Giovani scrittori ( Di stefano Paolo )

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sergio.T
00venerdì 10 ottobre 2008 12:21
Autori vicini, grandi e già dimenticati

Oblio per Pontiggia, Lagorio, Meneghello... Gli scrittori di oggi? Tifano per se stessi

Non abbiamo memoria, c' è poco da fare. Stiamo a piangere la scomparsa di Mario Rigoni Stern ma ce ne dimenticheremo presto, purtroppo, ammettiamolo. In vita siamo tutti, più o meno, protagonisti, per essere poi dimenticati in morte. Il Piccolo fratello era intento in questi tristi pensieri domenica mentre leggeva, sul Sole 24 Ore, gli aforismi postumi di Giuseppe Pontiggia. Tra cui questo: «Scrivere per essere vivi e autentici. Non conosco altra ragione valida per scrivere. La fama è decisamente secondaria e non meriterebbe che minimi sforzi». Probabilmente, con tutta la sua ironia e autoironia, lo sapeva anche Pontiggia (scomparso esattamente cinque anni fa) che sarebbe stato dimenticato dai più. Persino lui che aveva scritto alcuni libri che si possono tranquillamente definire memorabili, come «Nati due volte». Un romanzo che sarebbe stato benissimo nell' articolo di Claudio Magris (Corriere di domenica 22) sulla necessità, per la letteratura d' oggi, di ricominciare dal dolore, senza anestesie nei confronti della vita e della storia. «Nati due volte» è questo: una specie di immersione nell' angoscia di un padre con un figlio disabile, l' attraversamento di un dramma rivissuto in un linguaggio non povero ma essenziale, capace di arrivare al cuore di quel dramma senza cadere nel patetico. Bisognerebbe ricordarsene, ogni tanto, e appena si può parlare di Pontiggia, che è stato uno dei grandi scrittori dei nostri anni. Uno scrittore che ha creduto nella letteratura come forma di vita e di vitalità («Scrivere per sentirsi vivi. La lettura e la scrittura sono un prolungamento nel futuro»), senza furberie, senza esibizionismi. Bisognerebbe ricordarsi anche di altri, che non ci sono più ma ci sono sempre. Per esempio Gina Lagorio. Chi si ricorda più di Gina Lagorio? Eppure è morta solo tre anni fa. Per fortuna Garzanti ha riproposto «Càpita» (che forse meritava una prefazione o una postfazione in aggiunta), un ritratto interiore e fisico (molto fisico) scritto durante la malattia: anche questo libro avrebbe potuto benissimo entrare nella intensa riflessione di Magris, perché non sarà un romanzo giallo (oggi la letteratura è solo giallo: guardare le classifiche per credere) ma è letteratura allo stato puro, un canto lucidissimo alla vita nel momento del suo crepuscolo: «Ora lo so, che camminare nel sole, nuotare nell' acqua, respirare tra amici, è vita, è la vita. E il resto è miseria, scarto, niente». E si potrebbe aggiungere Meneghello, che se n' è andato da poco. Bisognerebbe parlare di «Libera nos a Malo» appena si può. Per esempio appena si sente dire che l' epica italiana è stata inventata dai giovani scrittori. Bisognerebbe continuare a parlare di Luigi Malerba, anche dopo i coccodrilli. Bisognerebbe parlare di Rigoni Stern, Pontiggia, Lagorio, Meneghello, Malerba, Volponi per non appiattirsi sui trionfalismi del presente. Perché a volte anche in letteratura sembra di essere dentro certe telecronache calcistiche descritte ieri da Aldo Grasso, fatte di «ci temono» e di «noi, noi, noi». Con la differenza che in letteratura a dire «ci temono» e «noi, noi, noi» non sono i cronisti, ma gli scrittori, tifosi di se stessi.

sergio.T
00venerdì 10 ottobre 2008 12:25
Ho letto solo stamani questo splendido articolo.
Non conoscevo questo giornalista, ma conoscevo certi temi da lui portati.

