Il Noce di Benevento.... e le sue streghe

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"Palantir"
00mercoledì 26 novembre 2003 16:42
La leggenda del Noce


Convinto di una derivazione da rituali longobardi è Pietro Piperno , protomedico beneventano e autore del celebre libro Della superstiziosa noce di Benevento, del 1639, rifacimento della versione latina dal titolo De nuce maga beneventana.



Pietro Piperno

Piperno nel suo testo fa risalire l’origine delle streghe beneventane al tempo dei Longobardi e precisamente all’epoca del duca Romualdo . Secondo quanto racconta il Piperno , che a sua volta desume le notizie da una legenda di San Barbato , i Longobardi adoravano una vipera d’oro e celebravano degli strani rituali intorno ad un albero.

Durante l’assedio dell’imperatore d’Oriente, Costante, nel 663, il duca Romualdo, che stava per soccombere, accettò l’invito del vescovo di Benevento, Barbato, ad allontanarsi dall’eresia per abbracciare la vera fede cristiana. In cambio di ciò Dio permise al duca longobardo di conservare il suo regno e di sconfiggere i bizantini.

Sempre secondo la leggenda di San Barbato, questi fece sradicare l’albero di noce intorno al quale i Longobardi tenevano le loro feste e proibì l’adorazione della vipera d’oro grazie alla collaborazione della duchessa Teodorada .

La preoccupazione di Piperno è quella di dimostrare l’infondatezza della diceria che Benevento è città delle streghe. Infatti, il noce dei raduni longobardi, infestato di demoni, fu sradicato dal santo vescovo. Purtroppo, però, sia relazioni di dotti inquisitori, sia le testimonianze rese dalle streghe, facevano pensare che il mitico noce esistesse ancora e qualcuno diceva addirittura che era rinato, nello stesso posto da cui era stato estirpato per virtù diabolica. Lo stesso Piperno localizza in una piantina, acclusa al testo italiano dell'opera, sia il simulacro della vipera longobarda, sia il noce.

Egli puntualizza che il noce, rinato sul medesimo luogo di quello sradicato da San Barbato, si trova a circa due miglia dalla città, non distante dalla riva meridionale del fiume Sabato , nella proprietà del nobile Francesco di Gennaro. Su questo luogo il patrizio beneventano Ottavio Bilotta fece porre un'iscrizione che ricordasse l'opera di San Barbato. Il Piperno però aggiunge di non essere certo se fosse proprio questo il famoso noce.





L’albero di noce

Vicino alla città di Benevento

Vi sono due fiumi molto rinomati

Uno Sabato , l’altro Calor del vento;

Si dicono locali indemoniati,

...................................................

Un gran noce di grandezza immensa

Germogliava d’estate e pur d’inverno;

Sotto di questa si tenea gran mensa

Da Streghe, Stregoni e diavoli d’inferno.








Così suona l’inizio di un poemetto popolare ottocentesco edito a Napoli e intitolato “Storia della famosa noce di Benevento”, raccolto da Giuseppe Cocchiara , che al noce e alle streghe dedica un intero capitolo del suo Il paese di cuccagna.

La fama della città, luogo del convegno di streghe , è molto antica. Se ne trovano echi in un sonetto del Fiore, poemetto allegorico del 1200, il cui protagonista dice di chiamarsi Ser Durante. Molti pensano che questo nome adombri lo stesso Dante Alighieri .

La trama è semplice: Ser Durante, l’amante, cerca di cogliere un fiore, simbolo del perfetto amore, da uno splendido giardino, per farne omaggio alla sua amata, Madonna Bellaccoglienza. Egli si è cavallerescamente messo al suo servizio ed ella sembra accettare la sua corte. Pare giunto il momento di cogliere il fiore che è quasi sul punto di sbocciare, quando interviene lo Schifo (cioè il pudore) ad impedirglielo.



Sonetto 203: L’amante e lo Schifo.



Quand’i’ vidi l’offerta che facea,

del fatto mi credett’ esser certano1 :

allor sì volli al fior porre la mano,

che molto ringrassato2 mi parea.



Lo Schifo sopra me forte correa

dicendo: “Tra’ t’addietro3 , mal villano

che, se m’aiuti Iddio e San Germano,

i’ non son or quel ch’i’ esser solea.



El diavol sì ti ci ha ora menato

se mi trovasti a l’altra volta lento

or sie certan ch’i’ ti parrò cambiato.



Me’ ti verria4 che fossi a Benivento”.

Allora al capezzal5 m’ebbe pigliato,

e domandò chi era mi’ guarento6 .



Alcuni dicono che il nome della città è usato solo per ragioni di rima, ma in verità l’autore aveva molte possibilità di scelta. Invece, è evidente la connessione tra il diavolo e Benevento.

Lo Schifo infatti rimprovera l’amante per essere entrato nel giardino, dicendogli che è stato portato lì dal diavolo, sarebbe stato meglio che il diavolo l’avesse portato a Benevento, luogo più consono ai trasporti diabolici. C’è già, nel sonetto, l’idea del volo diabolico associato alla nostra città. È soprattutto in epoca moderna, però, che si comincia a parlare del noce .

