Il sisma di Reggio e Bologna nelle cronache del Duecento

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Cattolico_Romano
00mercoledì 23 settembre 2009 18:17
  Il sisma di Reggio e Bologna nelle cronache del Duecento

Quando Francesco predisse il terremoto


di Felice Accrocca



Tommaso da Eccleston, morto poco dopo il 1259, nella sua opera sull'insediamento dei primi frati minori in Inghilterra (De adventu fratrum Minorum in Angliam), ci ha lasciato uno straordinario documento della vita e delle abitudini della comunità, giunta oltre la Manica nel 1224. Tra le altre cose Tommaso narra i ricordi di frate Martino da Barton, "che ebbe la fortuna di vedere spesso san Francesco".

Tra questi compare il seguente:  "Un frate, che stava pregando a Brescia, nel giorno di Natale fu ritrovato illeso sotto le macerie della chiesa, durante quel terremoto che san Francesco aveva predetto e fatto annunciare dai frati in tutte le scuole di Bologna, con una lettera scritta in un latino scadente (in qua fuit falsum Latinum).

Questo terremoto ebbe luogo prima della guerra ingaggiata dall'imperatore Federico, e si protrasse per quaranta giorni, così che "tutte le montagne della Lombardia - con Lombardia s'intendeva, allora, più o meno tutto il nord Italia - furono scosse" (Collatio vi dalla traduzione italiana delle Fonti francescane. Nuova edizione, Padova, 2004, n. 2460).

Quale credito possiamo dare a questa testimonianza arcinota, citata spesso dagli storici, attenti però più al giudizio sulle capacità letterarie di Francesco che non a discutere il fatto in sé. Cominciamo con il dire che proprio l'accenno al falso latino di Francesco pone un tassello a favore di questo racconto. Per quale motivo, infatti, il cronista avrebbe dovuto inventare una notizia del genere, quale interesse, cioè, poteva ricavarne? In realtà i teologi francescani e i biografi del santo cercheranno di non insistere più di tanto sul fatto che Francesco stesso si era definito, in più di un'occasione, ignorante e illetterato. Alla metà del Duecento maestri francescani sedevano sulle più importanti cattedre universitarie:  l'ignoranza  del  fondatore  era  divenuta ormai una questione sconveniente.

Non sussistono dubbi, poi, sul fatto che un tremendo terremoto scosse il nord dell'Italia nel giorno di Natale del 1222:  la notizia ci è stata testimoniata da troppi cronisti per poterla mettere in dubbio. Salimbene da Parma, loquace com'è sua abitudine, non manca - neppure in quest'occasione - di particolari pittoreschi:  "Nel giorno di Natale ci fu un grande terremoto nella città di Reggio, mentre predicava nella cattedrale di Santa Maria messer Nicolò, vescovo della città. E questo terremoto interessò tutta la Lombardia e la Toscana. E fu chiamato soprattutto terremoto di Brescia, perché in quella città fu sentito più forte, e i bresciani vivevano fuori della città in tende, perché gli edifici non cadessero sopra di loro. E molte case, torri e castelli dei bresciani furono distrutti da quel terremoto. E loro s'erano talmente abituati a quel terremoto che, quando cadeva un pinnacolo di qualche torre o di qualche casa, guardavano e ridevano forte" (Salimbene de Adam da Parma, Cronaca, traduzione di Berardo Rossi, Bologna, Radio Tau, 1987, pp. 48-49).

Il racconto del cronista non si ferma qui, poiché aggiunge anche riferimenti personali:  "Mia madre era solita raccontare che al momento di questo grande terremoto io stavo nella culla ed essa sollevò sottobraccio le mie due sorelle - che erano piccoline - una di qua e una di là, e scappò nella casa di suo padre e di sua madre e dei suoi fratelli, abbandonando me nella culla. Aveva infatti paura - come raccontava - che le cadesse addosso il battistero, che stava vicino a casa mia. E per questo c'era qualche ombra nel bene che io le volevo; perché aveva il dovere di curarsi più di me, maschio, che delle figlie. Ma lei diceva che era molto più facile portare loro, essendo più grandicelle" (ivi, p. 49).