mujer
00lunedì 13 ottobre 2008 08:38
Certo che non si esaurisce mai questo argomento!
Ha sempre appassionato migliaia di lettori (quelli veri, ovvio) e fatto incazzare gli scribacchini.
Guarda caso, i pochi scrittori degni di questo nome non stanno lì a "difendere" il proprio operato. Continuano a scrivere fregandosene altamente dei dibattiti online.
Anzi, gli scrittori degni di questo nome non hanno neanche una pagina online dove scrivere le proprie idee; fortuna nostra vuole che quella fatica, lo scrittore degno di questo nome, la trascriva su fogli che - prima o poi - avremo tra le mani.
Il resto è fuffa!

e degna morte la seppellirà
(con buona pace nostra e all'anima loro) [SM=g10529]
sergio.T
00lunedì 13 ottobre 2008 09:08
consiglio di andare a leggere su Nazione Indiana la risposta di Biondillo a questo articolo e i relativi commenti.
La risposta di Biondillo e' , come si puo' facilmente prevedere, risentita; i commenti sono invece altalenanti.
Quelli di Giuseppe Jannozzi ( tipo un po' particolare) sono molto interessanti.
Intervengono anche i Wu Ming (1) con risposte spropositate.
mujer
00lunedì 13 ottobre 2008 09:10
Andrò a leggere.
sergio.T
00lunedì 13 ottobre 2008 09:21
Si, vai a leggere perche' lo consiglio veramente . E' una discussione animata...

L'articolo del giornalista colpisce un bersaglio vivo: la mania di scrittori e scrittorini a definirsi come nuova letteratura o per l'appunto scrittori ( inflazione).
In italia, di questo passo, ci sono piu' scrittori che lettori e la cosa non puo' non far sorridere.

Che esistano le cricche o le bande e' una cosa certa: si fondano filoni, tendenze, manifesti, e tutte queste fazioni cosidette letterarie si fanno la guerra tra loro.
Una guerra di pubblicita', che come si puo' immaginare, non ha niente a che vedere con la letteratura.
Infatti basta poi prendere un romanzetto di queste nuove tendenze per capire quanto vuoto ci sia dietro, o per comprendere come oggigiorno basti davvero poco per scrivere un libro.
Naturalmente se ricordi loro questa totale mancanza di " opera" vera, s'incazzano, strillano, starnazzano. se la prendono con il lettore giudicandolo incompetente.
Ma rimane sacro il principio ( come si dice) che una volta che acquisto un libro sono liberissimo di giudicarlo come cavolo mi pare e piace: posso anche usarlo come fermacarte, o sotto la gamba di un tavolo.
E questo basta.
Per non parlare di quel Vostradamus che anticipo' un'altra verita' poi confermata in pieno dall'editoria italiana: alcuni autori italiani giovani o moderni? non li leggo e non mi piacciono, sottintendendo in realta' con quel "non li leggo", una conoscenza molto piu' approffondita di cosa voglia dire la letteratura vera.
Avendone gia' letto uno o due, e' facile capire come gli altri mille rimanenti siano della stessa pochezza...
sergio.T
00lunedì 13 ottobre 2008 09:23
Vostradamus ( uno dei post piu' intelligenti sui blog italiani)
Niente di personale, signor Colombati, ma le sue noticine dolenti mi suggeriscono delle riflessioni che riguardano, esclusivamente, il “mio” rapporto con l’attuale produzione letteraria italiota.
*- Non l’ho letto e non mi piace.

- Non leggo, e non mi piace, il novanta per cento della “giovane” (sic!) narrativa italiana.

- Non leggo, e non mi piacciono, autori che, avendo pubblicato un (a volte miserrimo) libro, parlano e pontificano come se avessero appena inventato la letteratura.

- Non leggo, e non mi piacciono, scrittori e poeti che aprono un sito per dirci “tutto”, ma proprio tutto, della loro fatica quotidiana con la pagina; che ci tengono aggiornati, quasi minuto per minuto, sulle difficoltà e i travagli del “parto”; che ci danno conto, con minuzia di particolari, delle mail che ricevono, delle recensioni (soprattutto quelle “entusiastiche”) che i loro “capolavori” raccolgono.