Non si trattava di un noce qualsiasi, ma di un albero particolare; addirittura secondo le testimonianze di alcune streghe (o ritenute tali), sempreverde. Esso sorgeva in un luogo detto “ripa delle janare”, lungo il fiume Sabato , dove tali donne si bagnavano. [1]





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1 Certo

2 Più grande

3 Fatti indietro

4 Sarebbe meglio

5 Al collo

6 Garante

[1] Dove fosse esattamente la ripa delle janare non è dato sapere. Sul lato ovest delle mura di Benevento, che era lambito dal fiume Sabato, si trovava una torre, detta Pagana, sulla quale fu edificata una cappella, alla sommità di due rampe di scale affrontate, dedicata a San Nicola di Mira, che avrebbe operato straordinari miracoli.. L’anonimo autore dell’Adventus Sancti Nycolai in Beneventum, testo propagandistico redatto nel 1090, descrive il luogo prossimo alla Torre Pagana dove “…aquarum abundantia sit “ e “arborum amenitas”. Cfr.Lepore, C. e Valli, R. L’Adventus di San Nicola in Benevento, in Studi Beneventani, n.7, 1998



"Palantir"
00mercoledì 26 novembre 2003 17:25
Streghe o janare?


Nel dialetto beneventano non esiste la strega, ma la janara. E' con tale nome infatti che si indica una donna, che possiede poteri magici, conosce le virtù delle erbe, pratica alcune operazioni mediche.

La figura della janara appartiene al patrimonio folclorico, la strega invece è una figura letteraria, confezionata già in età classica, ma soprattutto moderna, con caratteristiche andate via via perfezionandosi e configurate in un repertorio ben consolidato, grazie agli scritti di esponenti della cultura clericale dal Medioevo in poi, i quali, attraverso un lungo processo, ne selezionarono gli aspetti discriminanti, utilizzando materiale della provenienza più varia: racconti popolari; superstizioni locali; mitologia classica, ebraica, nordica; inchieste giudiziarie, verbali di processi, fino alla codificazione, sistematica ed accreditata dall’autorevolezza degli scrittori, della figura della strega secondo una tipologia precisa.



Origini del nome strega


Strega etimologicamente deriva da stryx, strige, uccello notturno, che si riteneva succhiasse il sangue dei bambini nella culla e istillasse nelle loro labbra il proprio latte avvelenato. Era ritenuto una specie di arpia, di vampiro; tale nome ricorre in Plauto, Ovidio e Plinio . Per tali caratteristiche il nome strega ha indicato le donne credute responsabili di aborti ed infanticidi.

Demoni femminili sono presenti nella cultura classica, come dice Gerolamo Tartarotti nel 1749 nel suo Del congresso notturno delle Lammie, libro I capitolo IX.



“ ... il moderno congresso notturno delle Streghe altro non è che un impasto della Lilith degli Ebrei, della Lammia e delle Gellone de’ Greci , delle Strigi, Saghe e Volatiche de’ Latini”.



A tali leggende, il Tartarotti affianca anche quella medioevale della brigata notturna, scorta di Diana o Erodiade.

Lamia è un altro demone femminile. Ella era una regina di Libia, amata da Giove , i cui nati furono sterminati da Giunone, legittima moglie del re degli dei, per vendetta della sua infedeltà. Ciò rese Lamia crudele verso l’altrui prole.


Come è nata la figura della Strega

Alla costruzione dotta del personaggio della strega concorrono vari elementi:



1. La componente culturale classica, che parte da un culto di Diana -Ecate -Iside , divinità femminili che avevano anche aspetti inquietanti per il loro rapporto con la magia.

2. La componente culturale popolare viene riscontrata ad esempio da Margaret Murray . La presenza delle streghe è ravvisabile in ogni cultura agricola, e sembra la sopravvivenza di una religione femminile preistorica che genericamente la Murray chiama “culto delle streghe ”.

3. La componente culturale clericale elabora i materiali folclorici attribuendo ad essi un valore negativo. Tutto ciò che non è culto cristiano degenera nell’eresia, in quanto serve altre divinità che non possono essere benefiche, poichè solo Dio è buono. Ogni altra forma di religiosità sottende la presenza del diavolo.

Malleus Maleficarum

Le donne che celebrano i culti agrari della tradizione non sono semplici continuatrici di un paganesimo contadino, ma, secondo la visione clericale, hanno venduto la loro anima al diavolo per poter avere poteri magici e trasformarsi in animali. Esse servono il loro signore (il diavolo) in una sorta di vassallaggio feudale al negativo, con ogni sorta di azione malvagia. Prima fra tutte vi è la minaccia all’infanzia, sia attraverso le pratiche abortive, sia attraverso l’infanticidio o il danneggiamento fisico dei piccoli. In tale visione misogina la strega è l’opposto della Madonna, che è vergine e madre; essa invece è lussuriosa e sterile; minaccia la capacità riproduttiva che infiacchisce con le sue arti (legamenti, fatture d’amore) perciò è nemica dell’intero genere umano.

Questa congerie di credenze fu elaborata nel corso dei secoli, a partire da quel capolavoro di sadismo, che fu il Malleus Maleficarum di Sprenger e Institor. Esso era un manuale per il perfetto inquisitore, che insegnava come riconoscere, interrogare e torturare una strega, sventando le numerose malizie di cui questa serva diaboli era capace.



