INFLUENZA A H1N1 QUANDO NE SAPPIAMO? Domande e risposte sull'influenza A

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francocoladarci
00lunedì 9 novembre 2009 18:01
Domande e risposte sull'influenza A
Tutti gli articoli che seguono sono tratti da " Focus"

È solo influenza

Il virus della pandemica non è più aggressivo di quello stagionale. E ai più non servono nè gli antivirali, nè il vaccino.
Una guida a domande e risposte per non farsi prendere dal panico, evitare il contagio e capire che cosa c'è di vero nelle notizie allarmistiche dei giornali.

Amelia Beltramini, ultimo aggiornamento 6 novembre 2009.


Il virus dell'influenza H1N1 fotografato al microscopio nei laboratori del CDC.

I primi casi, anche gravi, sono stati registrati, ai telegiornali si alternano notizie contrastanti: occorre vacinarsi; basta lavarsi le mani; bisogna chiudere le scuole... L’influenza suina o H1N1 per intenderci, che circola fra noi dall’inizio dell’estate, è tornata di attualità. Sollevando molte domande a cui vorremmo dare delle risposte chiare e scientifiche. Quando aumenteranno i casi? Saranno gravi? Da dove viene questo virus e come evolverà nel tempo? Come prevenire l’infezione? Bisogna fare scorta di antivirali? Quali sono i sintomi?Chi è a maggior rischio di contrarla e chi invece rischia complicazioni? Quali sintomi avvertono del peggioramento? Continua la lettura oppure, cerca nel sommario le domande che ti interessano.

QUANDO INIZIERÀ L’EPIDEMIA?
«Dipende dal meteo: i casi aumenteranno quando cominceranno gli sbalzi termici» dice Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università di Milano che dirige il laboratorio di riferimento per la diagnosi di infezione del virus H1N1. Per due motivi:

1. l’abbassamento delle temperatura farà rallentare il battito delle cellule ciliate che rivestono le vie aeree e che hanno il compito di liberaci del muco e dei microbi che vi si sono invischiati spingendoli verso l’alto. Con i primi freddi i virus dell’influenza, non più velocemente espulsi, ne approfitteranno per infettare il sistema respiratorio.

Franco

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francocoladarci
00lunedì 9 novembre 2009 18:04
Qual è la situazione italiana? C’è da essere preoccupati? Il virus ha un’alta mortalità?

L'amore al tempo dell'influenza. Le uniche mascherine utili sono le N59 usate in ospedale dai medici per non infettare i pazienti con i loro microbi.

QUAL È LA SITUAZIONE ITALIANA?
Dal primo caso all’inizio di maggio, si è ufficialmente saliti a 1800 casi a fine agosto, senza vittime. «Ma sono decisamente sottostimati» dice Pregliasco. «Non è stato deciso ufficialmente, ma abbiamo smesso di effettuare una vera sorveglianza, anche perché non serve più: questo virus di norma non richiede la somministrazione di antivirali, e attualmente quasi tutti i casi di influenza sono da H1N1».
Il primo decesso ufficiale, collegato peraltro soltanto indirettamente all'influenza AH1N1, si è verificato a Napoli il 4 settembre. Per seguire i dati ufficiali, consulta il sito dell'Istituto superiore di Sanità. [Link]

C’È DA ESSERE PREOCCUPATI?
È una “pandemia” cioè una infezione planetaria, ma la forma virale è “lieve”. La gravità delle infezioni è data da due fattori:

1. la “cattiveria” del virus (per es. l’aviaria H5N1 è molto aggressiva e un focolaio limitato nel sud-est asiatico ha prodotto un alto tasso di ricoveri e elevata mortalità).

2. e la contagiosità, cioè il numero di casi di infezioni per 100 mila abitanti (un’epidemia può essere grave perché infetta milioni di abitanti, e un virus poco aggressivo causa molti ricoveri e decessi sui grandi numeri). In Australia, nelle prime 11 settimane di sorveglianza gli epidemiologi del Victorian infectious disease reference laboratory di Melbourne hanno segnalato che l’attività della pandemica è sovrapponibile a quella della stagionale del 2007 e inferiore alla stagionale del 2003. Insomma, l’H1N1 non è né cattivo né particolarmente contagioso.

