Il medioevo e i simboli del potere

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S_Daniele
00venerdì 27 novembre 2009 21:43



Il medioevo e i simboli del potere

Quando i Papi presero le chiavi di Pietro


L'Istituto Italiano di Scienze Umane a Firenze ha ospitato, il 27 novembre, la presentazione del volume Il potere del Papa. Corporeità, autorappresentazione e potere (Firenze, Sismel Edizioni del Galluzzo, 2009, pagine XII+412). Dei temi in esso trattati ha scritto per il nostro giornale l'autore.

di Agostino Paravicini Bagliani

Nel medioevo, non soltanto i trattati teologici e canonistici servono ad affermare la centralità della Chiesa romana. Altrettanto importanti sono le metafore (i cardinali come pars corporis pape, l'assioma giuridico secondo cui Ubi papa ibi Roma), i simboli (la tiara, l'anello del Pescatore, i colori bianco e rosso delle vesti del Papa) e le immagini (rappresentazioni pittoriche e raffigurazioni scultoree). Nella loro stragrande maggioranza, i ventidue articoli riuniti in questa raccolta (Il potere del Papa. Corporeità, autorappresentazione e potere, Firenze, Sismel Edizioni del Galluzzo, 2009, pagine XIII-412) sono il frutto di ricerche e di riflessioni che si soffermano appunto su temi legati alla più complessa opera di autorappresentazione del papato avvenuta nel corso del medioevo, riguardante il periodo che si estende dal Pontificato di Innocenzo III (1198-1216) a quello di Bonifacio VIII (1294-1303).

È ben noto che nella plurisecolare storia del Papato il Duecento occupa uno spazio di notevolissimo rilievo. A tutti i livelli - ecclesiologici, istituzionali e politici, ma anche culturali, giurisdizionali e di autorappresentazione - i Papi di quel secolo hanno conferito al Papato un ruolo di assoluta centralità in seno alla cristianità. I problemi della società cristiana - teologici, disciplinari e politici - furono discussi da tre concili, celebrati a Roma e a Lione, che contribuirono a consolidare il ruolo legislativo promosso da Pontefici che erano sovente maestri di diritto e la cui produzione di decretali irrigò le varie diocesi della cristianità e l'insegnamento del diritto presso le maggiori università europee, anzitutto quelle di Bologna e di Parigi, la cui storia è nel Duecento indissociabile da quella del papato.

Persino sul piano residenziale, quel secolo segnala grandi novità:  Innocenzo III fece edificare un nuovo palazzo a nord della basilica vaticana inaugurando così un secondo polo residenziale papale nell'Urbe che venne ad aggiungersi al Laterano, per secoli l'unica residenza ufficiale dei Papi.

Il nascendo Stato pontificio ma anche nuove esigenze di carattere sanitario (la paura della malaria, la cura del corpo), culturale (il piacere della natura) e politico (conflitti con Federico ii e con la città di Roma) spinsero i Papi del Duecento a vivere per più della metà del secolo fuori di Roma. E nel corso del secolo, cardinali e prelati di curia affidarono ai più grandi artisti italiani, da Cimabue a Giotto, da Jacopo Torriti ad Arnolfo di Cambio, il compito di fare di Roma la capitale artistica della cristianità occidentale. Mai come prima di allora, Papi e cardinali ricorsero al simbolismo del potere, alle immagini, e, verso la fine del secolo, persino alla statuaria, per sostenere la plenitudo potestatis del Papa.

All'inizio del Duecento, Innocenzo III, nel magnifico restauro del mosaico dell'abside di San Pietro in Vaticano, di cui sono rimasti purtroppo soltanto alcuni frammenti (oggi conservati a Roma nel Museo Baracco e nel Museo di Roma; cfr. Le Chiavi e la Tiara, 2a ed., Roma, Viella, 2005) viene raffigurato a sinistra del Trono con l'Agnello Pasquale, alla cui destra (per chi guarda il mosaico) si vedeva la rappresentazione di una donna incoronata come imperatrix, impersonificazione della Chiesa romana con in mano il vessillo.

