La ristrutturazione europea spinge i sindacati al pragmatismo.
Le forze di lavoro globali hanno superato i 3 miliardi di persone e crescono ogni anno per una quota tra i 45 e i 60 milioni, dall' 1,5 al 2 per cento. E' la tendenza profonda che muove il capitalismo globale, è il vero respiro del mondo. E' una corrente poderosa, che ogni giorno in Cina, in India, in Brasile, in Indonesia, nel Maghreb o in Sud Africa strappa decine di migliaia di uomini e donne all'arretratezza secolare delle campagne, e gonfia megalopoli divenute le nuove fornaci del plusvalore mondiale. Per oltre i 9 decimi, quel flusso aumenta la popolazione attiva e i salariati delle nuove potenze, e infatti il sistema mondiale degli stati ne è sconvolto. Solo in piccola parte, con 3 milioni di immigrati, quella corrente si riversa nella UE e negli Stati Uniti. Nel Vecchio Continente, è tra le spinte che concorrono alla ristrutturazione europea, assieme all'astensione dell'Unione all'Est Europa.
Il mutamento manda in soffitta tutti i vecchi assetti, cambia le relazioni di forza tra gli Stati, preme sui rapporti tra le classi. E' una trasformazione che segna l'epoca: occorre una visione d'insieme che ne capisca il senso. Solo la scienza marxista e l'internazionalismo sono all'altezza del compito.
Nelle metropoli dell' imperialismo europeo il sindacato stenta sempre di più a richiamare l'attenzione dei media. Non è sempre stato così; ma in generale, nel lungo ciclo di passività sociale, le lotte delle fazioni della borghesia imperialista hanno relegato sempre di più il sindacato nel ruolo di semplice comparsa. Il processo di ristrutturazione sociale europea ha inevitabilmente accentuato questa caratteristica politica misurabile nella riduzione dello spazio riservato dai media alla questione sindacale. Alcune analisi aiutano a comprendere le ragioni di fondo che hanno portato il sindacato a ridurre il suo peso nella dialettica politica tra le fazioni e fra le loro espressioni politiche.
Esercito industriale di riserva mondiale.
Giles Keating, già capo del dipartimento Previsioni economiche della Confederation of British Industry, oggi capo della sezione Ricerche e direttore generale della divisione Pensioni di Credit Suisse, pubblica un suo articolo su
"The Banker". Scrive che stiamo assistendo ad un'ondata migratoria senza precedenti nella storia. In Cina ogni anno 15-20 milioni di persone si spostano dalle campagne verso le città, cifra che forse è sopravvalutata rispetto alle stime correnti. In USA e in Europa i migranti sono sono 3 milioni; una cifra imprecisata si sposta nelle periferie brasiliane o sudafricane. Per Keating ogni anno la forza-lavoro mondiale cresce del'1,5-2%. Da questa analisi si ha un'ulteriore verifica di come sia di dimensione inusitata l'esercito industriale di riserva che preme alle porte delle metropoli dell'imperialismo. La condizione operaia ne è condizionata oggettivamente in tutte le sue molteplici espressioni. "Der Spiegel" fa una fotografia del mutamento nella popolazione attiva della Germania. Dal 200 al 2005, nel cuore industriale dell'Europa, gli "attivi" sono rimasti sostanzialmente stabili, da 38,8 a 39,1 milioni di unità.
Lo specchio tedesco.
L'apparente stabilità del numero nasconde una dinamica che ha visto una riduzione di posti di lavoro nelle imprese tedesche: 450 mila occupati in meno secondo le valutazioni dell'Istituto di ricerca sul mercato del lavoro (IAB) di Norinberga.
Tale perdita è stata compensata dalla creazione di posti di lavoro a bassa professionalità, a basso salario. Infatti sono diminuiti del 10% gli occupati a tempo pieno e sono cresciuti quelli a tempo determinato, i lavoratori autonomi e le colf. I settori che tirano divengono modelli del nuovo trend. Un esempio è il porto di Amburgo: ha raggiunto gli 8 milioni di container, un milione in più rispetto al 2004. Nella fotografia di "Der Spiegel" la minifattura è annoverata tra i settori perdenti: ha avuto una riduzione di almeno 140 mila posti di lavoro. La direzione dell'Agenzia federale del lavoro valuta che la tendenza alla riduzioni di posti di lavoro ad alta qualificazione prosegua. Il settore automobilistico è il modello di questa tendenza. Per il sindacato europeo si presenta un modello tedesco dalle sembianze inconsuete. In questo contesto devono essere lette le linee che vengono portate avanti dalle associazioni padronali nelle tornate contrattuali. Il "Corriere della Sera" riporta l'analisi della Fondazione Hans Bockler su 2 milioni di aziende tedesche.
**Oltre il 50% ha stipulato accordi sull'orario di lavoro variabile, il 25% ha fatto intese che prolungano l'orario di lavoro, il 20% sulla riduzione del salario in cambio di garanzie del posto di lavoro.** Berthold Huber, vicepresidente di IG Metall, il 28 dicembre scorso spiega a "Le Monde" la disponibilità del sindacato all'orario flessibile aziendale purchè non porti ad una riduzione degli organici. Un accordo in questo senso fu firmato nel dicembre 2004. Da quella data sono state siglate 540 intese in deroga al contratto nazionale.
Il modello tedesco prevede un contratto nazionale "garantista" ma aperto alle eccezioni aziendali. In Italia Confindustria e Federmeccanica vogliono un modello cotrattuale nazionale aperto e, in aggiunta, una pratica aziendale priva di vincoli sindacali.
Continua...
** Si, si, Robe da matti,avete letto bene, io
non ho sbagliato a copiare la "menata",
non mi son fatto una canna,
non ho bevuto, purtroppo è vero mantenendo uguale lo stipendio...il 25% ha scelto di aumentare l'orario di lavoro, il 20% di ridursi il salario, con le stesse ore di lavoro, ma avranno la garanzia del posto fisso, c'è da mettersi le mani nei capelli, da non crederci, eppure i sindacati tedeschi non sono proprio gli ultimi arrivati...Ovviamente Confindustria e Federmeccanica cercheranno di cavalcare la tigre, portando il modello tedesco come esempio.
naturalmente da "Lotta Comunista" gennaio 2006