Franceschini attacca Bersani dopo le regionali

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-Giona-
00venerdì 2 aprile 2010 08:59
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«Così non andiamo lontano». Franceschini rompe la tregua
di Tommaso Labate
Democratici Il capogruppo incalza Bersani prima al telefono poi al coordinamento: «Non hai ereditato un partito morto». Il segretario: «Non accetto che si parli di sconfitta, siamo cresciuti e il centrodestra è più vicino».

«Siamo stati di una lealtà assoluta. Dal 25 ottobre abbiamo contribuito a lavorare in un clima di collegialità che non s'era mai visto prima dentro il Pd. Proprio per questo, adesso abbiamo tutto il diritto di dire che le cose così non vanno». Alle 8 di sera, un'ora prima che al Nazareno vada in scena la riunione dello stato maggiore del Pd (troppo tardi, quindi, per darne conto su queste pagine), Dario Franceschini guarda negli occhi tutti i maggiorenti della minoranza interna di Area democratica. E dà il «la» all'apertura delle ostilità nei confronti di Pier Luigi Bersani, che poche ore prima aveva difeso il risultato elettorale del Pd («Abbiamo tenuto»), evocando una piccola crescita del partito («0.8%, solo la Lega ha fatto meglio») e anche del fronte del centrosinistra rispetto alle Europee dell'anno scorso. Altro che «milioni di voti persi», aveva aggiunto il segretario.

«No, quelle sono cifre che non contano nulla», aveva scandito Franceschini, che guidava il partito durante la precedente tornata, sfogandosi in mattinata con i fedelissimi. «Pier Luigi ha adottato una linea confusa e mente quando dice a Repubblica di aver ereditato un partito morto. Cui spieghi piuttosto come, con lui alla guida, il Pd ha lasciato per strada un milione di voti», aveva aggiunto nel pomeriggio intercettando i colleghi di partito a Montecitorio.

Il day after del Pd era cominciato all'insegna di un duro botta e risposta tra «Pier Luigi» e «Dario». Per la minoranza, insomma, Bersani avrebbe dovuto ammettere la sconfitta elettorale e riconoscere il fallimento della linea politica - sistema di alleanze comprese - uscita dal congresso. Ma il segretario ha preso tempo. Ha ascoltato i membri della sua segreteria, parlato al telefono con Massimo D'Alema e pranzato con Enrico Letta. Un giro di consultazioni dal quale «Pier Luigi» è uscito rivendicando sia la «tenuta» del Pd che la linea politica. Della serie «l'Udc per noi è importante ed è stata determinante in alcune regioni», «voglio accorciare le distanze tra tutte le forze di opposizione sulla base di una piattaforma democratica e sociale». Un'autodifesa in piena regola, insomma, per giunta corredata dalle tabelle elettorali preparate in fretta e furia al Nazareno.

A quel punto, dopo aver letto sulle agenzie delle parole pronunciate da Bersani nella conferenza stampa di metà pomeriggio, Franceschini ha preparato le regole d'ingaggio dettate in serata alla riunione di Area democratica. «Questo risultato elettorale è di gran lunga peggiore a quello delle Europee dell'anno scorso», ha scandito. «Naturalmente - ha aggiunto - nessuno vuole mettere in discussione la leadership di Bersani. Ma Pier Luigi deve riconoscere che la sua linea politica ha avuto un solo risultato: stabilizzare la legislatura di Silvio Berlusconi».

La richiesta con cui Area democratica s'è presentata al tavolo con Bersani è netta: sconfessare la linea del congresso e recuperare la vocazione maggioritaria. «Non possiamo continuare a sonnecchiare né possiamo permetterci di campare alla giornata com'è stato fatto fino ad oggi», ha chiuso il suo intervento Franceschini. «Che cosa vogliamo fare, continuare ad allargare il tavolo del centrosinistra come vorrebbe D'Alema? Ora vogliamo metterci a discutere pure con Beppe Grillo? No, l'unica nostra speranza è recuperare lo spirito originario del Partito democratico».

Al giro di tavolo, Veltroni ha preferito non intervenire, rinviando la sua analisi al coordinamento del partito. Anche se chi lo conosce bene giura che il suo stato d'animo non sia troppo distante da quello espresso dalla sua primogenita Martina nello status di Facebook svelato dall'Ansa («Vediamo se qualcuno si dimette prima che mi venga la gastrite»). «Il nostro obiettivo», dice Paolo Gentiloni, «è aprire una discussione vera, stasera». «Serve una lettura meno edulcorata dei risultati elettorali», chiede in blocco la minoranza. Ma è la linea politica della maggioranza a essere messa sotto accusa. E non solo dal giro veltronian-franceschiniano. «La linea di Bersani è stata sconfitta. Adesso serve un radicale ripensamento», dice Artuto Parisi. Ancor più duro, se possibile, il commento di Ignazio Marino: «Sarebbe un errore non fare autocritica oggi e non ammettere che il centro-sinistra esce sconfitto dalle elezioni regionali. Nel Pd - sostiene il chirurgo-senatore - hanno prevalso le alchimie strategiche di un gruppo dirigente che opera senza ascoltare il paese». La giostra democratica torna a girare. Pericolosamente.
mercoledì, 31 marzo 2010
DarkWalker
00venerdì 2 aprile 2010 09:48
mi sembra che i toni siano già rientrati e che Bersani abbia fatto un mezzo passo indietro con la lettera di risposta a quella dei 49 senatori.
Secondo hanno sbagliato entrambi: è giusto non abbandonarsi a catastrofismi (sconfitta sì, Caporetto no, almeno per il pd), come è giusto difendere il risultato, però senza esagerare.
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