Francia, furia e follia

Bertavianus
00mercoledì 20 maggio 2009 23:51
Bc 5.1 full vh/vh
Luigi VIII inaugurò il suo regno con un tentativo di colpo di mano che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto consegnargli immediatamente la città di Rouen; si nascose nei boschi, richiamando sotto le sue insegne quanti più uomini possibili, ed entro un anno lanciò un attacco a sorpresa contro i soldati inglesi che stazionavano fuori le mura occidentali della città.
Colse un grande successo, e sterminò gran parte della guarnigione accorsa in soccorso dei propri commilitoni, ma mancò l’obiettivo; i nemici sopravvissuti riuscirono a rifugiarsi in città e a prepararsi per l’estrema difesa.
Costretto a cingere l’assedio, fu raggiunto da un messo pontificio che gli intimò di cessare subito le ostilità, pena la scomunica.
Là dove ogni altro regnante avrebbe desistito, Luigi perseverò, e Rouen fu sua la stagione seguente.
Siffatta sfida all’autorità ecclesiastica poteva parer follia, ma troppo era il desio di iniziar la liberazione della terra di Francia, senza concedere al nemico tempo di riorganizzarsi; contava, inoltre, sulla impreparazione bellica dei confinanti, e sulle buone relazioni che andava tessendo.
Pria di cogliere il frutto del successo, si era assicurato tranquillità ad oriente alleandosi con l’Impero; analogo patto stipulò poi coi Casigliani, cui era imparentato per matrimonio, guadagnandone in sicurtà sull’opposto fronte.
Una flottiglia donatagli dai nobili del regno gli consentì presto di portare l’attacco oltre Manica, cingendo d’assedio il castello di Winchester; l’impresa fu più ardua del previsto, in quanto il nemico riuscì a radunare gran copia di mercenari; ma ei fece lo stesso, e lo annientò totalmente quando osò tentare di sloggiarlo con sortita. E fu poi da tale comodo castello che, ripetendo con miglior successo quanto già tentato a Rouen, riuscì a catturare pure Exeter.
I nobili del regno ora reclamavano la cattura di Gand, ma il re non se la diede per inteso; il prossimo colpo lo voleva portare a Londra, non appena fosse riuscito ad aggregare all’armata una balista.
Pria che ciò fosse possibile, le armi di Francia ebbero a soccorrere Parigi ed Exeter, per due volte ciascuna, ma infine tutto fu pronto.
Gli inglesi tentarono di distoglierlo da suoi propositi minacciando, ad un tempo, Exeter, Rouen e Winchester, ma ei preferì lasciarli fare; fu così che perse le due città mentre catturava la loro capitale, mentre la debole guarnigione del castello riuscì a stroncare le loro velleità di riconquista.
Dopo la presa di Londra, Luigi si degnò di accontentare i suoi consiglieri catturando pure Gand (ove sostenne la sua battaglia più sanguinosa), col che ricevette in omaggio quattro catapulte. Due di queste furono tosto imbarcate con la piccola armata del principe Roberto che, profittando dell’assedio scozzese a York, piombò sul poco difeso castello di Nottingham e lo fece suo.
Essendosi nel frattempo stipulati patti d’alleanza pure con gli higlanders, si considerò l’ipotesi di aiutarli nella loro impresa col parco di artiglieria; ma la scelta finale fu altra, e più felice.
Mossosi con le altre due catapulte, e ogni uomo atto a seguirlo, re Luigi di nuovo portò l’attacco a Rouen; nella difesa della città cadde l’ultimo monarca inglese e ciò, nell’anno del signore 1168, portò alla definitiva scomparsa del suo casato.
Un anno dopo Robert riconquistava Exeter, e abbandonava definitivamente l’isola lasciandovi solo guarnigioni di due compagnie; altro non serviva in una terra che, salvo gli affari di tre floride imprese di mercatura, avrebbe visto sol lo scontro fra scozzesi, ribelli inglesi e cittadine ancora indipendenti.
Nell’estate del 1170 Robert catturò la città indipendente di Brest, ottenendo al tesoro reale una elargizione di 5000 fiorini; ora il solido regno della Francia settentrionale poteva mettere in cantiere opere di rilievo, e pensare seriamente alla conquista del meridione.
Avea, però, da pensare anche alla scomunica; sussisteva vaga speranza che questa potesse aver termine con il futuro decesso dell’ormai anziano pontefice, ma paria meglio tentare al più presto una qualche riconciliazione col soglio di Pietro.
Bertavianus
00venerdì 22 maggio 2009 17:05
I vecchi feudi inglesi in terra di Francia caddero tutti in mano castigliana, con la sola eccezione di Letmoges ove l’armata del principe riuscì a precedere di un soffio quella degli alleati; questa fu una sorta di compensazione per lo smacco di Angers, ove era accaduto esattamente l’inverso.
La mobilitazione cristiana contro Urfa generò il timore di possibili aggressioni crociate ma, per grazia di Dio, quell’impresa si concluse prima che chiunque potesse trarne ingiusto profitto.
Siffatti rischi non si sarebbero, comunque, ripetuti: la missione diplomatica di Clement Poitevin ottenne la riconciliazione col pontefice, e persino la sua alleanza, dietro cessione di Exeter.
Nell’anno 1177 la città di Parigi era in piena fioritura, ed una coppia di assassini iniziava a mondare il regno dalla presenza sinistra di vari inquisitori.
Non volendosi turbare la precaria pace raggiunta sul continente, né rinunciare ad espandere il regno, venne allestita una nuova spedizione per le isole britanniche. Il Principe Robert ottenne la sottomissione del Galles catturando Bangor; in seguito preferì ritirarsi a Nottingham, lasciando il comando dell’armata al conestabile Gaspard Capetigno, Duca di Normandia.
Il 1179 vide l’inizio del breve pontificato di Andrea, papa francese eletto col voto determinante dei cardinali dei regni alleati.
Il regno di Francia, ora considerato faro della cristianità, ignorò bellamente la sua chiamata a prendere le armi per estirpare l’eresia da Wurzburg; questa impresa senza gloria e senza onore avrebbe tradito la tradizionale alleanza con l’Impero, sicché l’armata del Duca di Normandia continuò l’opera sua conquistando i borghi indipendenti d’Irlanda.
Questa politica ebbe altri effetti degni di nota.
Consentì di rompere onorevolmente l’alleanza con la Castiglia (di lì a poco scomunicata), creando le premesse per una futura giusta guerra contro quel fastidioso vicino.
Iniziò ad innervosire gli alleati scozzesi che, dopo la ribellione di York, si sarebbero visti confinati senza speranza nei loro territori ancestrali; questo loro malcontento non dispiaceva affatto perché, come si diceva a corte, “deux iles c’est megl q’une”.
Non pregiudicò i rapporti col papato, in quanto Andrea rese presto l’anima al Signore, ed il suo successore pose termine al gran carnaio che si era fatto nelle terre imperiali.
In una radiosa giornata primaverile del 1187 il Duca di Normandia recuperava Angers alla Francia, dando inizio alla campagna di liberazione del sudovest.
Bertavianus
00domenica 24 maggio 2009 09:15
Per ragioni di sicurezza, il Duca di Normandia preferì neutralizzare subito le rocche castigliane di Rodes e Tolosa, trascurando la città di Bordeau che non costituiva una minaccia immediata.
Riuscì perfettamente nel suo intento, poi risalì verso Lemotges per congiungersi con rinforzi e rincalzi in arrivo da Angers.
In quegli anni vennero a mancare, in rapida successione, prima Filippo e poi Robert; salì al trono Rolin, che preferì amministrare gli affari del regno restando nella capitale.
Rolin si affrettò ad accantonare le rivendicazioni su Ais e Liyon, accettando l’offerta di alleanza Aragonese; in questo modo semplificò la difesa dei confini, senza affrontare ulteriori spese militari.
Il re organizzò pure un matrimonio dinastico per il principe Volo, cui fu data in moglie una nobildonna veneziana; per non compromettere i buoni rapporti con la città lagunare dovette, però, rinunciare a quell’alleanza con l’impero sopravvissuta persino alla crociata in terra alemanna.
Il nuovo appello alla guerra santa giunse graditissimo: il Pontefice voleva strappare Antiochia agli infedeli, e sui castigliani gravava ancora la scomunica.
Gaspard non esitò a prendere la croce e ad espugnare, in rapida successione, Bordeau e Perpignà.
Le operazioni poi stagnarono per un anno e mezzo, tempo necessario reclutare una flottiglia con cui affrontare il lungo viaggio via mare.
Lasciate le coste francesi, il Duca di Normandia scoprì che la Sardegna era caduta in mano ai mori.
Si affrettò a sbarcare presso il castello di Alghero, lo investì con le sue artiglierie, e lo strappò alla modesta guarnigione islamica perdendo solo una dozzina di fanti.
Questa fermata, purtroppo, gli costò le navi, spazzate via dai ben più agguerriti legni del nemico; in attesa che venissero armati altri vascelli, si mise in marcia verso Cagliari.
La flottiglia di Brest, troppo distante per essergli d’aiuto, fu destinata al trasferimento di artiglierie e truppe scelte nelle isole britanniche, dove i rapporti con gli scozzesi erano prossimi al punto di rottura.
Gli alleati avevano recuperato York, e nascondevano grandi quantità di truppe nei boschi circostanti; il buon sacerdote che svolgeva il proprio apostolato nei paraggi era alquanto preoccupato, visto che il “nemico” contro cui borbottavano non poteva che essere uno solo.
The Housekeeper
00domenica 24 maggio 2009 09:37
Hai dato il via ad una vera Guerra dei Cent'Anni!!
Vedremo se l'alleanza matrimoniale con i Veneziani darà i suoi frutti... [SM=g27960]
Bertavianus
00lunedì 25 maggio 2009 17:14
Re:
The Housekeeper, 24/05/2009 9.37:

Hai dato il via ad una vera Guerra dei Cent'Anni!!
Vedremo se l'alleanza matrimoniale con i Veneziani darà i suoi frutti... [SM=g27960]



Cercherò di farla fruttare instaurando una politica sfacciatamente filoveneziana, ma senza augurare lunga vita ai parenti della Tosa...


