Il malato immaginario

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paperea
00domenica 17 luglio 2005 13:28
Il malato immaginario

Autore: Molière
Regia: Guglielmo Ferro
Compagnia/Produzione: Teatro 3 srl
Cast: Massimo Dapporto e con Susanna Marcomeni, Sebastiano Tringali, Riccardo Peroni

Descrizione
Adattamento di Tullio Kezich e Alessandra Levantesi

Scritto nel 1673, Il malato immaginario è uno dei classici della storia teatrale, ma questa nuova trasposizione diretta da Guglielmo Ferro porta una ventata di freschezza su un'opera tante volte replicata negli anni.

Da molti ritenuto il capolavoro assoluto del teatro di Molière, la commedia narra le disavventure dell' ipocondriaco Argante, padre di una bella figlia, marito di una donna opportunista e fedifraga e vittima di uno sciame di dottorini-avvoltoi salassatori e ciarlatani. I guai cominciano quando, con un patto di matrimonio arbitrariamente siglato, Argante promette la figlia in moglie ad un giovane quanto babbeo dottorino di fresca laurea, in modo da potersi garantire un sereno e gratuito futuro di consulti e ricette. L’ostilità della figlia, segretamente innamorata di Cléante, e la calcolata ingerenza della moglie, fredda esecutrice di un piano truffaldino, finiscono per spingere il povero Argante in una fitta trama di inganni, equivoci, burle e finzioni, giocate - per lo più - sulla sua stessa burbera ed inguaribile ingenuità.Argante vive di medici e medicine, spiando ossessivamente in sè stesso i sintomi di ogni possibile malattia. Su questa base scattano i meccanismi classici della commedia: una moglie avida, una figliache vive un amore contrastato, un gruppo di infidi dottori, un fratello savio e una cameriera fedele e astuta.

La tradizione iconografica e la fortuna teatrale de Il malato immaginario hanno spesso affidato ad un attore anziano la figura del protagonista: Argante è il vecchio brontolone che ha paura di morire e si affida ai medici per rimandare l'appuntamento. In realtà Moliére scrisse la commedia per sé, allora solo cinquantenne, sottolineando, probabilmente, più la paura di vivere che quella di morire.

La regia di Guglielmo Ferro, con l'interpretazione di Massimo Dapporto, restituiscono al testo quella sfumatura, talvolta dimenticata, ma certo provvidenziale alla resa prima psicologica e poi ipocondriaca dell'infermità. Tra alambicchi e orologi, che sottolineano più che altro il lento ma inesorabile trascorre del tempo, lo spettacolo vive in uno spazio immaginifico, quasi irreale, adatto a diventare quel luogo della mente nel quale mettere in scena la finzione del vivere.

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