Il Mancuso debole piace a tutti

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S_Daniele
00giovedì 19 novembre 2009 14:12
Il Mancuso debole piace a tutti

Francesco Agnoli

Si intitola La vita autentica il nuovo saggio di Vito Mancuso, il teologo di maggior successo del mondo editoriale italiano. Mancuso torna alle origini, cioè pubblica con Raffaello Cortina, prestigiosa casa editrice che nel 2007 regalò il successo al suo L’anima e il suo destino.
Sembra quasi un tentativo di rifarsi una verginità intellettuale, dopo il volume “di cassetta” realizzato con Corrado Augias, Disputa su Dio (Mondadori), che lo trascinò, suo malgrado, in
un’imbarazzante polemica
.
Si trattava infatti di un testo scontato, in cui il credente Mancuso e l’ateo Augias, dopo aver identificato un nemico comune (la Chiesa cattolica), duellavano stando attenti, soprattutto, a non ferirsi. Poi scoppiò, grazie a Libero e al Foglio,
lo scandalo
: si scoprì che Augias, oltre alle numerosissime imprecisioni, alle forzature storiografiche e al procedere traballante, aveva prelevato di peso dalla rete, senza citare la fonte, un brano del sociobiologo E. O. Wilson. Augias si difese in modo impacciato, e Mancuso si dichiarò offeso e sminuito dal procedere poco “scientifico” del collega.
Eppure Mancuso, prima di Disputa su Dio e prima di divenire, sulle pagine di Repubblica, il teologo “cattolico” funzionale alla crociata antiberlusconiana, aveva esordito con un testo filosofico- teologico di un certo spessore e con articoli profondi sul Foglio.

Al bando l’oscurità

Dopo essere divenuto col tempo, e la fama, il giornalista qualunquista di Repubblica che spara un giorno sul papa e un giorno sul premier, mescolando sovente i due obiettivi con furore ideologico, deve aver pensato che tutto sommato non è male per un teologo tornare a parlare di “anima” e di questioni spirituali. È nato così il saggio La vita autentica. Anche questa volta il testo è potenzialmente appetibile al grande pubblico. Anche perché è scritto con eleganza e chiarezza. Bisogna riconoscere che l’autore sa essere accattivante e, soprattutto, sa schivare l’oscurità tipica di molti filosofi e teologi. In verità, però, nelle poche pagine del saggio, Mancuso esprime concetti piuttosto banali. Sostiene, a esempio, che l’uomo “autentico” è quello che «ama sopra ogni cosa la verità», e che per questo deve essere incline da una parte a «essere fedele a se stesso», dall’altra a «diffidare di sé», «a trascendersi», a riconoscere la propria miseria.
Un simile pensiero mi appare certamente condivisibile, anche se non è chiaro cosa alla fine Mancuso intenda per “verità”, e non vi sono mai esempi concreti, tratti a esempio dalla riflessione bioetica un tempo a lui cara, che lo rendano comprensibile. Si tratta di un modo di procedere tipico, questo, di un certo mondo cattolico progressista, che non rinuncia alle belle proposizioni di principio, ma omette poi di calarle nella realtà per non urtare nessuno. Insomma un pensiero debole, seppure non debolissimo, che può piacere a tutti, e che, se non piace, quantomeno non urta.
Un altro concetto trascinato per svariate pagine, anch’esso di massima condivisibile, è quello secondo cui la vita non è univocamente interpretabile in ogni momento allo stesso modo: essa ci mette talora dinanzi alla contemplazione di un ordine, di un’armonia, di un Mistero buono e provvidenziale, mentre in altri momenti sembra rivelarsi come assurda, insensata, piena di dolori e interrogativi inevasi. Proseguendo, Mancuso prende le distanze da molti campioni dello scientismo contemporaneo per i quali la casualità dell’esistenza umana e dell’universo, il fatto che «moriamo quindi per caso come per caso siamo nati» (Boncinelli), sarebbe dimostrabile scientificamente: non mancano illustrissimi scienziati contemporanei, nota, da Dyson a De Duve, che la pensano all’opposto e che riconoscono anche nell’universo fisico una finalità e un senso. Il centro di tutto, conclude allora Mancuso, «la dimensione peculiare in cui l’Io ultimamente consiste», «è la libertà», ed essa non può essere negata né dalle neuroscienze, che non la sanno né possono spiegare, perché «non possono pensare a prescindere dalla materia», né dalle svariate forme di determinismo che tendono a ridurre l’uomo alle sue componenti materiali («Non siamo riducibili ai neuroni, o alle ossa e ai nervi»).
La libertà, infatti, è per definizione «autonomia dalla materia», capacità dell’uomo di elevarsi sopra le sue determinazioni biologiche e istintive, a differenza delle pietre, delle piante e degli animali. Così, per una volta, il teologo torna a parlare quantomeno di anima, di verità, di bene, di libertà, le parole che forse, anche perché sempre più desuete, avevano affascinato i suoi primi lettori. Ma lo fa con quella leggerezza, si diceva, che sterilizza anche le idee più nobili e le rende sostanzialmente inerti. Come si declina, concretamente, la libertà? Quali sono, se ne ha, i suoi limiti? Esiste una Verità alla luce della quale giudicarla, cioè a essa superiore? Queste e altre domande fondamentali rimangono inevase, mentre al lettore, alla fine del libro, ne sorgono delle altre.