La janara è una figura della tradizione popolare. Come tutti gli esseri magici, ha carattere ambivalente: positivo e negativo. Conosce i rimedi delle malattie attraverso la manipolazione delle erbe, ma sa scatenare tempeste. Nella coscienza popolare non si associa la janara al diavolo, ella non ha valenze religiose, ma solo magiche, come l’Uria , la Manalonga, le Fate. Appartiene cioè ad un universo estraneo a quello umano e per questo temibile ed incomprensibile come tutto ciò che è diverso.

È capace di nuocere agli umani, ma non ha i legami con il diavolo, che le attribuiscono gli uomini di chiesa, i quali ne fecero un’eretica, al pari dei seguaci di altre religioni.





Volo al Sabba




Origini del nome janara


L’etimologia proposta per il termine popolare janara metteva in connessione tale nome con il latino ianua = porta, in quanto essa è insidiatrice delle porte, per introdursi nelle case. Presso gli usci si ponevano quindi scope o sacchetti con grani di sale, in modo che, se la janara riusciva ad entrare, sarebbe stata costretta a contare i fili della scopa o i granelli di sale, senza poter venire a capo del conto. L’alba sopraggiungeva a scacciarla, poiché non si accorgeva del passare del tempo, impegnata nell’insulsa operazione. Gli oggetti posti a tutela delle porte infatti hanno insite virtù magiche: la scopa per il suo valore fallico, oppone il potere maschile e fertile a quello femminile e sterile della janara; i grani di sale sono portatori di vita, poichè un’antica etimologia connette sal (sale) con Salus (la dea della salute). Per Piperno, l’origine del nome deriva dal fatto che le streghe per aerem nare sentiantur dum feruntur ad ludos oppure dal fatto che il nome di una delle Lamie del tartaro era Duchessa Iana[1]

Janara è il termine comune nella nostra provincia per indicare la strega e lo si trova anche nella variante ghianara. La semiconsonante iniziale è l’evoluzione naturale del nesso latino \\di\\, come nel caso di diurnum Þ juorno. Pertanto il termine non viene da ianua, in cui la \\i\\ evolverebbe in \\g\\ (cfr. Ianuarius Þ Gennaro), ma da dianaria o dianiana, aggettivo derivato da Diana , equivalente a “seguace di Diana”. L’antichissima divinità italica, dea federale dei Sanniti e protettrice della plebs romana, è chiamata da Cicerone dea della caccia, della luna e degli incantesimi notturni (Cic. De nat. deor., 2, 68, sgg.).

Orazio parla dei tria virginis ora Dianae (i tre volti della vergine Diana ) o di Diana triformis (Diana triforme, cfr. Hor, Car., 3, 22, 4)

Virgilio conferma tale aspetto quando parla della dea che è Luna in cielo, Diana in terra, Ecate nel mondo infernale (Verg., Aen., 4, 511.b)

“Gioco di Diana ” è definito, in molti testi, il corteo di streghe , stregoni e spiriti infernali di cui si aveva notizia attraverso le deposizioni delle imputate di stregoneria. Altro nome di esso è sabba ”, forse da Sabazio, o Bacco, in onore del quale si celebravano riti orgiastici. Infatti anche nel consesso stregonesco vi era una forte componente sessuale. Diana è chiamata nei processi “Signora del gioco”, dove “gioco” traduce il latino ludus, nel significato di “luogo dove s’impara” o anche di “passatempo dilettevole”, visto che in queste riunioni si ballava e si cantava.





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[1] Pipernp, Pietro, Della superstitiosa noce di Benevento, Gaffaro ed., Napoli, 164°, rist.anast. Forni, 1984, p.77, “si vedono nuotare nell’aria, mentre sono trasportate ai convegni”.



"Palantir"
00mercoledì 26 novembre 2003 17:30
La diffusione della leggenda



Bisogna però giungere al 1486 per avere il primo strumento giudiziario completo che divide la stregoneria dalle altre eresie religiose, definendone i caratteri e insegnando il modo di riconoscere le streghe , il Malleus maleficarum dei domenicani Institor e Sprenger.

Questo manuale del perfetto inquisitore giungeva a conclusione di un processo storico, che definiva la figura della strega in uno stereotipo, che rimarrà immutato fino al 1631, quando Friederich Von Spee comincia a dubitare della consistenza delle confessioni, estorte sotto tortura e della validità della macchina giudiziaria, messa in moto contro le streghe.

Gerolamo Tartarotti nel 1749 parla del volo notturno delle streghe come di un’illusione suggerita ad esse dal diavolo: le donne credono di recarsi in volo al noce di Benevento, ma in realtà non si muovono da casa. Analogo intento razionalistico ha Costantino Grimaldi nel 1751. Nel secolo del Romanticismo troviamo addirittura una riabilitazione della strega, grazie agli studi di Jules Michelet in Francia e a quelli di sir Walter Scott in Inghilterra.



Le prediche di San Bernardino

Durante l’elaborazione della fisionomia della strega come nemica del genere umano, rea di tremendi delitti e degna di punizione capitale, un ruolo importante fu giocato da San Bernardino da Siena, che nelle sue prediche dedica una grande attenzione alle donne che si occupano di magia. Egli le addita all’opinione pubblica, accendendo gli ascoltatori di sdegno e di mistica esaltazione contro le nemiche; sguinzaglia le forze dell’ordine sulle loro tracce, placando i risentimenti della comunità attraverso la cattura e l’uccisione di quelle che si ritenevano le responsabili di cattivi raccolti; di menomazioni o morti di neonati o di altri drammi individuali e collettivi.