Alla fine del secolo, Bonifacio VIII ricorrerà alla statuaria per confidare ai contemporanei e ai posteri la visione di papato che risale alla riforma gregoriana. Il busto di Bonifacio VIII, opera di Arnolfo di Cambio, e le altre statue di Papa Caetani, che vengono studiate da un punto di vista ecclesiologico in una serie di contributi ripubblicati in questo volume, contengono elementi di grande novità ecclesiologica (la tiara intesa come sommità dell'Arca di Noè, il fatto che per la prima volta un Papa sia raffigurato con le Chiavi di san Pietro e così via), in coerenza perfetta con la più celebre bolla del suo pontificato, la Unam Sanctam.

La potenza creatrice di Bonifacio VIII sul piano della simbolica del potere pontificio risiede proprio in questa sua capacità di dare una corporeità all'autorità che incarna. Ma che Arnolfo di Cambio abbia saputo trasferire in perfette forme iconiche e scultoree un così complesso intreccio di simboli, di metafore e di elaborati ecclesiologici, molti dei quali assolutamente nuovi, costituisce una chiara dimostrazione della cultura del massimo scultore italiano di quel tempo oltre che della sua capacità di dialogo con il Papa.

L'interesse di Bonifacio VIII per la simbologia del potere viene inoltre reso manifesto anche dalla sua decisione di far costruire una loggia di giustizia al Laterano per celebrare da un thalamus monumentale e non più da una tribuna mobile e di legno i processi generali di scomunica contro i ribelli della Chiesa che venivano allora celebrati ogni anno il Giovedì santo, il giorno dell'ascensione e il 18 novembre (la Unam Sanctam fu promulgata a quella data, nel 1302), festa della dedica delle basiliche romane di San Pietro e di San Paolo, così cara a Gregorio vii (1073-1085).

Nell'ultima sezione sono raccolti saggi che riguardano riti e simboli pontifici (la rosa d'oro, i riti dell'avvento nel Quattrocento, o ancora la ritualità legata ai viaggi dei Papi), problemi di storia della cultura (le biblioteche dei cardinali attraverso i loro testamenti), della spiritualità (la religiosità delle élites ecclesiastiche curiali duecentesche) oltre che della rappresentazione dello spazio.
A proposito di quest'ultimo aspetto va osservato che in quei secoli centrali del medioevo il Papato rivolge uno sguardo di ampio respiro ad una cristianità pensata in termini di universalità.

Se Gregorio Magno (590-604; si veda ora l'Enciclopedia Gregoriana, Firenze, Sismel Edizioni del Galluzzo 2009, pagine XXXV-380) si era servito del concetto di Europa per prendere le distanze da Bisanzio, per il papato gregoriano e duecentesco, così proiettato verso l'affermazione della plenitudo potestatis, il riferimento geografico alla cristianità non è mai  limitativo. Gregorio vii e Innocenzo III non parlano mai di Europa nelle loro lettere ma sviluppano un concetto di cristianità vista in una chiara prospettiva di universalità. Persino le parole di Innocenzo III sull'Italia rivelano, più di "una chiara coscienza dell'unità della nazione" (Michele Maccarrone), una visione del mondo che presuppone sempre una centralità e una prospettiva di universalità:  il Papa trasferisce all'Italia quanto Leone Magno e la tradizione medievale avevano attribuito a Roma, quale motivo di gloria tra tutte le città del mondo, ossia il privilegio di essere la sede del "principato" della Chiesa e dell'Impero.

È la scelta divina dell'Italia, come "fondamento della religione cristiana" e sede del "principato del Sacerdozio e del regno", a imporre al Papa una particolare sollecitudine pastorale. Per Innocenzo III, la fusione tra Ecclesia e Christianitas è assai più chiara che nel periodo precedente. La cristianità di Innocenzo III si identifica sia con l'Ecclesia, sia con l'orbis christianus, un termine che designa l'insieme dei "popoli cristiani e dei regni". Più tardi, Pio II (1458-1464), in un clima rinascimentale, ma anche in un momento di rinnovata coscienza storica del Papato romano, sarà in grado di ripensare l'Europa, partendo da un concetto unitario, geografico e culturale oltre che politico e religioso. Il vero interlocutore di Pio II non era però più, come ai tempi di Gregorio Magno, l'impero bizantino, ma l'impero ottomano.


(©L'Osservatore Romano - 28 novembre 2009 )
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