Gv 21:15-25: PASCI I MIEI AGNELLI

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Cattolico_Romano
00martedì 2 dicembre 2008 20:11
....due omelie di sant'Agostino (dal "Commento al Vangelo di san Giovanni") sul passo proposto.

OMELIA 123

La triplice confessione di Pietro.


Alla triplice negazione corrisponde la triplice confessione. Sia prova d'amore pascere il gregge del Signore, come fu indizio di timore rinnegare il Pastore.

[Conclusione della vicenda di Pietro.]

4. Quand'ebbero fatto colazione, Gesù dice a Simon Pietro: Simone di Giovanni, mi ami più di questi? Gli risponde: Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene. Gli dice: Pasci i miei agnelli. Gli dice di nuovo: Simone di Giovanni, mi ami tu? Gli risponde: Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene. Gli dice: Pasci i miei agnelli. Gli dice per la terza volta: Simone figlio di Giovanni, mi vuoi bene? Pietro si rattristò che per la terza volta Gesù gli dicesse: Mi vuoi bene? E rispose: Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene. Gesù gli disse: Pasci le mie pecorelle. In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi da te stesso, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà e ti porterà dove tu non vorresti. E questo gli disse indicando la morte con la quale avrebbe glorificato Dio (Gv 21, 15-19). Così chiuse la vita terrena l'apostolo che lo aveva rinnegato e lo amava. La presunzione lo aveva innalzato, il rinnegamento lo aveva umiliato, le lacrime lo avevano purificato; superò la prova della confessione, ottenne la corona del martirio. E così ottenne, nel suo perfetto amore, di poter morire per il nome del Signore, insieme al quale, con disordinata impazienza, si era ripromesso di morire. Sostenuto dalla risurrezione del Signore, egli farà quanto nella sua debolezza aveva prematuramente promesso. Bisognava infatti che prima Cristo morisse per la salvezza di Pietro, perché Pietro a sua volta potesse morire per la predicazione di Cristo. Del tutto intempestivo fu quanto aveva intrapreso l'umana presunzione, dato che questo ordine era stato stabilito dalla stessa verità. Pietro credeva di poter dare la sua vita per Cristo (cf. Gv 13, 37): colui che doveva essere liberato sperava di poter dare la sua vita per il suo liberatore, mentre Cristo era venuto per dare la sua vita per tutti i suoi, tra i quali era anche Pietro. Ed ecco che questo è avvenuto. Ora ci è consentito di affrontare per il nome del Signore anche la morte con fermezza d'animo, con quella vera che egli stesso dona, non con quella falsa che nasce dalla nostra vana presunzione. Noi non dobbiamo più temere la perdita di questa vita, dal momento che il Signore, risorgendo, ci ha offerto in se stesso la prova dell'altra vita. Ora è il momento, Pietro, in cui non devi temere più la morte, perché è vivo colui del quale piangevi la morte, colui al quale, nel tuo amore istintivo, volevi impedire di morire per noi (cf. Mt 16, 21-22). Tu hai preteso di precedere il condottiero, e hai avuto paura del suo persecutore; ora che egli ha pagato il prezzo per te, è il momento in cui puoi seguire il redentore, e seguirlo senza riserva fino alla morte di croce. Hai udito la parola di colui che ormai hai riconosciuto verace; predisse che lo avresti rinnegato, ora predice la tua passione.

5. Ma prima il Signore domanda a Pietro ciò che già sapeva. Domanda, non una sola volta, ma una seconda e una terza, se Pietro gli vuol bene; e altrettante volte niente altro gli affida che il compito di pascere le sue pecore. Così alla sua triplice negazione corrisponde la triplice confessione d'amore, in modo che la sua lingua non abbia a servire all'amore meno di quanto ha servito al timore, e in modo che la testimonianza della sua voce non sia meno esplicita di fronte alla vita, di quanto lo fu di fronte alla minaccia della morte. [...] Che altro è dire: Mi ami tu? Pasci le mie pecore, se non dire: Se mi ami, non pensare a pascere te stesso, ma pasci le mie pecore, come mie, non come tue; cerca in esse la mia gloria, non la tua; il mio dominio, non il tuo; il mio guadagno e non il tuo; se non vuoi essere del numero di coloro che appartengono ai tempi difficili, i quali sono amanti di se stessi, con tutto quel che deriva da questa sorgente d'ogni male. [...] E il Signore a Pietro che lo amava predisse: quando sarai vecchio stenderai le tue mani, e un altro ti cingerà e ti porterà dove tu non vorresti. E questo gli disse indicando la morte con la quale avrebbe glorificato Dio. Stenderai le tue mani, dice il Signore, cioè sarai crocifisso; ma per giungervi un altro ti cingerà e ti porterà non dove tu vuoi, ma dove tu non vorresti. Prima predice il fatto, poi il modo. Non è dopo la crocifissione, ma quando lo portano alla croce che Pietro è condotto dove non vorrebbe; perché una volta crocifisso, non è più condotto dove non vorrebbe, ma al contrario, va dove desidera andare.
Egli desiderava essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, ma, se fosse stato possibile, avrebbe voluto entrare nella vita eterna evitando le angosce della morte. E' contro il suo volere che lo costringono a subire queste angosce, mentre è secondo il suo desiderio che ne viene liberato. Egli va alla morte con ripugnanza, e la vince secondo il suo desiderio, e si libera dal timore della morte, talmente naturale che neppure la vecchiaia vale a liberarne Pietro, tanto che di lui dice il Signore: Quando sarai vecchio, verrai portato dove tu non vorresti. Per nostra consolazione il Salvatore stesso volle provare in sé anche questo sentimento, dicendo: Padre, se è possibile passi da me questo calice (Mt 26, 39), lui che era venuto proprio per morire, e per il quale la morte non era una necessità, ma un atto della sua volontà, e in suo potere era dare la sua vita e riprenderla di nuovo. Ma per quanto grande sia l'orrore per la morte, deve essere vinto dalla forza dell'amore verso colui che, essendo la nostra vita, ha voluto sopportare per noi anche la morte. [...]
Cattolico_Romano
00martedì 2 dicembre 2008 20:11
OMELIA 124