E LA MORTALITÀ?
Anche qui numeri percentuali in libertà. Chi dice lo 0,5%, chi lo 0,2%, chi lo 0,1%. Ma per cento di che cosa che nessuno sa quanti sono gli infettati? Azra Ghani, epidemiologo delle malattie infettive all’Imperial college di Londra ha spiegato sul British medical Journal che ci sono casi di infezione tanto lievi da non dare febbre o sintomi. In altri casi il paziente se ne sta a casa, e anche questi casi non sono conteggiati. Insomma, nel computo ci sono soprattutto i soggetti ricoverati, spesso gravi: e allora la percentuale dei decessi non è per nulla elevata. E dove la mortalità è apparentemente elevata, significa che sono “sfuggiti” al computo un numero maggiore di casi.

Franco

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francocoladarci
00lunedì 9 novembre 2009 18:05
Il virus peggiorerà? I soggetti in sovrappeso e in gravidanza sono a rischio?

IL VIRUS PEGGIORERÀ?
Lo prevedono i catastrofisti, non sappiamo se interessati, e dicono che è successo nel 1918 con la Spagnola, e poi con i virus del 1890, del 1847 e del 1781. La prima ondata sarebbe stata meno aggressiva delle successive. Quello che non dicono è che questa regola non ha conferme nelle pandemie del 1900. «Inoltre nel genoma di H1N1 manca un gene, Pr1 (pathogenesis-related gene 1), che conferisce aggressività al virus» spiega Pregliasco, «Certo, è instabile e potrebbe mutare in un maiale, in un delfino, in un’otaria, ma al momento non mi sembra probabile».

I SOGGETTI IN SOVRAPPESO E IN GRAVIDANZA SONO A RISCHIO?
Non i soggetti in sovrappeso, ma quelli obesi, cioè con un Imc (indice di massa corporea) superiore a 40 (Imc= peso in Kg diviso altezza2 in metri). Negli Usa sono il 30% della popolazione, in Italia il 5% e inoltre di solito soffrono anche di patologie cardiache o metaboliche e quindi appartengono alle categorie a rischio di tutte le influenze, anche stagionali. Quanto ai casi di malattia grave in gravidanza, riportati in Gran Bretagna e i altri paesi, sono pochi e hanno riguardato principalmente donne con preesistenti problemi di salute. La causa del decesso, nei rari casi in cui si è verificato, è stata la polmonite: nell’ultimo trimestre di gravidanza, la dimensione del bambino riduce la capacità respiratoria della madre e la mobilità del diaframma.

Franco

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francocoladarci
00lunedì 9 novembre 2009 18:15
Come si diffonde il virus? Quali sono i sintomi? Quando preoccuparsi? Da dove viene il virus?
QUALI SONO I SINTOMI?

Ecco la percentuale di pazienti che accusano il singolo sintomo. Come si può notare non tutti i pazienti hanno febbre o tosse, che pure sono i sintomi più comuni. I medici consigliano di stare a casa finchè si è asintomatici per 24 ore.



COME SI DIFFONDE IL VIRUS?

QUALI SONO I SINTOMI?

I tempi di incubazione dell’infezione vanno da 1 a 7 giorni, ma più spesso da 1 a 4. Un soggetto influenzato è da considerarsi infettante da un giorno prima della comparsa dei sintomi a 7 giorni dopo l’inizio. I bambini possono essere infetti anche per 10 giorni. I virus dell’influenza si diffondono direttamente da persona a persona, espulsi nell’aerosol di saliva con i colpi di tosse e gli sternuti degli infetti. A volte ci si può infettare toccando oggetti o superfici (maniglie, ripiani, ecc) infette, e poi portandosi le dita agli occhi, al naso o alla bocca.

QUANDO PREOCCUPARSI?
Nei bambini la respirazione accelerata o difficoltà a respirare, colore della pelle bluastro o grigiastro, difficoltà a bere liquidi, vomito grave e persistente, difficoltà a svegliarsi e a interagire, irritabilità tanto da non voler essere tenuto in braccio, peggioramento di febbre e tosse dopo un breve miglioramento. Negli adulti difficoltà a respirare o fiato corto, dolore o senso di oppressione a petto e addome, improvviso giramento di testa, confusione, vomito grave e persistente, peggioramento di febbre e tosse dopo un breve miglioramento. «In questi casi non si va in ospedale, ma si chiama il medico di famiglia» dice Pregliasco. «Andare in pronto soccorso significa solo trasmettere questa malattia agli altri pazienti in attesa. Sarà il medico di famiglia a predisporre il percorso terapeutico migliore».

