il comunismo e' dittatura
La ideologia comunista professava l'odio di classe, l'odio contro i capitalisti, l'odio contro la Democrazia rappresentativa e lo stato di diritto costituzionale definito "borghese" con disprezzo.
La ricetta comunista prevedeva la lotta armata (rivoluzione) e la dittatura del proletariato cioe' poi in pratica vera la dittatura del partito comunista a nome e per conto del proletariato (si veda il discorso sui "rivoluzionari di professione" di Lenin).
La ricetta comunista prevedeva la Statizzazione di tutti i mezzi di produzione e scambio. L'economia comunista era basata infatti sullo Stato padrone e pianificatore.
Il sistema comunista realizzato in URSS come in altri paesi che ebbero regimi socialcomunisti non era affatto una "aberrazione" della ricetta di Marx e Lenin. Anzi ne costituiva la sua realizzazione pratica al 90%.
Quel poco che non fu realizzato dipendeva per esempio dal fatto che non e' vero che lo Stato si "estingue" con la ricetta comunista e che non si puo' abolire la moneta come vagheggiava la parte piu' utopisticia ed anarcoide della ideologia comunista.
Ovunque i comunisti sono stati al potere sul Pianeta hanno creato dittature dispotiche e totalitarie. Hanno creato cioe' il comunismo che e' un sistema totalitario. Il Partito comunista e' il partito unico. Tutto e' di Stato. Lo Stato e' del Partito. Il Partito e' del comitato centrale, i Rivoluzionari di Professione della ricetta Leninista.
Manca nei cromosomi comunisti la ripugnanza morale per la violenza. Anzi i comunisti affermavano con Lenin che "la violenza e' la locomotiva della Storia".
Per i comunisti tutti era da buttare via: l'economia di mercato, lo Stato democratico, l'elettoralismo, il parlamentarismo fino anche al riformismo socialdemocratico.
Per i comunisti l'unica soluzione era la Rivoluzione cioe' lotta armata per il potere cioe' colpo di Stato, la dittatura del partito comunista e la statizzazione dei mezzi di produzione e scambio per creare la tanto agognata societa' comunista o socialista reale che dir si voglia in pratica e' lo stesso.
Attenzione! Non si confonda il comunismo o socialismo reale con il socialismo inteso come idea umanitaria.
Con i Partiti socialisti democratici, con i socialisti riformisti come Turati per esempio.
Il socialismo come umanesimo e' giusto.
Il comunismo o socialismo reale e' sbagliato perche' esso e' davvero un progetto totalitario.
La profonda diversità nella sinistra apparve con maggiore chiarezza quando i comunisti russi si impossessarono del potere in Russia. Si contrapposero e si scontrarono concezioni opposte. Infatti c’era chi, come i Comunisti e Socialisti rivoluzionari aspirava a riunificare il corpo sociale attraverso l’azione dominante dello Stato e c’era chi, come i Socialisti riformisti, auspicava il potenziamento e lo sviluppo del pluralismo sociale e delle libertà individuali. Riemerse così il vecchio dissidio fra statalisti e antistatalisti, autoritari e libertari.
La divisione si riflesse a grandi linee nell’esistenza di due distinte organizzazioni internazionali della sinistra, quella socialdemocratica e quella comunista.
I Comunisti e Socialisti Marxisti, eredi della tradizione giacobina, si raggrupparono sotto la bandiera del marxismo-leninismo, mentre i Socialisti democratici riformisti volevano rimanere nell’alveo della tradizione pluralistica della civiltà occidentale.
Il comunista vuole la soppressione del mercato, la Statalizzazione integrale della società e la cancellazione di ogni traccia di individualismo.
Il socialista democratico progetta di instaurare il controllo democratico dell’economia e lavora per il potenziamento della società rispetto allo Stato e per il pieno sviluppo della personalità individuale.
Lo stesso Proudhon, da socialista umanitario, ci ha lasciato una descrizione profetica di che cosa avrebbe generato l’istituzionalizzazione del rigido modello comunista:
«la sfera Statale porterà alla fine di ogni proprietà; l’associazione provocherà la fine di tutte le associazioni separate e il loro riassorbimento in una sola; la concorrenza, rivolta contro se stessa, porterà alla soppressione della concorrenza; la libertà collettiva, infine, dovrà inglobare le libertà cooperative, locali e particolari».
