Endurance

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sergio.T
00martedì 4 settembre 2007 09:26
Endurance

E' il 20 maggio 1916, tre figure avanzano stremate tra la stupore dei presenti sulla banchina della stazione baleniera di Stromness, Georgia Australe, portando giacche di pelle ormai ridotte a brandelli, con barbe e capelli lunghissimi. Chiedono di poter parlare con il direttore della stazione.
Uno dei tre uomini scesi dall'entroterra montuoso dell'isola è Ernest Shackleton, l'anglo-irlandese che due anni e mezzo prima, il 5 dicembre del 1914, era partito a bordo della nave Endurance dalla costa orientale di quella stessa isola, a capo della Spedizione Transantartica Imperiale con ventisette membri d'equipaggio, destinazione l'Antartide, e con obiettivo l'attraversamento, da ovest a est, del continente antartico.
Da quel giorno, di lui e dei suoi compagni, nessuno aveva saputo più nulla.


Dall'irlandese Contea di Kildare ai ghiacci del Polo

Ernest Shackleton, nato il 15 febbraio 1874 a Kilkea House nella contea irlandese di Kildare, visse i primi anni dell'infanzia a Dublino, e dopo aver studiato al Dulwich College di Londra, la passione per il mare lo portò, a soli sedici anni, ad imbarcarsi come mozzo su una nave della Marina Mercantile Britannica diretta in Sudamerica; la famiglia non aveva potuto permettersi di iscriverlo all'accademia navale. Ernest, figlio della middle class, si trovava però a meraviglia sulle navi, e il suo carattere esuberante, ben disposto al gioco e allo scherzo, gli permetteva di sopportare i duri lavori di bordo.
La prima spedizione in Antartide la compì nel 1901, sotto il comando del capitano Robert Falcon Scott, che lo aveva scelto su raccomandazione del figlio di uno dei finanziatori della stessa spedizione, conosciuto dal ventisettenne Shackleton l'anno prima durante un trasporto navale di truppe in Sudafrica.
Shackleton si congedò così dalla Union Castle Line per cui lavorava, diventando assistente dell'allora trentaduenne Scott, nella spedizione al Polo Sud voluta da Sir Clements Markham, presidente della Royal Geographical Society. I primi fondi privati necessari all'impresa, raccolti dalla Geographical Society, venivano dall'industriale Llewellyn Longstaff e dal magnate della stampa fondatore del Daily Mail. Il governo britannico aveva deciso di integrare il finanziamento, in modo da permettere di iniziare la costruzione della nave Discovery e il reclutamento degli uomini.
In Voyage of the Discovery, racconto della spedizione, Scott definì il giovane Ernest, così ansioso di partecipare all'impresa, come "sempre traboccante d'entusiasmo e di cameratismo". Tra le sue passioni la poesia, da coltivare anche nei momenti più impensabili: in un glaciale mattino antartico, al momento del cambio, un tasmaniano di origine italiana provato dalla guardia notturna, fu costretto da uno Shackleton armato di cacao caldo e…poesie, a rimandare il ritorno sottocoperta: "Mi tenne lontano dalla mia cuccetta, recitandomi un'infinità di versi con l'intonazione e i modi di un antico aedo. "Aspetta, vecchio mio," mi blandì, "la conosci questa poesia?".
Durante l'inverno del 1902, quando la Discovery stazionò nella baia di McMurdo, l'indole ottimista di Shackleton rese più sopportabile la lunga notte antartica; si preoccupò di pubblicare (lui che non aveva dimenticato di portarsi nel viaggio la macchina da scrivere), un giornale-bollettino, il South Polar Times, del quale divenne editore, direttore e fattorino, e sul quale apparivano disegni del naturalista Edward Wilson, articoli scientifici, poesiole, raccontini umoristici.
Il 2 novembre 1902 Scott, Shackleton e Wilson lasciarono il Discovery con cinque slitte e diciannove cani per un viaggio verso sud, dalle molte incognite. I primi giorni di marcia risultarono agevoli, con le slitte a viaggiare veloci sulla distesa ghiacciata, ma presto il tempo mutò, costringendoli a rimanere lunghi periodi nelle tende, con il conforto di qualche lettura, tra le quali L'Origine della Specie di Darwin.
Dalla metà di novembre la situazione si fece difficile, con la moria dei cani, i disagi agli occhi e al volto provocati dalla luce riflessa dalla neve, l'aggravarsi delle condizioni fisiche di Shackleton, colpito dallo scorbuto. Il 30 dicembre 1902 raggiunsero gli 82°17', 400 chilometri più a sud di qualunque altro esploratore, ma pur sempre lontani dalla loro meta. Costretti a ripiegare a nord, con Shackleton incapace di trainare le slitte, fecero ritorno alla base il 3 febbraio 1903.
Scott decise di escludere dalla spedizione Shackleton, nonostante le condizioni dell'anglo-irlandese non fossero peggiori di molti altri membri rimasti alla base; la ragione dell'allontanamento andrebbe dunque ricercata nell'inclinazione di Shackleton a discutere i comandi di Scott, un comportamento tale da far nascere tra i due un contrasto non certo ascrivibile ad un'antipatia personale, ma alla ferrea idea di disciplina del capospedizione. Rimane il fatto che tutto questo produsse una rivalità dalle conseguenze anche tragiche sull'esplorazione antartica: alla vigilia della spedizione nella quale Scott troverà la morte insieme ai suoi compagni, non acquisì nessuna informazione diretta da Shackleton, reduce dal fallimento della spedizione con il Nimrod, ma si limitò ad utilizzare sulle pianure glaciali il diario di Frank Wild come una sorta di guida. Nel diario di spedizione, Scott scrisse: "ci confrontavamo continuamente con la media e le date di Shackleton"; un'abitudine che si rivelerà fatale.
La spedizione del Discovery comunque proseguì tutto l'inverno successivo, e anche senza raggiungere il grande obiettivo, risultò essere di grande importanza per i 500 chilometri di coste esplorate, per il patrimonio di informazioni raccolto sulla natura della banchisa e per aver preparato il terreno per la conquista del Polo.
sergio.T
00martedì 4 settembre 2007 09:28
Ritornato in patria, Shackleton iniziò un'intensa attività di promozione negli ambienti finanziari della City per organizzare un nuovo tentativo, ottenendo l'interessamento dell'industriale Beardmore. Nel febbraio 1907 annunciò pubblicamente l'intenzione di condurre un'ennesima spedizione antartica. Il Nimrod, piccolo battello per la caccia alla foca con sedici uomini dell'equipaggio, del quale facevano parte i geologi Edgeworth David, Douglas Mawson e Rymond Priestley, aveva come destinazione disbarco McMurdo, un luogo considerato da Scott quasi un feudo personale.