IMPERATORE MARCOAURELIO
00lunedì 25 maggio 2009 20:18
Bel racconto e bella allitterazione nel titolo!! [SM=x1140431] [SM=x1140519]
Bertavianus
00mercoledì 27 maggio 2009 23:28
Il Duca di Normandia espugnò Cagliari con la stessa facilità con cui aveva catturato Alghero, ma la conquista della Sardegna non si rivelò affatto un buon affare; i tentativi di riconquista dei mori lo avrebbero bloccato lì per circa un decennio, imponendogli uno sforzo difensivo assai dispendioso.
Durante quel tempo i Portoghesi vinsero la crociata, Castigliani e Aragonesi si batterono in continuazione fra Asti e Genova, e per il possesso della Corsica; dopo alterne vicende, però, furono i Milanesi ad ottenere il possesso dell’isola. Clement Poitevin instaurò relazioni commerciali con numerosi popoli, acquisendo anche preziose informazioni geografiche sul medio oriente.
Un altro emissario tentò di esasperare gli scozzesi per indurli a rescindere l’alleanza, ma non ebbe fortuna perché quelli ingoiarono con indifferenza ogni provocazione.
La questione britannica, però, non poteva restar condizionata dalle finezze diplomatiche.
Nell’estate del 1197 il corpo di spedizione guidato da Noel Chanteur, Principe di Galles, sbarcò a sorpresa presso il castello di Inbhir Nis e lo espugnò dopo breve combattimento.
Gli scozzesi reagirono assediando il castello di Bangor e minacciando Nottingham ma, lasciandosi coinvolgere in una scaramuccia con i Danesi, finirono per lasciar sgombra la via fra Inbhir Nis e la capitale; errore che pagarono perdendola, quando fu travolta da truppe ora guidate dal Duca d’Aquitania.
Persi due feudi, gli uomini in kilt ne guadagnarono uno, perché non fu possibile contrastare il loro attacco a Bangor; la piccola guarnigione locale fu sterminata dopo eroica resistenza e, per qualche tempo, nelle isole britanniche vi furono due principi di Galles.
Nell’inverno del 1199 le truppe dello Sceriffo di Nottingham e del Duca d’Aquitania si congiunsero a nordovest di York, e la strinsero d’assedio. Appurato che la guarnigione cittadina poteva contare sull’aiuto di due eserciti accampati fuori le mura, fu chiesto l’invio di ulteriori rinforzi da Nottingham. Dalla fortezza partirono due compagnie di lancieri e due di balestrieri, ma caddero nell’agguato teso dal falso Principe di Galles. Per quegli uomini non vi fu speranza, eppure il loro sacrificio non fu vano; non solo per le perdite causate al nemico, ma soprattutto perché costrinsero l’armata nascosta a rivelarsi, e ad allontanarsi dalla città.
I due valorosi condottieri si consultarono, e decisero di tentare il tutto per tutto; avrebbero assaltato la città, mal presidiata, cercando di battere sul tempo le forze soverchianti ancora accampate all’esterno.
Balista e catapulta inquadrarono il portone, i fanti ignorarono il tiro nemico e avanzarono subito per essere pronti a sciamare all’interno, i balestrieri tempestarono di dardi i difensori sulle mura. Quando la porta cedette l’irruzione fu immediata; i fanti ebbero un momento di crisi quando vennero investiti dalla carica della guardia del re, che però fu a sua volta investita dalla carica di cavalleria guidata dal Duca. Quell’intrepido perse la vita, ma York cadde prima che i rinforzi scozzesi giungessero a tiro di freccia.
Vilain l’Onesto, Sceriffo di Nottingham, non si trattenne in città che poche ore; abbandonò tutto alle fiamme, per abbattere la sua spada vendicatrice sul falso principe di Galles, ora asceso al trono; fece a pezzi lui e tutti i suoi seguaci, mentre un esercito danese si affrettava ad occupare le rovine fumanti.
Nella primavera successiva un nuovo monarca scozzese perse la vita sulle colline ad ovest di Nottingham, il che non bastò ad estinguere quel casato prolifico quanto branco di roditori.
Per sbarazzarsi di loro si sarebbe dovuto riprendere Bangor ma, onde non incorrere nuovamente in una scomunica, le operazioni vennero sospese sino all’inverno del 1203; a quel punto le forze nemiche vennero ingaggiate nella “battaglia della neve rossa”, e poi braccate nella loro ultima rocca.
Poco dopo iniziava il rastrellamento degli uomini in armi datisi al brigantaggio.
Nel frattempo, aderendo all’appello per la liberazione di Tripoli, il Duca di Normandia riprese la croce e sgominò gli ultimi eserciti moreschi presenti in Sardegna; ancora una volta, però, non fu in grado di lasciare l’isola, perché i milanesi intercettarono e distrussero le navi su cui progettava d’imbarcarsi.
L’estate dell’anno 1206 portò due notizie estremamente tristi: malgrado ogni sforzo, Venezia aveva conferito la Dogatura ad un illustre sconosciuto, tradendo le aspettative del Principe Volo; il Regno di Gerusalemme non esisteva più.
Bertavianus
00venerdì 29 maggio 2009 00:01
Pria che Gaspard potesse prendere il mare su nuovi legni, giunse notizia che i Veneziani avevano espugnato Tripoli.
Non essendo più necessario imbarcarsi per quella remota destinazione, il nobile condottiero trovò altra meta alla sua armata; si trasferì in Corsica, e pose sotto assedio i milanesi di Ajaccio.
In verità quell’assedio si risolse con una battaglia campale, quando il Duca preferì aggredire un contingente giunto in soccorso alla fortezza; fece un gran massacro, e poi varcò cancelli incustoditi.
Ora che la Francia si era assicurata la potente roccaforte corsa, preferì sbarazzarsi della Sardegna; lo fece gradualmente, cedendo prima Cagliari e poi Alghero, per prezzo simbolico, al Patrimonio di San Pietro. In questo modo, oltre ad ottenere grande simpatia presso la corte pontificia, pose termine agli eccessivi esborsi occorrenti per tenere i mori fuori dall’isola.
Nell’anno del Signore 1210 si pose mano alle opere di ampliamento del castello di Tolosa, destinato a svolgere un ruolo chiave nella difesa dei Pirenei; una sorta di assicurazione per il futuro, nel caso si fossero guastati i rapporti con l’alleato aragonese che dominava la zona al di là dei monti.
L’anno successivo fu caratterizzato dall’increscioso “malinteso di Zara”.
Uno squilibrato venne scoperto mentre attentava alla vita del Doge ed, ovviamente, fu sommariamente giustiziato. I veneziani si convinsero che fosse un sicario francese, responsabile anche della morte di qualche loro nobile minore; un sospetto infamante che portò non solo alla rottura dell’alleanza, ma persino ad una dichiarazione di guerra.
Il Principe Volo accampò a pretesto la necessità di partecipare alle operazioni miranti alla riconquista di York per sottrarsi alle petulanti domande della moglie.
In effetti partecipò a quell’impresa, pur non assumendone il comando; la città fu catturata nel 1212 in una battaglia che merita di essere menzionata solo per la morte di un re danese, e per la viltà dimostrata dai suoi esploratori a cavallo, che si ritirano in periferia e non presero parte ai combattimenti.
Un anno dopo si seppe che gli Aragonesi avevano perso Liyon per mano milanese; era giunto il momento di prepararsi a riscattare questo lembo di Francia. Il comando della spedizione venne affidato a Luigi VI, figlio maggiore di Gaspard e attuale Conte di Tolosa; Gaspard stesso perì in mare nel tentativo di raggiungerlo da Ajaccio con alcuni rinforzi.
Pur prostrato dal recente lutto, e con effettivi inferiori al previsto, Luigi non faticò molto ad espugnare la bella città, restituendola alla Francia dopo troppo lunga dominazione straniera.
Le imprese più notevoli, peraltro, furono quelle compiute da due contingenti che lo raggiunsero poco dopo per rafforzare le difese cittadine.
Poco più di duecento uomini, fra arcieri e lancieri, vennero attaccati da circa trecentocinquanta milanesi parimenti assortiti; li attesero a piè fermo su un piccolo dosso, e li volsero in fuga.
Un nobile di Bordeau, con un seguito di soli novanta cavalieri mercenari appiedati, contese un guado prossimo alla città ad una formazione di seicento milanesi. Il nemico aveva con sé molti tiratori, per cui preferì non attenderlo troppo vicino alla riva: ma lo caricò quando quella massa stava coi piedi a mollo, e gli impedì di passare. I lancieri milanesi riuscirono a sommergere con la forza numerica gli ardimentosi mercenari, ma avevano perso il capo e i tiratori, e si dimostrarono incapaci a fronteggiare la cavalleria del generale. Costui fu per una stagione conte di Liyon, ma febbre maligna lo portò via.
Questi successi sollevarono non poco le finanze e gli umori del regno, alquanto ondivaghi nelle stagioni precedenti; si iniziò persino a progettare un assalto alla possente cittadella di Thun, ma questo non era affare per truppe attualmente a ranghi ridotti.
L’estate del 1217 portò un nuovo problema: due grandi eserciti milanesi erano sbarcati nei pressi di Ajaccio, e i sapeva per certo che almeno uno di questi disponeva di qualche catapulta.
Il giovane François Capetigno, signore della piazza, avrebbe presto dovuto mostrare di esser degno erede di cotanto padre.
The Housekeeper
00venerdì 29 maggio 2009 09:18
gran bella campagna [SM=x1140522]
vogliamo anche delle immagini!!
Bertavianus
00venerdì 29 maggio 2009 23:43
Grazie per l'apprezzamento.