Conseguentemente sarebbe nata «una societa' compatta fondata in apparenza sulla dittatura delle masse, ma in cui le masse avrebbero avuto solo il potere di garantire la servitù universale, secondo le formule e le parole d’ordine prese a prestito dal vecchio assolutismo riassumibili:
- accentramento del potere nelle mani dello Stato;
- distruzione sistematica di ogni pensiero individuale, cooperativo e locale, ritenuto scissionistico;
- polizia inquisìtoriale;
- abolizione o almeno restrizione della famiglia e, a maggior ragione, dell’eredità;
- suffragio universale organizzato in modo tale da sanzionare continuamente questa sorta di anonima tirannia, basata sul prevalere di soggetti mediocri o perfino incapaci e sul soffocamento degli spiriti indipendenti, denunciati come sospetti e, naturalmente, inferiori di numero».
Qui, come si vede, Proudhon indica che cosa non doveva essere il socialismo e contemporaneamente che cosa sarebbe diventata la società se fosse prevalso il modello comunista basato sulla Statizzazione integrale dei mezzi di produzione e sulla soppressione del mercato.
La storia purtroppo ha portato qualche elemento di fatto a sostegno della sua previsione. Il comunismo, messi in disparte tutti i valori, le istituzioni e i principi della civiltà moderna, li ha sostituiti con un modello di vita Statalista, burocratico e autoritario, cioè con un sistema pre-moderno.
Il carattere autoritario di ciò che viene chiamato il comunismo non è una deviazione rispetto alla dottrina, una degenerazione frutto di una data somma di errori, bensì la concretizzazione delle implicazioni logiche dell’impostazione rigidamente collettivistica originariamente adottata. L’esame dei fondamenti essenziali del leninismo non può che confermare tale tesi.
Fino alla pubblicazione di «Che fare?» Lenin fu sostanzialmente un comunista marxista ortodosso: credeva che il comunismo si sarebbe realizzato solo nei paesi capitalisti avanzati e solo a condizione che la classe operaia avesse raggiunto un elevato grado di coscienza politica e di maturità culturale. Ma in «Che fare?» queste tesi sono letteralmente rovesciate. Dalla teoria e dalla prassi del pensiero socialista democratico europeo si passa a uno schema comunista o socialista rivoluzionario giacobino.
Lenin stesso definisce il rivoluzionario marxista «un giacobino al servizio della classe operaia» e propone di creare un partito composto esclusivamente di «rivoluzionari di professione». Così la societa' comunista o socialista reale che dir si voglia diventa qualcosa che deve essere pensato, costruito e diretto da una élite selezionata di individui posti al di sopra della massa, i capi del partito comunista, "Rivoluzionari di Professione".
Lenin comincia col distinguere due forme o gradi di percezione della realtà: la «spontaneità» e la «coscienza»: solo la seconda permette di anti-vedere i fini ultimi della Storia. Successivamente Lenin afferma perentoriamente che gli operai non possono avere il tipo di visione del reale che è proprio della coscienza poiché privi del sapere filosofico e scientifico. Essi, abbandonati alle loro tendenze spontanee, sono condannati a muoversi entro l’ambito delle leggi del sistema. Tutt’ al più possono raggiungere una «coscienza sindacale» dei loro interessi immediati, non già una coscienza politica che può essere prodotta solo al di fuori della loro condizione di classe. E i «portatori esterni» della «giusta coscienza», sono sempre secondo Lenin,gli intellettuali.
Ad essi, quindi, spetta il ruolo storico organizzativo e dirigente del movimento dei lavoratori. Date queste premesse, ovviamente il soggetto rivoluzionano non può essere la classe operaia bensì il corpo scelto degli intellettuali che si sono consacrati alla rivoluzione comunista. Il pericolo che gli anarchici russi avevano sottolineato con estrema energia e cioè che la classe operaia fosse «colonizzata» dagli intellettuali declasses che entravano in un movimento socialista quali «tribuni della plebe» diviene con il «Che fare?» una realtà.
Il comunista russo Lenin teorizza infatti con grande franchezza il "diritto-dovere" degli intellettuali guidati dalla «scienza marxista» di sottoporre la classe operaia alla loro direzione. L’ammissione storica che Marx aveva assegnato al proletariato doveva raccogliersi nelle mani dell’intelligencija rivoluzionaria.
In effetti «Che fare?» apparve a molti come un’aggressiva ripresa del progetto di Robespierre, che già molte scuole socialiste europee avevano definito come una sorta di "dispotismo socialista".
Il modello di partito ideato da Lenin e una istituzione resa monolitica dal vincolo dell’ortodossia e dal principio della subordinazione assoluta e senza riserve delle volontà individuali alla volontà collettiva. Il partito comunista bolscevico fu sin dal suo atto di nascita, una organizzazione ferreamente disciplinata e impegnata nella diffusione su scala planetaria del comunismo , interpretato come una dottrina a carattere salvifico, cioè una setta di «veri credenti» che in nome del proletariato riteneva di avere il "diritto-dovere" di instaurare il suo dominio totale sulla società per rigenerarla.
