INCHIESTA SU GESU' BAMBINO

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Cattolico_Romano
00giovedì 27 novembre 2008 18:15
Chi era davvero Gesù?
È esistito realmente o la sua storia è una pia invenzione?
A queste ed altre domande ha provato a rispondere Andrea Tornielli vaticanista de il Giornale, con una articolata indagine da cui è nato il suo libro Inchiesta su Gesù Bambino.
Misteri, leggende e verità sulla nascita che ha diviso in due la storia, con prefazione di Marta Sordi (il Giornale, 2004, pp. 225, 6,90 Euro; Gribaudi, 2005, pp. 213, Euro 9,90). Il libro nell’edizione Gribaudi è stato presentato a Milano, il 13 dicembre 2005, dalla professoressa Marta Sordi, Ordinario emerito di Storia Greca e Romana all’Università Cattolica ed è stato oggetto di una trasmissione su Rai Tre, in onda in seconda serata la notte del 19 dicembre 2005.
"Il libro è un’inchiesta giornalistica - dice Tornielli - che invece di avere come oggetto un fatto di cronaca accaduto in questi giorni, cerca di scandagliare con gli stessi criteri una notizia - anzi la ‘buona notizia’ - accaduta duemila anni fa: la nascita di Gesù a Betlemme, l’evento che ha diviso in due la storia dell’umanità".

E a quali conclusioni è arrivato l’autore-giornalista alla fine della sua inchiesta?
"Ho tentato di rispondere alle classiche domande contenute nei manuali di giornalismo: chi, che cosa, dove, quando e perché. Purtroppo anche nel campo dell’esegesi cristiana si tende troppo spesso a considerare i Vangeli, e in particolare i Vangeli dell’infanzia scritti da Matteo e Luca, come costruzioni "teologiche" posteriori, infarcite di simboli e ben poco aderenti alla realtà. Con la mia inchiesta ho cercato di dimostrare invece che anche i Vangeli dell’infanzia hanno fortissimi agganci con la storia e che i fatti raccontati in quelle pagine s’inseriscono molto bene nel contesto storico, geografico e culturale dell’epoca".

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Cattolico_Romano
00giovedì 27 novembre 2008 18:16
 
Chi sostiene che i Vangeli sono una costruzione fatta a tavolino dagli "inventori" della religione cristiana, dai "creatori" del "mito" di Cristo, dovrebbe spiegare perché mai questi inventori abbiamo dato al loro mitico fondatore identificato come il figlio di Dio un nome come Gesù, cioè uno dei nomi più diffusi nella Palestina di allora.
Sarebbe come se oggi qualcuno in Italia fondasse una nuova religione chiamando il suo Dio "Mario Rossi". Se davvero i Vangeli fossero un’invenzione, chi li ha scritti avrebbe studiato un nome più ricercato e originale per il Messia. Un altro esempio è quello dei pastori: Luca ce li presenta come i primi adoratori del Bambino di Betlemme.
Ebbene, per la società di allora i pastori, nomadi che vivevano ai margini della città, rappresentavano una categoria di persone davvero poco raccomandabili. Li si riteneva dei ladri, che vivevano giorno e notte con le loro bestie e non si lavavano. La loro parola non aveva valore in tribunale.
Qualcosa di simile accadrà al momento della resurrezione, un fatto del quale le prime testimoni sono delle donne: anch’esse non potevano testimoniare in tribunale perché per la cultura ebraica antica la loro parola non aveva valore. Quali "inventori" avrebbero scelto testimoni così poco attendibili come primi testimoni della nascita del figlio di Dio e della sua Resurrezione? "Nonostante ci sia chi sostiene il contrario, continua Tornielli - anche i due racconti evangelici dell’infanzia dimostrano seri e concreti agganci con la storia dell’epoca.
Basta pensare al racconto di Matteo, più antico rispetto a quello di Luca e probabilmente proveniente dalla tradizione familiare di Giuseppe: ebbene, l’evangelista non nasconde per nulla l’imbarazzo causato dalla gravidanza di Maria, che avviene prima che le nozze con Giuseppe fossero celebrate e che i due andassero ad abitare sotto lo stesso tetto.
Se davvero i Vangeli fossero la costruzione a tavolino della prima comunità cristiana, perché non censurare questo particolare o più semplicemente anticipare di qualche giorno l’annuncio dell’angelo a Giuseppe, facendo sì che non si verificasse l’imbarazzo di quella gravidanza che fa decidere al falegname di Nazaret di ripudiare in segreto la promessa sposa?".