Shackleton fu costretto a dirigersi verso la Baia delle Balene, raggiunta alla fine di febbraio del 1908, ma lo sbarco era impossibile per la coltre di ghiaccio che la ingombrava, e dopo un tentativo sulla Terra di Edoardo VII, fu costretto a sbarcare a McMurdo, andando in tal modo ad esasperare ancora una volta la rivalità con Scott.
Il programma della spedizione prevedeva che una squadra di quattro uomini, Frank Wild, Eric Marshall, Jamenson Adams e lo stesso Shackleton, si mettesse in marcia alla volta del Polo. Le difficoltà erano però in agguato, e si presentarono da subito con la morte dei cavallini della Manciuria, preferiti ai cani nel traino delle slitte: gli animali faticavano enormemente ad avanzare nella neve alta ed erano sferzati dal blizzard che li ricopriva di ghiaccio. Un'eventualità fatta notare dall'esploratore Nansen ma che non era stata presa in considerazione (lo stesso errore dalle conseguenze fatali verrà commesso in seguito anche da Scott).
Alla fine di novembre il gruppo, dove tensioni ed attriti erano frequenti, oltrepassò il limite raggiunto in precedenza da Scott ed arrivò (dopo settanta giorni di marcia), fino a 97 miglia marine dal Polo, quando le precarie condizioni fisiche imposero la resa, e quindi il faticoso ritorno al Nimrod in attesa sulla costa. In una lettera alla moglie Emily Dorman, Shackleton scrisse: "Ho pensato che avresti preferito un asino vivo a un leone morto".
Il ritorno in patria, il 14 giugno 1909, fu tuttavia un trionfo per Shackleton, nominato Sir da re Edoardo VII, ricevette decorazioni da molti paesi ed iniziò un ciclo di conferenze in Gran Bretagna, Europa, Stati Uniti e Canada. L'esperienza del Nimrod verrà raccontata in The Heart of the Antarctic, scritto con l'aiuto del giornalista Edward Saunders (e pubblicato in Italia da Treves lo stesso anno con il titolo Alla conquista del Polo Sud, il cuore dell'Antartico. Storia della spedizione antartica inglese 1907-1909).
sergio.T
00martedì 4 settembre 2007 09:28
La conquista del Polo Sud da parte di Amundsen, il 14 dicembre 1911, insieme al dolore degli inglesi per la perdita di Scott, convinsero Shackleton a vedere nell'attraversamento dell'Antartide l'unica spedizione ancora possibile e significativa per la nazione britannica: dal Mare di Weddell al Mare di Ross toccando il Polo, centoventi giorni di marcia, 3300 chilometri con slitte trainate dai cani eschimesi.
Un'impresa del genere appare però, a molti, difficilmente realizzabile, e per i possibili finanziatori scarsamente appetibile.