Come ha scritto Isaak Deutscher «poiché la classe operaia non era là (dove sarebbe dovuta esserci per esercitare la direzione) i bolscevichi decisero di agire come suoi luogotenenti e fiduciari fino al momento in cui la vita fosse diventata più normale e una nuova classe lavoratrice si fosse affermata e sviluppata. Per questa strada naturalmente si giungeva alla dittatura della burocrazia, al potere incontrollato e alla corruzione attraverso il potere».
Ma, occorre ripeterlo, tale paradossale fenomeno - la dittatura del proletariato senza il proletariato, la «dittatura per procura» esercitata in nome e per conto della classe da parte del Partito Comunista - non può essere considerato in conseguenza non prevista e non prevedibile.
Con il successo storico-politico del leninismo la logica giacobina con tutte le sue componenti vecchie e nuove che sfociano nella dittatura rivoluzionaria prende il sopravvento sulla logica pluralistica e democratica dei socialisti e la Russia si incammina sulla strada del comunismo.
Ora, dato che la meta finale indicata da Lenin e da tutti i comunisti era la società senza classi e senza Stato, si potrebbe parlare di «aterogenesi dei fini» nel senso che i mezzi adoperati hanno fagocitato l’ideale.
Il Partito Comunista al potere sarebbe, da questo punto di vista, la dimostrazione che non è possibile scindere i mezzi dai fini e che la storia non è «razionale» bensì «ironica» e persino «crudele».
Pure la meta finale dei Comunisti resta la società senza Stato, cioè «il paradiso in terra» (Lenin) successivo alla «resurrezione dell’umanità» (Bucharin). Talché si può dire che la meta finale indicata dal progetto comunista è«un Regno di Dio senza Dio», cioè la costruzione reale del regno millenario di pace e di giustizia illusoriamente promesso del messianesimo giudaicocristiano. Non è certo un caso, dunque, che Gramsci sia arrivato a definire il marxismo «la religione che ammazzerà il cristianesimo» realizzando le sue esaltanti promesse e facendo passare dalla potenza all’atto l’ideale della società perfetta.
Se questa interpretazione del leninismo è corretta, allora la contrapposizione fra socialismo democratico e comunismo è certo molto profonda. Il comunismo leninista ha mire palingenetiche:è una religione travestita da scienza che pretende di aver trovato una risposta a tutti i problemi della vita umana. Per questo non ha voluto tollerare rivali ed è in una parola «totalitario».
Il leninismo nella misura in cui aspira a rigenerare la natura umana,a creare un mondo purificato da ogni negatività, a porre fine allo scandalo del male, è una dottrina millen aristica che, una volta al potere, non può produrre uno Stato ideologico retto una casta.
Anche il comunista Gramsci ha teorizzato senza perifrasi la natura «totalitaria» e persino «divina» del partito comunista, che non a caso ha definito “ il focolare della fede e il custode della dottrina comunista».Il Partito Comunista marxista-leninista in quanto incarna il progetto di disalienazione totale dell’umanità, è una istituzione carismatica che racchiude in sè tutte le verità e tutta la moralità della toria. Esso esprime l’etica la scienza del «proletariato ideale» che deve illuminare il «proletariato reale» e indicargli «la via della salvezza» (come si legge nella risoluzione del secondo Congresso della Internazionale Comunista).
Nelle, sue mani ci sono «le chiavi della storia» poiché esso orienta sua azione alla luce dell‘unica dottrina che sia scientifica e salvifica ad un tempo. Per questo il comunismo non può venire a patti con lo spirito critico, dubbio metodico, la pluralità delle filosofie, insomma con tutto ciò che rappresenta il patrimonio culturale della civiltà occidentale laica e liberale. Esso, come soleva ricordare Bertrand Russell a coloro che si facevano un’immagine mitologica del marxismo-leninismo, si fonda sull’idea che deve esistere un’autorità ideologica (il partito) che stabilisce autocraticamente i confini che separano il bene dal male, il vero dall’errore, l’utile dal dannoso. Di qui l’elevazione del marxismo a filosofia (obbligatoria) di Stato, l’istituzionalizzazione dell’inquisizione rivoluzionaria, la lotta accanita e spietata contro i devianti, i dissidenti e gli eretici.
Rispetto alla ortodossia del comunista, il socialista è democratico, laico e pluralista. Non intende elevare nessuna dottrina al rango di ortodossia, non pretende porre i limiti alla ricerca scientifica e al dibattito intellettuale, non ha ricette assolute da imporre. Riconosce che il diritto più prezioso dell’uomo è il diritto all’errore. E questo perché il socialista non intende porsi come surrogato, ideale e reale, delle religioni positive. Il socialista ha un progetto etico-politico che si inserisce nella tradizione dell’illuminismo riformatore e che può essere sintetizzato nei seguenti termini: socializzazione dei valori della civiltà liberale, diffusione del potere, distribuzione ugualitaria della ricchezza e delle opportunità di vita, potenziamento e sviluppi degli istituti di partecipazione delle classi lavoratrici ai processi decisionali. Carlo Rosselli definiva appunto il socialismo come un liberalismo organizzatore e socializzatore.