Tu seguimi!

La Chiesa sa che le sono state raccomandate dal Signore due vite: una nella fede, l'altra nella visione; una peregrinante, l'altra gloriosa; una in cammino, l'altra in patria. Una rappresentata dall'apostolo Pietro, l'altra da Giovanni.

1. Perché il Signore, quando si manifestò per la terza volta ai discepoli, disse all'apostolo Pietro: Tu seguimi, mentre riferendosi all'apostolo Giovanni disse: Se voglio che lui rimanga finché io venga, a te che importa? Non è una questione da poco. Al suo esame e, nella misura che il Signore ci concede, alla sua soluzione dedichiamo l'ultimo discorso di questa nostra trattazione. Dopo aver dunque predetto a Pietro con qual genere di morte avrebbe glorificato Dio, il Signore gli dice: Seguimi. Pietro, voltatosi, vede venirgli appresso il discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si chinò sul suo petto e disse: Signore, chi è che ti tradisce? Pietro dunque vedendolo, dice a Gesù: Signore, e lui? Gesù gli risponde: Se voglio che lui rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi. Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto; ma Gesù non gli disse: non muore, ma: se voglio che rimanga finché io venga, che t'importa (Gv 21, 19-23). Ecco in quali termini il Vangelo pone questa questione, la cui profondità impegna non superficialmente la mente di chi la consideri. Perché a Pietro, e non agli altri che si trovavano insieme con lui, il Signore dice: Seguimi? Senza dubbio anche gli altri discepoli lo seguivano come maestro. Che se poi si dovesse intendere che Gesù volesse riferirsi al martirio, forse fu soltanto Pietro a patire per la verità cristiana? Non c'era forse tra quei sette l'altro figlio di Zebedeo, il fratello di Giovanni, che dopo l'ascensione del Signore fu ucciso da Erode (cf. At 12, 2)? Si potrà osservare che, siccome Giacomo non fu crocifisso, giustamente soltanto a Pietro il Signore dice: seguimi, in quanto egli ha affrontato non solo la morte, ma, come Cristo, la morte di croce. Accettiamo questa interpretazione, se non è possibile trovarne una migliore. Ma perché, riferendosi a Giovanni, il Signore dice: Se voglio che lui rimanga finché io venga, a te che importa? e poi ripete: Tu seguimi, quasi non voleva che anche l'altro lo seguisse, in quanto voleva che restasse fino al suo ritorno? Come interpretare queste parole in modo diverso da come le hanno interpretate i fratelli allora presenti, che cioè quel discepolo non sarebbe morto, ma sarebbe rimasto in questa vita fino al ritorno del Signore? Tuttavia, lo stesso Giovanni rifiuta questa conclusione, dichiarando apertamente che non era questo il pensiero del Signore. Perché infatti avrebbe soggiunto: Gesù non gli disse: non muore, se non perché non rimanesse nel cuore degli uomini una errata interpretazione?

3. [...] Se invece - ciò che è più credibile - san Giovanni fa notare che il Signore non disse: non morirà, proprio perché non gli si attribuisse una simile interpretazione delle parole del Signore; e se il suo corpo giace esanime nella tomba come quello di tutti gli altri morti, e se risponde a verità la notizia che la terra sulla sua tomba si solleva e si abbassa, rimane da decidere se tale fenomeno si verifica per onorare la morte gloriosa, in quanto essa non è stata resa gloriosa dal martirio (Giovanni infatti non fu ucciso dai persecutori per la sua fede [è l'unico Apostolo ad essere morto di morte naturale: per questa la sua festa si celebra coi paramenti bianchi]), oppure per qualche altro motivo che a noi sfugge. Rimane tuttavia da chiarire la ragione per la quale il Signore, riferendosi ad un uomo che sarebbe morto, disse: Voglio che rimanga finché io venga.