Ci interroghiamo qui sulla esistenza storica di Gesù Cristo. Si tratta di un tema importante per la credibilità storica del cristianesimo.
Infatti, se Gesù non fosse esistito, la nostra fede sarebbe costruita su un mito, senza basi storiche. Noi non abbiamo dubbi sull'esistenza di Gesù; ma ci chiediamo se questa certezza vale anche per chi non crede in Dio. È vero che la Sacra Scrittura è esplicita in proposito e non mancheremo di interrogarla, ma chi non crede chiede di esaminare altri documenti. Documenti che non nascono, per esempio, in ambiente cristiano. È vero che fino al XVIII secolo nessuno, nemmeno i nemici più agguerriti del cristianesimo, aveva mai negato l'esistenza di Gesù. Ma in tempi recenti essa è stata ritenuta mitologica e fantastica.

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Cattolico_Romano
00giovedì 27 novembre 2008 18:16
 
Ricordiamo la prima fonte di carattere storico sulla esistenza di Gesù Cristo. Se diamo retta ad un ex esattore delle tasse (Matteo), ad un medico (Luca), a un giovane segretario dell'Apostolo Pietro (Marco) e a un altro testimone oculare di Gesù (Giovanni), tutti vissuti in Palestina nel primo secolo, l'esistenza di Gesù di Nazaret deve considerarsi un dato di fatto incontestabile. Questi testimoni hanno messo per iscritto nei Vangeli la storia di ciò che è accaduto lì 2.000 anni fa, lasciandoci così le testimonianze più preziose, più ricche di dati e più attendibili riguardo l'esistenza storica di Gesù.

Le tracce anagrafiche di Gesù ci portano - scrive Antonio Socci in un articolo dal titolo La vera storia della nascita di Gesù su il Giornale del 23 dicembre 2005 - sul Campidoglio di Roma, da dove si gode una veduta mozzafiato dei Fori imperiali. Il fazzoletto di terra, tra il Tabularium - che sta alle fondamenta dell’attuale municipio - e l’Ærarium del Tempio di Saturno, duemila anni fa era il centro del mondo. In quel punto erano custoditi i documenti del censimento di Augusto, secondo Tertulliano "teste fedelissimo della natività di Nostro Signore". Era lì dunque la registrazione anagrafica della nascita - fatta da due giovani ebrei - di un bambino chiamato Yehòshua, Gesù, che significava "Dio salvatore". Incendi e distruzioni hanno fatto perdere quei documenti.

Sempre lì dovette trovarsi anche la relazione a Tiberio che Ponzio Pilato scrisse verso il 35 d.C. per giustificare il processo ed esecuzione dello stesso Gesù. Da cui venne la proposta di Tiberio al Senato di riconoscere quel Gesù come dio, ossia di legittimare il culto di Cristo che si stava diffondendo. Il Senato rispose di no. La notizia è contenuta in un passo dell’Apologetico (V, 2) di Tertulliano ed è stata recentemente dimostrata attendibile dall’autorevole storica, Marta Sordi.

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Cattolico_Romano
00giovedì 27 novembre 2008 18:16
 
Negli studi della Scuola di Madrid - sintetizzati nel libro La vita di Gesù di José Miguel Garcia - trova soluzione anche il problema cronologico del censimento che finora non si sapeva quando collocare e pareva storicamente dubbio. Perché Giuseppe e Maria devono andare a Betlemme il cui nome in ebraico significa "città del pane"? Perché Erode, per conto dei romani, ha imposto un giuramento-censimento. Le autorità di Betlemme pretendono che della famiglia di Davide non manche nessuno. Giuseppe è un discendente dell’antica casata reale che è tenuto particolarmente d’occhio. Soprattutto in questi anni nei quali - a causa di alcune profezie e di alcuni segni - si è fatta fortissima l’idea che il Messia stia per arrivare. Si sa infatti che il "liberatore" che gli ebrei aspettano è di sangue reale. E dunque quelli della famiglia di re Davide sono tutti "sospetti".

