Gaspare Zinnanti

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Lilith Blood
00mercoledì 3 novembre 2004 18:19
Un operaio, un commerciante, un uomo d'affari, una donna anziana. Quattro persone. Quattro vittime. Vittime colpite a morte dalla stessa mano, quella del «Mostro di Stretta Bagnera».
Siamo nel 1859: sopra Milano sventola la bandiera giallo-nera della dinastia asburgica e la polizia che pattuglia le strade della città parla tedesco. Gli ufficiali giudiziari si dibattono tra scartoffie amministrative, noiose procedure burocratiche, denunce di reati politici e un caso che toglie il sonno a più di un ispettore. Nel corso di dieci anni, infatti, tre atroci delitti si sono consumati all'interno di uno scantinato di una piccola strada del centro, via Bagnera. Le indagini sono a un punto morto, gli indizi pochi. L'assassino uccide servendosi di una scure, ma non è il modo in cui compie gli omicidi a colpire, quanto ciò che succede «dopo». Il nostro uomo si avvicina al corpo inerme e sanguinante della vittima, lo scruta dall'alto, poi si china. Sembra cercare qualcosa, forse un contatto, oppure un ricordo da tenere e conservare. Sfila un anello, un prezioso orologio da taschino e prende anche dei soldi, ma vuole di più. Allora decapita, taglia, depezza, abbandonandosi ad atti di necrofilia, in un'escalation di orrore.





UN TESTIMONE - Colpo di scena. Una potenziale vittima diventa testimone, scampando all'aggressione del killer, e identifica in Antonio Boggia la persona che lo ha colpito alla testa con un bastone. Ma chi è Antonio Boggia? E' un uomo qualunque, con un lavoro qualunque: si occupa della gestione di condomini, attività che gli permette un certo tenore di vita. E' una persona distinta, Antonio, un sessantaduenne gentile, affabile, a cui piace vivere bene, spendere denaro, possedere mobili antichi, oggetti di valore, vestire abiti eleganti. Fa visita ai suoi condomini, ne invita qualcuno al caffè sotto casa, coinvolgendolo in una tranquilla conversazione su argomenti di routine: il lavoro, la famiglia, gli amici, tanto per scambiare quattro chiacchiere. Poi, però, sceglie di rivedere solo chi è benestante e non ha né forti legami di parentela, né frequentazioni abituali. Scatta la trappola, ma questa volta qualcosa va storto e il Boggia finisce in prigione, anche se non vi rimane a lungo. Durante il processo, infatti, urla, impreca, ride convulsamente, insomma, si finge pazzo, e la corte gli crede. Trascorre un breve periodo in un manicomio criminale, poi è di nuovo in libertà, come se non fosse successo nulla.

LA CONDANNA - Ester Maria Perrocchio è un'anziana signora di settant'anni molto ricca e, non avendo più nessuno che si occupi di lei, si appoggia ad Antonio, perché amministri un edificio di sua proprietà. Il Boggia, ovviamente, coglie l'occasione al volo, non risparmiando nemmeno questa volta la vita della donna. Immobile, riversa in una pozza di sangue, gli occhi ancora aperti, sul viso un'espressione di terrore, la signora Ester giace accanto al corpo del Boggia, che continua a guardarla, finché non si addormenta. Il mattino seguente è il figlio della donna a trovare il cadavere, a dare l'allarme alla polizia e a fare arrestare l'omicida, ancora all'interno dell'appartamento.
In tribunale Antonio Boggia dichiarerà: «Mentre la donna parlava vidi la scure: mi colse un estro e le vibrai un fortissimo colpo in testa». La giuria lo condanna all'impiccagione.

ANNI NOVANTA - Un'altra storia, un'altra Milano, quella frenetica e caotica della fine degli anni Novanta. Alle soglie della primavera del 1997, i crimini di un killer ancora a piede libero raffreddano il clima tiepido del mese di marzo. Gli agenti di polizia diffondono un identikit: Gaspare Zinnanti, trentaquattrenne di origini palermitane, è ricercato, formalmente come supertestimone, ma in realtà grava su di lui l'accusa di duplice omicidio.
Una tranquilla domenica mattina, una ragazza viene rapinata nei pressi della Stazione Centrale. La ragazza è una giornalista che, da brava addetta ai lavori, conosce i fatti di cronaca del momento e, grazie ad alcune foto pubblicate sui giornali, riconosce nell'uomo che le ha sottratto del denaro il ricercato Gaspare Zinnanti. La donna corre a riferire quanto successo alla Polfer, che, poco dopo, ferma e arresta il ragazzo. Gaspare non nasconde nulla di fronte agli inquirenti: confessa tutto, anzi di più. Ammette la sua responsabilità in un terzo omicidio e si autoaccusa di un tentato omicidio. Ma che cosa ha fatto Gaspare Zinnanti?

