Hiroshima, storia e memoria dell'olocausto nucleare

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La Visione
00martedì 15 marzo 2011 21:25
Florian Coulmas


TITOLO: Hiroshima, storia e memoria dell'olocausto nucleare
AUTORE: Florian Coulmas
CASA EDITRICE: Mimesis
PAGINE: 112
COSTO: 14€
ANNO: 2010
FORMATO: 21 cm X 14 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di Milano

L'autore si prefigge di far emergere le censure informative, ma anche di tipo culturale, riguardo l'olocausto nucleare di Hiroshima e Nagasaki. Spiega bene come e cosa gli americani nascosero allo scopo di eliminare il proprio senso di colpa. Il tutto con lo scopo di ristabilire la verità su alcuni fatti storici poco pubblicizzati, anche sui libri di scuola. Una pecca del suo approccio è, secondo me, che commette l'errore opposto, prevalentemente trasforma i giapponesi in vittime, come se gli Usa una bella mattina si fossero svegliati e avessero deciso di nuclearizzare una nazione a caso. Non che l'autore non citi le responsabilità e le nefandezze giapponesi, ma sembra che siano sempre equilibrate da una colpa americana.
L'altra grossa pecca di questo libro è che quasi non tratta le discriminazione subite dagli hibakusha, i sopravvissuti all'olocausto nucleare.
Il saggio rimane interessante, anche se “di parte”, forse il fatto che sia solo di 112 pagine ha impedito eventuali altri approfondimenti.
Inizialmente si ripercorrono le fasi storiche che portarono al conflitto mondiale in oriente, mi pare che si dia poco risalto all'espansione nipponica, e alla sua virulenza. Di contro argomenta che l'embargo economico degli Usa (più Gran Bretagna e Olanda) contro il Giappone nel 1940 quasi giustifico Pearl Harbor...
Addirittura si spinge ad argomentare che se gli Usa (con il commodoro Perry) non avessero obbligato con la forza il Giappone ad interrompere l'isolazionismo tutto il seguito non sarebbe successo...
Una delle poche responsabilità che l'autore attribuisce al Giappone è quella di aver continuato una guerra che sapeva di aver perso, che però fu dovuta alla richiesta Usa di resa incondizionata, ergo sarebbe di nuovo colpa degli americani.
Per fortuna considera l'imperatore Hirohito parte attiva (con relativa responsabilità) nella decisione di continuare la guerra.
Considero molto valida la parte che illustra bene come la questione razziale ebbe una parte importante nel decidere di atomizzare il Giappone, gli Usa lo avrebbero fatto su una città europea di bianchi?
Non sapevo, invece, che dopo la guerra gli Usa vietarono lo scambio di informazioni (sia personali che mediche) tra le vittime del bombardamento, aumentando la sofferenza dei sopravvissuti.
Le rovine del “Genbaku Domu” (La cupola della bomba atomica) non sono il monumento intoccabile per tutti gli abitanti di Hiroshima e del Giappone che si potrebbe pensare, dopo la guerra ci fu un lungo dibattito se abbattere le rovine, evidentemente non era ancora un simbolo.
Il monumento commemorativo principale del Parco della pace di Hiroshima si poté costruire solo dopo la fine dell'occupazione Usa, fu inaugurato il 6 agosto 1952.
Anche i monumenti commemorativi sono discriminatori. Si stima che a Hiroshima circa il 10% delle vittime fossero “sudditi” coreani, deportati. Questi, fino al 1990, non venivano neppure citati durante le commemorazioni. Solo nel 1970 i coreani giapponesi ottennero di poter avere un monumento commemorativo, ma non furono autorizzati ad averlo dentro il parco della pace, quindi fu eretto appena fuori. Mentre i sopravvissuti coreani non ottennero nessun aiuto economico per le cure o di sussistenza, né dal Giappone, né dagli Usa e né dalla Corea del Sud. Solo nel 1957 fu varata una legge per l'assistenza medica per i sopravvissuti, ma riguardava solo i cittadini giapponesi, i coreani che non erano tornati nelle 2 Coree ne erano esclusi. Alla fine gli hibakusha coreani furono i discriminati tra gli stessi discriminati hibakusha, questo perché la presenza la presenza di questi civili deportati tea le vittime civili della bomba atomica ricordava ai giapponesi che non potevano considerarsi vittime. Quindi i giapponesi si limitarono a depennare i coreani come vittime della bomba atomica.