Le prediche si diffondono rapidamente in tutta l’Italia centrale, grazie agli appunti stenografici presi da un fedele ammiratore del santo.

Questo è il testo che ci riguarda più direttamente.



“Elli fu a Roma uno famiglio d’uno cardinale, el quale andando a Benivento di notte, vidde in sur una aia ballare molta gente, donne e fanciulli e giovani; e così mirando, elli ebbe grande paura. Pure essendo stato un poco a vedere, elli s’asicurò e andò dove costoro ballavano, pure con paura, e a poco a poco tanto s’acostò a costoro, che elli vidde che erano giovanissimi; e così stando a vedere, elli s’asicurò tanto, che elli si pose a ballare con loro. E ballando tutta questa brigata, elli venne a suonare mattino. Come mattino tocò, tutte costoro in un subito si partiro, salvo che una, cioè quella che costui teneva per mano lui, che ella volendosi partire coll’altre, costui la teneva: ella tirava, e elli tirava. Vedendola costui sì giovane, elli se ne la menò a casa sua: e odi quello che intervenne; che elli la tenne tre anni con seco, che mai non parlò una parola. E fu trovato che costei era di Schiavonia. Pensa ora tu come questo sia ben fatto, che elli sia tolto una fanciulla al padre e alla madre in quel modo. E però dico che là dove se ne può trovare niuna che sia incantatrice o maliarda, o incantatori o streghe , fate che tutte siano messe in esterminio per tal modo, che se ne perde il seme”.



Abele De Blasio ci informa che a Benevento erano conservati circa 200 verbali di processi per stregoneria, presso la Curia Arcivescovile. Da una fonte che volle rimanere anonima, egli seppe che gli atti erano stati distrutti prima dell'arrivo delle truppe garibaldine nel 1860, per evitare che essi fossero utilizzati come materiale di propaganda anticlericale nel difficile decennio che precedette la presa di Roma .

Ludovico Antonio Muratori , nel Trattato della forza della fantasia umana del 1745, parla della superstiziosa credenza ormai per lui causata da patologie psichiche e da una disposizione all’estasi. Le donne che credevano di essere streghe ritenevano di recarsi in luoghi dove era esercitata ogni più nefanda libidine.

“In Germania il monte Blockberg e in Italia la Noce di Benevento sono famosi per tale impostura, citati da assaissimi autori, col nome dei quali non mi sento di sporcar queste carte”.

Il già citato Gerolamo Tartarotti si pone anch’egli nel numero di coloro che ritengono le streghe delle visionarie, sia pure ispirate da forza diabolica, come afferma nel Congresso notturno delle Lammie del 1749. Le persecuzioni si spengono; la fama di Benevento resta.





Processi per stregoneria


Matteuccia
Il 20 marzo del 1428 venne bruciata come strega Matteuccia di Francesco abitante a Ripabianca presso Deruta. Nella lunga sentenza fatta redigere dal capitano Lorenzo de Surdis compaiono filastrocche contro gli spiriti e il dolor di corpo, fatte confessare con ripetute torture, durante le quali si teneva l’interrogatorio.

Ad un tratto, nelle confessioni di questa strega paesana, affiora un frammento estraneo: dopo essersi unta di grasso di avvoltoio, sangue di nottola e sangue di bambini lattanti, Matteuccia invocava il demonio Lucibello, che le appariva in forma di caprone, la prendeva in groppa e, tramutato in mosca, veloce come il fulmine, la portava al noce di Benevento dove erano radunate moltissime streghe e demoni capitanati da Lucifero maggiore. La povera Matteuccia riferì anche la formula che faceva volare:



“Unguento, unguento,

mandame a la

noce di Benivento

supra acqua et supra ad vento

et supra ad omne maltempo”.[1]




Supplizio di Streghe





Nel caso di Todi avvertiamo l’eco delle parole di Bernardino: per due volte la sentenza sottolinea che Matteuccia aveva praticato i suoi incantesimi, prima che egli predicasse a Todi, nel 1426. È probabile che le prediche di San Bernardino suggerissero al giudice il contenuto delle domande da porre ai futuri imputati di stregoneria.



Mariana di San Sisto
Il nome di Benevento viene fatto in uno solo dei processi esaminati dal Nicolini e precisamente in quello del 1456 a carico di Mariana di San Sisto, conclusosi col rogo.

Ella viene accusata di andare con una sua compagna «ad surchiandum pueros et una nocte dicti mensi Iulii dicta Mariana et eius sotia in facie et corpore ipsarum se unserunt cum certis unguentis diabolicis et incantatis per dictam mulierem sotiam dicte Mariane, inter alia dicendo: “Unguento, menace a la noce de Menavento, sopra l’acqua e sopra al vento” et de nocte accesserunt ad nuces et arbores nucum ubi sole et sine lumine tripudiabant»[2].

Mariana è accusata di aver ridotto in fin di vita il figlioletto di Paolo Giacomo, detto Barbiere, e di Flora Schiavo. Condannata a pagare in prima istanza una multa di 1300 danari nel termine di dieci giorni, ella risultò insolvente e per questo fu condannata «ad essere bruciata col fuoco in modo tale che muoia».