Dalla pretesa che il comunista ha di fare «l’uomo nuovo» deriva del tutto logicamente il disegno di ristrutturare tutto il campo sociale secondo un criterio unico e assolutamente vincolante. Il principio di fondo è stato formulato da Lenin in termini inequivocabili: «il partito tutto corregge designa e dirige in base a un criterio unico» al fine di sostituire «l’anarchia del mercato» con la “centralizzazione assoluta".
E in effetti, del tutto coerentemente con la dottrina, i comunisti russi non appena conquistarono lo Stato incominciarono a distruggere sistematicamente, metodicamente, ogni centro di vita autonoma e operarono in modo da concentrare tutto il potere politico, economico e spirituale in un’unica struttura di comando l’apparato del partito. E chi dice apparato dice, controllo integrale della società da parte degli amministratori universali. Fu così che prese corpo lo Stato padrone di ogni cosa, delle risorse economiche delle istituzioni degli uomini e persino delle idee. L’autonomia della società civile fu intenzionalmente soffocata, la spontaneità sociale limitata o soppressa, l’individualismo ridotto ai minimi termini.
Il grande paradosso della ricetta comunista
Ma, evidentemente tutto ciò implica la burocratizzazione integrale della società la quale come si legge in «Stato e rivoluzione», diventa per ciò stesso «un unico ufficio ed un unico stabilimento industriale» diretto dall’alto dell’apparato del partito che vigilerà sugli uomini affinché essi non deviino dalla retta via fissata dall’ortodossia. Di qui la descrizione del progetto comunista data da Gilas:
«Lo Stato comunista opera per raggiungere la completa spersonalizzazione dell’individuo, delle nazioni e anche dei propri appartenenti. Aspira a trasformare la società intera in una società di funzionari. Aspira a controllare, direttamente o indirettamente, salari e stipendi, alloggi e attività intellettuali». Analogamente Pierre Naville ha scritto che «la burocrazia nel socialismo di Stato gode di uno statuto fino ad oggi sconosciuto: di fatto essa controlla la totalità della vita economica, ed esercita questo controllo dall’alto... E’ nel comunismo reale che la burocrazia mostra finalmente la su reale natura: essa è l’organizzazione gerarchica applicata a tutto, l’armatura reale della vita sociale e privata, il comando su ogni cosa. Essa incarna lo Stato nella sua doppia dimensione nazionale e nel suo imperialismo internazionale».
A questo punto possiamo trarre alcune conclusioni di ordine generale. Leninismo e pluralismo sono termini antitetici se prevale il primo muore il secondo.
La democrazia presuppone l’esistenza di una pluralità di centri di poteri (economici, politici, religiosi, etc.) in concorrenza fra di loro, la cui dialettica impedisce il formarsi di un potere assorbente e totalitario.
Di qui la possibilità che la società civile abbia una certa autonomia rispetto allo Stato e che gli individui e i gruppi possano fruire di zone protette dall’ingerenza della burocrazia. La società pluralistica inoltre è una società laica nel senso che non c’è alcuna filosofia ufficiale di Stato, alcuna verità obbligatoria. Nella società democratica e pluralistica la legge della concorrenza non opera solo nella sfera dell’economia, ma anche in quella politica e in quella delle idee.
Il che presuppone che lo Stato è laico solo nella misura in cui non pretende di esercitare, oltre al monopolio della violenza, anche il monopolio della gestione dell’economia e della produzione scientifica. In breve:l’essenza del pluralismo è l’assenza del monopolio.Tutto il contrario delle tendenze che si sono affermate nel sistema comunista.
I veri comunisti marxisti-leninisti non possono tollerare contropoteri, ideali comunitari diversi da quello comunista. Per questo essi sentono di avere il diritto-dovere di imporre il comunismo ai recalcitranti. Per questo Gramsci aveva teorizzato la figura del moderno Principe come «il solo regolatore» della vita umana.
La meta finale utopica dei comunisti è la società senza Stato, ma per giungervi occorre Statalizzare ogni cosa. Questo in sintesi è il grande paradosso della ricetta comunista.
Ma come è mai possibile estrarre la libertà totale dal potere totale?
Invece di potenziare la società contro lo Stato, si è reso onnipotente lo Stato con le conseguenze previste da tutti gli intellettuali della sinistra socialdemocratica che hanno visto nel monopolio delle risorse materiali e intellettuali la matrice dell’autoritarismo comunista.