuni (dagli ottimisti per default, inutili come un tempo la pagina d’accesso del browser di Bill Gates impostato su www.microsoft.com) addirittura depressi. La stessa domenica che Kafka (il quale non poteva essere vittima di social network, voyerismo alla Youtube, o blog, descritti da molti come terreno di egocentrici e generazioni andate a male) definì:”un pomeriggio che ingoia anni interi, una domenica interminabile”.

“Una domenica trascorsa a scrivere questa recensione, riflettendo tra diario intimista e blog, entrambi diari imperfetti, con la voglia di esserci, adesso, e lasciare traccia di sé” perché, scriveva Montaigne, “ho fame di farmi conoscere”, Witold Gombowitcz “desidero rivelarmi” e Julien Green per “vedere chiaro in me stesso”.


gioiaedolore
00martedì 8 luglio 2008 11:41
grazie erika
molto interessante questo diario (blog)stuzzica la curiosita' et lettura...
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