- Non leggo, e non mi piacciono, coloro che non fanno niente per sottrarsi al mercimonio mediatico che rende cacca da supermercato anche le migliori intenzioni e le migliori scritture.

- Non leggo, e non mi piacciono, gli scrittori che, volenti o nolenti, scendono a qualsiasi compromesso pur di vedersi pubblicati. E poi rincorrono il critico amico, affinché immortali il prodotto per una posterità che farà volentieri a meno di loro.

- Non li leggo, e non mi piacciono, perché dei loro libri, tra un anno o due, non resterà niente. Salvo le solite due o tre eccezioni che non fanno che confermare la regola.

*

Qualcuno mi dirà: “E chi se ne frega delle tue considerazioni!”.

Appunto. Chi se ne frega.

Buona domenica.

Vostradamus

sergio.T
00lunedì 13 ottobre 2008 11:41
Le novita? Spesso non vendono nemmeno una copia. ( La Repubblica)
Amati, desiderati, ma più fugaci di un saldo di stagione. Deperibili, volatili, e destinati ed esistenze così brevi da non superare spesso le sei settimane di vita. Introvabili se appena un po' d' antan. Quaranta giorni sugli scaffali, poi se i conti non tornano addio, il libro finisce tra le rese, e dopo le rese al macero. Nel 2000 un testo riusciva a "sopravvivere" sui banconi 90 giorni dopo il lancio, questo vuol dire che saggi e romanzi hanno perso in pochissimi anni una buona percentuale di visibilità. Ogni giorno in Italia vengono pubblicati 170 nuovi titoli, ma il 35% della tiratura è destinato alla carta straccia, come in una gigantesca discarica di parole e pensieri. E in libreria di loro non resta traccia, non importa se belli o brutti, la legge ormai è questa, fare spazio sugli scaffali per le "novità", così i libri di oggi divorano quelli di ieri, e sempre più frequentemente accade che sperduti tra chilometri di romanzi e saggi, tra migliaia di proposte e offerte, non si riesca a trovare quell' unico volume che stavamo cercando. Tanto che, come segnalava ieri Francesco Merlo sulle pagine di Repubblica, in tempi di megastore e bookshop multipiano, mentre l' oggetto libro conquista supermercati e autogrill, ai lettori più attenti ed esigenti, alla ricerca di un testo meno noto, più raffinato, o semplicemente di qualche anno fa, non resta che la caccia su Internet, ormai vera biblioteca alternativa e dove le vendite sono salite di oltre il 40% nell' arco di cinque anni. Ma è possibile che la vita di un libro sia così breve, e soprattutto che la sua memoria, in assenza di scorte e depositi, risulti tanto evanescente da scomparire nell' arco di poche stagioni? Purtroppo sì, risponde Giuliano Vigini, saggista ed esperto di editoria, «migliaia di titoli vengono cannibalizzati da altri titoli, basti pensare che dal 1996 al 2005 sono usciti dalla circolazione 373.787 libri, e che ogni anno finiscono fuori catalogo oltre 40mila volumi». Uscire fuori catalogo vuol dire scomparire, missing, perché per librai grandi e piccoli ormai il deposito è diventato un costo morto, una voce in perenne passivo. «La responsabilità di questa caducità di tanti testi, è figlia delle valanga di novità che ogni giorno arrivano nei megastore, che puntano tutto sui titoli di richiamo a discapito, spesso, della qualità degli autori, che se restassero più a lungo esposti e magari consigliati dai librai, potrebbero trovare lettori e successo». I libri però oggi si vendono sempre di più nelle multisale della letteratura, dove ci sono i romanzi e i Dvd, le offerte speciali, le poltrone per leggere, i caffè, mentre le piccole librerie sono sempre più in affanno. Perché il mercato cambia. E Inge Feltrinelli afferma, che il futuro è là, nei megastore, pur confessando «io amo le vecchie librerie, quelle dove il libro sembra un oggetto prezioso, da sfogliare, accarezzare, annusare, quando vado a Parigi, a Londra ci capito sempre, non credo che Internet potrà mai sostituire un libro, pensate a quanto