Il fuoco di Madeleine

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Cattolico_Romano
00sabato 1 agosto 2009 07:40
  Mistica e servizio dei poveri nella Francia travolta dalla guerra

Il fuoco di Madeleine


Pubblichiamo ampi stralci della presentazione di Andrea Riccardi a Madeleine Delbrêl, professione assistente sociale (Milano, Gribaudi, 2009, pagine 304, euro 16,50) il terzo volume dell'opera omnia della fondatrice della Charité de Jésus a Ivry-sur-Seine

di Andrea Riccardi

                                                                

Madeleine Delbrêl ha speso gran parte dei suoi anni nelle periferie parigine, ma non è stata una donna periferica. Vivendo la centralità del Vangelo nella sua vita è stata nel cuore della vita della Chiesa francese, tanto che ha generato una discendenza durevole, dalle prime compagne che vissero con lei a Ivry, nella banlieue parigina, sino a oggi, a coloro che si ispirano a lei.

Eppure al momento della sua morte, nel 1964, Madeleine era assai poco conosciuta. I suoi testi più importanti erano ancora inediti e sarebbero stati pubblicati postumi, a partire dal 1966. L'interesse nei suoi confronti è cresciuto quando i suoi scritti hanno avuto diffusione, non soltanto in Francia. Jacques Loew, prete operaio a Marsiglia dagli anni Trenta, vicino all'esperienza di Madeleine, si è chiesto da cosa derivi la notorietà di questa donna, dichiarata "serva di Dio" dalla Chiesa nel 1996. "La notorietà di Madeleine Delbrêl - conclude Loew - è frutto diretto, unico e immediato del suo pensiero, tale e quale è stato divulgato tra il 1966 e il 1973 nei tre libri postumi:  Noi, gente di strada..., La gioia di credere e Comunità secondo il Vangelo". Il vissuto del laboratorio umano di Ivry ha, dunque, trovato vasta eco.
Madeleine aveva creato la Charité de Jésus a Ivry nel 1933, con poche compagne. Lì, dal 1937, aveva esercitato la professione di assistente sociale, che era all'epoca un mestiere nuovo e riservato esclusivamente alle donne. Nel 1928 si era tenuta a Parigi la prima conferenza internazionale dedicata al servizio sociale e solo nel 1932 era stato istituito il diploma di assistente sociale. Madeleine fu una delle prime assistenti sociali francesi.

I testi raccolti in questo volume, tradotto in italiano da Gribaudi, presentano una donna innamorata del suo lavoro. D'altronde Madeleine aveva scelto di divenire assistente sociale in età già adulta, dopo aver condotto studi letterari e filosofici alla Sorbona. Avrebbe potuto prendere altre strade. In lei l'esperienza spirituale e l'attività professionale si fondono, divengono un tutt'uno in una vita spesa nell'incontro e nel servizio all'"altro". È pertanto importante tornare sui suoi "scritti professionali", a partire dalla tesi che discusse nel 1937, Ampleur et dépendance du service social.

La storia umana professionale e religiosa di Madeleine Delbrêl ha come teatro Ivry sur Seine, periferia operaia di Parigi. Non si trattava di un mondo facile. Ci si potrebbe chiedere come mai questa donna, senza grandi risorse, debole di salute, abbia scelto quell'angolo di Parigi. C'era un prete amico, Lorenzo, che dal 1934 divenne parroco di Ivry; c'era qualche compagna, disposta a iniziare con lei un'esperienza spirituale nuova. La periferia parigina era la realtà di un mondo dolente e secolarizzato. E il mondo di quell'assenza di Dio su cui Madeleine rifletteva da tempo. Il "Dio è morto" di Nietzsche le appariva, allora, non soltanto una provocazione filosofica, ma una realtà concreta di tanti uomini e donne. Questo avveniva in un mondo doloroso fatto di povertà ed esclusione. Madeleine riflette su quel mondo e sente la ferita di tanti che si allontanano dalla Chiesa. La Chiesa di Pio xi (e lo stesso Papa) aveva chiaro l'avvenuto divorzio fra il cattolicesimo e il mondo operaio. Madeleine immagina una presenza diversa dei cristiani, a contatto quotidiano con la gente. Dice spesso che è necessario essere "predicatori con la vita". Bisogna avvicinarsi alla gente per riavvicinare loro a Dio. Questi temi la accompagnano nel corso degli anni e rifluiscono in uno dei suoi libri più importanti, Ville marxiste, Terre de mission, pubblicato nel 1957. C'è qui la grande intuizione della Francia, quella delle periferie come terra di missione. Era l'intuizione che aveva mosso l'esperienza dei preti operai, su cui ha scritto Emile Poulat.