Interessante la parte in cui si evidenzia come negli Usa viene mantenuta viva la memoria della bomba, ovviamente evitando di ammettere qualsiasi errore nella decisione di nuclearizzare degli obbiettivi civili.
L'autore passa ad analizzare come i media trattarono, nei giorni successivi il bombardamento, la notizia. L'attenzione era posta sulla potenza degli ordigni e sulle conseguenze strategico-militari. Le vittime erano citate come prova numerica dell'efficacia della nuova arma. Non si faceva menzione degli effetti delle radiazioni, per ignoranza. In Giappone i giornali si soffermavano sulla potenza scientifica dei vincitori, poi la censura Usa impedì ulteriori dibattiti. Gli Usa non volevano che si conoscesse il dramma dei sopravvissuti, oppure che a Nagasaki c'era la comunità cristiana più grande del Giappone.
Un effetto di questa censura americana fu che negli anni successivi provocò una sorta di deresponsabilizzazione giapponese. L'aver impedito un dibattito pubblico sul contesto globale della guerra, e delle sue responsabilità (giapponesi), permise loro di considerarsi vittime per aver subito l'unico olocausto nucleare della storia del pianeta.
E' molto interessante il capitolo che tratta di come venne rappresentato, negli anni appena successivi, il bombardamento atomico tramite il cinema o la fotografia. Fino al 1952 (cioè la fine dell'occupazione Usa) era vietato esporre materiale fotografico su Hiroshima e Nagasaki, ed era proibito anche avere i negativi di queste foto.
Valido anche il capitolo sulle reazioni degli intellettuali del periodo che, tranne qualche sparuta eccezione (come Gunther Anders), non si schierarono contro il bombardamento atomico.
C'è un capitolo che riporta quale letteratura ha generato la bomba atomica in Giappone. Alla fine della guerra il tema è presenta raramente, in parte perché chi ne avrebbe potuto scrivere era morto nel bombardamento, ma anche per altri tre motivi: la censura Usa; la trasformazione del tema “atomico” in un tabù per tutta la società giapponese; l'ostracismo degli stessi letterato nipponici verso chi scriveva di e su Hiroshima e Nagasaki.
Eccezioni furono “Piaggia Nera” di Masuji Ibuse (però pubblicato nel 1965), “Note su Hiroshima” di Kenzaburo Oe, “Le campane di Nagasaki” di Tokashi Nagai.
Le testimonianza scritte dei sopravvissuti sono il modo più efficace per capire il dolore del dopo. Spiccano in particolare: “Lettere a mia moglie che se n'è andata” di Toyofumi Ogura; i diari del medico Michihiko Hachiya; “Come sopravvissi alla bomba” di Akira Kohchi; il libro tratto dalle interviste di 2000 sopravvissuti (fatte nel 1970) di Akihuto Ito.
Un capitolo è dedicato all'analisi dei testi scolastici giapponesi e statunitensi sul tema del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, ma vengono analizzati anche i testi scolastici tedeschi. In gran parte ogni nazione insegna una storia soggettivamente nazionale, omettendo le parte sgradite del bombardamento atomico e del suo contesto.
Il capitolo successivo prende in esame la “memoria storica” del bombardamento, come Hiroshima è vista dagli Usa ed in seguito come Hiroshima è vista dagli stessi giapponesi, Infine sono confrontate le due memorie storiche.
L'ultimo capitolo riassume la storia della corsa agli armamenti nucleari di Usa e URSS, e degli altri paesi con deterrenza atomica. In questo capitolo si palesa l'antiamericanismo dell'autore. Quando addossa agli Usa (rei di aver installato armi nucleari in Corea del Sud) la responsabilità dello sviluppo di armi atomiche da parte della Corea del Nord.
Il saggio è comunque interessante e valido, basta considerare che parte da un forte sentimento antiamericano, cosa che può anche essere condivisibile (viste le porcate fatte in questi decenni dagli Usa), ma che mina un po' l'obbiettività dell'opera.

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