Un duplice volto

Qual è il Mancuso “autentico”? Quello che fu sacerdote di Santa Romana Chiesa, o quello che non perde occasione per gettare ogni sorta di veleno su di essa, criticando non l’infedeltà, inevitabile, di alcuni suoi membri, ma l’istituzione stessa? Quello vero è il Mancuso che
una volta scoperti i copia e incolla del suo amico Corrado Augias
, ne prende pubblicamente le distanze, o quello che continua a presentare con lui, in giro per il Paese, il fortunato (economicamente) libro scritto insieme?
L’autentico, ancora, è quello che si scandalizza per le avventure dongiovannesche del premier, e lancia pesanti anatemi contro chiunque semplicemente lo saluti, o quello che scrive su un quotidiano da sempre molto libertino, il cui fondatore Eugenio Scalfari, nell’autobiografia, racconta tranquillamente di aver fatto le sue prime esperienze col gentil sesso, per vincere la «timidezza», in un bordello? Quello vero è il teologo che ha rivendicato l’umanità dell’embrione e del feto, nei suoi scritti passati, o quello che dinanzi alla legalizzazione della Ru 486 finisce come sempre per prendersela col Papa e col governo?

© Copyright Libero
S_Daniele
00domenica 21 febbraio 2010 07:04

Magister: "Mancuso, un modernista pieno di ragnatele"

di Sandro Magister

Sull’ultimo numero de “La Civiltà Cattolica“, con l’imprimatur delle autorità vaticane, il teologo gesuita Giovanni Cucci stronca l’ultimo libro di Vito Mancuso, “La vita autentica

Verso la fine della recensione, padre Cucci scrive:

“Mettendo a confronto le varie parti del libro, il meno che si possa dire è che la conduzione del discorso risulta molto ambigua ed equivoca, per non dire contraddittoria. In fin dei conti, per Mancuso, Dio è necessario o no ai fini del discorso sull’autenticità? Le risposte che giungono dal libro non consentono di stabilirlo, poiché si afferma in una pagina quanto viene negato alla pagina successiva.

“La prospettiva di un orizzonte impersonale non risulta soltanto insostenibile in sede filosofica. Resterebbe da chiedersi come Mancuso, escludendo dal suo discorso la possibilità di Dio, possa ancora presentarsi come un teologo cristiano, e su che cosa verta a questo punto l’indagine della sua disciplina, ammesso che le parole conservino ancora un senso”.

*

Intanto, però, la carovana di Mancuso gira per l’Italia, al traino di quell’astuto imprenditore culturale che è Corrado Augias.

Mercoledì 17 febbraio il “teologo” ha fatto tappa a Firenze. Dove ha incrociato la penna affilata di Pietro De Marco, che l’indomani, sull’inserto fiorentino del “Corriere della Sera”, l’ha sistemato così:

LA MACCHINA DEL TEMPO. UN CONFRONTO SULLA FEDE VECCHIO DI UN SECOLO

Le formula “Leggere per non dimenticare”, che intitola a Firenze una nutrita, seguitissima serie di presentazioni di libri e autori, suonava particolarmente convincente ieri al pubblico più provveduto. Il confronto tra Vito Mancuso, che “insegna teologia” all’università privata Vita-Salute di Milano, e Corrado Augias, giornalista e autore-conduttore di programmi televisivi, ricordava infatti i toni e i contenuti di una tipica discussione d’inizio Novecento, tra un intellettuale cattolico modernista e un divulgatore agnostico e anticlericale.