Bellezza Orsini e Faustina Orsi
In due processi tenuti al Santo Uffizio di Roma nel XVI secolo, raccolti da Bertolotti nel 1883, durante gli interrogatori salta fuori il nome di Benevento e le danze sotto al noce . Il primo processo era a carico di Bellezza Orsini , accusata di malefici e venefici. Ella era esperta di erbe e fabbricava medicine. Un giovane in cura presso di lei morì in seguito a malattia, ma i parenti del morto accusarono Bellezza d'averlo stregato e ucciso. Accanto a questa denuncia se ne raccolgono anche altre. Bellezza fu condotta nel carcere di Fiano e sottoposta a numerosi interrogatori con tortura, durante i quali ella «confessò» fra le altre cose: «Andamo alla noce de Benevento e illi [lì] facemo tucto quello che volemo col peccato renuntiamo al baptismo e alla fede e pigliamo per signore e patrone el diavolo e facemo quel che vole luj e non altro».

E più avanti ribadisce: «E andamo alla noce de Benevento dove ce reducemo tucte insieme e illi facemo gran festa e jova [gioco] e pigliamo piacere grande e poi il diavolo piglia quattro frondi de quella noce e cusì ne ritornamo a casa e dove volemo ad streare [stregare] e far male ad qualcheduno…».

Inoltre riporta la formula per volare: «Unguento, unguento, portace alla noce di Benevento, per acqua e per vento e per ogni maltempo».

Stremata dalle torture la povera Bellezza Orsini si suiciderà in carcere, colpendosi più volte la gola con un chiodo. Sfuggirà così al rogo.

Secondo Bellezza la riunione a Benevento si teneva ogni tre anni.

Il secondo processo è datato al 1552 ed è a carico di Faustina Orsi , accusata di aver stregato dei bambini, uccidendoli con i suoi farmaci. Anche ella confesserà sotto tortura. All'epoca del processo Faustina ha ottanta anni e ripete il solito incantesimo: «Unguento mio unguento, sopra acqua e sopra vento portami alla noce del Benevento». Qui con altre quattro o sei donne balla e canta; racconta di esservi stata trenta o quaranta volte in tutta la vita, ma che manca alle riunioni da due anni perché si è pentita. Nella sua confessione manca l'abbondanza di particolari fornita da Bellezza, ma ella è bruciata ugualmente come strega[3].



Abele De Blasio ci informa che a Benevento erano conservati circa 200 verbali di processi per stregoneria, presso la Curia Arcivescovile. Da una fonte che volle rimanere anonima, egli seppe che gli atti erano stati distrutti prima dell'arrivo delle truppe garibaldine nel 1860, per evitare che essi fossero utilizzati come materiale di propaganda anticlericale nel difficile decennio che precedette la presa di Roma .

Nell’immaginario popolare, il nome di Benevento ancora oggi è legato alla leggenda. A Navelli, paese in provincia dell’Aquila , famoso perché vi si produce lo zafferano, si narra la leggenda della donna gatto. Essa è la regina delle streghe ed è soprannominata Chicchera, cioè cresta di gallo. La donna gatto si reca al convegno di Benevento recitando la formula “Con un’ora vado e vengo alla noce di Benevento”. Ferita ad una zampa con un coltello, mentre sotto forma di gatto cerca di fare malefici, è riconosciuta dalla gente del paese, perché quando riprende la forma umana ha ancora il coltello nella coscia.





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[1] Mammoli, Domenico, (a cura di), Processo alla strega Matteuccia di Francesco. Todi 20 marzo 1428, in Res Tudertinae, Todi, 1983

[2] "A succhiare (il sangue) dei bambini ed una notte del detto mese di luglio la detta Mariana e la sua compagna si unsero sulla faccia e sul corpo con alcuni unguenti diabolici e incantati da detta donna compagna di detta Mariana, fra le altre cose dicendo […] e di notte giunsero alle noci e agli alberi di noce dove sole e senza luce si sfrenavano.

[3] Da Bertolotti, A., Streghe, sortiere, maliardi nel secolo XVI in Roma , Forni editore, Bologna , 1979, ristampa anastatica dell'edizione del 1883.

"Palantir"
00mercoledì 26 novembre 2003 17:32
Federico II e le streghe
(una nuova ipotesi)



Benevento, per la sua posizione geografica di presidio pontificio in pieno regno delle due Sicilie, costituiva una vera spina nel fianco dell'imperatore e re delle Due Sicilie, fino al 1250, Federico II . Benevento dava rifugio a spie, fuoriusciti e nemici dell’impero, che non potevano essere perseguiti in territorio papale.