Ivry le appare inizialmente un luogo in cui "regna Satana", come scrive nel dicembre 1933, a soli due mesi dal suo arrivo nella banlieue. La Charité de Jésus è per Madeleine una risposta al disagio spirituale e materiale della periferia. E il luogo in cui vivere il Vangelo e renderlo visibile ad altri:  "Il nostro gruppo - scrive - ha come scopo di mettersi a disposizione di Dio e della Chiesa vivendo un Vangelo integrale. E un gruppo di laici non legati da alcun voto, che vivono laicamente, senza alcuna abitudine conventuale, ma che si donano strettamente a Dio. Per vivere il Vangelo, cerchiamo di praticare la povertà, l'obbedienza, la purezza e l'umiltà con tutto il rigore che ci è possibile".

La scelta è di "vivere in mezzo alla gente, sposando la loro vita, le loro difficoltà". In modo originale - vorrei dire femminile - Madeleine Delbrêl si colloca in quella ondata generosa di uomini e donne che vogliono con la loro vita abbattere il muro tra la Chiesa e le periferie operaie.

Le équipes di Madeleine restano numericamente limitate, ma la loro presenza a Ivry è rilevante. La Charité diviene infatti un lievito evangelico e il suo peso sociale e spirituale è superiore alla sua consistenza numerica. La Mission de France, voluta nel 1941 dal cardinale Suhard, ha tra i suoi ispiratori Madeleine. Il suo interesse per il mondo operaio, infatti, viene presto condiviso da altri all'interno della Chiesa francese, da preti e da laici, che entrano a contatto con quel mondo. Madeleine soffriva la divisione rigorosa della città tra comunisti e non comunisti, spaccatura che allontanava irrimediabilmente gli operai dalla Chiesa. Aveva studiato il marxismo. Aveva studiato l'opuscolo Lenin e la religione e le tesi del leader sovietico secondo cui l'ateismo è un elemento fondamentale del marxismo. Era entrata in dialogo con i comunisti che incontrava nella vita di ogni giorno. Credeva che la chiave per superare la divisione fosse l'amicizia personale, l'amore gratuito:  "Ogni uomo - scrive - comunista o capitalista, buddista o musulmano, è prima di tutto nostro fratello nella creazione".

Per "saltare il fosso" che divideva in due la città - da una parte la Chiesa, dall'altra il mondo operaio - Madeleine e le sue compagne decidono nel 1935 di lasciare il centro sociale della parrocchia, dove risiedevano da due anni, e di affittare un appartamento nel centro di Ivry. Si trovano così a vivere tra gli operai, tra coloro che in quel tempo erano definiti "proletari". Ci si chiedeva, allora, cosa sarebbe stato di quell'ampia fetta di popolazione ormai lontana dalla fede, se non perfino ostile. Nel 1943 Henry Godin e Yvan Daniel rilanciano questi interrogativi con il loro celebre testo, La France, pays de mission?, presentato al cardinale Suhard, arcivescovo di Parigi.

La risposta, per Madeleine, non è nel divenire "progressisti" o nell'avvicinarsi al partito comunista, né in un astratto dialogo sui grandi principi. La sua risposta è la condivisione concreta e quotidiana della vita degli operai. Condivisione che passa anche attraverso l'aiuto concreto, materiale, che Madeleine offre come assistente sociale. Nel 1932, in una lettera indirizzata a don Lorenzo, aveva indicato la via del lavoro per i membri della Charité de Jésus:  "Come Gesù è stato falegname, ciascuno dei membri deve avere una "vocazione umana", una professione". Insiste sul fatto che il servizio cristiano deve essere anche un servizio sociale. La scelta professionale non è disgiunta, per Madeleine, dalla vocazione spirituale. Lo stesso avviene per una compagna della prima ora, Suzanne Lacloche, infermiera a domicilio nelle case dei poveri, così come per altre amiche aggiuntesi nel corso degli anni.

In Ville marxiste, Terre de mission sviluppa il concetto di "uomo religioso", cioè di colui che è "legato a Dio e, attraverso Dio, a tutti gli uomini". L'analisi di Madeleine è semplice, ma non certo semplificata:  l'ateismo crescente mette i cristiani con le spalle al muro, li costringe a vivere pienamente la loro vocazione, è "l'occasione di un ritorno generoso a vivere in pratica la fede". La "scuola marxista" della vita a Ivry diveniva così "scuola di fede", perché l'incredulità degli altri obbligava ad approfondire la propria fede. Questa è la risposta di Madeleine alla scristianizzazione della società francese. Vivere il Vangelo in una vita fraterna è una testimonianza capace di cambiare il mondo attorno a sé:  "La vita comune - scrive in Comunità secondo il Vangelo - vissuta in carità totale, è un fiammifero di cui difficilmente si può fare a meno per accendere il  fuoco  assieme a chi ci sta attorno".