Mancuso ha ripetuto, con una semplificazione che è già tutta nei suoi libri, qualcosa che il secolo scorso ha conosciuto fino alla nausea e al rigetto, filosofico e teologico. La fede è esperienza vitale, nasce dalla Vita, sussiste, se resta autentica, nella Vita; le religioni vengono dopo, interpretano variamente l’Esperienza, le si aggiungono come sovrastrutture; la Realtà è un tutto energetico, percorso come da una “corrente elettrica” che è la modalità autentica dell’esistere; il Dio personale del cristianesimo è teologia infantile o erronea, da superare, al pari di altri fondamenti della fede cristiana come il peccato, il male, l’immortalità dell’essere personale creato.

In un libretto recente, “La vita autentica”, il nostro “teologo” scrive: “Essendo tutto dominato dalla logica evolutiva, non esiste alcun punto fermo, se con fermo si intende qualcosa di statico e di immobile [...]. Dio è un punto fermo [...] nel senso di immutabile quanto alla dinamica del suo movimento vitale che è l’amore [...]. E va da sé che, non essendo Dio, a maggior ragione non sono punto fermo né la Bibbia [...] né la Chiesa con il suo magistero dottrinale [...], il quale parla veramente nel nome del Dio vivo solo se consente e incrementa il creativo dinamismo della libertà”. Un linguaggio disarmante, che non accetterei nella tesina di uno studente.

Mancuso aggiunge che “il punto in base al quale pensare me stesso e gli altri [...] non è statico, ma è dinamico, e tuttavia è fermo”. Per lui “il punto fermo di tipo dinamico” è una essenziale libertà non anarchica, un principio guida dell’essere. Un punto archimedeo. Sulla sua base, scrive: “sollevo me stesso, posso prendere in mano la mia vita, so cosa sono, attivo la mia natura profonda”.

Questo monismo energetico, disperante nella sua dogmaticità, può certamente apparire frutto di un tardo, sfilacciato New Age. La Rivelazione, le Rivelazioni, sono accessorie. Ma il sostrato teorico di Mancuso è ben descritto da molti passi di un testo scritto più di cento anni fa.

L’enciclica “Pascendi“, del settembre 1907, prima che condannare diagnosticava magistralmente derive simili. Per i modernisti, scriveva, “nel sentimento religioso si deve riconoscere come un’intuizione del cuore”; essa “mette l’uomo in contatto immediato la realtà stessa di Dio”, così “chiunque abbia questa esperienza diventa credente in senso vero e proprio”. Il filosofo religioso di tipo modernista divinizza sia il Cosmo sia il suo Principio immanente. Vale la pena di rileggere l’enciclica di Pio X, una diagnosi che fu giudicata in molte cerchie filosofiche un capolavoro. E che, perfetta per l’oggi, rivela il suo valore predittivo.

Da anni, leggendo Mancuso, sono diviso tra lo stupore per una cultura, filosofica e teologica, approssimativa ed esibita, e la riflessione sul suo successo. Che Augias abbia catturato Mancuso in un libro a due, che si vende molto, e che se lo porti dietro in un inesausto calendario di incontri, ha una sua logica. Mancuso produce, infatti, più danni nella religiosità comune e cattolica che la cultura ottocentesca del giornalista de “la Repubblica”. Dopo Adriano Prosperi, e altri, la coppia Mancuso-Augias garantisce una solida continuità di polemica anticattolica. Augias ha avuto persino il cattivo gusto di polemizzare a Firenze col suo “arcivescovo retrivo”.

Ma che la minoranza cattolica che legge di “teologia” accetti enunciati vitalistici che Max Weber avrebbe detto da rivista salottiera (“la vera fede si nutre delle interrogazioni radicali della vita perché sa di essere al servizio della vita”); e li accetti come “metodo” e come via d’uscita da quello che il nostro “teologo” definisce le incapacità teologiche della dommatica cattolica (che non conosce), produce allarme. Chi ha decostruito l’intelletto cattolico a questo punto?

(Di Pietro De Marco, Firenze, 18 febbraio 2010).

Messainlatino
S_Daniele
00lunedì 12 luglio 2010 16:16

Vito Mancuso 'smascherato' già da S. Pio X con l'enciclica Pascendi

di Pietro De Marco


UN CONFRONTO SULLA FEDE VECCHIO DI UN SECOLO


La formula “Leggere per non dimenticare”, che intitola a Firenze una nutrita, seguitissima serie di presentazioni di libri e autori, suonava particolarmente convincente ieri al pubblico più provveduto. Il confronto tra Vito Mancuso, che “insegna teologia” all’università privata Vita-Salute di Milano, e Corrado Augias, giornalista e autore-conduttore di programmi televisivi, ricordava infatti i toni e i contenuti di una tipica discussione d’inizio Novecento, tra un intellettuale cattolico modernista e un divulgatore agnostico e anticlericale.