L’epurazione del regno da ribelli e nemici non sarebbe stata completa, se Federico non avesse tolto di mezzo anche l’enclave papale di Benevento. Focolaio di agitazione della curia, dove si fomentava la rivolta contro l’imperatore, Benevento doveva essere davvero, come pensava Federico , “la pietra dello scandalo del nostro regno”. Federico in due lettere indirizzate al giustiziere Tommaso da Montenigro e ad altri funzionari del regno, che invano durante l'assedio avevano tentato di intercedere a favore degli ex sudditi dimoranti in Benevento e desiderosi di lasciare la città costretta alla fame, dà la definizione della città come «lapis offensionis et petra scandali regni nostri».Si aggiungeva che vi erano rifugiati numerosi siciliani partigiani del papa. L’imperatore ordinò infine che a tutti costoro fosse interdetto il rientro nel regno, che Benevento fosse accerchiata, che nessuno potesse uscirne e che le fossero tagliati i viveri: “ ... possano essi perire per fame e crepare in quella libertà pestifera da loro stessi scelta ...”[1].



Tortura della Corda


L'assedio di Benevento

Nell’anno 1241 Benevento veniva rasa al suolo; la furia dell'imperatore si abbattè terribile, lasciando memoria del fatto in tutta Europa, come si rileva da varie cronache contemporanee. In quella di Riccardo da San Germano si dice che nel mese di aprile del 1241, la città di Benevento assediata e costretta dall'imperatore, si arrese.

Per ordine di Federico le sue mura furono divelte dalle fondamenta e così anche le torri della città fino al solaio.

La condanna dell'imperatore da parte di Innocenzo IV, succeduto al defunto papa Gregorio IX, al quale l’imperatore aveva sterminato la famiglia, fu durissima. Egli lo proclamò decaduto al Concilio di Lione del 1245. Il primo gennaio del 1250 un nuovo episodio di ribellione della città all'imperatore causò una seconda offensiva.

All'avvenuta distruzione delle mura seguì la totale distruzione della città. «Hoc anno distructa est civitas Beneventana», è il lapidario commento che compare negli Annales Cavenses. Si cominciò a ricostruire solo nel 1252.



La scomunica di Federico II

In seguito all’assedio del 1241 a Benevento, il papa scomunicò l’imperatore e ci fu un violento scambio di invettive tra Federico II e Gregorio IX: ognuno assicurava che il Maligno sedeva sul trono papale o, a seconda, su quello imperiale. Ma l’accusa più importante mossa da Federico II a papa Gregorio IX toccava l’alleanza di questi con gli eretici lombardi, i milanesi soprattutto, che il pontefice stesso aveva in addietro tacciato d’eresia e la cui città era popolata in gran parte di eretici.

La proposta di Federico era nientemeno quella di convocare un concilio che destituisse il papa, persona indegna dell’ufficio che ricopriva. Così dopo aver sgominato i ribelli di Romagna e Lombardia, i nuovi piani erano la risoluzione di attaccare direttamente, dopo tanti accesi proclami, il papa invadendo lo stato della Chiesa a cominciare dall’enclave beneventana nel 1241.

In questo clima crediamo che sia stato messo a punto dallo staff che lavorava per l’imperatore anche un piano di propaganda per l’attacco a Benevento, possesso del papa eretico, amico di eretici. La città stessa era un covo di quelli peggiori: le streghe . Forse riprendendo antiche leggende locali di streghe (non dimentichiamo la presenza di un beneventano nell’entourage dell’imperatore) a Benevento, come se ne trovano dovunque, Federico aveva il destro per giustificare un attacco ad un possesso della Santa Sede, poichè egli era il campione armato di Cristo.

Piperno, nell'opera che abbiamo sopra citata, afferma che questi luoghi infestati di streghe “non sono solo qui, ma in molte altre parti ancora, anzi per tutto il mondo sono di questi designati luoghi, ... è ben vero, che questo è più famoso di tutti gli altri ...” e questa fama crediamo che sia stata procurata dalla velenosa propaganda studiata dalla cancelleria federiciana, i cui frutti sarebbero maturati però solo molto più tardi, cioè nel 1427.

Naturalmente la nostra resta soltanto un’ipotesi, in assenza di un documento che possa effettivamente comprovare la pubblicità negativa,organizzata dallo staff dell’imperatore, ai danni della nostra città.





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[1] Nelle parole dell’imperatore sembrano riecheggiare quelle usate dal suo nemico, il papa Innocenzo III a proposito del conte Raimondo VI di Tolosa, protettore degli eretici catari . In una lettera inviata al conte il 20 maggio 1207, Innocenzo III lo chiama “tyran impie et cruel, homme pestilent et insensé” Cfr.Oldenbourg Zoé, op. cit.