È per queste origini che la famiglia di Gesù, pur essendo diventata modesta e umile, custodisce gelosamente le genealogie che non a caso si trovano riportate nei vangeli. Genealogie che raccontano storie terribili, su cui i vangeli non sorvolano affatto. Tanto da stupire il poeta cattolico Charles Péguy: "Bisogna riconoscerlo, la genealogia carnale di Gesù è spaventosa ... È in parte ciò che dà al mistero dell’Incarnazione tutto il suo valore, tutta la sua profondità, tutto il suo impeto, il suo carico di umanità. Di carnale". Secondo uno studio recente nelle origini familiari di Gesù troviamo la stessa tribù discendente da Caino, il primo omicida della storia. Ecco - commenta Federici - "sopra quale abisso è disceso l’Immortale Eterno per assumere la carne dei peccatori. Cristo Signore così riassume in sé ogni Caino d’ogni tempo, per salvarlo". Gesù dunque è "il segno" che Dio aveva posto sopra Caino "per cui questi ha salva la vita".

La predilezione di Dio non è caduto sui migliori, ma su dei peccatori. Fra i figli di Giacobbe viene scelto Giuda, il quartogenito, uno dei fratelli che avevano venduto Giuseppe. Le donne della genealogia di Gesù, scrive il cardinale Van Thuan, "colpiscono per le loro storie, sono donne che si trovano tutte in una situazione irregolare e di disordine morale. Sembra una storia terribile, eppure è la storia della salvezza. La storia di cui è nato Gesù che ha voluto riservarsi - totalmente puri e santi - solo gli ultimi rampolli di quei clan familiari: Maria e Giuseppe. Che dunque arrivano a Betlemme dove nasce Gesù.

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Cattolico_Romano
00giovedì 27 novembre 2008 18:17
 
A lungo si è ritenuto che il 25 dicembre fosse una data convenzionale, scelta per contrastare le feste pagane del Natale Solis invicti. Ma recentemente una scoperta archeologica fatta tra i papiri di Qumran ha clamorosamente suggerito la possibile esattezza di quella data. Dal Libro dei Giubilei uno studioso israeliano, Shemarjahu Talmon, ha ricostruito la successione dei 24 turni sacerdotali relativi al servizio nel Tempio di Gerusalemme e ha scoperto che "il turno di Abia" corrispondeva all’ultima settimana di settembre. Notizia importante perché si lega a una informazione cronologica del Vangelo di Luca (1, 5) secondo cui Zaccaria, il padre di Giovanni Battista e marito di Elisabetta, appartenente alla tribù sacerdotale di Abia, vide l’angelo, che annunciava il concepimento di Giovanni, proprio mentre "officiava davanti al Signore nel turno della sua classe". Quindi a fine settembre. Il rito bizantino che da secoli fa memoria dell’annuncio a Zaccaria il 23 settembre deriva dunque da un’antica memoria, forse una tradizione orale. La Chiesa tutta poi celebra nove mesi dopo la nascita del Battista e tutta la liturgia cristiana è impostata su questa data giacché Luca (1, 26) spiega che l’annuncio a Maria avviene quando Elisabetta era al sesto mese di gravidanza. In effetti la Chiesa celebra l’annunciazione il 25 marzo e il Natale del Signore nove mesi dopo, il 25 dicembre (lo attesta già un calendario liturgico del 326 d.C.). Ne discende che se ha fondatezza storica l’annuncio a Zaccaria il 23 settembre, a catena - come ha dimostrato Antonio Ammassari - acquisiscono storicità anche la data dell’Annunciazione e quella del Natale.

Dal libro di Garcia si apprende pure la verità sul luogo della nascita di Gesù. Il contesto deve essere non un grotta, ma la grande casa paterna di Giuseppe a Betlemme. "Tali case erano costituite da un’unica grande stanza, dove le persone occupavano una specie di piattaforma rialzata, mentre in un’estremità si trovavano gli animali di cui la famiglia aveva bisogno per lavorare. E per questi animali era ovvio che ci fosse una mangiatoia". Probabilmente Giuseppe e la giovane partoriente, per avere un po’ di riservatezza e più caldo, furono alloggiati in questa parte della casa e il bambino fu posto in quella mangiatoia. È con una storia così ordinaria, così normale, che Dio - per i cristiani - è venuto nel mondo. E con lui la bellezza, la bontà e la salvezza. Incontrarlo è il senso della vita. Scrive Péguy: "Felici coloro che bevevano lo sguardo dei tuoi occhi".

Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di testimonianza in qualche modo interessata. E allora vogliamo concentrare la nostra attenzione sulle tracce che provengono da ambienti non cristiani, con l’aiuto della conversazione Gesù è veramente esistito che Gianpaolo Barra, direttore de Il Timone, ha tenuto a Radio Maria il 7 dicembre 2000, durante la Serata Sacerdotale, condotta da don Tino Rolfi.

Fatto è, che i riferimenti a Gesù nelle fonti documentarie non cristiane dei primi secoli sono rari. Il mondo romano lo ha sostanzialmente ignorato e quello ebraico lo ricorda raramente e lo fa con disprezzo e con offese. Questa scarsità di informazioni storiche che provengono da ambienti non cristiani è comprensibile. Ricordiamo che 2.000 anni fa nessuno immaginava a quale straordinario sviluppo sarebbe andato incontro il cristianesimo. In effetti, la fine ingloriosa del Fondatore del cristianesimo non suscitava l'interesse degli storici pagani di quell'epoca. Tuttavia, alcuni dei cronisti dell'Impero, sebbene solo con cenni e spesso con intenzioni non benevole, di Cristo e dei cristiani qualche cosa dicono. I loro ricordi, pochi e talvolta superficiali, meritano attenzione.

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Cattolico_Romano
00giovedì 27 novembre 2008 18:17
 
Una prima traccia non cristiana della esistenza di Gesù la troviamo in Flavio Giuseppe. Nato a Gerusalemme verso il 37-39, quindi pochissimi anni dopo la morte di Gesù, questo storico ebreo mostra di conoscere bene i fatti di cui parla. Alla fine del primo secolo Flavio Giuseppe scrive le Antichità giudaiche, cioè la storia del popolo ebraico dalle origini fino al 66 d.C. In questa opera troviamo tre riferimenti importanti a Gesù e ai cristiani: il primo riguarda la morte di Giovanni Battista (XVIII, 116-119); il secondo la morte di Giacomo, che Flavio Giuseppe qualifica come "fratello di Gesù chiamato il Cristo" (XX, 200); il terzo, il più noto, è conosciuto come Testimonium Flavianum e ci interessa particolarmente. Sentiamo che cosa ha scritto Flavio Giuseppe: "Ora, ci fu verso questo tempo Gesù, un uomo sapiente, seppure bisogna chiamarlo uomo: era infatti facitore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità. E attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei Greci. Costui era il Cristo. E avendo Pilato, per denuncia degli uomini principali fra noi, punito lui di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti comparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già detto i divini profeti queste e migliaia d'altre cose mirabili riguardo a lui. E ancora adesso non è venuta meno la tribù dì quelli che, da costui, sono chiamati i Cristiani" (Antichità giudaiche, XVIII, 63-64).

Se stiamo a questa testimonianza antichissima, Flavio Giuseppe sarebbe stato a conoscenza non solo della esistenza di Gesù, ma anche dei suoi poteri, della sua funzione messianica e della sua risurrezione dai morti. Va detto che tutto questo è apparso eccessivo a molti studiosi, che considerano improbabile anche il tono elogiativo nei confronti di Gesù usato da un ebreo. Per questa ragione, si pensa che questo passo sia stato manipolato da una ignota mano cristiana prima di giungere a Eusebio di Cesarea, il grande storico della Chiesa del IV secolo, che lo riporta nella sua celeberrima Historia Ecclesiastica (I, II). In ogni caso, quello che a noi interessa è un dato: questo ebreo del primo secolo ha sentito parlare di Gesù e, da storico, non mette in dubbio la sua esistenza. E tutto questo ricordiamolo in ambiente non cristiano.

