Il premio Nobel per la pace ad Al Gore

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-Giona-
00venerdì 12 ottobre 2007 12:48
www.unita.it/view.asp?IDcontent=69601

Ad Al Gore il Nobel per la Pace Speranza ecologista d'America
Si rafforza chi lo vuole candidato

Il Nobel per la Pace è andato all'ex presidente Usa, Al Gore, e al Comitato Intergovernativo per i Mutamenti Climatici dell'Onu presieduto dall'indiano Rajendra Pachauri. Infatti si legge nella motivazione degli accademici norvegesi: «per i loro sforzi per costruire e diffondere una conoscenza maggiore sui cambiamenti climatici provocati dall'uomo e per porre le basi per le misure necessarie a contrastare tali cambiamenti climatici».

Gore e l'Ipcc sono stati scelti tra una ampia gamma di candidati al Nobel per la Pace: ben 181 nomi. Ma dovranno dividersi a metà il premio da 1,5 milioni di dollari messo in palio dai professori di Oslo. E la cifra non risolverà i problemi di finanziamento di una eventuale campagna presidenziale per Al Gore. In molti infatti negli Stati Uniti vorrebbero che l'ex vice di Bill Clinton si candidasse anche lui per le elezioni presidenziali del 2008 alla Casa Bianca.

Le pressioni perché accetti di candidarsi sono iniziate quando è uscito il suo film-documentario An Inconvenient Truth, Una scomoda verità, sui danni dei gas serra e i cambiamenti climatici ed è subito diventato un successo mondiale. Poi la campagna si è rafforzata quando il film ha vinto l'Oscar come miglior documentario e per la migliore canzone originale. E ora alla vigilia del Premio Nobel un gruppo di suoi fan hanno rilanciato l'idea comprando una pagina del New York Times per pubblicizzare la loro associazione - draftgore.org, come dire: scegligore - che si propone di fare lobbing verso di lui perché accetti di candidarsi. E manda online anche una petizione a sostegno della candidatura di Gore alle presidenziali. Non si è mai visto una lobby organizzata con questo scopo. Ma è evidente che le prime perplessità del candidato virtuale nella corsa che vede impegnata anche la ex Fist lady sono di natura economica. Servono infatti molti milioni di dollari per sostenere una campagna elettorale e i possibili sponsor di Gore sono già stati imbarcati a sostenere Hillary Rodham Clinton. Una disfida tra il vice di Clinton e la moglie potrebbe nuocere a entrambi. A vantaggio, nel migliore dei casi dell'altro candidato democratico, il giovane e brillante Barak Obama. Oppure del principale avversario repubblicano, l'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani.
Gore oltre al film sul riscaldamento climatico che ha presentato in tutto il mondo, è stato tra gli organizzatori del concertone benefico Live Earth nel luglio scorso, il cui tema era ancora una volta creare una sensibilità planetaria sui danni dell'effetto serra. Un tema che sta prendendo piede nella coscienza della parte più in e liberal degli Stati Uniti ma certo continua a non fare breccia in politica. I temi ambientali non sono al centro della campagna elettorale per le presidennziali. Mentre nel frattempo l'amministrazione Bush ha di nuovo rifiutato qualsiasi tipo di accordo per limitare gas serra e ossido di carbonio come nel Protocollo di Kyoto.

Pubblicato il: 12.10.07
Hareios
00venerdì 12 ottobre 2007 18:53
Non penso si ricandiderà, chissà come sarebbero andate le cose con lui come presidente USA...
Granduca di Milano
00sabato 13 ottobre 2007 08:22
E' una buffonata, mi sono sempre domandato quali criteri vengono usati per le scelte visti i personaggi a dir poco strampalati a cui è stato dato il nobel per la pace, Arafat uno per tutti visto che da terrorista con la pace non aveva nulla da spartire. [SM=x751540]
Ace Ventura
00domenica 14 ottobre 2007 11:55
beh su arafat nn ci metterei il dito, però è anche vero che stò premio da qualche ann a questa parte, vale come la lotteria dei boy scouts
-Giona-
00martedì 16 ottobre 2007 10:12
Parla Gore
www.repubblica.it/2007/07/sezioni/ambiente/al-gore/se-pianeta-muore/se-pianeta-mu...

LE IDEE
Se la Terra muore per colpa degli alieni
di AL GORE

Al Gore, ex vicepresidente Usa, è presidente dell'Alliance for Climate Protection. Ha ricevuto il Nobel per la Pace
Noi, la specie umana, siamo arrivati a un momento cruciale e dobbiamo prendere una decisione. Non ha precedenti ed è perfino ridicolo per noi presumere di dover in verità scegliere consapevolmente in quanto specie, ma nondimeno questa è la sfida che dobbiamo raccogliere. Il nostro pianeta, la Terra, è in pericolo. Ciò che rischia di essere distrutto non è il pianeta stesso, bensì le condizioni che lo hanno reso in grado di ospitare gli esseri umani.

