Snowolverine
00martedì 27 gennaio 2015 14:22
Oggi, alle ore 17:00, presso la Sala del Capitano di Palazzo S.Giogio, in Via della Mercanzia 2, Genova, si terrà un incontro dove, tra le altre cose, si tratterà della risorsa del titanio del Beigua.
Relazioni introduttive
Carlo Alberini, architetto
Franco Manzitti, giornalista
Moderatore Luigi Leone, direttore di Primocanale
Intervengono
Stefano Bernini, Vice Sindaco del Comune di Genova
Claudio Burlando, presidente Regione Liguria
Luigi Merlo, presidente Autorità Portuale di Genova
Sono stati invitati: Antonio Benvenuti, console della Compagnia Unica, Tirreno Bianchi, console della Compagnia Pietro Chiesa, Fabio Capocaccia, presidente CISEI, Federico Garaventa, presidente Assedil, Paolo Odone, presidente Camera di Commercio, Giuseppe Zampini, presidente Confindustria.
Intanto, per rinfrescare le idee a chi ne avesse bisogno, riporto un articolo di Franco Manzitti dal Secolo XIX del 1 Febbraio 2013.
BEIGUA, OPERAZIONE TITANIO: TESORO DA 500 MILIONI l'ANNO.
Genova - Siamo seduti su una montagna di soldi e non lo sappiamo, o ce lo siamo dimenticati. Questa montagna è in Liguria, a 10 chilometri dal mare, tra Sassello e Urbe e nasconde il più grande giacimento di titanio che esista in Europa, più di 400 milioni di tonnellate di uno dei metalli più preziosi e utili nell’industria moderna.
Questa montagna, che si chiama con il gergo di quei monti ancora Appennini, ma già quasi Alpi, Bric Tarinè, sta piantata nel cuore del Grande Parco del Beigua, oasi naturale protetta e blindata da una legge regionale ligure del 1996, area incontaminata, quasi deserta, incantata di boschi e silenzi ovattati dalla altitudine, lassù dove negli ultimi mesi sono ricomparsi i lupi, ripopolati nel gelo di inverni nuovamente duri. È un tesoro nascosto, ma già scoperto, già misurato, tonnellata per tonnellata, chilo per chilo, si può quasi dire etto per etto. Quasi 400 milioni di tonnellate di rutilio, la forma mineralogica con la quale si presenta il titanio.
Il giacimento nascosto
Dorme, questo giacimento preziosissimo, da millenni in un ammasso di rocce che sono disseminate per una superficie di 500 metri per 1.800, a serpentine in salita, tra i 400 e i 900 metri di altitudine del Bric Tarinè, a un tiro di fucile da Piampaludo, frazione montana, quattro case, due strade provinciali, quasi mulattiere asfaltate che salgono da San Pietro D’Olba a Piampaludo. Siamo a trenta chilometri dall’autostrada Voltri-Alessandria.
Dorme sepolto dalla neve e dal silenzio sulla sua esistenza questo tesoro, ma è un sorvegliato speciale, perché le compagnie estrattive chiedono dagli anni Settanta alla Regione Liguria di sfruttare una concessione accordata nel marzo del 1976 e poi congelata.
I tecnici dell’ingegneria ambientale hanno via via misurato sempre più precisamente il peso, il valore e i vantaggi di quella che potremmo chiamare Operazione Titanio. Ma tutto è rimasto dormiente, sigillato nel silenzio della montagna, della burocrazia avversa e delle comprensibili obiezioni ambientaliste.
Il giacimento di Piampaludo vale oggi almeno 500 milioni all’anno di euro per diritti di concessione (il permesso di estrarlo) da versare alla Regione, proprietaria della miniera per un tempo di almeno quattro o cinque anni. Il giacimento al prezzo del 2012 ha, per gli esperti, un valore complessivo tra i 400 e i 600 miliardi di euro.