Ma non solo. Alcuni predicatori accennarono a questa previsione del terremoto da parte di Francesco prima ancora che Tommaso da Eccleston redigesse la sua opera. Tra i sermoni di Giovanni de La Rochelle se ne conserva ad esempio uno che prende le mosse dal noto versetto biblico Creavit Deus hominem ad ymaginem et similitudinem suam ("Dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza"), edito già nel 1979 da Jacques-Guy Bougerol (La teorizzazione dell'esperienza di san Francesco negli autori francescani pre-bonaventuriani, in Lettura biblico-teologica delle fonti francescane, a cura di Gerardo Luigi Cardaropoli e Martino Conti, Roma, Antonianum, 1979, pp. 257-260), secondo il manoscritto Paris, Bibl. Nat., lat. 16502, ff. 39v-40r. Malgrado in questa edizione il testo - che pure parla della prescienza di Francesco - non contenga alcun accenno al terremoto, in anni più vicini a noi esso è stato di nuovo pubblicato da Jean Désiré Rasolofoarimanana, il quale ne ha rintracciato una versione con molte varianti in un codice latino conservato a Monaco di Baviera:  è infatti possibile che lo stesso sermone sia stato stenografato da due diversi testimoni, presentando in tal modo  un numero notevole di varianti.

Ora, nella versione conservatasi nel manoscritto di Monaco si afferma che Francesco "fu conformato al Figlio nella prescienza delle cose future, poiché preannunziò anzitempo un terremoto agli studenti e predisse il papato a papa Gregorio ix" (Jean de La Rochelle et Anonime. Trois sermons de Sanctis sur saint François d'Assise dans le ms. Clm 7776, in "Frate Francesco", 67, 2001, p. 63, ll. 60-62).

Alcuni anni più tardi lo stesso sermone sarà preso a modello da un anonimo cardinale:  il testo pronunciato dal porporato fu in un primo tempo pubblicato tra i sermones di Bonaventura, nel volume ix dell'Opera omnia (Grottaferrata, Frati Editori di Quaracchi, 1901, 583a-585b), ma come ha mostrato Ignatius Brady (Saint Bonaventure's Sermons on Saint Francis, in Franziskanische Studien 58, 1976, pp. 129-141) esso non può essere del Dottore serafico. Anche il sermone pubblicato dai frati di Quaracchi contiene comunque un riferimento al terremoto:  san Francesco, si dice, "predisse il giorno e l'ora precisa di un terremoto che si sarebbe dovuto verificare, e così accadde, secondo quanto aveva predetto" (item predixit terremotum futurum certa die et hora, et sic accidit sicut predixit:  p. 583b). L'anonimo cardinale - Odo di Châteauroux? - prese così a modello un testo vicino a quello trasmessoci dal manoscritto di Monaco.

È certo, dunque, che la notizia di una previsione del terremoto da parte di Francesco circolasse tra i frati indipendentemente dai ricordi di fra Martino da Barton, e così pure il fatto che il santo ne avesse fatto dare pubblicamente l'annuncio agli studenti. Ed è certo pure che nel 1222 Francesco fu a Bologna, sicuramente nella metà di agosto. Ce ne ha lasciato un ricordo colorito Tommaso da Spalato, arcidiacono e poi vescovo della sua stessa città, che in gioventù aveva completato la propria formazione intellettuale nella città felsinea, uno degli studia più celebri d'Europa:  "In quello stesso anno - scrive - nella festa dell'Assunzione della Genitrice di Dio, trovandomi allo Studio di Bologna, ho visto san Francesco che predicava sulla piazza antistante il palazzo comunale, ove era confluita, si può dire, quasi tutta la città. (...) Tutta la sostanza delle sue parole mirava a spegnere le inimicizie e a gettare le fondamenta di nuovi patti di pace. Portava un abito sudicio; la persona era spregevole, la faccia senza bellezza. Eppure Dio conferì alle sue parole tale efficacia che molte famiglie signorili, tra le quali il furore irriducibile di inveterate inimicizie era divampato fino allo spargimento di tanto sangue, erano piegate a consigli di pace. Grandissime erano poi la riverenza e la devozione della folla, al punto che uomini e donne si gettavano alla rinfusa su di lui, con bramosia di toccare almeno le frange del suo vestito o di impadronirsi di un brandello dei suoi panni" (in Fonti francescane, num. 2252).



(©L'Osservatore Romano - 24 settembre 2009)
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