Senza renderci conto delle conseguenze delle nostre azioni, abbiamo iniziato a immettere talmente tanto biossido di carbonio nell'esile guscio d'aria che circonda il nostro pianeta che abbiamo letteralmente alterato l'equilibrio del calore esistente tra la Terra e il Sole. Se non smetteremo di farlo, e rapidamente, le temperature medie aumenteranno a livelli mai conosciuti in precedenza dagli uomini, e porranno fine al propizio equilibrio climatico dal quale dipende la nostra civiltà.

Negli ultimi 150 anni, in una frenetica accelerazione abbiamo prelevato crescenti quantità di carbonio dal sottosuolo - essenzialmente sotto forma di carbone e di petrolio - e l'abbiamo bruciato in modo tale da immettere nell'atmosfera terrestre 70 milioni di tonnellate di CO2 ogni 24 ore. Le concentrazioni di CO2 - che in almeno un milione di anni non avevano mai superato le 300 parti per milione - sono cresciute dalle originarie 280 parti per milione dell'inizio del boom del carbone alle 383 parti per milione di quest'anno.

Di conseguenza, molti scienziati oggi stanno mettendo in guardia dal fatto che ci stiamo avvicinando a molteplici "punti irreversibili di svolta" che potrebbero - nel volgere di dieci anni appena - renderci impossibile evitare di arrecare un danno irreparabile all'abitabilità del pianeta da parte della civiltà umana. Ancora negli ultimi mesi, nuovi studi hanno permesso di appurare che la calotta polare artica - che aiuta il pianeta a raffreddarsi - si sta sciogliendo a un ritmo di tre volte superiore a quanto abbiano previsto i modelli informatici più pessimisti.

Se non passiamo immediatamente all'azione, i ghiacci d'estate potrebbero scomparire del tutto in soli 35 anni. Similmente, vicino al Polo Sud, all'estremità opposta del pianeta, gli scienziati hanno scoperto che nell'Antartide Occidentale le nevi di un'area grande quanto la California si stanno sciogliendo. Questa non è una questione politica, bensì una questione etica, che concerne la sopravvivenza della civiltà umana. Non si tratta di sinistra contro destra, ma di ciò che è giusto contro ciò che è sbagliato. In parole povere, è incivile distruggere l'abitabilità del nostro pianeta e compromettere le prospettive di tutte le generazioni che verranno dopo di noi.

Il 21 settembre 1987 il presidente Ronald Reagan disse: "Nelle nostre ossessioni per gli antagonismi del contingente, spesso dimentichiamo quante cose uniscano tutti i membri del genere umano. Forse, per prendere atto dell'esistenza di questo vincolo comune, ci occorre una minaccia universale ed esterna. Di tanto in tanto penso a quanto rapidamente svanirebbero le differenze che ci caratterizzano se dovessimo improvvisamente far fronte a una minaccia aliena proveniente da fuori di questo mondo".

Oggi noi, tutti noi, dobbiamo far fronte a una minaccia universale. Quantunque non arrivi da fuori, nondimeno è di portata cosmica. Si consideri la realtà di due pianeti, Terra e Venere, aventi quasi esattamente le stesse dimensioni e quasi esattamente la stessa quantità di carbonio. La differenza tra loro è che la maggior parte del carbonio sulla Terra è nel terreno, lì depositata da varie forme di vita nel corso degli ultimi 600 milioni di anni, mentre la maggior parte del carbonio di Venere è nell'atmosfera. Di conseguenza, sulla Terra la temperatura media è pari a 15 gradevoli gradi Celsius, mentre la temperatura media su Venere arriva a 463,89 gradi Celsius. È vero, Venere è più vicina al Sole della Terra, ma la differenza non è imputabile alla nostra stella. Venere è mediamente tre volte più calda di Mercurio, che si trova vicinissimo al Sole. La colpa è dell'anidride carbonica. Questo pericolo, per di più, ci impone - come ha detto Reagan - di sentirci uniti nel prendere atto della nostra sorte comune.

L'operato dei singoli dovrà inoltre plasmare e ispirare l'azione dei governi. A questo proposito gli americani hanno una responsabilità del tutto particolare: nel corso di buona parte di tutta la nostra storia più recente, gli Stati Uniti e il popolo americano hanno assicurato la leadership morale nel mondo. Aver scritto la Carta dei Diritti, aver integrato la democrazia nella Costituzione, aver sconfitto il fascismo nella Seconda Guerra mondiale, aver rovesciato il Comunismo ed essere sbarcati sulla Luna: sono tutti risultati della leadership americana.