Per quanto riguarda le immagini non ho la minima idea di come procedere. So che c'entra il tasto stamp, ma ho capito poco o niente di cosa si dovrebbe fare dopo. Se anche bastasse selezionare la casella "allega file dal tuo computer" non saprei dove andare a cercare questo benedetto file nè come si chiama.

Ad ogni buon conto, ora ho il controllo completo di Francia (tranne Ais aragonese) isole britanniche (tranne Exeter ceduta al papa) e corsica. Unico teritorio ostile confinante Thun, milanese.
davide283
00sabato 30 maggio 2009 00:40
ti spiego io come fare: apri paint prima di far partire il gioco
appena fai l'immagine con il tasto stamp, riduci il gioco a finestra e in paint fai "Modifica" e "Incolla", dovrebbe comparirti l'immagine che hai catturato
dopodiche' la salvi con nome in formato JPEG
poi vai su imageshack, fai upload file e scegli il file dell'immagine (metti resize a 1024x768 io faccio cosi' poi scegli te la dimensione)
dopo l'upload vai sotto evidenzia la prima stringa e fai copia (attenzione: non quelle immediatamente a destra, scendi un po' sotto e ce ne sono altre tre, prendi la prima)
quindi fai normalmente un post con la cronaca di campagna, solo che quando + ti aggrada, ad esempio dici "Abbiamo preso Gand" e dopo la frase premi il tasto "IMG" appena sotto la casella del messaggio e clicchi incolla (oppure CTRL+V)
dovresti avere la tua immagine visualizzata nel tuo post!
Bertavianus
00sabato 30 maggio 2009 14:09
Grazie per la spiegazione, però ho ancora due problemi.

Il più banale è che non so ridurre il gioco a finestra, visto che mi gira a schermo intero e non compaiono i soliti simboli.

Il secondo è che, usando una coonessione piuttosto lenta e instabile, l'inoltro dei files grafici richiede una vita: immagino che questo si risolva solo con l'adsl.
The Housekeeper
00sabato 30 maggio 2009 15:14
Re:
Bertavianus, 30/05/2009 14.09:

Grazie per la spiegazione, però ho ancora due problemi.

Il più banale è che non so ridurre il gioco a finestra, visto che mi gira a schermo intero e non compaiono i soliti simboli.

Il secondo è che, usando una coonessione piuttosto lenta e instabile, l'inoltro dei files grafici richiede una vita: immagino che questo si risolva solo con l'adsl.




non è necessario ridurre il gioco a finestra, puoi giocare normalmente.
Per ridurre le dimensioni delle immagini, potresti salvarle in formato bitmap (mi pare siano più compatte dei jpeg)
Bertavianus
00domenica 31 maggio 2009 23:42
Vedrò prossimamente cosa posso fare. Per il momento aggiorno la situazione senza effetti speciali.

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Il Governatore di Corsica e Giudice di Arborea avrebbe atteso a lungo, e invano, l’attacco milanese: uno degli eserciti nemici partì per altri lidi, l’altro rimase provocatoriamente nei paraggi senza porre l’assedio. In mancanza di iniziative di una parte o dell’altra, le cose rimasero immutate per molti anni.
Più vivace fu la situazione nell’isola di Albione, dove fu intrapreso il metodico annientamento delle varie bande di predoni in cui erano confluiti gli armigeri inglesi e scozzesi; questi fatti non hanno grande interesse militare, perché l’unica vera difficoltà fu stanarle dai boschi in cui si nascondevano.
Nell’inverno 1219 Luigi Capetigno, Conestabile di Francia e Conte di Tolosa, iniziò la marcia di avvicinamento alla cittadella milanese di Thun, ove giunse nella primavera successiva. Il condottiero aveva con sé baliste e catapulte ma, consapevole che l’eventuale perdita anche di un solo pezzo avrebbe potuto compromettere lo sfondamento dell’ultimo cancello, preferì darsi il tempo di allestire arieti e scale.
Il rischio dell’arrivo di rinforzi da Lugano non lo impensieriva, in quanto gli era stato rivelato che non avrebbero potuto essere numerosi. In effetti quelli giunsero, e furono per lui benvenuti, perché gli diedero l’occasione di risolvere la questione con una battaglia campale che portò a totale annientamento i cavalieri appiedati della guarnigione. Allo scontro scampò un’unica compagnia di arcieri nemici, che ben poco potè fare per contrastare l’invasione della piazzaforte.
Sfortuna volle che, durante il saccheggio, andasse parzialmente distrutta la caserma, e mancassero i fondi per rimetterla subito in sesto; ciò impose una fastidiosa pausa alle operazioni belliche.
Nel 1222 l’anziano Re Rolin “il buono” rese l’anima a Cristo. Questo lutto fu motivo di sollievo per svariati membri della nobiltà e, di fatto, sedò non pochi malcelati propositi di ribellione.
Nella primavera del 1223 Luigi mosse da Thun per Lugano, ove colse i milanesi alla sprovvista. Il nemico non temeva un assedio, perché sarebbe stato in grado di reclutare in extremis un grande esercito mercenario, e sapeva che un'armata rallentata dall’artiglieria non avrebbe potuto compiere in una sola stagione marcia di avvicinamento ed assalto. Il Conestabile lo beffò attuando una marcia scaglionata, fece porre l’assedio da un’avanguardia, la raggiunse col resto dell’armata, e le sue artiglierie poterono vomitare subito pietre e dardi sugli attoniti difensori. Non fu nemmeno necessario infrangere i cancelli del mastio, che furono varcati inseguendo uomini in fuga.
Nella stagione invernale assaltò Milano; neutralizzato il posto di guardia le sue truppe sciamarono in città ignorando il tiro delle baliste; ben presto i suoi uomini raggiunsero la piazza, dove si limitarono a guardare beffardi gli ultimi cinquanta miliziani, fino a che si decisero a capitolare.
Proprio a Milano giunse l’ambasceria di una principessa moscovita, interessata a far cessare un formale stato di guerra mai sfociato in effettive ostilità; raggiunta facilmente un’intesa su questo punto, la bella figliola fu ben lieta di convolare a nozze con Berthelem il Bastardo.
Nel giro di sei mesi il suocero di Berthelem spirò, e la nobiltà russa scelse di farsi francese.
Fu subito chiaro, però, che il popolo di quelle remote contrade la pensava diversamente, e che non ci sarebbe stato modo di evitare la ribellione delle tre città e delle due fortezze appena acquisite. Rassegnandosi all’inevitabile, ci si premurò subito di porre in salvo ogni ricchezza, evitando solo di spogliare la città di Mosca. Solo la vuota fortezza di Vladimir tardò ad insorgere, ma sarebbe stata solo questione di tempo; appena possibile, venne ceduta al Patrimonio di San Pietro in cambio di informazioni geografiche già perfettamente note.
Questo trambusto lasciava, comunque, intatte alcune interessanti risorse; varie attività commerciali estremamente redditizie, ed una buona quantità di truppe disperse in quella vasta regione. Ebbero ordine di riunirsi in una sola armata, guidata da tre nobili lealisti, e di tentare la riconquista di Mosca. La vecchia capitale, che rigurgitava di armati, non abboccò alla tattica di Tamarov, e si decise di prenderla per fame.
La campagna d’Italia ebbe tutt’altro ritmo.
L’estate del 1227 vide l’assalto alla ben guarnita città di Bologna.
I difensori avevano un leggero vantaggio numerico, ma si trattava essenzialmente di truppe comunali; gli spadoni degli svevi e le spade dei cavalieri appiedati francesi li mieterono come spighe quando varcarono il portone.
Poco più di un anno dopo cadeva Pisa, dopo uno scontro in campo aperto cui erano sopravvissuti solo il Duca ed il suo scudiero.
I Milanesi tentarono di contrattaccare assediando Bologna, difesa da una sola compagnia di arcieri; il Conte di Tolosa tornò sui suoi passi, e li annientò con l’aiuto di un contingente veneziano.
Nel 1230, i milanesi che minacciavano Bologna furono semplicemente ignorati; Luigi investì e catturò Firenze, loro terza capitale; il nemico ripiegò rapidamente su Ancona.
Caesar633
00lunedì 1 giugno 2009 12:00
Re: Re:
The Housekeeper, 30/05/2009 15.14:




non è necessario ridurre il gioco a finestra, puoi giocare normalmente.
Per ridurre le dimensioni delle immagini, potresti salvarle in formato bitmap (mi pare siano più compatte dei jpeg)



Non vorrei dire una castroneria, ma non è il contrario?
Ossia che il formato jpeg è + compresso rispetto al bitmap?