È il "fuoco" che scopre chi bussa alla porta di Madeleine. Con la guerra e l'occupazione nazista della Francia la vita quotidiana a Parigi si complica ulteriormente. La Charité accoglie nuove compagne e Madeleine è assorbita dalla direzione spirituale della sua comunità e dal lavoro di assistente sociale a Ivry. C'è una pressante domanda di aiuto da parte dei rifugiati, delle famiglie di chi è stato fatto prigioniero, di chi è rimasto senza casa a causa dei bombardamenti. Le Équipes incontrano difficoltà materiali, ma Madeleine non cessa di esortare e sostenere le sue compagne. "Ci sono restrizioni sul gas, quattro ore di gas al giorno - scrive nell'aprile 1944 all'Équipe di Vernon - e sicuramente non è che l'inizio. Viva, per noi, questa vera povertà. In fin dei conti la vera povertà è vivere sapendo che solo Dio è necessario. Ogni volta che qualcosa di fisico o di spirituale ci sembra necessario, noi abbandoniamo la giusta strada, siamo ricchi. E questo il senso della risposta di Cristo a Satana, non di solo pane vive l'uomo...". E aggiunge in un'altra lettera:  "I santi non sono mai stati uccisi dal digiuno perché non hanno mai digiunato che per esplicita volontà di Dio. Anche per noi si tratta di una volontà esplicita! Di conseguenza dobbiamo essere in forma per tutto quello che dobbiamo fare malgrado le restrizioni di ogni genere". La sua forza spirituale è un continuo incoraggiamento per le compagne e talvolta Madeleine sdrammatizza la situazione. Scrive il 9 settembre 1944 all'Équipe di Vernon:  "Bombardate, sballottate da tutte le parti, non andiamo troppo male fisicamente né moralmente".

La sua spiritualità di condivisione evangelica rappresenta il substrato del lavoro come assistente sociale. Questa professione, così vitale in una situazione di marginalità come quella di Ivry, è stata rimessa in discussione, ridimensionata, burocratizzata nelle diverse stagioni sociali che l'Europa ha attraversato. Madeleine Delbrêl ha un atteggiamento professionale ma "olistico" di attenzione alla vita e alle difficoltà dei suoi interlocutori.

                                                               

E un atteggiamento, alimentato dalla fede, ma che necessita di un'umanità sensibile e presente. Scrive:  "Questi esseri così diversi, spesso separati da noi da una formazione, una cultura, un'educazione, hanno diritto a noi perché noi siamo venuti a servirli. Ora, non si capisce bene se non ciò che si ama, e il primo atto, nei loro confronti, è di amarli, vale a dire di ricercare il loro bene con la stessa forza con cui noi ricerchiamo il nostro. Si tratta già di un atto che richiede un amore immenso (...) Le nostre azioni sembrano ereditare la nostra stessa libertà; da quando sono emanate da noi, ci lasciano e si ripercuotono di conseguenza in conseguenza fino ad altri esseri che non vedremo mai. Come fare per ospitare questa immensa folla nel nostro cuore?".

Si tratta di un lavoro di "prossimità" ai sofferenti, aperto ad un orizzonte universale senza perdere il suo carattere umano e personale, tanto necessario oggi nelle periferie pluralistiche, dove gruppi di origine etnica e religiosa diversa si intersecano e dove si aprono nuovi fossati e si innalzano nuovi muri. Non c'è più il confronto scontro della "città marxista" con l'altra città, ma lo scontro tra i frantumi di una città.

Attraverso la dura prova della guerra e delle privazioni materiali, Madeleine affina la sua spiritualità comunitaria. Tutto, per lei, diviene condivisione. Sostegno materiale, certamente, ma soprattutto condivisione intima della vita. Nei suoi ultimi anni di vita Madeleine segue con grande interesse lo svolgersi del concilio Vaticano ii. Dopo la fine dell'esperienza dei preti operai nel 1953 vissuta da lei con dolore, il concilio le sembra una grande opportunità. La morte sopraggiunge improvvisa, il 13 ottobre 1964, mentre a Roma, per la prima volta, un laico, Patrick Keegan, prende la parola in un'assemblea conciliare, intervenendo su "l'apostolato dei laici". Avendo vissuto bene, Madeleine era preparata alla morte:  "Spesso nei conventi ci si prepara alla morte - aveva scritto -. Noi non abbiamo il tempo di farlo, ma siamo ugualmente preparati. E la vita stessa che ci prepara a morire, e lei conosce bene il suo mestiere. Basta ascoltarla, vederla, seguirla. La vita è la nostra maestra di morte, ma, a sua volta, la morte diventa per noi maestra di vita".



(©L'Osservatore Romano - 1 agosto 2009)
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