Il ciottolo

macrino
00sabato 25 febbraio 2017 18:59
Justin uscì per una passeggiata, cercando di sgravarsi dal fardello dei pensieri che lo assillavano. Era una tiepida giornata primaverile e la natura cominciava a ridestarsi dal letargo invernale. Gialle chiazze di ginestre striavano i declivi delle colline, i rami dei peri erano cosparsi di fiori bianchi, a guisa di fiocchi di neve, in lontananza il mare era un abbraccio azzurro. I profumi della tenera stagione si spandevano tutto intorno, come flutti di ricordi dove era bello perdersi, fingendo che fossero sogni neppure scalfiti dai feroci artigli del tempo.

Eppure Justin, mentre percorreva la mulattiera che serpeggiava lungo il dolce pendio, sentiva che tutto era impregnato di putrefazione e di morte: forse perché la stradicciola non era distante dal nosocomio in cui il suo povero babbo era stato ricoverato, ospedale dove medici ed infermieri, con rara sollecitudine, insieme con la sorte benevola, lo condussero amorevolmente ad uno straziante calvario ed alla morte.

Egli, camminando, giunse allo sbocco della viottola che confluiva in una carrozzabile: come nei campi, anche sui cigli della carreggiata crescevano le acetoselle con i loro bei calici cadmio. Pensò: è destino che alcuni fiori sboccino in prati soleggiati, nella carezza del vento, mentre altri a fatica tendono fragili steli ed aprono corolle fra i sassi e le crepe del cemento, destinati probabilmente ad essere schiacciati dalle ruote di un automezzo o da un passeggero indifferente, destinati ad essere soffocati dall’afa estiva. Quale somiglianza con le vite degli uomini! Il fato assegna ad ognuno una condizione diversa: chi riceve un’esistenza felice, appena ombrata da qualche affanno, chi una vita in cui gioie e dolori più o meno si bilanciano, chi, infine, è gettato nell’inferno glaciale della disperazione. A ciascuno la sua moira, come ci ricorda Omero, secondo l’imperscrutabile volontà di dei abissali.

Attanagliato da queste e simili considerazioni ossessive, Justin decise di rincasare per bere un tè fresco: sperava che la fragranza ed il gusto del tè gli potessero donare anche solo qualche istante di oblio. All’improvviso, mentre scendeva verso il paese, udì un acciottolio: era un piccolo sasso che, staccatosi dallo scrimolo di un gradino, stava rimbalzando lungo la scalinata. Percorreva una singolare traiettoria, inciampando ora in una sporgenza ora in un incavo. Come mosso da capricci umani, la pietruzza zigzagava per poi saltare con brio. Justin seguì con lo sguardo e l’orecchio il ciottolo finché fu inghiottito da una svolta del sentiero. Ecco: in quei balzi, in quel movimento erratico, l’uomo lesse il percorso del destino umano. Spinti da una forza sconosciuta, irrazionale, procediamo per una discesa, talora con moto più tranquillo, spesso a scatti, proiettati di qua e di là, per essere infine inghiottiti dal nulla.
Orchidea
00sabato 25 febbraio 2017 21:19
bel paragone [SM=x142872]
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