Oggi, ancora una volta, noi americani dobbiamo sentirci uniti e premere sul nostro governo affinché raccolga questa sfida globale. La leadership americana è un prerequisito essenziale per conseguire il successo. A questo fine dovremmo esigere che gli Stati Uniti aderiscano al trattato internazionale che entro i prossimi due anni si ripromette di tagliare le emissioni di gas serra responsabili del riscaldamento del clima nella misura del 90 per cento nei Paesi sviluppati e di oltre la metà in tutto il mondo, così che la prossima generazione possa ereditare il pianeta Terra in buone condizioni di salute.

Questo trattato impone uno sforzo ulteriore. Sono orgoglioso del ruolo che ho ricoperto durante l'Amministrazione Clinton negoziando il Protocollo di Kyoto, ma credo che questo Protocollo ormai sia stato a tal punto demonizzato negli Stati Uniti da non poter più essere ratificato, proprio come l'Amministrazione Carter non ebbe la possibilità di ottenere la ratifica di un trattato allargato per la limitazione delle armi strategiche nel 1979. Oltre tutto, molto presto avranno inizio le trattative per un trattato sul clima molto più rigido.

Pertanto, come il presidente Reagan cambiò nome e modificò l'Accordo Salt (chiamandolo Start), dopo averne tardivamente ammessa l'esigenza, così il nostro prossimo presidente dovrà immediatamente adoperarsi per concludere in tempi brevissimi un nuovo e più rigido accordo per cambiare l'attuale situazione del clima. Dovremmo ambire a siglare tale nuovo trattato globale entro la fine del 2009, senza attendere il 2012 come attualmente previsto.

Se per l'inizio del 2009 gli Stati Uniti avranno già implementato un regime interno di riduzione delle emissioni di gas serra che provocano il riscaldamento del clima, non dubito che quando daremo all'industria un obiettivo, gli strumenti e la flessibilità per ridurre in modo rilevante le emissioni di anidride carbonica, allora riusciremo a portare a termine e a ratificare il nuovo trattato in tempi assai brevi. Dopo tutto, si tratta di un'emergenza planetaria.

Quel nuovo trattato avrà ancora, naturalmente, impegni differenziati: ai Paesi si chiederà di soddisfare requisiti diversi sulla base della loro quota o del loro contributo storico al problema e sulla base della loro effettiva e relativa capacità di accollarsi l'onere del cambiamento. La legge internazionale prevede questo precedente e del resto non esiste un altro modo di procedere.

Ci sarà chi cercherà di travisare questo schema e di usare motivazioni xenofobe o di protezione degli interessi della popolazione nativa a discapito degli immigrati per affermare che ogni Paese dovrebbe rispettare un medesimo standard, ma davvero crediamo che Paesi che hanno un quinto del nostro prodotto interno lordo - e che hanno contribuito quasi in nessun modo alla creazione di questa crisi - debbano accollarsi le stesse responsabilità degli Stati Uniti? Siamo davvero a tal punto intimoriti da questa sfida da non poterci mettere noi al comando?

I nostri figli hanno il diritto di pretendere molto di più da noi, considerato che è in gioco il loro futuro - e in realtà il futuro di tutta la civiltà umana. Meritano molto di più di un governo che censura le migliori prove scientifiche e perseguita gli uomini di scienza che onestamente cercano di metterci in guardia dalla catastrofe che incombe su noi tutti. Meritano molto di meglio dei politici che se ne stanno inoperosi, senza adoperarsi in nulla per far fronte alla più grossa sfida che il genere umano si sia mai trovato a dover affrontare, perfino nel momento in cui il pericolo avanza verso di noi minaccioso.

Preferibilmente dovremmo invece concentrarci sulle opportunità contemplate da questa stessa sfida: di sicuro si creeranno nuovi posti di lavoro e nuovi profitti quando le corporation si metteranno aggressivamente all'opera per non lasciarsi scappare le enormi opportunità economiche offerte da un futuro energetico pulito.

Ma ci sarà qualcosa di ancora più inestimabile da guadagnare se faremo ciò che è giusto fare. La crisi del clima ci offre infatti l'opportunità di sperimentare ciò che poche generazioni nel corso della Storia hanno avuto il privilegio di vivere: una missione generazionale, un obbiettivo morale coinvolgente, una causa comune, nonché il brivido di essere costretti dalle circostanze a mettere in disparte le meschinerie e i conflitti della politica per abbracciare un'autentica sfida etica e spirituale.
Traduzione di Anna Bissanti






(16 ottobre 2007)
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