Sulis
00venerdì 5 dicembre 2003 22:36
Per essere strega bastava essere donna ...... e una donna, era quasi sempre una strega
Questa convinzione non nasceva dalla mentalità degli inquisitori che scatenarono le grandi cacce contro le streghe, ma risaliva a molto prima. Si perdeva nella notte dei tempi, spingendosi fino al Paradiso terrestre, quando, da una costola di Adamo venne creata la prima donna.La costola è ricurva verso l’interno del corpo, notano i teologi medievali, rivolta contro il suo petto, contraria all’uomo: come stupirsi se la donna, per sua stessa natura, agisce contro l’uomo, per ferirlo, per trafiggerlo, per dannarlo?Ella ha tentato l’uomo, l'ha travolto nella concupiscenza seducendolo sessualmente, l'ha fatto cacciare dall’Eden, l'ha trascinato in un mondo di sofferenza, dolore, colpa.Adamo, come sostengono gli stessi teologi, non ha peccato perché tentato dal Diavolo, bensì perché corrotto da Eva, tramite i poteri di Satana.Su Adamo, Satana non avrebbe avuto la meglio. Eva, invece, si è messa nelle sue mani.Eva non può che essere una creatura perversa, debole, ottusa, inferiore all’uomo, subdola.É divorata da una inesausta fame erotica e conosce perfettamente i mezzi per dominare l’uomo con la lussuria, facendolo deviare dalla retta via.Troia cadde per colpa di Elena. Cleopatra rovinò Antonio. La mentalità pagana era misogina.Chi non sa che Socrate veniva perseguitato dalla moglie e che Seneca avrebbe preferito morire pur di non perdere la castità a causa di una donna?San Gerolamo, nell’opera Adversus Jovinarum, si dilungava in una violenta critica contro le donne, di cui elencava tutti i mali: l’unico modo per salvarsi da una donna, affermava il Santo, è starle il più lontano possibile.La donna é malvagia e attratta, per sua indole difettosa, da Satana.Sulla sua testardaggine e disobbedienza, gli autori del Malleus si soffermavano su un aneddoto: un uomo, risalendo la corrente, cercava il cadavere della moglie, morta affogata nel fiume; si giustificava dall’assurda ricerca dichiarando:"Mia moglie ha fatto sempre il contrario di quello che le chiedevo, quindi è probabile che anche dopo morta se ne vada all’opposto del consueto."Il male è insito nello stesso nome: femmina, che ha origine, secondo i teologi medievali, da: a fe et minus, vale a dire: "sprovvista di fede".Possedendo meno fede dell’uomo, la donna, è quindi più facilmente esposta alle tentazioni, e se a questo, sostengono gli autori del Malleus: "... aggiungiamo che é stupida, come non credere che sia facilmente preda di Satana, lasciva e falsa?".La donna é più credula e più inesperta dell’uomo, si fa trascinare dalle emozioni, dall’ira, dai sentimenti, é più curiosa e più impressionabile.Più cattiva e vogliosa di vendicarsi per la minima offesa; fa in fretta a disperarsi per qualsiasi sciocchezza, é pettegola: se una amica é strega, non vedrà l’ora di correre a spiattellarlo in giro.L’antifemminismo dei due autori del Malleus non era un’esclusiva della misoginia dei due domenicani, ma nasceva dalla mentalità dell’epoca, a sua volta radicata, come si è detto, nella misoginia che da tempi remotissimi ha accompagnato la storia dell’uomo. Per i grandi teologi e santi, Sant’Agostino, San Tommaso, Pietro Lombardo ed altri, la donna era situata nel livello inferiore dell’umanità; in quello superiore regnava l’uomo con la sua lungimiranza, la sua intelligenza, la sua virtù, la sua ragione.Lo storico Jean Boussuet sottolineò che, già nella Bibbia, le donne, prima ancora di quelle dell’epoca classica, furono la rovina di uomini come Davide, Salomone ed Erode."Le donne" scrisse Boussuet, "non hanno che da ricordarsi la loro origine: alla fin fine provengono da un osso." E ancora: "Satana, attraverso Eva, si preparava uno degli strumenti più validi per perdere il genere umano".Il passo che corre fra l’essere antifemministi e bruciare centinaia di migliaia di streghe, non è certo lunghissimo.In tutto il Medioevo e successivamente nel Rinascimento, più che mai nei grandi periodi delle cacce alle streghe, l’opinione che si aveva delle donne era pessima.Solo una ristretta cerchia di donne, nelle corti, era oggetto di venerazione di cavalieri e poeti, e poche erano le donne che, come Beatrice, indicavano all’uomo il cielo, con il grazioso ditino puntato verso l’alto.Nelle satire del basso Medioevo, nelle novelle, nei romanzi, fra cui il Roman de la rose, la donna veniva descritta rispecchiando l’immagine che si aveva comunemente di lei, essere disprezzato, bersaglio di volgarità: causa di perdizione, fonte di inganni e perversioni.A dispetto di certe immagini iconografiche, che ci mostrano donne incantevoli, dal volto di bimbe innocenti e purissime, fra la gente comune, la donna era vittima di insulti, sbeffeggiata e svillaneggiata dai teologi giù, giù fino al teatro di piazza o agli stornelli popolari.Il poeta medievale Cecco Angiolieri affermava che: "La donna è radice, ramo e frutto di ogni male".La donna era reietta. La donna faceva parte dei diversi.La donna era ai margini di una società maschile che deteneva un potere assoluto.La donna non valeva nulla. La sua vita era irrilevante.La morte per parto di una contadina non suscitava gran rimpianto nel marito, che prontamente poteva sostituirla con un’altra; l’uomo batteva la testa nel muro se gli moriva una mucca redditizia e costosa.Nel Medioevo si composero epigrammi, carmi e poemi misogini, in cui gli autori si sbizzarrivano volgarmente ad elencare difetti delle donne, nel corpo e nella mente.Le pesanti ingiurie