DA DOVE VIENE IL VIRUS?
«L’attuale pandemia non è una ripetizione della Spagnola del 1918, ma il proseguimento di quella infezione, cioè si tratta della infezione di quello stesso virus» dice Robert B Belshe, della Division of infectious diseases and Immunology, Saint Louis University, St. Louis. Il ceppo è infatti lo stesso, anche se non identico: è già circolato dal 1918 al 1957 e poi ancora dal 1977 a oggi. Certo è un po’ cambiato, ma le caratteristiche epidemiologiche di questa pandemia, cioè le persone che colpisce, sembrano dimostrare che gli anticorpi formati in quelle epidemie diano una protezione almeno parziale anche contro questa.

Franco

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francocoladarci
00lunedì 9 novembre 2009 18:17
Che farmaci usare? E gli antivirali?
CHE FARMACI USARE?
I farmaci che riducono la febbre, contenenti paracetamolo sono i più indicati. L’aspirina (acido acetilsalicilico) non va somministrata a bambini e adolescenti per il rischio di una rara, ma grave malattia del sangue, la sindrome di Reye. Gli antibiotici sono anti-batterici, inefficaci contro i virus: servono solo se il medico diagnostica una infezione batterica, come alcune tonsilliti o polmoniti.

E GLI ANTIVIRALI?
Tranne rarissimi casi, questa influenza non richiede l’uso di antivirali. Un recente studio ha dimostrato che questi farmaci hanno scarsi effetti: risparmiano al più un giorno di malattia su 5 o 6, ma hanno effetti collaterali come la nausea, e altri, più rari ma più impegnativi. Secondo il farmacologo Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Negri di Milano «Non si fa un grande affare a prenderli». Inoltre l’uso generalizzato degli antivirali favorisce la nascita di ceppi resistenti a questi farmaci che, in assenza del vaccino, sono l’unica arma per i pazienti immunodepressi o con altre gravi patologie. Per loro, e per i pazienti gravi ricoverati, il bilancio fra rischio e beneficio è diverso.

Franco
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francocoladarci
00lunedì 9 novembre 2009 18:19
Serve il vaccino? È sperimentato? Vaccinarsi sì o no?

Circa 60-70% dei sanitari rifiuterà di farsi vaccinare. Per tenere lontano il virus sono sufficienti alcune precauzioni: evitare i luoghi affollati e chi tossisce e sternutisce senza coprire completamente bocca e naso con il fazzoletto cestinandolo dopo l’uso (il virus vive ore nel fazzoletto); insaponare spesso e a lungo (contando fino a 20) le mani, con acqua calda e solo dopo toccare occhi, naso e bocca.

SERVE IL VACCINO?
Il vaccino sarebbe molto utile soprattutto per i pazienti a rischio: donne incinte, grandi obesi, pazienti cardiopatici, con malattie respiratorie o dismetaboliche. Ma mentre il vaccino contro l’influenza stagionale arriverà per tempo, quello contro la pandemica e destinato alla popolazione comincerà ad arrivare dopo l’inizio dell’epidemia. Richiede due dosi da somministrare a distanza di 2 settimane. Il vaccino induce lo sviluppo di anticorpi specifici contro il virus. Per gli individui sani il vaccino non è nè necessario nè utile.

VACCINARSI SÌ O NO?
Il 26 agosto il British medical journal titolava “L’opposizione al vaccino contro la suina sembra crescere in tutto il mondo”. A un sondaggio condotto dalla rivista inglese Healthcare Republic il 29% dei 216 medici di famiglia intervistati, che ben conoscono la suina, ha detto che non si faranno vaccinare, un altro 29% che non sono sicuri di farsi vaccinare, e solo il rimanente 37% si farà vaccinare. Il 71% di coloro che non si faranno vaccinare temono che il vaccino non sia sicuro perché non sufficientemente sperimentato. Pareri simili fra i sanitari di Hong Kong: in un articolo appena pubblicato sul British medical Journal solo il 47,9% dei circa 4000 sanitari intervistati si farà vaccinare. Gli altri no per «paura degli effetti collaterali» e «dubbi sull’efficacia del vaccino». E un’analisi del ministero della sanità Israeliano rilevava che almeno il 25% della popolazione non era disposta a farsi vaccinare.