Bertavianus
00martedì 2 giugno 2009 10:48
I problemi legati all’eredità russa fecero gradualmente precipitare il consenso popolare nei confronti della corona: Nel 1231 una insurrezione popolare costrinse la guarnigione locale, ed il governatore delle Fiandre, ad allontanarsi precipitosamente da Gand; questa rivolta fu sicuramente aizzata da agitatori stranieri, visto che le forze imperiali si sarebbero poi rapidamente impossessate della città.
Nonostante le inedite ristrettezze economiche, l’Armée d’Italie restava efficiente ed aggressiva.
Nella primavera del 1232 Luigi, ora noto come il conquistatore, investì Ancona. La spedizione era stata preceduta dall’assassinio di due nobili milanesi, e dall’infiltrazione di una spia che riuscì ad impedire la chiusura delle porte. Le artiglierie francesi trascurarono la consueta prassi operativa, che prevedeva l’apertura di una breccia e la tacitazione di due o tre torri, limitandosi a neutralizzare le caditoie del posto di guardia. La colonna di fanteria irruppe poco dopo, ed ebbe facilmente ragione dei pochi miliziani e cavalleggeri che tentarono di ostacolarle il passo.
Un anno dopo la stessa gloriosa armata investiva la fortezza di Chieti, ove il Conte di Tolosa ottenne la sua ottava conquista. Vista la mala parata, i milanesi richiamarono dalla Corsica quell’esercito rimasto inoperoso presso Ajaccio.
Ora il nemico disponeva di forze ragguardevoli per la difesa di Napoli, suo ultimo feudo; in ogni caso, ciò che lo salvò dall’annientamento fu il veto pontificio alla prosecuzione delle ostilità.
Nel lasso di tempo intercorso fra la presa di Ancona e quella di Chieti, anche l’Armée de Russie colse il suo primo successo: stroncò la sortita degli affamati insorti moscoviti, affidandosi quasi esclusivamente al tiro dei kazaki e dei cacciatori, e penetrò in città nella scia dei combattenti in fuga.
La nobiltà francorussa non ebbe alcuna pietà né per gli armati, né per i civili; la giornata si concluse con un massacro di proporzioni mai viste in occidente.
Le armi dei cattolici d’oriente non avrebbero riposato a lungo; già nell’estate del 1234 si ritrovarono assediati da un esercito mongolo, che non tardò ad assaltare le mura.
Essendo prioritario arginare la potente cavalleria nomade, la difesa dei bastioni fu lasciata ai soli cacciatori. Tutti i lancieri si schierarono dietro la porta, appoggiati da due ali di kazaki che avrebbero combattuto a piè fermo, e dai tre generali pronti ad intervenire con cariche di alleggerimento.
Il dispositivo funzionò quasi alla perfezione; quando il cancello fu schiantato si scatenò una bolgia infernale, in cui finì per perdere la vita anche l’orgoglioso condottiero delle steppe. Annichiliti dalla piega degli eventi, i cavalieri e fanti che gli si affollavano intorno iniziarono a cadere come mosche. Le cose erano andate meno bene sulle mura, dove i cacciatori erano prossimi a soccombere; furono salvati dall’intervento dei fanti, che corsero a dargli manforte mentre gli uomini a cavallo si lanciavano all’inseguimento dei fuggiaschi.
Al termine della giornata l’esercito mongolo risultava totalmente annientato; i francesi, che avevano perso circa la metà dei loro combattenti, avevano inflitto una cocente umiliazione ad un nemico più numeroso e meglio equipaggiato.
Purtroppo, in altre parti del regno la situazione era tutt’altro che rosea.
Pressato dalle istanze popolari, il Re dovette erigere un palazzo per l’assemblea.
Le difese di Brest vennero travolte da un improvviso sbarco castigliano, Firenze era sull’orlo della ribellione, gli alleati aragonesi si erano alleati con i nemici mori, e troppi soldi andavano sprecati per il mantenimento dell’enorme flotta del Mar Caspio, che non si poteva disarmare per mancanza di porti.
Bertavianus
00mercoledì 3 giugno 2009 23:14
Malgrado il trionfo contro i mongoli, i nobili Malov., Seryam e Yaroslav furono costretti a prendere una decisione che, a ben vedere, meritava di essere presa prima; smobilitarono l’esercito, avviarono le ricchezze di Mosca in Francia, e loro stessi iniziarono l’anabasi verso la patria di adozione.
Non essendovi emissari per effettuare una cessione al pontefice, la gloriosa città fu semplicemente evacuata lasciando campo libero ai facinorosi.
Le cose sarebbero andate ben diversamente se la Francia avesse avuto i fondi per potenziarne le difese, ma correvano pessimi tempi e nulla poteva essere speso per mantenere quel remoto avamposto.
Correva l’anno 1235, e il popolo bruto stava perdendo ogni rispetto per la corona; i suoi caporioni reclamavano a gran voce una sede consiliare..
I mori erano riusciti a prendere Ajaccio, senza che né i prodigi di valore dei difensori, né la morte in battaglia dei due generali a capo della loro spedizione riuscissero a fermarli. Firenze era insorta, proclamando la sua fedeltà agli antichi padroni di Milano che, per parte loro, assediavano Ancona.
Ancora una volta la situazione venne raddrizzata da Luigi il Conquistatore, Conte di Tolosa.
Egli lasciò Chieti per assalire alle spalle gli assedianti, affrontandoli in netta inferiorità numerica. Per la prima volta rischiò seriamente di essere sconfitto, e ottenne la vittoria solo grazie ad un disperato stratagemma. Con la sua guardia decimata dall’impari scontro con quella del duca, simulò di volersi ritirare dal combattimento; il Duca si pose all’inseguimento, poco curandosi dei superstiti cavalleggeri francesi che inseguivano lui, disarcionando uno ad uno gli uomini della suo scorta. Questo duplice inseguimento finì per ribaltare i rapporti di forza, e a quel punto Luigi si voltò per affrontare il rivale. Il Duca fu fatto a fette, e ciò determinò il tracollo del suo esercito.
Nell’anno 1237 i Milanesi ritentarono l’assedio di Ancona muovendo da Firenze. Questa volta Luigi, che era rientrato a Chieti, preferì ignorarli per non essere battuto dai Siciliani nella corsa su Napoli. Gli alleati riuscirono a porre l’assedio prima di lui, ma furono lenti a lanciare l’attacco; ciò gli diede tempo per precederli nell’invasione della città, lasciando loro solo la gloria di ingaggiare e sconfiggere la potente cavalleria del Duca. Il suo successore sarebbe stato eliminato dai Francesi, nella stagione seguente, a metà strada fra Napoli e Chieti.
Ancona parve salva quando l’arrivo di modesti rinforzi distolsero l’attenzione degli assedianti, ma poco dopo si consegnò spontaneamente ai Milanesi allo stesso modo di Firenze. Negli stessi giorni l’Impero tradì la quasi secolare amicizia affondando il traghetto in servizio sulla Manica.
La sovranità milanese su Ancona durò appena una stagione. Luigi la riprese senza neanche curarsi di sterminare le due compagnie di lancieri mercenari che la presidiavano; si limitò a farle decimare dai quadrelli di balestra, che purtroppo accopparono anche tre dei suoi lancieri, assicurandosi così il controllo della piazza.
Non pago di ciò, uscì subito ad affrontare in campo aperto le forze guidate dal Duca Niccolò.
Fu questa una battaglia anomala, in cui schierò sull’ala sinistra i cavalieri appiedati e gli svevi, al centro i balestrieri e l’artiglieria, alla sinistra i cavalieri in armatura. Il nemico si difese con valore, e i francesi subirono severe perdite, ma venne stritolato senza pietà quando le ali iniziarono a congiungersi.
Quasi in contemporanea, si registrarono i successi di Laurens, conte di Parigi, e Yves, signore di Thun, contro forze imperiali che minacciavano i loro possedimenti.
I popolani ebbero i primi due edifici che tanto desideravano, ma le loro richieste non erano ancora terminate; ora pretendevano un parlamento, senza affatto curarsi delle difficoltà del tesoro.
Nella primavera del 1240 Luigi dovette accorrere in difesa di Bologna, minacciata dagli assillanti milanesi; li sconfisse nettamente in due scontri consecutivi, a nord e ad ovest della città, e dopo esser rimasto padrone dei campi di Romagna, si fece raggiungere da parte della guarnigione di Milano.
Il Pontefice minacciò la scomunica in caso di ulteriori atti ostili verso i milanesi che, sentendosi da ciò rassicurati. sguarnirono Firenze per marciare verso Ancona.
Folli. La Francia aveva troppa sete di vendetta, e troppa necessità di bottino, per lasciarsi fermare da meschine manovre curiali. La città malamente difesa venne investita da Luigi nell’inverno successivo, e ciò cancellò definitivamente i Milanesi dalla storia d’Europa.
I francesi avrebbero avuto subito il loro parlamento, ed agli effetti della scomunica si sarebbe pensato poi; in guerra con Castiglia ed Impero si era già, e si poteva sperare che le alleanze con Venezia, Sicilia ed Aragona conservassero la tranquillità sugli altri confini.
Bertavianus
00venerdì 5 giugno 2009 22:56
Nello stesso anno che vide la prima riunione del parlamento francese, i francesi piansero l’improvvisa dipartita del loro monarca, e la cristianità tutta quella del Pontefice; i due eventi portarono alla revoca della scomunica, malgrado il nuovo Papa guardasse alla Francia con manifesta ostilità.
L’ascesa al trono di Berthelem lo Spietato divise profondamente i nobili del regno rendendo indispensabile, a titolo precauzionale, l’allontanamento di molti di loro dai rispettivi feudi. Privati di risorse economiche e militari, i dissidenti continuarono a mugugnare contro il tracollo finanziario provocato dalla folle avventura russa, senza comunque osare aperti atti di ribellione.
Nella primavera del 1241 Yves Capetigno dovette lasciare in tutta fretta Thun per intercettare la grande armata di Conrad di Duisburg che, dopo aver aggirato la cittadella, si era incamminata alla volta della quasi indifesa città di Liyon. La grande esperienza del condottiero nemico, e lo svantaggio numerico dei francesi, lasciava presagire una battaglia estremamente impegnativa. In realtà lo scontro si risolse in pochi minuti, poiché quello stolto pensò di disperdere i balestrieri francesi con una carica temeraria, e fini impalato sulle lance dei fanti accorsi in loro soccorso; fra le sue truppe si scatenò il panico, e ben pochi armati sopravvissero alla mattanza che ne seguì.
Nel medesimo periodo prese avvio, quasi casualmente, la campagna che in pochi anni avrebbe portato alla riconquista di Brest.
Gli Aragonesi tentarono un assalto a Bordeau, ma dovettero desistere quando il loro unico ariete prese fuoco. Era facile intuire che avrebbero ritentato, essendosi ritirati senza aver subito perdite significative, per cui una colonna di rinforzi venne immediatamente avviata in soccorso della città. Queste truppe, guidate da Blanchet il Cavalleresco, sostennero un paio di scontri che, oltre a prevenire un nuovo assedio della città, costrinsero il nemico a ritirarsi fra le mura proditoriamente assalite una decina di anni prima. Blanchet, che non disponeva di artiglieria né poteva ottenerne, decise di porre l’assedio e di condurre l’assalto con una torre mobile, un ariete ed una scala. La torre andò bruciata, ma l’ariete svolse il suo lavoro e gli arcieri schierati sulle mura non riuscirono a contenere i suoi fanti. Ne seguì un sanguinoso combattimento casa per casa, fino a che restarono solo pochi apelidos a difesa della piazza; questi fecero strage di fanti francesi malamente equipaggiati, e fu necessario abbatterli con le balestre. Fu così che, nell’anno del Signore 1244, la città normanna tornò finalmente alla Francia, preparandosi ad accogliere con gioia il ritorno del Principe Jehanin, suo legittimo signore.
Quell’anno vide anche il termine del lungo viaggio dei tre nobili moscoviti. Al buon Seryam, Primo Consigliere della Vece, che era il membro più attempato e fidato del gruppo, fu conferita la signoria su Firenze. Yaroslav e Malov, ottimi combattenti ma sospettati di sedizione, vennero invitati a raggiungere Thun per partecipare a prossime operazioni belliche contro gli imperiali.
Quei molesti vicini si stavano facendo sempre più arroganti ed impudenti.
Nel 1245 Faucher Sorel dovette accorrere in soccorso di Parigi, assediata da una forte formazione di cavalieri appiedati sostenuta da qualche arciere. Sorel impiegò le sue fanterie raccogliticce come esca sacrificabile, ed ottenne l’annientamento del nemico mediante dardi e ripetute cariche di cavalleria.
Il freddo inverno del 1246 fu denso di eventi.
Yaroslav di Kiev guidò con perizia l’assalto alla fortezza di Staufen, avvalendosi anche delle artiglierie già utilizzate dall’Armée d’Italie; poco dopo, purtroppo, cadeva vittima di una lama assassina.
Il re in persona lasciò Londra e sbarcò presso Brest, ove si fece crociato per la riconquista di Gerusalemme. Il suo interesse alla Santa Impresa, probabilmente, non era del tutto genuino; innanzi tutto, il Papa aragonese aveva minacciato di scomunicarlo se non avesse partecipato; inoltre, una scomunica aveva appena colpito l’Imperatore, il che offriva interessanti opportunità per l’impiego dell’armata crociata in corso di formazione.
Nella città di Brest vennero celebrate le nozze fra il Principe Jehanin e la Principessa Mafalda di Portogallo; in ciò la diplomazia francese non ebbe alcun merito, perché era stata la diretta interessata a farsi latrice della proposta.
Esattamente un anno dopo, lo spietato re crociato era alle porte di Gand. Nel corso della marcia al suo esercito si erano aggregati cavalieri crociati, appiedati e montati, balestrieri pavesi mercenari, ed un riottoso nobile del regno; tre abili spie, intrufolatesi in città, erano in grado di assicurargli un ingresso incontrastato, salvo la trascurabile resistenza di una sola compagnia di miliziani.
Quanto accadde in seguito fu piuttosto singolare. Il re, che aveva preteso l’onore di essere il primo a varcare i cancelli, fu lasciato solo a fronteggiare l’intera guarnigione; il resto della potente armata non mosse un passo, e persino i cavalieri della guardia conservarono un atteggiamento puramente passivo sino a che non videro il proprio sovrano massacrato dal nemico; a quel punto lanciarono un fragoroso urlo di battaglia, e annientarono rapidamente quei miseri fantaccini.
L’armata vittoriosa, se così può essere chiamata, venne lasciata sola a sé stessa in città; le gioie del saccheggio le avrebbero fatto dimenticare l’ancor lontanissima Gerusalemme.
Ancor prima di essere incoronato, il Principe Jehanin inviò a Roma un emissario che avrebbe sorpreso e compiaciuto il Santo Padre, cedendogli Napoli per soli seicento fiorini.
L’offerta era meno generosa di quanto potesse sembrare perchè quella città, spogliata di ogni ricchezza nei momenti più bui, ed insofferente del dominio francese, era solo una fonte di problemi. Grazie alle conquiste ed alla crociata (ed anche l’insperata smobilitazione della flotta del Caspio) le casse del regno era tornato in attivo, ma non era il caso di dilapidare un patrimonio per ricostruirla e conservarla.
The Housekeeper
00sabato 6 giugno 2009 09:45
Re:
Bertavianus, 05/06/2009 22.56:

Quanto accadde in seguito fu piuttosto singolare. Il re, che aveva preteso l’onore di essere il primo a varcare i cancelli, fu lasciato solo a fronteggiare l’intera guarnigione; il resto della potente armata non mosse un passo, e persino i cavalieri della guardia conservarono un atteggiamento puramente passivo sino a che non videro il proprio sovrano massacrato dal nemico; a quel punto lanciarono un fragoroso urlo di battaglia, e annientarono rapidamente quei miseri fantaccini.
L’armata vittoriosa, se così può essere chiamata, venne lasciata sola a sé stessa in città; le gioie del saccheggio le avrebbero fatto dimenticare l’ancor lontanissima Gerusalemme.




Tattica studiata o errore strategico? [SM=g27963]
Bertavianus
00sabato 6 giugno 2009 10:16
Re: Re:
The Housekeeper, 06/06/2009 9.45:


Tattica studiata o errore strategico? [SM=g27963]



Lo definirei un complotto attuato grazie alla complicità dei cavalieri della guardia, veri patrioti che accettarono l'estremo sacrificio pur di liberare la Francia da un monarca che ispirava la guerra civile.

Ne approfitto per chiederti una cosa: la possibilità di congedare navi anche fuori dai porti è un bug o una nuova funzione di Bc?
Per me è stata provvidenziale, visto che mi stavo svenando per mantenere una grande flotta confinata in un mare interno.
The Housekeeper
00sabato 6 giugno 2009 11:03
Re: Re: Re:
Bertavianus, 06/06/2009 10.16:



Lo definirei un complotto attuato grazie alla complicità dei cavalieri della guardia, veri patrioti che accettarono l'estremo sacrificio pur di liberare la Francia da un monarca che ispirava la guerra civile.

Ne approfitto per chiederti una cosa: la possibilità di congedare navi anche fuori dai porti è un bug o una nuova funzione di Bc?
Per me è stata provvidenziale, visto che mi stavo svenando per mantenere una grande flotta confinata in un mare interno.