Shackleton, impegnato nella raccolta dei fondi necessari dall'estate del 1913, è costretto così ad ammantare di scienza quella che nel suo animo vede come un'azione solamente eroica, venata da un'ingenua speranza romantica mai abbandonata dall'anglo-irlandese, di trovare un giorno tra i ghiacci del polo una qualche fonte di favolosa ricchezza. Del gruppo faranno parte un geologo, un fisico, un metereologo e un biologo, uno schieramento scientifico di tutto rispetto. Tra le decisioni più felici, vi è quella di ingaggiare Frank Hurley, un valente fotografo e operatore australiano, sperimentatore appassionato dell'arte fotografica, che aveva già partecipato nel 1911 con l'Aurora alla missione dell'esploratore australiano Douglas Mawson. La scelta di Hurley si rivelerà decisiva nel costruire la dimensione mitica della Spedizione Transantartica Imperiale, questo il nome altisonante regolarmente depositato dall'accorto Shackleton nella previsione di sfruttarne adeguatamente i diritti fotografici e cinematografici; fu difatti girato anche un film, South: Ernest Shackleton and the Endurance Expedition, oggi conservato al British Film Institute di Londra. Il Daily Chronicle ottenne l'esclusiva giornalistica, mentre Heinemann (aveva già pubblicato nel 1909 il fortunato libro di Shackleton), quella editoriale. Si riuscì a raccogliere la considerevole somma di 60.000 sterline. Tra i principali finanziatori vi erano un magnate della juta, un fabbricante di biciclette e l'ereditiera Janet Stancomb-Wills, proprietaria di una manifattura di tabacco. Diecimila sterline furono offerte dal governo inglese, mentre un contributo quasi simbolico venne dalla Royal Geographical Society, poco fiduciosa nella riuscita dell'impresa.
Conclusa con successo la campagna promozionale, Shackleton poté finalmente dedicarsi agli aspetti più strettamente organizzativi della spedizione, primo fra tutti l'acquisto della nave che avrebbe dovuto trasportare materiali e uomini nel Mare di Weddel. La scelta cadde su una solida goletta tre alberi da 300 tonnellate, varata nel dicembre del 1912 dai cantieri norvegesi Framnaes di Sandefjord, cantieri specializzati nella costruzione di baleniere destinate alla caccia nei mari artici ed antartici.
L'Endurance salpò da Londra il 1 agosto 1914, tre giorni prima che la Gran Bretagna dichiarasse guerra alla Germania, un evento tale da mettere in forse l'impresa, ma il governo inglese rimase a fianco della spedizione. Mentre l'Endurance proseguiva il suo viaggio, Shackleton trascorse alcune settimane a Londra per sbrigare le ultime incombenze, raggiungendo poi definitivamente l'equipaggio a Buenos Aires, dove giunse in transatlantico.
Il 5 dicembre, con gli uomini preoccupati per l'anomala espansione verso nord della cintura di ghiaccio attorno all'Antartide, l'Endurance salpava dal porto di Grytviken nell'Isola della Georgia Australe, e dopo cinque settimane alla continua ricerca di canali d'acqua navigabili, raggiungeva le scogliere di ghiaccio della Terra di Coats, dove risultò però impossibile sbarcare. Scrive Shackleton: "Dopo il blizzard, ci ritroviamo circondati di colpo dal pack, senza un indizio di acqua libera lungo tutto l'arco dell'orizzonte". Il 16 gennaio 1915, nel pieno dell'estate australe, l'Endurance, che rivelò solo ora l'inadeguatezza dello scafo, inadatto a sfuggire alla morsa dei ghiacci, rimase imprigionata dalla banchisa a 100 chilometri dalla baia di Vahsel, il previsto punto d'approdo, costringendo perciò l'equipaggio a rimanere in balia dei movimenti naturali del pack che porteranno la nave, nei dieci mesi seguenti, alla deriva per centinaia di chilometri. Un lungo inverno antartico attendeva Shackleton e il suo equipaggio, decisi comunque a resistere per rivedere la luce.
L'inizio della primavera riaccese le speranze, ma risvegliò anche la pressione distruttiva del pack, che decideva delle vite di un gruppo di uomini abbarbicati su una nave destinata alla distruzione, alla frantumazione, alla scomparsa. Il 27 ottobre 1915 lo scafo, affondato quattro settimane dopo, deve essere abbandonato, e per l'equipaggio questo significava l'inizio di una terribile battaglia per sfuggire alla morte nella terra bianca.