È SPERIMENTATO?
Per un virus non particolarmente aggressivo la vaccinazione sembra affrettata. Bloomberg, il network di informazione economico finanziaria, riferisce che Glaxo per esempio avrebbe programmato una “sperimentazione limitata” per ridurre al massimo i tempi di produzione, e questo secondo Hugh Pennington, microbiologo emerito all’University of Aberdeen in Scozia potrebbe essere un fattore di rischio. Insomma: un conto sono i programmi vaccinali contro malattie mortali come il vaiolo, o vaccini collaudati, testati e dimostrati con anni di sperimentazione. E un conto questo vaccino assemblato in fretta contro un virus che sembra tutt’altro che aggressivo. Nel 1976, una vaccinazione anti-influenzale che coinvolse 45 milioni di americani, produsse anticorpi che attaccarono anche una proteina del sistema nervoso causando la Sindrome di Guillaume Barrè, una malattia neurologica in un migliaio di pazienti e 25 morti. E anche gli esperti temono che si ripresenti: Elizabeth Miller, direttrice del dipartimento immunizzazione del governo inglese, ha inviato a luglio a tutti i neurologi una lettera segreta, chiedendo una maggior sorveglianza per la sindrome di Guillaume Barrè durante la vaccinazione contro l’influenza suina. Anche nel caso del vaccino, insomma, l’utilità è nel bilancio fra rischi e benefici, e potrebbe essere consigliato a chi soffre di asma, diabete, patologie cardiache e renali o con sistema immunitario compromesso.

Franco
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francocoladarci
00lunedì 9 novembre 2009 18:23
Catturalo, cestinalo o uccidilo: le precauzioni per non prenderlo e non trasmetterlo
Poche regole per evitare il contagio.

Non c'è bisogno di arrivare ai livelli di precauzione dei laboratori scientifici per difendersi dal virus AN1H1. la prima regola: lavare accuratamente le mani spesso e dopo ogni colpo di tosse o starnuto.

Prima dell’infezione

Insaponare spesso e a lungo (contando lentamente fino a 20) le mani, con acqua calda, e asciugarle.

Non toccare occhi, naso e bocca se non dopo aver lavato le mani.

Evitare i luoghi affollati e riduci il contatto con i soggetti che tossiscono o sternutiscono.

Poiché i sintomi insorgono circa 24 dopo l’infezione e poichè in quelle 24 ore i colpi di tosse o gli sternuti contengono già virus, imparare a tossire e sternutire sempre in modo educato: aprire completamente un fazzoletto di carta pulito, coprire naso e bocca, soffiare, chiudere e gettare nella spazzatura dopo ogni uso: i virus vivono parecchie ore sul fazzoletto. Lavare poi le mani prima di toccare maniglie o superfici: le mani sporche trasferiscono i germi su qualsiasi cosa si tocchi. Lavare spesso anche le maniglie delle porte con normali detersivi di pulizia.


Dopo l’infezione

Stare a casa almeno per 5 giorni dall’inizio dei sintomi, e almeno 24 ore dopo la scomparsa naturale (cioè dopo aver sospeso gli antipiretici) della febbre.

Praticare con particolare cura l’etichetta della tosse e dello sternuto anche nei 10 giorni successivi alla fine dei sintomi perchè alcuni esami (Pcr) hanno individuano il virus nella saliva dei convalescenti fino a 10 giorni dopo la fine della febbre.

Le mascherine invece non servono a meno che siano del tipo N59, usate dai medici in sala operatoria. Ma servono a frenare l’infezione del medico che le indossa al paziente, non a prevenire l’infezione del medico. Inoltre sono estremamente scomode.

Franco
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francocoladarci
00lunedì 9 novembre 2009 18:26
Le risposte alle vostre domande
Con questo articolo termina la serie sul A H1N1




È vero che i gatti possono prendere l'influenza A? È un pericolo in più?