potrebbe essere freddo leggere Montale su un computer o una favola di Andersen attraverso uno schermo...». Perché invece la strategia delle librerie Feltrinelli, le prime in Italia ad utilizzare la formula del grande contenitore che unisce editoria e musica, dice Inge Feltrinelli «è quella di avvicinare i giovani alla lettura, ma rendendo loro facile l' accesso, in luoghi dove si può trovare tutto, le novità, ma anche i tascabili, le offerte, e non è vero che le scorte non ci sono più, non c' è un classico che non esista in versione economica, però è impossibile avere tutti i titoli, infatti il futuro delle librerie piccole, indipendenti è la specializzazione, avere un catalogo selezionato». Insomma il mercato e la memoria, forse, corrono su due binari differenti. Anche se Luca Nicolini, uno degli organizzatori del Festival della Letteratura di Mantova, e libraio da 30 anni, precisa invece che buona parte della responsabilità della mancanza di "scorte", «dipende solo in piccola parte dai librai, e in gran parte dagli editori, che ormai sempre più spesso seguono le mode e non ristampano i cataloghi». «Noi siamo una realtà piccola - aggiunge Luca Nicolini - e per sopravvivere ci stiamo specializzando nel reperimento di titoli e testi. Anche se da un punto di vista commerciale è ben diverso vendere 100 copie dello stesso titolo, che 100 libri con titoli diversi. Per noi poi avere un magazzino è una spesa impossibile. La verità è che c' è un' invasione di novità insostenibili, e che spesso non vengono nemmeno una copia. A volte con una battuta dico che gli unici a fare un po' di soldi in questa invasione di libri, sono soltanto gli autotrasportatori: guadagnano infatti consegnando i libri, e guadagnano di nuovo portando indietro quei titoli come resa...».
- MARIA NOVELLA DE LUCA
mujer
00lunedì 13 ottobre 2008 16:23
Nell'era del consumo non poteva che andare a finire così.
Persino avere tra le scatole degli scrittori che sognano lettori consumisti.
Il fatto è che l'omologazione ha fregato anche loro: tutti si sentono in grado di FARE letteratura (e in quel maiuscolo sta tutta la pochezza di un atto borioso) e di dirsi scrittore perchè è giunto alla pubblicazione.
Ora, che ciò che si è pubblicato venga da contratti autofinanziati o da operazioni commerciali di dubbio gusto culturale la cosa sembra non importare molto agli scrittori in erba: l'importante è comparire in una libreria o in edicola - sezione sfigati, ci sarà? - e nello scaffale di mammà affianco al libricino di preghiere di Padre Pio. Vuoi mettere?
Poi lo puoi pure regalare a natale al posto del calendario della Arcuri e dire all'amico di aiutarti a promuoverlo che poi glieli autografi. Un po' come chiedere il voto ma senza fare la figura di merda quando escono i risultati elettorali.
Eh già, perchè, dopo appena qualche giorno dall'uscita, se provate a chiedere allo scrittorino/a come vanno le vendite, inizieranno a dire che i dati arrivano dopo un po' di tempo, che il mercato dell'editoria è bastardo e che "il margine sta tra le copie in contovendita, quelle vendute e quelle in reso e a me non me ne viene niente".
Non viene mai in mente allo scrittorino/a di turno che nessuno, ma proprio nessuno, gli dice nulla delle sue vendite perchè l'operazione commerciale si è esaurita nel momento in cui la tipografia ha incassato i suoi bei soldi di stampa, la casa editrice ha smaltito un bel po' di rompiballe (e magari ha anche incassato l'obolo per la notorietà) e il libraio si è preso la decine di copie in contovendita e le ha messe lì in basso a sinistra che neanche un cane che voglia pisciare ci arriva.
Gli scrittorini che vogliono i lettori consumatori non sanno una cosa semplice semplice: sono soprattutto loro ad essere utili al mercato del consumo, diventando il mezzo per raggiungerlo e per propinarlo a lettori sempre più rincoglioniti.