C'è un'altra notizia interessante. Qualche anno fa, uno studioso ebreo è riuscito a scoprire la probabile versione originale del Testimonium Flavianum. Ce ne ha dato notizia Vittorio Messori, nel suo Ipotesi su Gesù. Nel 1972, il prof. Shlomo Pinès, professore all'Università Ebraica di Gerusalemme, ha scritto un articolo sull’International Herald Tribune dal titolo Gli ebrei portano le prove dell'esistenza di Gesù. Pinès aveva scoperto per primo che del testo di Giuseppe Flavio c'era un'altra versione, diversa da quella giudicata inquinata dagli storici. Questa versione è contenuta in un'opera araba del X secolo, la Storia Universale di Agapio, vescovo di Hierapolis in Siria. Agapio riporta il Testimonium Flavianum senza quelle espressioni elogiative che lo facevano rifiutare dagli studiosi. Ora, il professore Pinès osserva che sembra impossibile che un vescovo cristiano abbia minimizzato volontariamente il testo di Flavio Giuseppe, togliendogli (se c'erano) i termini elogiativi su Gesù. Allora, possiamo pensare che il professore ebreo contemporaneo ha davvero scoperto la versione originale della testimonianza di Flavio. Se è così, dice Pinès, "abbiamo qui la più antica testimonianza scritta, di origine non cristiana, che riguardi Gesù".
Ecco il brano di Flavio Giuseppe, così com'è riportato da Agapio, nella versione dell'Università Ebraica di Gerusalemme: "A quell'epoca viveva un saggio di nome Gesù. La sua condotta era buona, ed era stimato per la sua virtù. Numerosi furono quelli che, tra i Giudei e le altre nazioni, divennero suoi discepoli. Pilato lo condannò ad essere crocifisso e a morire. Ma coloro che erano divenuti suoi discepoli non smisero di seguire il suo insegnamento. Essi raccontarono che era apparso loro tre giorni dopo la sua crocifissione e che era vivo. Forse era il Messia di cui i profeti hanno raccontato tante meraviglie". Anche in questa versione, non manipolata da mano cristiana, risulta che l'ebreo Flavio Giuseppe dava per scontato l'esistenza storica di Gesù. Il dato è di fondamentale importanza, perché ci è offerto da uno storico quasi contemporaneo a Gesù e proviene da un ambiente che è sicuro dell'esistenza di Cristo, anche se non ne accoglie il messaggio: è quindi un ambiente non interessato a mentire, inventandosi l'esistenza di Cristo.

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Cattolico_Romano
00giovedì 27 novembre 2008 18:18
 
Proseguiamo la ricerca e giungiamo ad un documento antichissimo, datato verso il 112 d.C. Proviene da Plinio il Giovane, console e governatore della Bitinia, in Turchia, il quale è autore di una lettera indirizzata all'imperatore Traiano. In questa lettera non si parla direttamente di Gesù, ma dei cristiani i quali, scrive Plinio il Giovane erano "abituati a radunarsi prima del levare del sole, per cantare un carme a Cristo come a un Dio" (X, 96). Plinio chiede consigli su come deve comportarsi con i cristiani. Ci informa che sono numerosi nelle città e nelle campagne, ritiene innocue le loro riunioni, sa che con giuramento si obbligano a non commettere furti, a non commettere adulterio, a restituire i prestiti e a non tradire la fede. La lettera di Plinio all'imperatore Traiano "è la più antica testimonianza pagana sulle assemblee liturgiche dei cristiani primitivi e sull'Eucaristia" (Marta Sordi, I cristiani e l'impero romano, Jaca Book, Milano, 1984).

La risposta di Traiano non si fa attendere e costituisce il "più antico documento ufficiale sui rapporti fra il cristianesimo e lo stato romano" (Marta Sordi, op cit.). Traiano dispone che i cristiani non devono essere ricercati dalle autorità, ma possono essere perseguitati solo se denunciati da qualcuno, purché non anonimo, salvo che, sacrificando agli dei dell'impero, non rinneghino la loro fede. La lettera di Plinio impone una riflessione. Nei primi anni del II secolo vi erano cristiani che si radunavano per rendere gloria a Cristo come a Dio. Riflettiamo: se anche l'esistenza di Gesù fosse stata inventata, tale invenzione doveva risalire almeno al I secolo, quindi in epoca assai vicina alla presunta esistenza terrena del Nazareno, quando potevano insorgere molti testimoni in grado di smascherare l'inganno. Invece, di questi non abbiamo notizia. Plinio dà per scontato quello che ai suoi tempi era pacificamente accettato: un certo Gesù era realmente esistito qualche decennio prima e aveva lasciato dei discepoli e seguaci.