Questa influenza è in giro da mesi, gli esseri umani che sono stati infettati e sono guariti sono ormai decine di milioni, ma solo il 4 novembre il Jowa department of public health (il ministero della salute dello stato americano dello Iowa), ha segnalato il primo caso al mondo di gatto risultato infetto (vedi). Responsabili dell’infezione del povero animale i suoi padroni: 2 su 3 hanno contratto l’influenza...
Dunque, gli esseri umani sono un pericolo in più per i gatti, non il contrario.
Sono invece tenuti sotto controllo dall’Oms gli allevamenti di maiali e di tacchini, ma i casi di infezione sono pochissimi.


Il virus è diventato più cattivo?

Non è vero. Lo scrive l’Oms il nella breefing note 15 del 5 novembre (vedi).
Scrive «To date, extensive testing by laboratories in the WHO influenza surveillance network has detected no signs that the H1N1 pandemic virus has mutated to a more virulent form» cioè «A tutt’oggi una capillare attività di test gestita dai laboratori dalla rete di sorveglianza dell’Oms non ha individuato mutazioni nel virus pandemico che lo rendano più virulento».

Cos'è il "thimerosal"? Probabilmente un componente del nuovo vaccino contro la influenza suina? Ci sono delle notizie mediche certe a parte quelle riscontrate in rete?

Il tiomersale (sodio etilmercurio-tiosalicilato o mercurio tiolato di sodio o mertiolato) è un conservante di mercurio organico usato da oltre 60 anni come agente antimicrobico sia nei vaccini sia nei prodotti farmaceutici per impedire la crescita di batteri o funghi nella fase di lavorazione. È presente in molti vaccini DTP (difterite, tetano e pertosse), del tetano, dell’epatite B e dell’Hib (Hoemophilus influenzae b) ma non nei vaccini che contengono virus o batteri vivi (vedi). È stato messo sotto accusa per i rischi potenziali dei feti se le madri venivano vaccinate in gravidanza. Di solito non è contenuto nei vaccini monodose, ma solo in quelli multidose per preservarli da contaminazioni fra una somministrazione e l’altra. L’associazione tra tiomersale e autismo non è mai stata ad oggi provata. Per saperne di più, vedi.
Alcuni vaccini pandemici (A/H1N1) come per esempio il Pandemrix (vedi), contengono il tiomersale come conservante.



Perché si parla così tanto dei morti provocati dall'influenza?

L’influenza suina fa “notizia”: gli ospedali la usano per far parlare di sé e comunicano i ricoveri ai giornali; i produttori di antivirali e vaccini la usano per vendere, tanto da organizzare conferenze stampa dando numeri terroristici ai giornalisti che li riportano a volte senza verificarli; la usano i giornalisti che ogni giorno devono “trovare” una notizia e questa, finchè i lettori sono spaventati, fa vendere; la usa il ministro del welfare Maurizio Sacconi, che ha previsto una spesa di 400 milioni di euro per acquistare vaccini e la cui moglie, Enrica Giorgetti, è Direttore Generale di Farmindustria, cioè la confindustria del farmaco, che rappresenta politicamente tutte le aziende farmaceutiche italiane (circa 200 aziende nazionali e a capitale estero). Il sospetto di conflitto di interessi non è nostro, ma di una delle riviste scientifiche più prestigiose al mondo, Nature. (Vedi Nature 7 agosto 2008, pag 667). Insomma, per vendere, la paura è da sempre la migliore pubblicità.


Perché non si dice che la "nuova" influenza ha la stessa mortalità o mortalità inferiore rispetto all'influenza stagionale?

Dalle statistiche sappiamo che nella sola Italia i morti dell’influenza stagionale siano circa 4000 ogni anno. Sono decessi legati alle conseguenze dell’influenza: per l’anziano, il malato cronico, l’immunodepresso per terapie antitumorali, il trapiantato di fresco, il bambino prematuro. Per tutti coloro che già sopravvivono a stento in precario equilibrio, l’influenza può essere il colpo di grazia scompensandoli. Non se ne parla perché, appunto, sono decessi in qualche modo attesi. Se ne parla solo all’inizio della stagione influenzale, quando le aziende farmaceutiche convocano conferenze stampa per parlare del vaccino, o invitano i ricercatori che si prestano ad essere i loro “portavoce” a diffondere la paura per vendere anche alle persone che non sono a rischio.
Per quel che si sa sui casi finora registrati in tutto il mondo, questa è una influenza meno “mortale” di quella stagionale e che gli anziani, prima categoria a rischio, sono quasi tutti almeno parzialmente immunizzati contro questo virus.