ZINNANTI - Nel 1992, questo ragazzo di bella presenza, spigliato e affabile nei modi, conosce Francesca Coelli, un'ex insegnante divorziata e benestante, che abita in un elegante appartamento di via Vanvitelli, nel cuore del quartiere Città Studi. La donna non è più giovane (ha cinquantadue anni), e non è più bella, ma a Gaspare non interessa e decide di convivere con lei. Il loro rapporto, più che altro di natura sessuale, si interrompe in un pomeriggio del marzo del '97, quando Gaspare impugna un martello e colpisce Francesca alla testa ferendola mortalmente. Il corpo senza vita della donna viene rinvenuto dal fratello il 21 marzo. Gaspare prende il treno e fugge a Roma, dove resta solo un giorno, poi torna a Milano, deciso a rivedere una sua vecchia conoscenza. Esce dalla Stazione Centrale e cammina per un po', poi imbocca le scale che portano alla metropolitana, linea gialla, stazione Sondrio. Si mischia tra la folla, avvicinandosi al bordo della banchina. Appena prima che passi il treno appoggia la mano sulla schiena di una donna e la spinge giù dal marciapiede. Genoveffa Nuzzo, una casalinga di quarant'anni, viene subito ricoverata per trauma cranico ed edema cerebrale. Operata, rimane undici giorni in coma, ma alla fine è salva.

ALTRE VITTIME - Quello stesso giorno, Gaspare si reca in viale Monza, dove abita un suo amico di vecchia data. Alvaro Calvi, ex marinaio, ex porta valori, ora cinquantottenne in pensione, lo accoglie a braccia aperte e lo invita a fermarsi nel suo monolocale fin quando lo desidera. La relazione tra i due uomini è di natura omosessuale: Alvaro è molto legato al ragazzo, gli vuole bene, ma questo non impedisce a Gaspare di colpire l'uomo alla testa con un martello. Il cadavere di Calvi viene trovato dal cognato sabato 22 marzo. Zinnanti, di nuovo senza casa, si dirige verso la Stazione Centrale, dove incontra Vincenzo Zenzola, un tossicodipendente di quarantatre anni, schedato dalla polizia per piccoli precedenti. I due si conoscono di vista e Gaspare, che non sa dove trascorrere la notte, accetta di seguire l'uomo in una palazzina abbandonata dalle parti di via Ripamonti, alla periferia sud della città. La mattina seguente è solo Gaspare che si sveglia, perché Vincenzo ha la testa sfondata. E' lo stesso Zinnanti a confessare l'omicidio alla polizia, che recupera il corpo dell'uomo in un edificio di via Sibari.

CONFESSIONE - Perché Gaspare uccide? Ciò che racconta alla polizia, dopo non poche ritrattazioni, ha dell'incredibile. E' stata Francesca a chiederglielo, infatti Gaspare è sicuro di averle sentito dire: «Tu sai cosa devi fare»; quanto ad Alvaro «Gliel'ho letto negli occhi che mi chiedeva di ucciderlo»; mentre con Vincenzo, Gaspare ha compiuto un atto di «purificazione». Infine, ha spinto la signora Genoveffa sui binari della metropolitana, perché gli «mancava l'aria» e doveva «fare qualcosa prima di morire». Dice: «Io gli volevo bene […] io non li odiavo […] non volevo che soffrissero, la vita è triste, è fatta di tanti passaggi, si deve passare da uno stadio all'altro, io volevo far del bene». Sono frasi sconnesse, deliranti, che spingono i sostituti procuratori che si occupano del caso a chiedere una perizia psichiatrica. E' il professor Gianluigi Ponti, docente di psicopatologia forense e criminologia all'Università di Milano, che incontra Gaspare Zinnanti e ciò che il ragazzo gli racconta nel corso di tre colloqui, lo porta a concludere che Zinnanti è «affetto da una grave e acuta schizofrenia e dotato di elevatissima pericolosità sociale». Gaspare si sente investito da una missione divina e crede che le sue azioni siano guidate da forze sovrannaturali: il crocefisso gli parla, sente delle voci e avverte delle presenze, in un concerto di allucinazioni che lo portano a uccidere le persone che gli danno affetto, offrendo loro la salvezza.

INFANZIA DIFFICILE - La storia di questo serial killer risulta ancora più strana se si pensa che, prima di quei dieci giorni di follia, il ragazzo non da segni di squilibrio, pur conducendo una vita dura e difficile fin dalla prima infanzia. E' un bambino orfano di padre, Gaspare, che cresce e resta in collegio fino all'età di quattordici anni. Cattive compagnie, amicizie che non lo aiutano, la droga, poi il servizio militare che sembra rimetterlo in carreggiata, tanto che decide di sposarsi e di cercare lavoro. Il matrimonio, però, non va bene e sul lavoro Gaspare ha frequenti discussioni con i suoi superiori. La sua realtà è fatta di eroina, hashish, Roipnol, furti di automobili, rapine ai negozi, prostituzione. Quando non è in carcere (dove trascorre in tutto sei anni), dorme alla Stazione Centrale, sulle panchine, a volte a casa di un amico. Poi, conosce Francesca.

MANICOMIO E MORTE - Gaspare Zinnanti è ritenuto incapace di intendere e di volere ed è pericoloso sia per gli altri che per se stesso, ecco perché i giudici ne dispongono l'immediato internamento in un ospedale psichiatrico giudiziario, dove deve restare non meno di dieci anni. E' in una cella del manicomio criminale di Reggio Emilia, che, nel luglio 2001, gli agenti di custodia trovano il corpo di Gaspare impiccato alle sbarre.
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