Se non erro è una possibilità introdotta con Kingdoms
Bertavianus
00lunedì 8 giugno 2009 01:10
Alla cessione di Napoli sarebbe seguita quella di Chieti, onde confinare i siciliani nelle loro terre d’origine, e quella di Firenze, divenuta ingovernabile dopo il decesso del beneamato potestà giuntovi dal gelido oriente.
L’armata crociata, ora guidata dal Bouteiller Laurens il Degno, espugnò la città di Utrecht nell’inverno 1248; i pochi miliziani presenti opposero solo una resistenza simbolica. Ancora una volta gli armati ebbero occasione di svagarsi e riposare, immemori dei solenni voti pronunciati.
Il prossimo obiettivo sarebbe stata Koln, ma si presentò una difficoltà imprevista: occorreva sbarazzarsi di un folto contingente germanico che avrebbe potuto dar manforte ai difensori o, in alternativa, investire Utrecht quando la si fosse sguarnita.
Ad evitare malumori e diserzioni, si preferì non rammentare alle truppe lo spirito originario dell’impresa, affidandole provvisoriamente al comando di Marcel, un nobile estraneo alla crociata. Costui fece del suo meglio per agganciare il nemico e provocarlo a battaglia ma, appesantito da nuove catapulte e baliste, per ben due volte ottenne solo di farlo ritirare appena al di là della propria portata. La situazione venne sbloccata dall’intervento di Gawain Touchet, capitano di una compagnia di miliziani di Utrecht; osò affrontare forze immensamente superiori, dando il via ad un combattimento che le portò a rovinosa sconfitta quando intervenne il resto dell’armata, e l’impresa gli valse gli speroni.
In quegli stessi giorni Yves Capetigno, partito da Staufen, cercava di raggiungere Koln da sud. Aveva con sé un piccolo esercito ben assortito che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto limitarsi a supportare l’assalto alla città. Venne ingaggiato da un esercito imperiale di dimensioni doppie, che annoverava fortissime fanterie ma difettava di cavalli e artiglieria. Ne seguì uno scontro estremamente cruento; gli imperiali attaccarono in salita, vennero bersagliati con ogni sorta di proiettile disponibile, riuscirono a sopraffare col numero i cavalieri appiedati e gli artiglieri di Francia, ma finirono col cedere sotto il tiro dei balestrieri pavesi e le cariche del generale. Yves, benché vincitore, fu costretto a tornare sui suoi passi per colmare le spaventose perdite subite; il corpo di artiglieria della campagna d’Italia non esisteva più.
Quasi ne fosse consapevole, in quell’inverno del 1249 si spegneva a Pisa Luigi il Conquistatore, l’uomo che con quei veterani aveva costruito la propria leggenda.
L’anno seguente vide il successo della crociata; per merito dei danesi, e la facile conquista di Koln; qui il modesto capitano Touchet completò la sua rapida apoteosi, divenendo Herzog di Westfalia.
Nell’estate del 1251, preceduta da spie e sabotatori, l’armata di Laurens il Degno iniziava la marcia di avvicinamento a Wurzburg, che poi espugnava a fine .novembre. Circa un anno dopo anche Ancona veniva ceduta al Patrimonio di S. Pietro, principalmente per rafforzare le guarnigioni di Milano e Bologna senza ulteriori reclutamenti.
Nel torrido luglio 1254 Volchok Malov, alla guida della più imponente armata mai messa in campo dal regno di Francia, investì Regensgurg aggirando le forze imperiali che tentavano di intercettarlo. I difensori della città, spiazzati dallo schieramento dei francesi su un lato inatteso, non fecero neppure in tempo ad azionare le baliste delle torri prima che la città fosse invasa. Senza esitazione, distaccò poi piccole avanguardie che andarono ad occupare i forti imperiali sulle strade per Praha e Salzburg.
Le truppe tedesche, convintesi che si sarebbe presto lanciato in quella direzione, rifluirono in massa ad est per sbarrargli il passo. Malov le beffò di nuovo, raggiungendo Salzburg per l’impervia via alternativa passante per due guadi; la fortezza, colta impreparata, cadde come frutto maturo.
Lasciò quella rocca sul finire del 1256, dopo aver trasferito a Jaquob Touchet, Herzog Von Bayern, il titolo di Principe di Kiev; assicuratosi che le tradizioni russe non sarebbero morte con lui, tornò a Regensburg ove avrebbe terminato i suoi giorni come Conte Palatino del Reno.
Yves Capetigno si confermò gran combattente espugnando Magdeburg nel tardo novembre 1257. La battaglia per la fortezza generò due scontri contemporanei; quello per il possesso della piazza d’armi, e quello per bloccare l’arrivo di rinforzi dall’esterno. La seconda azione vide impegnata la cavalleria ed un paio di compagnie di balestrieri che, dopo essersi impossessate del cancello sulle mura esterne orientali, massacrarono i nuovi arrivati sino all’ultimo uomo.
Con sorpresa di tutti, il Pontefice decise non solo di scomunicare il buon Re Jehanin, ma persino di entrare in guerra con la Francia; si suppone che fosse stato fomentato da cattivi consiglieri, in quanto non sono note eventuali ragioni di papale scontento.
La nuova situazione indusse i consiglieri del reame a chiedere la riconquista di Exeter, ed il sovrano non vide alcuna ragione per non accontentarli.
L’allestimento della spedizione richiese qualche tempo, perché si decise di effettuarla con truppe scelte provenienti dai feudi strappati all’impero; nell’attesa persero la vita, nei modi più stravaganti, non meno di cinque generali pontifici designati consecutivamente.
Lo sbarco di Adenin des Roches travolse rapidamente la guarnigione cittadina, restituendo al Regno di Francia la totale signoria sulle isole britanniche. Non pago di ciò, il valente condottiero affrontò subito in campo aperto l’esercito papale che stazionava qualche lega più a nord. Il nemico aveva un gran vantaggio numerico, ma i suoi miliziani ed arcieri di ronda furono macellati senza scampo. Stava per festeggiarsi il Santo Natale dell’anno 1262 e, col ritorno della bella stagione, sarebbe iniziata la caccia ad un contingente minore, sottrattosi al combattimento.
Bertavianus
00martedì 9 giugno 2009 00:23
Alla cacciata degli ultimi papisti dai feudi d’oltremanica fece seguito un periodo di relativa quiete, che consentì di estendere il monopolio sulle merci isolane e di avviare opere di miglioria in ogni dove. Ciò diede avvio ad una ripresa economica, peraltro ostacolata dai perniciosi effetti della scomunica.
Le armi tacquero sino all’inverno del 1265, quando Yves Capetigno riportò una vittoria schiacciante sulle forze imperiali che lo avevano assalito a Magdeburg. Questo non era il suo primo trionfo contro forze soverchianti, ma sarebbe stato l’ultimo; di lì a poco morì soffocato a causa di un boccone andatogli di traverso durante un banchetto.
L’attenzione di tutti era, però, monopolizzata da una vicenda personale che aveva del fiabesco.
Gawain Touchet, il capitano della milizia armato cavaliere, e poi divenuto Duca di Westfalia, ricevette anche l’ambita nomina a Grand Chambrier de France. Una principessa Castigliana lo corteggiò assiduamente, promettendogli persino un posto fra i grandi di Spagna; egli la rifiutò, e quella se ne andò in lacrime. Tanta integrità colpì profondamente il sovrano, che gli diede in sposa la figlia Benoite. In seguito, l’inaspettato decesso di Yves Capetigno lo rese il più autorevole erede della corona di Francia, che venne posta sul suo capo nell’inverno del 1267.
Due anni dopo l’ascesa al trono di Gawain il Cavalleresco, iniziò il brevissimo pontificato del siciliano Lanberto, che revocò immediatamente la scomunica. Il suo successore, un malevolo cardinale veneziano, nel 1270 indisse una crociata contro Urfa, esigendo la partecipazione personale di re Gawain.
Gawain lo accontentò all’istante, e decise di fare le cose per bene.
Trasferì a due giovani di belle speranze i propri titoli minori, conservando solo quello di Re, e si incamminò verso Bologna, dove intendeva imbarcarsi, radunando una splendida armata; volle con sé il signore di Winchester, valido combattente ma pessimo amministratore, e gli affidò un comando autonomo; in vista dell’attacco a fortezze e cittadelle volle quattro compagnie di catapulte, evitando gli ingombranti trabucchi che non sarebbero passati dalle porte. La sua non sarebbe stata una effimera cavalcata in terra islamica, ma una vera e propria campagna di riconquista e conversione.
Il suo sogno si infranse nei paraggi di Bologna: Urfa era già caduta.
Libero da ogni voto, il sovrano prese rapidamente una decisione.
La cittadella di Verona distava pochi giorni di marcia; controllava un territorio confinante con quello della fortezza di Salzburg, che era opportuno saldare ai possedimenti nella penisola; era in mano ad un alleato, che però aveva assunto un atteggiamento provocatorio con continui sconfinamenti oltre Po.
La triplice cinta di mura servì ben poco alla guarnigione veneziana.
Gawain non vi si trattenne che due giornate; vi lasciò le artiglierie, che reputava inutili alla bisogna, e poche unità malconce, per affrontare subito un esercito nemico accampato nei paraggi. Questa forza era ben più numerosa del presidio di Verona, ma se la cavò anche peggio; ebbe solo dodici scampati.
Era prevedibile che il papa avrebbe interferito, soccorrendo i suoi conterranei; ed, in effetti, impose una tregua di due anni sotto pena di scomunica.
Il re osservò alla lettera tale prescrizione, approfittandone per riordinare e riequipaggiare i suoi. Allo scadere del termine, piombò su Venezia via mare, eludendo le truppe che lo attendevano nell’entroterra; la catturò al prezzo di soli cinquanta caduti, raccogliendo un bottino più che sufficiente ad avviare la fabbrica del duomo di Bologna
Correva l’anno 1272, ed il regno di Francia si estendeva dai Pirenei alla linea Magdeburg-Venezia, abbracciando un totale di trentotto feudi. Il “triangolo aragonese” (Ais, Asti e Genova) creava ancora una discontinuità territoriale e motivi di tensione cui, per il momento, si preferiva non dar peso.
Bertavianus
00martedì 9 giugno 2009 23:13
La conquista di Venezia provocò un nuovo veto pontificio, che fu rispettato alla lettera; Pola fu espugnata via mare venticinque mesi dopo, onde togliere al nemico la piazzaforte da cui provenivano le truppe scelte che si aggiravano inquiete nei dintorni di Verona.
A tale molestia si pose fine solo più tardi, con la memorabile battaglia dei coli veronesi che vide impegnati ben tre contingenti; quello principale, guidato dall’Earl di Winchester, comprendeva la maggior parte degli uomini della cittadella; lo appoggiarono le due compagnie rimaste alla guarnigione, ed altre cinque accorse da Venezia; queste ultime furono tenute accuratamente separate dai commilitoni perché in città era scoppiata la peste.
Vedendosi assaliti da tre direzioni, i Veneziani persero la testa e lasciarono la loro splendida posizione difensiva in altura per cacciarsi in una angusta valletta, dove furono massacrati quasi tutti; i pochi scampati abbandonarono per sempre il mestiere delle armi.
Per quanto riguarda il resto del reame, Gawain si limitò a ordinare il rafforzamento dei presidi sulla frontiera orientale, ove pareva imminente un attacco danese o imperiale; in questo si dimostrò ingenuo, perché la bufera scoppiò da tutt’altra parte.
Nell’inverno del 1278 gli Aragonesi tradirono l’alleanza assediando Bordeau; non ottennero nulla, in quanto il Conte di Anjou fece in tempo ad accorrere con un contingente modesto, ma comunque sufficiente ad appoggiare la guarnigione in una sortita che li sterminò tutti. Non vennero distolte truppe da Tolosa, in quanto un sacerdote avvistò un imponente esercito pronto a varcare il passo dei Pirenei.
