Il comunismo si scaglia contro Dio e la religione?

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Digialu GT2
00martedì 15 agosto 2006 19:26

Il comunismo è nemico di ogni religione e della libertà di culto: questa è la tesi di fondo con cui da generazioni e generazioni si attacca il comunismo, etichettandolo come ateo e anticlericale. La questione merita di essere meglio analizzata: il comunismo di cui Marx è vessillifero non si propone affatto l’abbattimento violento della religione e della libertà di culto, come in quegli stessi anni intendeva fare Feuerbach, le cui considerazioni religiose si intrecciavano con quelle politiche. Egli sottolineava, infatti, il carattere pericolosamente conservatore della religione, sottolineando come in essa, l'uomo tenda a diventare schiavo di un'entità superiore, e uno schiavo incatenato nel "mondo delle idee", diceva Feuerbach, diventa inevitabilmente anche schiavo nella realtà materiale, quasi come se oltre ad essere schiavo di Dio diventasse anche schiavo di un padrone reale. Ne consegue che per Feuerbach la liberazione politica dell'uomo dovrà passare per l'eliminazione della religione: infatti, solo dopo la scomparsa della religione l'uomo cesserà di essere schiavo di Dio e, successivamente, dei padroni materiali. Diametralmente opposta è, invece, la concezione di Marx, secondo la quale “ la religione è l'oppio del popolo ” : secondo Marx, infatti, l'uomo ricorre alla religione perchè materialmente insoddisfatto e trova in essa, quasi come in una droga, una condizione artificiale per poter meglio sopportare la tragica situazione materiale in cui vive. Per Marx, dunque, non è la religione che fa sì che si attui lo sfruttamento sul piano materiale, ma, al contrario, è lo sfruttamento capitalistico sul piano materiale che fa sì che l'uomo si crei, nella religione, una dimensione materiale migliore, nella quale poter continuare a vivere e a sperare: “ questo Stato, questa società producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo capovolto ”, dice Marx nella “Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico”. Ne consegue che se per Feuerbach per far sì che cessi l'oppressione materiale occorre abolire la religione, per Marx, invece, una volta eliminata l'oppressione, crollerà anche la religione, poichè l'uomo non avrà più bisogno di "drogarsi" per far fronte ad una situazione materiale invivibile. E’ dunque del tutto inutile scatenarsi in una feroce lotta contro la religione, poiché essa altro non è se non il necessario derivato della insostenibile condizione capitalistica che travaglia il mondo, è “ il suo punto d’onore spiritualistico ”, “ la realizzazione fantastica dell’essenza umana ”, “ il suo entusiasmo, la sua sanzione morale, il suo solenne completamento ”. Ma questo non toglie che la religione debba essere aspramente criticata, visto che, come spiega Marx in un linguaggio scintillante di metafore, “ l’esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione, dunque, è, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione è l'aureola. La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché l'uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi. La critica della religione disinganna l'uomo affinché egli pensi, operi, dia forma alla sua realtà come un uomo disincantato e giunto alla ragione, affinché egli si muova intorno a se stesso e, perciò, intorno al suo sole reale. La religione è soltanto il sole illusorio che si muove intorno all'uomo, fino a che questi non si muove intorno a se stesso. ” La religione, pur essendo l’esalazione spirituale dello sfruttamento capitalistico, la speranza in una felicità futura contrapposta alla miseria presente, deve essere superata e sostituita dalla felicità reale, cosicchè la critica della religione smonta la tesi secondo cui l’essenza eccelsa per l’uomo è Dio o il denaro e ad essa contrappone quella imperniata sulla convinzione secondo la quale “ l'uomo è per l'uomo l'essere supremo ”. Alla fede in Dio subentra quella nell’uomo e nel partito: per usare un’espressione di Gramsci, “ il partito prende il posto, nella coscienza, della divinità e dell’imperativo categorico ”; il partito del movimento operaio si configura pertanto esso stesso come una sorta di religione avente i suoi dogmi e i suoi riti: “ religione, nel senso che anch’esso è una fede, che ha i suoi martiri e i suoi pratici; religione perché ha sostituito nelle coscienze al Dio trascendentale dei cattolici la fiducia nell’uomo e nelle sue energie migliori come unica realtà spirituale ” (Gramsci, “Sotto la mole”). Quest’idea che alla religione basata sulla venerazione di un Dio al di là del mondo se ne debba sostituire una incentrata sulla fede nel partito e nelle capacità dell’uomo è costante nel marxismo: nell’incipit di “ In memoria del manifesto dei comunisti” (1895) di Antonio Labriola leggiamo un forte e sarcastico richiamo ai riti della tradizione cristiana: “ di qui a tre anni noi socialisti potremo celebrare il nostro giubileo. La data memorabile della pubblicazione del Manifesto dei comunisti (febbraio 1848) ci ricorda il nostro primo e sicuro ingresso nella storia ”. Riassumendo: non si deve eliminare la religione per far sì che lo sfruttamento materiale si sgretoli, bensì si deve distruggere lo sfruttamento materiale (=capitalistico) e, una volta caduto, anche la religione perderà la sua ragion d’essere e l’uomo tornerà a riporre le sue speranze nel mondo reale, senza proiettarle in un fantasmagorico aldilà. Il problema consiste nell'abolire, più che la religione, le condizioni storiche che la rendono possibile.
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