alle "disgustose" parti intime delle donne andavano di pari passo con quelle che la disprezzavano come essere umano: la donna è rapace, malefica, superba, vanagloriosa, bugiarda, dedita al vino e così via.Noto per i suoi epigrammi misogini fu il poeta Jacopone da Todi, famoso fra l’altro per darsi ai bagordi; sua moglie Vanna morì durante una festa perché, nel punto della casa in cui si trovava, sprofondò il pavimento; sul suo cadavere fu trovato un cilicio, con cui la donna, pur partecipando a orge e banchetti, si cingeva la vita all’uso dei Santi.Gli uomini venivano messi in guardia dagli orrori del matrimonio: "Se la donna è bella tutti gli uomini le corrono dietro, se è brutta è lei a correr dietro agli uomini; se è bella si ha l’ingrato compito di custodire qualcosa che altri desiderano; se è brutta si sopporta il peso di aver vicino qualcosa che nessuno brama".Ai tempi di Casanova, quindi in epoca assai più tarda, il famoso Don Giovanni riporta nelle sue memorie il dialogo fra due sacerdoti, suoi compagni di viaggio. I due prelati si domandavano se l’utero fosse un animale diabolico nascosto nel ventre femminile, o se fosse parte intrinseca della natura della donna e quindi delle sue stesse viscere."Dolor senza consiglio, sacco senza fondo, febbre continua che mai non fina, bestia insaziabile, foglia menata al vento, canna vuota, pazza scatenata, male senza niun bene, in casa un demonio, nel letto un cesso, nell’orto una capra, immagine del diavolo….".Sono parole di un canto popolare dell’epoca, riferito alla donna.Peggiore nella sua virulenza, fu l’antifemminismo religioso che predicava: "Fuggi la donna, arma del demonio, causa prima della nostra perdizione".Una sola donna, a quanto pareva, faceva eccezione: la madre di Cristo. Unica fra tute, la Madonna, in quanto generatrice di Nostro Signore, schiacciava con il piede il serpente, e veniva venerata ed invocata.Certo, era tollerata la moglie che assicurava la progenie, la madre che generava ed allevava i figli, la tessitrice operosa, la contadina instancabile, la vecchia fidata e silenziosa, la suora murata nella sua clausura, ma tutte le altre donne erano sospette: la giovane e bella suscitava odio e desideri, sentimenti pericolosamente ambivalenti; l’anziana diventava spesso spregevole, e la si "consigliava" a vestire di nero, a diventare invisibile, a non esserci.Se entrambe, la giovane e la vecchia, uscivano dal buio in cui dovevano rimaner confinate - l’una perché non maritata e non rinchiusa in convento, l’altra perché non più capace di generare, nubile o vedova - e si facevano erboriste, guaritrici, levatrici, o se in altro modo connotavano se stesse in un mondo maschile che le voleva prive di identità, ecco, Satana era in agguato.L’odio per la donna e la paura del diabolico si unirono in un connubio perverso e generarono la strega.Invertendo i termini, il risultato del connubio non cambia: la paura che da sempre incuteva la donna, unita all’odio per il diabolico che l’uomo medievale e rinascimentale scorgeva intorno a sé, generarono la strega.Se l’odio per Satana e l’ossessione della sua presenza nel mondo era una caratteristica dei tempi, lo era anche il disprezzo e l’ostilità verso le donne.Donna e strega diventarono inscindibili, dove c’era l’una poteva esserci l’altra.Accusate di stregoneria, fin dall’antichità, erano le donne che non rientravano nei ruoli consueti, o che pur rappresentandoli avevano in sé qualcosa di diverso dalle altre, un’ombra di ribellione, un barlume di consapevolezza di se stesse, un desiderio di conoscenza.L’accusa di stregoneria implicava automaticamente quella di rapporti carnali con il Demonio, unico in grado di soddisfare le voglie insaziabili attribuite, da sempre, alle femmine.Sul sesso femminile si accaniscono gli inquisitori, inventando il rito della rasatura dei peli del pube prima di sottoporre la strega alla tortura.Scrive la studiosa Elena Gianini Bellotti:"Non solo si vuole in questo modo infliggere un primo duro colpo a quel potere che nell’organo sessuale ha sede, non solo si vuole punire là dove si presume che esse, le streghe, abbiano peccato accoppiandosi con il Diavolo, ma violando la loro più segreta intimità di donne, si vuole infliggere un’umiliazione cocente che provochi una perdita di identità e di conseguenza la sottomissione incondizionata".Le streghe erano donne perché le donne erano considerate perverse. Si sarebbe dovuto dire: "La donna è strega, perché nella donna vediamo il Male".La strega, fra fanatismo religioso del Medioevo ed attivismo progressista del Rinascimento, attirava come un magnete gran parte delle paure secolari e religiose, le polarizzava e le irraggiava. Incenerire la strega significava esorcizzare la paura.La strega era il tramite fra il Male assoluto, Satana, ed i mali che affliggono e tormentano un’umanità incapace ormai di affidarsi totalmente alla fede in un Dio lontano, che troppo spesso pare cieco e sordo ai suoi lamenti. Un’umanità non ancora in grado di abbracciare il credo più laico di uno sviluppo materiale, improntato al progresso, affidato all’intelligenza umana.Lo spirito della città assediata compendiava questa mentalità scissa fra passato e futuro.Il trapasso epocale - che con la scoperta del Nuovo Mondo sarà ufficializzato come Età Moderna - era iniziato molto prima e rampollava da innumerevoli sedimenti del Medioevo, dalla sua mentalità, dai suoi costumi, dai residui di certe religioni arcaiche e dalla superstizione.
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