Prima che Bordeau potesse riprendersi, un grande esercito Castigliano sbarcò presso le mura settentrionali e la cinse nuovamente d’assedio; questa volta, malgrado prodigi di valore, i difensori non ebbero scampo.
Nell’estate del 1280 una potente armata Aragonese riusciva ad impossessarsi di Perpignà; il momento era gravissimo, perché i nemici avevano la via quasi sgombra sino al cuore del regno.
Gawain non perse la testa, scorgendo in quei tristi frangenti l’occasione propizia per liberarsi del fastidioso triangolo aragonese fra i suoi possedimenti francesi e quelli italiani.
Mentre i francesi di Perpignà soccombevano al nemico, gli aragonesi di Asti venivano travolti dall’esercito di Blanchet, Earl di Winchester, e Boudet, Conte d’Albon, muoveva verso Ais; una terza colonna lasciava i feudi in terra germanica per avviarsi verso l’Ile de France.
Astì fruttò un secondo duomo e la minaccia di scomunica, ma Gawain diede ordine di ignorarla; Blanchet annientò la guarnigione di Genova, mentre Boudet cingeva d’assedio Ais; ciò scatenò gli anatemi del Pontefice che, in quei frangenti, rappresentavano il male minore.
La cittadella dovette essere assalita con scale ed arieti, battendo sul tempo forze nemiche soverchianti in arrivo da occidente; l’impresa non sarebbe stata possibile senza il contributo di ogni sorta di mercenari reperiti nella zona, che furono reclutati senza badare a spese.
Nel giugno 1282 il triangolo aragonese era solo un ricordo, e già si formulavano piani per la riconquista di Perpignà; Boudet attendeva la sua occasione nel porto di Tolosa, con uomini e artiglierie imbarcati a Genova.
Anche la scomunica era solo un ricordo, perché il Santo Padre si era affrettato a revocarla quando gli era stata offerta la città di Pisa.
Bertavianus
00venerdì 12 giugno 2009 00:18
La campagna di riconquista del Rossellò fu una delle pagine più convulse della storia di Francia.
Gli aragonesi avevano lasciato un presidio debolissimo a Perpignà, ma avevano un’armata accampata fuori la porta occidentale, ed un’altra ancora spostata più a nord; un terzo esercito aveva appena varcato i Pirenei dirigendosi verso Tolosa.
Boudet agì in modo fulmineo; sfruttando la potenza concentrata di catapulte, trabucchi e baliste polverizzò il portone orientale e sottomise la città prima che i rinforzi nemici potessero intervenire. Avrebbe potuto alzare le proprie insegne vittoriose, e quelli se ne sarebbero andati con le pive nel sacco, ma preferì proseguire i combattimenti per liberarsene in modo definitivo. L’esercito aragonese ricevette il primo benvenuto dai balestrieri, già in posizione sulle mura, e perì sino all’ultimo uomo nel vano tentativo di rifugiarsi in una piazza divenutagli ormai ostile. Solo una compagnia di Jinetes agì diversamente, galoppando fuori le mura per assalire gli artiglieri; riuscì nel suo intento, ma cadde sotto le spade della cavalleria francese. Quel giorno, combattendo in perfetta parità numerica, erano caduti 116 francesi contro 1282 aragonesi.
Il trionfo di Perpignà consentì di affrontare subito anche il secondo esercito nemico. Ad ingaggiarlo fu François d’Arles, uscito da Tolosa con 992 uomini; iniziò lo scontro in condizioni di inferiorità numerica, sapendo che l’arrivo dei mercenari di Boudet avrebbe ribaltato i rapporti di forza, e tolse dalla scena altri 1156 spagnoli, in gran parte cavalieri appiedati.
La stagione non si era ancora conclusa che già un altro esercito nemico assediava Perpignà, rimasta con un presidio insufficiente. Boudet dovette asserragliarsi in piazza con il grosso dei suoi e l’intero parco di artiglieria, lasciando pochi uomini sulle mura per ritardare gli attaccanti sino all’arrivo dei rinforzi; il diluvio di fuoco e dardi paralizzò gli attaccanti, che poi vennero ricacciati grazie alle forze fresche accorse in suo soccorso. I francesi rispedirono al Creatore altri 1550 iberici, subendo perdite contenute. Ma non era ancora finita; l’ennesima armata Castigliana, guidata dal Principe Wifredo, già stava varcando il confine.
Nel corso di questi eventi si inserì l’assedio danese a Magdeburg, e la chiamata ad una nuova crociata per la liberazione della Città Santa.
I difensori di Magdeburg vissero momenti difficilissimi; organizzarono un paio di sortite, che valsero solo a sfoltire i ranghi nemici; l’arrivo di una seconda armata danese avrebbe sicuramente segnato la loro fine se, allo stesso tempo, non fosse giunta la colonna di soccorso guidata da Adenin des Roches; la terza sortita, sostenuta da queste truppe fresche, avrebbe annientato le forze assedianti.
La crociata tolse dai piedi il Principe aragonese, rendendo possibile anche un attacco in forze contro quell’armata che da tempo teneva in scacco Tolosa: la battaglia vide la partecipazione di un nobile siciliano, che si comportò con valore, e si risolse con il totale annientamento del nemico.
L’attempato Re Gawain, costretto ancora una volta a prendere la croce, questa volta non perse tempo in grandiosi preparativi: scelse di imbarcarsi a Genova, con un esercito non particolarmente numeroso, cui si sarebbero aggregate le artiglierie di ritorno dal Rossellò.
Dopo breve navigazione, il sovrano si avvide che i mori avevano lasciata sguarnita la cittadella di Ajaccio, e si affrettò ad espugnarla. Nell’anno del Signore 1286 si reimbarcò con numerosi cavalieri crociati reclutati in Corsica, ove rimase un presidio confortato dall’assistenza spirituale di un vescovo.
Il secondo scalo dei crociati fu a Tunisi, che venne strappata ai Mori senza difficoltà. Questa sosta, che avrebbe dovuto essere brevissima, finì per protrarsi circa due anni e mezzo; il tempo necessario per riattivare la sua modernissima bottega di armaiolo, e fornire all’armata una di quelle armi a polvere ci cui si dicevano meraviglie, e ancora mai viste sui campi di battaglia europei.
Nel frattempo Guiot Capetigno, con un esercito fornito di forte cavalleria, riuscì ad annientare in un sol colpo l’esercito e la guarnigione castigliana di Bordeau, e ad entrare in città senza ulteriori combattimenti; ne divenne signore, rinunciando al suo marchesato su Verona.
Il sogno di aver ripristinato, una volta per tutte, i confini naturali del regno durò ben poco; le sue forze iniziarono subito a logorarsi in continue scaramucce con castigliani e aragonesi; questi ultimi, poi, tornarono a mettere sotto scacco Tolosa, con un grande esercito che andò ad occuparne il ponte senza iniziare opere di assedio. I Portoghesi tradirono l’alleanza. I castigliani fecero anche di peggio; una loro armata spintasi a nord intercettò e massacrò il figlio primogenito di Gawain con tutta la sua scorta.
Il vecchio cuore del monarca non resse alla ferale notizia; fu tumulato a Tunisi, e con il re soldato scomparve il miglior generale della sua epoca.
L’armata crociata riprese il suo viaggio sotto la guida di Adenin di Coligny, imbarcando la nuova bombarda e lasciando Tunisi alle fiamme ed ai corvi. Sul finire del 1190 investì Tarabulus, che depredò e consegnò allo stesso destino; purtroppo l’oro moresco era autentico sterco del demonio, e diffuse la peste fra i valorosi combattenti di Cristo.
Bordeau rischiò di tornare in mano aragonese nel 1292; fu salvata dalle coraggiose cariche di cavalleria guidate dal conte di Tolosa, che indussero il nemico a concentrarsi più sulla protezione delle proprie catapulte che sulla conquista della città. Dalle varie brecce entrarono pochi uomini, che vennero respinti senza pena dai combattenti appiedati. Purtroppo, senza poter beneficiare di un attimo di tregua, quegli uomini stremati dovettero accorrere in soccorso dei rinforzi aggrediti da altro esercito nemico in arrivo; il nuovo scontro ebbe un esito disastroso, ed anche il conte di Tolosa vi perse la vita.
La città era nuovamente sotto assedio, i suoi difensori decimati, e le mura parean formaggio svizzero; l’unica nota positiva è che ad assediarla non era l’armata più pericolosa, ferma senza fiato presso i bastioni occidentali, ma una singola compagnia di arcieri sopraggiunta dopo la battaglia. Questo, a Dio piacendo, lasciava ancora un tenue filo di speranza.
Bertavianus
00sabato 13 giugno 2009 23:42
Nel mese di dicembre 1292 i difensori di Bordeau fecero una velocissima sortita, annientando i pochi assedianti prima che i loro compari potessero intervenire; l’assedio era rotto, e sarebbe stato possibile rabberciare le mura prima del prossimo assalto. Sarebbero stati comunque troppo pochi per reggere un ulteriore urto, se l’armata mercenaria radunata da Blanchet non avesse spazzato via il nemico prima che il nemico fosse pronto a muovere.
I Castigliani avevano perso la loro miglior occasione, e i tentativi che avrebbero ripetuto nei dieci anni successivi non avrebbero mai avuto la stessa pericolosità.
Per tutto quel periodo si ripeterono anche le puntate offensive degli aragonesi verso Tolosa ed il Rossellò, da cui scaturì una serie di scontri che sarebbe inutile elencare per intero.
Vi furon solo due episodi meritevoli d’esser menzionati
Il primo fu la breve campagna con cui il nobile Thibault tentò di forzare il passo mediano dei Pirenei, con un esercito dotato di due bombarde prodotte a Rodes. Conseguì una bella vittoria contro una armata aragonese che disponeva di un buon vantaggio numerico, poi cadde in una imboscata nei pressi della sella; vinse anche questa volta, ma le perdite subite lo costrinsero a ripiegare.
Etienne de Rochemont si distinse, invece, per il soccorso portato a Perpignà. Inizialmente appoggiò una sortita analoga a quella di Bordeau, ma contro forze più numerose; poi ricevette in pieno l’urto dell’armata aragonese che non era riuscita ad intervenire in tempo. Con soli 287 uomini, suddivisi fra sergenti corazzati e cavalleria, dovette far fronte ad oltre 1300 nemici, dotati di numerose baliste e catapulte. I fanti ressero finchè poterono addossati alle mura di un eremo; i nobili e gli altri cavalieri imperversarono senza tregua sulle retrovie nemiche. Sul finire della giornata non ebbe altra scelta che negare la vittoria al nemico, galoppando a briglia sciolta per sottrarsi alle sue lame; gli aragonesi piansero 620 caduti, e furono costretti a ritirarsi.
Di lì a poco, un veto papale avrebbe reso temporaneamnete impossibile la progettata controffensiva.
La peste si portò via Adenin de Coligny, ponendo termine alla crociata dei francesi. I suoi uomini, comunque, rasero al suolo Surf e si impossessarono di Barqah; questa bella cittadella venne tenuta, e i tentativi di riconquista egiziani vennero frustrati dalle sue baliste. Un contingente ridotto proseguì via mare verso Alessandria, ma fu costretto a sbarcare anticipatamente dopo un duro scontro navale. Dovette sostenere due battaglie fra le dune; la prima volta vinse, la seconda fu annientato.
Pola e Ajaccio, scarsamente difese, andarono perdute intorno al 1297. I Veneziani avrebbero anche fatto un puntata verso Verona, ma qui sarebbero stati annientati.
A cavallo del nuovo secolo ripresero gli attacchi a Magdeburg, ad opera di contingenti danesi; i primi vennero respinti senza troppa difficoltà, ma nell’anno 1301 la cittadella era nuovamente stretta d’assedio da due imponenti eserciti.
La corona era tornata, dopo breve interregno, in capo alla famiglia dei Capetingi, ed il suo tesoro era largamente alimentato dal monopolio dei commerci nei possedimenti d’oltremanica.