Mancuso ha ripetuto, con una semplificazione che è già tutta nei suoi libri, qualcosa che il secolo scorso ha conosciuto fino alla nausea e al rigetto, filosofico e teologico. La fede è esperienza vitale, nasce dalla Vita, sussiste, se resta autentica, nella Vita; le religioni vengono dopo, interpretano variamente l’Esperienza, le si aggiungono come sovrastrutture; la Realtà è un tutto energetico, percorso come da una “corrente elettrica” che è la modalità autentica dell’esistere; il Dio personale del cristianesimo è teologia infantile o erronea, da superare, al pari di altri fondamenti della fede cristiana come il peccato, il male, l’immortalità dell’essere personale creato.

In un libretto recente, “La vita autentica”, il nostro “teologo” scrive: “Essendo tutto dominato dalla logica evolutiva, non esiste alcun punto fermo, se con fermo si intende qualcosa di statico e di immobile [...]. Dio è un punto fermo [...] nel senso di immutabile quanto alla dinamica del suo movimento vitale che è l’amore [...]. E va da sé che, non essendo Dio, a maggior ragione non sono punto fermo né la Bibbia [...] né la Chiesa con il suo magistero dottrinale [...], il quale parla veramente nel nome del Dio vivo solo se consente e incrementa il creativo dinamismo della libertà”. Un linguaggio disarmante, che non accetterei nella tesina di uno studente.

Mancuso aggiunge che “il punto in base al quale pensare me stesso e gli altri [...] non è statico, ma è dinamico, e tuttavia è fermo”. Per lui “il punto fermo di tipo dinamico” è una essenziale libertà non anarchica, un principio guida dell’essere. Un punto archimedeo. Sulla sua base, scrive: “sollevo me stesso, posso prendere in mano la mia vita, so cosa sono, attivo la mia natura profonda”.

Questo monismo energetico, disperante nella sua dogmaticità, può certamente apparire frutto di un tardo, sfilacciato New Age. La Rivelazione, le Rivelazioni, sono accessorie. Ma il sostrato teorico di Mancuso è ben descritto da molti passi di un testo scritto più di cento anni fa.

L’enciclica “Pascendi“, del settembre 1907, prima che condannare diagnosticava magistralmente derive simili. Per i modernisti, scriveva, “nel sentimento religioso si deve riconoscere come un’intuizione del cuore”; essa “mette l’uomo in contatto immediato la realtà stessa di Dio”, così “chiunque abbia questa esperienza diventa credente in senso vero e proprio”. Il filosofo religioso di tipo modernista divinizza sia il Cosmo sia il suo Principio immanente. Vale la pena di rileggere l’enciclica di Pio X, una diagnosi che fu giudicata in molte cerchie filosofiche un capolavoro. E che, perfetta per l’oggi, rivela il suo valore predittivo.

Da anni, leggendo Mancuso, sono diviso tra lo stupore per una cultura, filosofica e teologica, approssimativa ed esibita, e la riflessione sul suo successo. Che Augias abbia catturato Mancuso in un libro a due, che si vende molto, e che se lo porti dietro in un inesausto calendario di incontri, ha una sua logica. Mancuso produce, infatti, più danni nella religiosità comune e cattolica che la cultura ottocentesca del giornalista de “la Repubblica”. Dopo Adriano Prosperi, e altri, la coppia Mancuso-Augias garantisce una solida continuità di polemica anticattolica. Augias ha avuto persino il cattivo gusto di polemizzare a Firenze col suo “arcivescovo retrivo”.

Ma che la minoranza cattolica che legge di “teologia” accetti enunciati vitalistici che Max Weber avrebbe detto da rivista salottiera (“la vera fede si nutre delle interrogazioni radicali della vita perché sa di essere al servizio della vita”); e li accetti come “metodo” e come via d’uscita da quello che il nostro “teologo” definisce le incapacità teologiche della dommatica cattolica (che non conosce), produce allarme. Chi ha decostruito l’intelletto cattolico a questo punto?

Fonte:
raivaticano.blog.rai.it
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