Viene voglia di ridiventare analfabeta. Anche se...
[to be continued]
sergio.T
00martedì 14 ottobre 2008 11:29
Leggendo alcune discussioni, tipo quella su Nazione Indiana o quella di Vostradamus sul blog di Bassini ( mi sembra), risulta chiaro di come su questo tema si spendano mille opinioni diverse , ma che si possono riassumere benissimo in due filoni: la categoria degli ossessionati scrittori ( e relativo codazzo di aspiranti scrittori)e
la categoria di quelli che ancora riescono a distinguere la qualita' della letteratura.
I primi - gli ossessionati - consapevoli della loro pochezza cercano in tutti i modi di mettersi in mostra : blog letterari, siti internet, autopubblicazioni, corsi e corsini di scrittura, nuove tendenze, nuovi fondamenti letterari, manifesti, ecc.ecc.
Si creano nicchie di raccolta: uno scrittore e un codazzo di adulatori che guarda caso sono in attesa, a loro volta, di pubblicare. L'adulazione, in certi casi, nasce proprio da questo: la speranza che l'autore gia' pubblicato gli dia una mano per il loro libro e su questo punto si potrebbero fare esempi a iosa.
I secondi, invece, scrivono in modo piu' leggero, ma piu' onesto.
Probabilmente poco interessati a pubblicare o persino a scrivere ( ma chi dice che tutti vogliano scrivere un libro? da dove nasce questa idea cosi' scellerata?), semplicemente rifiutano gli ordini di leggere questo o piuttosto quello. Mantengono insomma la liberta' di leggere in un certo modo disdegnando quello che non riconoscono come un prodotto letterario di qualita'.
E fanno distinzioni.
Ed e' qui', in moltissime discussioni, che nascono mille controversie, mille polemiche, ma sopra a tutto, nasce quella spudorata arroganza di certi scrittori o peseudo tali, che come dice benissimo Vostradamus ( sempre lui come esempio!), tra un paio di anni o giu' di li', una volta smesso di scrivere e apparire a tutti i costi ( anche in tv ), scompariranno dalla scena editoriale, ma innanzitutto dalla scena dei lettori. ( esclusivamente lettori).

Sono innumerevoli i casi di scrittori ( si fa per dire) che invitano spudoratamente a leggere un proprio libro, parlando, al contempo stesso, male di un altro libro di un loro collega.
Ho letto persino casi di questo genere: ma che leggi uno che scrive male come Ammaniti ( Ammaniti!!! roba da due milioni di copie!!) leggi il mio piuttosto ( il suo!!! roba da poche migliaia se gli va bene!!!) che e' ecc.ecc....
E che e' questo suo libro? un compitino spargi fumo, forse?

Di Stefano ha dunque ragione e che questa ragione dia fastidio agli ultras di se stessi ( gli scrittori) poco importa.
Quella di Di Stefano non e' nemmeno una critica; e' un prendere atto di quello che comunemente avviene tutti i giorni in internet.
sergio.T
00venerdì 17 ottobre 2008 10:22
quali di questi giovani scrittori sara' ricordato? chi di loro sara' immortale?
In fondo, credo, che la letteratura sia il veicolo verso l'eterna fama, l'eterna gloria.
E' capitato ai piu' grandi di sempre.
Stendhal, per fare un nome.

Oggi non si scrive piu' il Rosso e il Nero, ma tra le centinaia di autori italiani, chi sara', con le debite proporzioni, il prossimo Manzoni, il prossimo Calvino, il prossimo Sciascia?
Uhmm...
Vediamo un po'.
Nell'ultima leva mi viene in mente solo un nome: Ammaniti.
Mi sembra un po' esagerata questa mia previsione, ma se fossi forzato a dare una risposta, Ammaniti e' il nome che farei.
Perche'? non lo so nemmeno io.
Non scrive benissimo, non denuncia, non ha rinnovato e fondato nesuna corrente letteraria.
E allora direi che sara' ricordato per il suo modo di raccontare. E' questa la sua magia.
Si, tra venti, trenta anni, si leggera' ancora Ti prendo e ti porto via.
Ne sono sicuro.
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