La corsa agli scavi
Numeri da capogiro, non solo per chi estrae, lavora, raffina e produce e commercializza, ma anche per la proprietaria del tesoro, la Regione, le cui finanze, sarebbero capovolte da un canone così ricco e potrebbero affrontare le emergenze di oggi in ben altro modo. L’estrazione innesterebbero anche una filiera produttiva, capace di creare centinaia di posti di lavoro, attraverso aziende di pulitura e trasformazione, lungo l’asse che parte da quel paradiso intoccabile fino alla costa e alle vallate dell’entroterra savonese.
Sembrerebbe una storia fantastica, ma incredibile o intoccabile, perché siamo in una delle zone più pregiate della Liguria, giustamente straprotetta dal Parco Naturale. Sembrerebbe una storia da seppellire, come fosse una corsa all’oro da vecchio film western sulle montagne Rocciose, con i ricercatori impazziti, gli sceriffi e magari gli indiani in agguato, invece tutto torna di colpo di attualità sulle nostre montagne e con un interrogativo oggi reso urgente dalla epocale crisi economica che in Regione taglia tutto, perfino i trasporti, gli ospedali e i più elementari servizi di assistenza sociale, condannando i conti pubblici a deficit paurosi.
Ma la storia riparte perché improvvisamente una delle più importanti compagnie multinazioni di certificazione ambientale, la Golder Associates, colosso canadese con filiali in tutto il mondo, ha mandato il suo direttore europeo, l’ingegner Domenico Andrei, quarantenne genovese, nato a Alassio, per molti anni al Rina, a bussare alla porta della Regione a rinnovare la richiesta di concessione estrattiva.
È il terzo tentativo della storia, dopo che dal 1970 la scoperta di quel tesoro aveva scatenato le richieste, parzialmente accolte, di altre compagnie, prima la Srl Mineraria Italiana, poi la Cet di Torino, attraverso anche soci esteri della Du Pont Nemours Spa.
Tutto si era fermato definitivamente a concessione firmata , dopo dibattiti, sollevazioni ambientali, interpellanze parlamentari, vertici e Conferenze di servizi, sul tavolo dell’allora ministro dell’Industria, per concidenza, Pierluigi Bersani.
Troppi rischi, troppo sconvolgimento del territorio, troppa paura di inquinamento della falde acquifere, troppa reazione anche delle istituzioni locali savonesi, troppo rischio tra le tonnellate di rocce da estrarre nel paradiso incantato del Beigua. Il grande spauracchio che si agita intorno alla montagna di titanio è che lo scavo porti alla luce l’amianto, il minerale killer che si può nascondere insieme a tutte le derivazioni dello stesso titanio. I tecnici dell’Università di Genova che hanno già “tastato” la montagna hanno segnalato piuttosto la presenza di anfibolo un minerale che prende il mome di crocidolite e che è dannoso per la salute.
Il nuovo tentativo
La lapide sul titanio da estrarre è stata firmata dalla Conferenza dei Servizi, a Savona il 24 ottobre 1996, in Prefettura. Ma quando l’ingegner Andrei ha bussato in Regione, poco prima delle ultime elezioni regionali, oramai nel terzo Millennio, il mondo era ancora cambiato rispetto alla sentenza negativa del ’96, la tecnologia estrattiva aveva fatto passi da gigante, con molte più garanzie di difesa ambientale, di capacità di separare nell’estrazione il metallo pregiato dalla bomba-amianto e dai suoi rischi così temuti, ma soprattutto dietro c’era il colosso Golder, e dietro ancora le grandi compagnie mondiali, come la Rio Tinto, che immaginano di sfruttare il titanio e di offrire contropartite colossali. A Engebofjellet in Norvegia, nel frattempo, si lavorava già a un altro giacimento, il secondo d’Europa dopo Piampaludo, sulla riva di un fiordo in un ambiente ancora più incontaminato. È molto meno “ricco,” quel rutilo norvegese di quello ligure, ma lo stanno già scavando e potrebbero presto entrare in produzione con la compagnia Nordic Mining.
Andrei ha bussato alla porta dell’allora assessore al Bilancio e alle Finanze della Regione Liguria, il professore Pittaluga, noto docente di economia, l’uomo dei conti, sia nella giunta di centro destra di Sandro Biasotti che in quella di centro sinistra di Claudio Burlando. «Proposta interessantissima - aveva giudicato l’allora assessore - immaginando al volo la colossale ricaduta della possibile Operazione Titanio sui conti della Liguria - ma la competenza non è mia, bisogna rivolgersi all’Ambiente».