4. Ma chi non sentirà il bisogno di chiedersi, a proposito di questi due apostoli, Pietro e Giovanni, come mai il Signore prediligeva Giovanni, dal momento che era Pietro ad amare di più il Signore? Ogni qualvolta infatti Giovanni parla di sé, tace il proprio nome, e per far capire che si tratta di lui, mette questa indicazione: il discepolo che Gesù amava, come se Gesù amasse lui solo, per distinguersi con questa indicazione dagli altri, tutti certamente da Gesù amati. Che altro vuol farci intendere, con questa espressione, se non che egli era il prediletto? Lungi da noi ogni dubbio circa tale affermazione. E, del resto, quale maggiore prova poteva Gesù dare della sua predilezione all'uomo che insieme agli altri condiscepoli era partecipe della grazia sublime della salvezza, se non quella di concedergli di riposare sul petto del Salvatore stesso? Quanto al fatto che l'apostolo Pietro abbia amato Cristo più degli altri, ci sono molte prove che lo dimostrano. Senza andarle a cercare troppo lontano, risulta in modo abbastanza evidente nel discorso precedente, allorché il Signore gli rivolse la domanda: Mi ami più di questi? (Gv 21, 15). Il Signore certamente lo sapeva, e tuttavia glielo domandò, in modo che anche noi, che leggiamo il Vangelo, conoscessimo, attraverso la domanda dell'uno e la risposta dell'altro, l'amore di Pietro per il Signore. Il fatto però che Pietro abbia risposto: Sì, ti amo, senza aggiungere che lo amava più degli altri, dimostra che Pietro ha risposto ciò che sapeva di se stesso. Non poteva sapere infatti quanto lo amassero gli altri, dato che non poteva vedere nel loro cuore. Però con le parole precedenti: Signore, tu sai tutto (Gv 21, 16), chiaramente lascia capire che il Signore sapeva già che cosa avrebbe risposto Pietro alla sua domanda. Il Signore dunque sapeva non solo che lo amava, ma anche che lo amava più degli altri. Ebbene, se ci domandiamo quale sia il migliore tra questi due apostoli, colui che amava di più Cristo o colui che lo amava di meno, chi esiterà a rispondere che migliore era colui che lo amava di più? E ancora, se ci domandiamo quale sia il migliore tra questi due apostoli, colui che era amato di più da Cristo, o colui che lo era di meno, non possiamo non rispondere che migliore era colui che più era amato da Cristo. Nel primo caso si antepone Pietro a Giovanni, nel secondo Giovanni a Pietro. Perciò propongo un altro confronto: chi è il migliore tra questi due discepoli: quello che ama Cristo meno del suo condiscepolo e più del suo condiscepolo è amato da Cristo, oppure quello che è amato da Cristo meno del suo condiscepolo benché più del suo condiscepolo ami Cristo? Qui la risposta tarda a venire e la difficoltà è aumentata. Per quanto so io, risponderei così: è migliore colui che ama di più Cristo, mentre è più felice colui che da Cristo è più amato. Con tale risposta però non riesco a vedere come si possa difendere il modo di agire del nostro Liberatore, che sembra amare meno chi lo ama di più, e amare di più chi lo ama di meno.

8. Questi è il discepolo che attesta queste cose e che le ha scritte, e sappiamo che la sua testimonianza è vera. Ci sono ancora molte altre cose fatte da Gesù, che se fossero scritte una per una, il mondo stesso non basterebbe, penso, a contenere i libri che se ne scriverebbero (Gv 21, 24-25; 20, 30). L'espressione non va intesa nel senso che nel mondo non v'è spazio sufficiente per contenere questi libri; come sarebbe possibile, infatti, scriverli nel mondo se il mondo non avesse la capacità di contenerli? Probabilmente si tratta della capacità dei lettori, non sufficiente a comprenderli. E' frequente il caso che, pur rispettando la verità delle cose, le parole risultino esagerate. Ciò accade non quando si espongono cose dubbie od oscure, adducendone le cause e i motivi, ma quando si aumenta o si attenua ciò che è chiaro, pur senza scostarsi dai limiti della verità. Allora le parole sono talmente esagerate rispetto alla realtà delle cose indicate che appare chiaro che chi parla non ha alcuna intenzione di trarre in inganno. Egli sa fino a che punto sarà creduto; e chi ascolta sa come interpretare certe espressioni esagerate in un senso o in un altro. Non solo gli autori greci, ma anche quelli latini, chiamano questo modo di esprimersi col termine greco di iperbole. [...]
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