Nb. A questo punto Novgorod ha vinto. E’ la prima volta che vedo una fazione controllata dalla IA realizzare così presto le condizioni di vittoria in una campagna lunga. Temo di aver contribuito al risultato lasciandogli a disposizione i territori russi ribellatisi dopo l’eredità.
Bertavianus
00lunedì 15 giugno 2009 10:34
I Danesi assediarono Magdeburg per oltre un anno; iniziarono l’assalto nel corso di una nevicata notturna, dopo esser stati raggiunti da un terzo contingente. Trovandosi a fronteggiare una concentrazione di forze mai vista in precedenza, i Francesi disertarono le mura esterne della fortezza per concentrarsi nella difesa del cancello interno. Il capitano della guarnigione decise, però, di uscire all’esterno per caricare coi suoi cavalieri le prime sagome intraviste nel buio. Prima di doversi ritirare, neutralizzò le artiglierie nemiche e riuscì a disperdere una compagnia di slavi; questi ultimi lasciarono cadere le scale, che nessuno dei loro compagni riuscì poi a rintracciare nelle tenebre. Costretti a concentrare l’attacco sull’unica via concessa dagli arieti, i Danesi andarono incontro ad un immane massacro; ne perirono più di tremila, contando i prigionieri che nessuno volle riscattare. I Francesi persero solo 116 uomini.
L’insperato successo di Magdeburg infuse alle truppe del regno l’elàn che era mancato per troppo tempo.
Nell’estate del 1303 Oudin Cottaz, Conte di Rodes e Conestabile del Regno, iniziò la campagna che avrebbe reso la Francia padrona del versante occidentale dei Pirenei.
La prima a cadere fu la fortezza aragonese di Iruna, difesa da un gran numero di balestrieri ed artiglieri che non ebbero speranza quando si giunse al corpo a corpo; sei mesi dopo fu la volta di Saragozza, ove cadde Re Lucas e fu possibile fondere una gran bombarda che andò ad aggiungersi alle due, più piccole, già a disposizione; la stagione successiva fu presa Tortosa.
L’inverno del 1305 restò celebre per la “manovra di Barcellona”.
Cottaz intendeva attaccare l’esercito aragonese attendato fuori città, per attirare la guarnigione in campo aperto e risolvere la questione alla svelta. La via più diretta fra Tortosa e Barcellona era però bloccata dai superstiti di un recente fiasco a Perpignà, e la deviazione necessaria gli avrebbe impedito di ingaggiar battaglia se la sua armata avesse marciato con l’artiglieria, di cui non si voleva privare: quella potenza di fuoco era necessaria, per compensare il vantaggio numerico del nemico.
Risolse il problema scendendo in campo con tre contingenti separati; l’armata principale, le bombarde, ed un’ottantina di cavalieri accorsi dal Rossellò. Condusse questa battaglia d’attacco come fosse una di difesa sino a che, riunite le forze, potè scatenare l’inferno; al termine della giornata i cavalieri del Rossellò entrarono in città senza incontrare resistenza, mentre il grosso dell’esercito andò a ricongiungersi con il suo corpo di artiglieria.
Appurato che la costa meridionale e le regioni centrali della penisola Iberica rigurgitavano di truppe e di scontri in cui non ci si voleva immischiare, le operazioni belliche si spostarono sulla costa settentrionale; nell’estate del 1307, per vendicare il tradimento dell’alleanza, Cottaz prendeva la fortezza portoghese di Pangos. Esattamente un anno dopo espugnava Leon, capitale di Castiglia; da lì non sarebbero mai più partite le navi e le truppe che avevano tanto assillato l’Aquitania. Il Conestabile, appena trentacinquenne, stava guadagnandosi una fama pari a quella di Luigi il Conquistatore.
E’ doveroso ricordare anche il terzo assedio di Barqah. I difensori, stremati dalla fame, erano prossimi a capitolare. Gli egiziani, intuendo che avrebbero devastato la rocca dall’interno, preferirono lanciare l’assalto. Le scheletriche truppe indigene di Francia manovrarono con tanta perizia le armi fisse che, quando si giunse all’estremo scontro, agli attaccanti restava solo una scala e pochissimi fanti in grado di usarla. Nubiani, giavellottisti ed arcieri li ributtarono giù dalle mura.
Bertavianus
00mercoledì 17 giugno 2009 10:13
Il Regno di Francia un anno dopo i fatti appena narrati

imgcash4.imageshack.us/img151/2871/imp4.gif

Il controllo della penisola iberica è conteso con i portoghesi; la presenza di mori e aragonesi è trascurabile; Toledo è in mano ai ribelli, essendo appena morto l'ultimo nobile di Castiglia.

Bremen è ancora in mano agli imperiali, dopo un periodo di occupazione danese. La Francia non ha mai interferito, lieta che due suoi nemici si dissanguassero a vicenda.

Grazie alle generose cessioni, il Pontefice domina sull'Italia peninsulare; Puglia e Calabria sono rette dai Normanni di Sicilia

L'inespugnabile cittadella di Barqah, 47° feudo di Francia, parrebbe l'avamposto ideale per una espansione nel nordafrica.

(con le immagini faccio proprio pena, sia a catturarle che a caricarla)
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