L'influenza A non è particolarmente aggressiva, ma non si conoscono le reazioni del corpo se dovesse sussistere contemporaneamente nella persona sia l'influenza stagionale che quella di tipo A. Che cosa mi sapete dire in proposito?

In effetti non sono stati ancora descritti casi di coinfezione dei due virus. Recentemente è stato segnalato il caso di una coinfezione di influenza aviaria (H5N1) e influenza suina (H1N1), che si è però rivelata come coinfezione fra H3N1 (ceppo stagionale) e H1N1 (ceppo “suino”) (vedi), ma non si è saputo come è finita, quindi probabilmente è finita bene. I medici di solito non si sblianciano e vanno sul sicuro. Possiamo aggiungere solo che in uno studio di coinfezione con i due virus in animali di laboratorio (vedi), i sintomi sono un po’ più gravi, ma gli animali sono animali e l’uomo...

Influenza e bambini. Ho un bimbo di 2 anni che non ha nessuna patologia a rischio, è sano.
In questo periodo ha del catarro che stacca ogni tanto con dei colpi di tosse grassa
Visto che ho sentito che l'influenza A evolve subito in polmonite è un rischio che il bimbo sia già un po' intasato?

I bambini sono i più colpiti da questo virus perché sono gli unici che non lo conoscono per niente. Questo virus ha girato nella popolazione in modo continuo sicuramente fino al 1977, quindi i nati prima sono già immunizzati, quelli nati dopo non ancora. In questa stagione tutti i bimbi hanno il catarro e se questo fosse un motivo di pericolo la mortalità sarebbe alta. Invece nonostante le classi siano vuote, la mortalità continua ad essere molto inferiore a quella dell’influenza stagionale, anche se la malainformazione continua a enfatizzare i pochi decessi che si verificano. Le complicazioni non sono date dal catarro nelle vie aeree superiori, ma dall’infezione che in alcuni casi (non sappiamo perché e non sappiamo quali, ma sappiamo che sono pochissimi casi) scende nei polmoni. A questo punto il genitore deve accorgerse: la respirazione del bimbo si fa difficile (vedi i sintomi) e deve tempestivamente chiamare il pediatra di famiglia spiegando appunto che la respirazione si sta facendo difficile. A questo punto il pediatra organizza il ricovero nel reparto adatto, in cui ci sia la possibilità, se la situazione dovesse peggiorare, di ventilare il bambino per qualche ora, e di seguirlo in modo intensivo fino a farlo uscire dalla fase di pericolo.

Da alcuni giorni gira in rete un documento allarmistico sulla presenza nei vaccini contro l’influenza A, dello squalene, una sostanza molto tossica. Che cosa c’è di vero?

Si tratta di una leggenda metropolitana che fa leva sulla paura. Non c’è nulla di cui preoccuparsi.
Lo squalene è una sostanza naturale che si trova in piante, animali e anche nell’uomo (viene prodotto dal fegato e circola nel sangue). Viene utilizzata fin dal 1997 come adiuvante nei vaccini per potenziare la risposta immunitaria. La quantità di squalene contenuta in ogni dose è molto piccola, circa 10 mg, e non ha mai dato origine a reazioni avverse documentate scientificamente.
Da dove nascono allora la paura e le voci sui rischi della sua presenza nel vaccino? Alcuni ricercatori hanno collegato lo squalene alla cosiddetta sindrome del golfo (un insieme di sintomi diversi e inspiegabili accusati da numerosi soldati americani che nel 1991 parteciparono alla missione contro l’Iraq, vedi). Secondo questi scienziati, lo squalene era presente nei vaccini contro l’antrace somministrata ai soldati.
A posteriori si è però scoperto che lo squalene non era presente in quei vaccini (vedi). Inoltre, si è anche appurato che nessun soldato con la sindrome ha mai sviluppato anticorpi contro lo squalene. Si tratta dunque di una bufala.

Fine

Franco

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