Shackleton decise di raggiungere l'Isola di Paulet, 600 chilometri a nordovest, dove sapeva dell'esistenza di un piccolo rifugio, ciò che restava di una spedizione svedese di una decina d'anni prima. Gli enormi blocchi di ghiaccio e i crepacci che potevano risultare fatali ad ogni passo, resero la marcia da subito impossibile. Costretti a rinunciare dopo nemmeno venti chilometri, il gruppo approntò un campo sopra una grossa lastra di ghiaccio, nella speranza che il progressivo liberarsi del mare, nel suo continuo movimento, li conducesse verso l'Isola della Georgia Australe.
Quando all'inizio d'aprile sulla lastra di ghiaccio non era più possibile rimanere, le scialuppe vennero gettate in acqua per prendere la direzione dell'Isola degli Elefanti, lontana un centinaio di chilometri. Sotto la guida dell'esperto capitano Frank Worsley le scialuppe riuscirono il 14 aprile a sbarcare sull'isola, e approdare finalmente, dopo un anno e mezzo, sulla terraferma.
Non vi però nessuna possibilità che qualcuno li potesse soccorrere, ed allora l'esploratore anglo-irlandese ordinò di lasciare la maggior parte dei componenti della spedizione sull'isola, per tentare insieme ad altri cinque uomini, tra i quali Worsley, di raggiungere la Georgia Australe a bordo della James Caird. Ancora una volta Shackleton si proponeva di fare l'impossibile: navigare per 1200 chilometri, attraversando le onde oceaniche con una scialuppa lunga sei metri e mezzo e larga due. Seguiranno diciassette giorni che daranno consistenza al peggiore degli incubi oceanici; sferzati dal vento, dalla pioggia gelida e dalla neve, sotto la continua minaccia notturna di affondare a causa di uno impatto con i blocchi di ghiaccio vaganti, lo scarno equipaggio sostenne turni di guardia massacranti, confrontandosi tenacemente con la violenza del mare australe.
In un passo del suo avvincente libro, Alfred Lansing descrive sulla base di diari e testimonianze dirette le prime ore del 30 aprile 1916, quando erano trascorsi sei giorni dalla partenza della James Caird: "La temperatura era scesa molto vicino allo zero, con un vento freddo che proveniva probabilmente da una banchisa di ghiaccio non molto lontana. Col passare delle ore mattutine, divenne sempre più difficile governare la barca. Un vento a sessanta nodi la spingeva contro le onde di prua, e poi i marosi la sollevavano di poppa minacciando di sbatterla di traverso. A metà mattino, più che procedere, era sballottata da un'onda all'altra. La pompa a mano non bastava a prosciugare tutta l'acqua che la Caird imbarcava. Verso mezzogiorno avvistarono le prime incrostazioni di ghiaccio".
Il 9 maggio le capacità di Worsley conducevano la James Caird ad approdare su una spiaggia, alla foce di un ruscello la cui acqua fangosa proveniente dalle paludi apparve ai sei uomini assetati quasi miracolosa. Non è tuttavia ancora la salvezza: la Georgia Australe è tagliata da una catena montuosa che nessuno fino ad allora ha mai tentato di superare e che da sola avrebbe giustificato una spedizione. Shackleton, insieme a Worsley e al secondo ufficiale Thomas Crean, si prepararono ad affrontare l'ultimo viaggio, stremati da mesi di privazioni, reduci da una navigazione di centinaia di chilometri, ma animati ancora da un'incredibile tenacia: li attendevano trentacinque ore di cammino, dalla costa occidentale a quella orientale, con crepacci e ghiacciai da superare, sotto la continua minaccia delle terribili bufere australi. "Il rammarico non sta tanto nel dover morire, ma nel fatto che nessuno saprà mai quanto vicini siamo stati a salvarci", scriveva Shackleton alla vigilia della traversata.
Gli ultimi passi condussero i tre uomini alla casa del direttore della fabbrica di lavorazione baleniera di Stromness, di fronte agli occhi stupefatti del norvegese signor Sorlle.