La storia ci offre un'altra antichissima traccia della esistenza di Gesù. Cinque anni dopo, nel 117, lo storico Tacito scrive nei suoi Annali che Nerone, per evitare di essere accusato dell'incendio di Roma del 64 d.C., "ne presentò come rei e colpì con supplizi raffinatissìmi coloro che il volgo, odiandoli per i loro delitti, chiamava cristiani. L'autore di questa denominazione, Cristo, sotto l'impero di Tiberio (imperatore dal 14 al 37 d.C.), era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato; ma, repressa per il momento, l'esiziale superstizione erompeva di nuovo, non solo per la Giudea, origine di quel male, ma anche per l'Urbe, ove da ogni parte confluiscono tutte le cose atroci e vergognose" (Annales, XV, 44). È una testimonianza straordinaria. Tacito è uno storico, e aveva nei confronti dei cristiani e della loro religione una pessima opinione. Ma questo non è sufficiente per accusare i cristiani di essersi inventati l'esistenza di Cristo. Eppure, ricordiamolo, questa accusa sarebbe valsa a screditare definitivamente quella "esiziale superstizione". Tacito offre un altro dato interessante: già nell'anno 64 a Roma vivevano seguaci di quel Gesù che era morto poco più di 30 anni prima. Riflettiamo: se l'esistenza di Cristo fosse stata inventata, qualcuno l'avrebbe contestata e a Tacito di tale inganno sarebbe giunto l'eco. Invece, significativamente, lo storico non ne fa notizia.

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Cattolico_Romano
00giovedì 27 novembre 2008 18:19
Un altro storico, Svetonio, verso l'anno 120, ci lascia una indicazione sui cristiani i quali, a suo dire, come aveva rilevato Tacito, sotto Nerone furono "sottoposti a supplizi (...), razza di uomini d'una superstizione nuova e malefica" (Nero, 16). Il giudizio di Svetonio è negativo e sprezzante. Avrebbe avuto buon gioco a svergognare quella "superstizione nuova e malefica" se avesse saputo che era fondata su un personaggio mai esistito. Invece, non troviamo accuse siffatte. Svetonio ci informa che durante l'impero di Claudio (41-54), predecessore di Nerone, furono "espulsi da Roma i Giudei i quali, ad impulso di Cresto, facevano frequenti tumulti" (Claudius, 25). Con tutta probabilità, l'espulsione citata da Svetonio avvenne tra il 49 e il 50 d.C. A noi interessa la conferma di un dato storico: meno di 20 anni dopo la morte di Gesù, a Roma vi è già una comunità di suoi seguaci. È passato troppo poco tempo per inventare l'esistenza di un Messia senza rischiare di essere scoperti e denunciati.

Qualche tempo fa è emerso un altro documento. È una lettera che uno storico siriaco, di nome Mara Bar Sarapion, indirizza a suo figlio nell'anno 73 d.C. In essa viene ricordato come i Giudei avrebbero messo a morte il loro "saggio re", dove il riferimento a Gesù, del quale non si fa il nome, sembra essere di una evidenza lampante.

Anche gli avversari più accaniti del cristianesimo antico non contestarono l'esistenza storica di Gesù. Ricordiamo il filosofo Celso. Tra il 178 e il 180, Celso mise mano ad uno scritto polemico nei confronti del cristianesimo. Egli accusa i cristiani di ignoranza, di fanatismo, di superstizione e Gesù di essere stato un ciarlatano, in possesso di arti magiche con le quali si spiegherebbero i miracoli che gli vengono accreditati. Nonostante questa avversione, Celso non mette in dubbio l'esistenza storica di Cristo. Per attaccare i cristiani, egli si avvale di tutti gli argomenti a sua disposizione, ma non dell'unico che avrebbe avuto valore ultimamente definitivo: l'invenzione dell'esistenza di Cristo.

Conclusione: la storia conferma che 2.000 anni fa è vissuto un uomo chiamato Gesù. Per noi è il Figlio di Dio, nato e vissuto povero, morto in croce per salvarci e risuscitato a vera vita, la nostra speranza.

fonte: www.korazym.org
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