E così è ricominciato un nuovo percorso dell’istanza di concessione dentro agli uffici regionali, che si è perso questa volta quasi subito, probabilmente per le sicure polemiche, ipotizzabili alla vigilia delle elezioni regionali che avrebbero portato al Burlando bis.
«Con quella montagna di soldi si potrebbe incominciare a sanare il deficit della sanità e mettere mano al disastro del parco ferroviario ligure», aveva appunto commentato il professor Giovanni Battista Pittaluga, intuendo in quale baratro, tra tagli e manovre, stavano precipitando i conti liguri.
Oggi la storia di Operazione Titanio riprende ancora da quel punto fermo della richiesta in epoca pre elettorale, perché l’ingegner Andrei sta tornando alla carica dalla sua nuova posizione, che è quella di amministratore delegato di Sai Global, un’altra multinazione di certificazione ambientale, che ha stretti rapporti con la Golder e la dormiente richiesta di sfruttamento potrebbe avere una risposta diversa.Per arrivare a scavare bisogna costruire subito una strada, primo urto al territorio, poi rimuovere centinaia di migliaia di metri cubi di quella montagna, scavare fosse di decantazione, trasportare, rompere quella pace e quell’equilibrio ambientale, interferire con le placide attività del Parco, turismo, agricoltura. Bisogna, sopratutto preservare l’ambiente dal rischio dell’amianto.
Ma sull’ altro piatto della bilancia c’è un vantaggio che può scatenare meccanismi impensabili di sviluppo economico e finanziario: il bilancio della Regione ha nel 2012 un buco di 60 milioni, di fronte ai quali i 500 milioni annuali di canone concessione titanio sono una valanga che scende da quella montagna e cambia tutto lo scenario.
Le multinazionali che stanno dietro a Golder e Sai Global promettono un’operazione che può coinvolgere in joint venture imprese private e pubbliche nella filiera di sfruttamento del minerale. Si calcola perfino il recupero di stabilimenti industriali dismessi nel Savonese.
Aspettando il via
Il primo passo dovrebbe essere il Via della Regione, la Valutazione di Impatto Ambientale, poi un provvedimento amministrativo di concessione (competente la Regione, mentre allo Stato rimane una residuale competenza sui Beni Ambientali, che implica un permesso della Sovraintendenza), con tutte le condizioni possibili di salvaguardia dell’ambiente.
L’operazione Titanio potrebbe produrre anche effetti immediati, grazie ai gas di questo metallo che sono i killer più pregiati delle polveri sottili, un fattore di inquinamento contro il quale proprio la Liguria ha dichiarato guerra. Con il titanio si troverebbe nelle mani subito l’arma più efficace. In Toscana, dove regna il presidente Enrico Rossi del Pd, alla testa di una maggioranza simile a quella ligure, sono appena cominciate nella zona della Maremma più di trecento perforazioni e trivellazioni per scoprire a 150 metri di profondità un metallo molto meno prezioso del titanio e su un’area di 900 ettari vicino a Capalbio.
Anche qua una società canadese, Detroit Resources, cerca l’antimonio e non sa neppure se lo trova. Ci sono polemiche e mezza Maremma è in rivolta, ma si procede anche se gli uffici regionali non si sono ancora pronunciati.
In Liguria, intorno alla Montagna Incantata può incominciare un confronto molto più soft: il tesoro è lì e gli esperti lo considerano il più puro e il più consistente. Serve per esempio a industrie ricche e in grande espansione, che lo usano per costruire aerei e missili spaziali nei settori militari e civili e per produrre pigmenti fondamentali nell'industria della carta delle vernici, della plastica, della gomma. Si può estrarlo, violando, comunque, un pezzo di paradiso del territorio ligure? Basta decidere o almeno affrontare il dilemma dell’Operazione Titanio con i suoi vantaggi e con i suoi rischi.