Non fu, quella dell'Endurance, l'ultima avventura di Ernest Shackleton. Alla metà di settembre del 1921, con alcuni dei più fidati compagni, tra i quali Wild e Worsley, tentò l'esplorazione della Terra di Graham, ma morì improvvisamente a bordo della nave Quest il 5 gennaio 1922, a soli 47 anni. Il suo corpo venne sepolto per volere della moglie Emily nell'Isola della Georgia Australe.
sergio.T
00martedì 4 settembre 2007 09:44


Uno dei migliori libri che si possa leggere su questo tema: cosi' direi di Endurance, questo gioiello della letteratura d'avventura.
Endurance di Lansing e' un libro epico scritto come meglio non si poteva: scrittura lineare, veloce, avvincente, tiene il passo con le incredibili avventure dell'equipaggio della Endurance e del suo Capitano.
Endurance e la sua esperienza appartengono al romanticismo: c'e' qualcosa di romantico , infatti, il questa brama di scoperta, di esplorazione, ma sopra ad ogni cosa, e' romantico l'intendimento del volere dell'uomo. Gli eroi dell'Endurance sono i modelli di una tenacia di resistenza sopra ogni misura: Shakleton non solo e' il Capitano dell'esplorazione, ma e' la traccia madre di un significato che raramente si trova in un gruppo di uomini: l'essere davvero insieme.
Il miracolo di questo equipaggio, non e' tanto avere fatto quello che e' poi passato alla storia, ma quello di essere stati un unica volonta' comune.
Tenaci, caparbi, risoluti, determinati, resistenti, dotati della piu' ferrea volonta', gli uomini dell'Endurance rimarranno esempio rarissimo di cosa significhi essere fedeli in nome di un " tutto".
Per certi versi, anche se con ambientazioni e dimensioni d'avventura completamente diverse, mi hanno ricordato la ritirata di Ney e dei suoi 2000 uomini dalla campagna Napoleonica di Mosca. In entrambi i casi il sentimento supremo e' stato quello di un volere" assoluto, quasi sussurrato da un profondo irrazionale.
sergio.T
00martedì 4 settembre 2007 11:16
E' la cieca fiducia di questi uomini nel loro Comandante ad essere l'aspetto piu' saliente e piu' affascinante di questa avventura.
La fiducia assoluta, devota, irrinunciabile , e' un sentimento che nasce quasi sempre da qualcosa di irrazionale, di istintivo, di assolutamente imponderabile.
L'equipaggio della Endurance coglie nel suo capitano un sapere e una esperienza di viaggio impareggiabili: le capacita' di navigazione, la preparazione tecnica, le conoscenze geografiche di Shackleton sono impareggiabili e certe e questo infonde fiducia, ma non basta per assecondare le decisioni piu' difficili e piu' rischiose.
E allora cos'e' che spinge 28 uomini a seguire ciecamente il loro capitano?
Un esempio la dice lunga: ad un certo punto , durante l'attraversata a piedi del circolo polare ( la nave era gia' perduta) Shackleton decide dopo una grossa caccia di abbandonare tutti i viveri, buttando a via scorte che in quel momento erano la vera sopravvivenza di tutti gli uomini.
La decisione appare sconcertante, matta, folle, incosciente, ma dopo un momento di sbalordimento e di incredulita', nessuno degli uomini dell'equipaggio contesta la decisione del Capitano e seduta stante abbandonano tutti i viveri.
Gli uomini di Shackleton sanno benissimo che l'introspezione psicologica del loro Capitano e' decisamente superiore alla media: il piu' grande requisito di questo irladense, infatti, sta nell'assoluta capacita' intuitiva di conoscere le personalita' e i caratteri del proprio equipaggio e come ogni buon conoscitore di uomini, legge nell'animo di ciascuno a chiare lettere.
Shackleton sa bene che una certa rilassatezza dei propri uomini sarebbe peggiore di ogni fame e dunque decide di tenere ad alto livello la tensione della loro disperazione. E' una decisione difficilissima da prendere perche' la disperazione potrebbe avere effetti diversi, devastanti, dannosi, na nonostante questo rischio, il Capitano sa che nel caso dei suoi uomini la disperazione, invece, sara' l'arma in piu' per salvarsi.
Proprio in questo lui si " fida" di loro: si fida della loro volonta' di non soccombere all'estremo sforzo esistenziale e dal canto loro, i marinai, si " fidano" dell'intuito psicologico del Capitano nei loro riguardi.
Si racconta nei diari che questa decisione fu presa immediatamente senza pensarci neppure tanto: fu l'intuito eccezionale a dettarla.

Quando Schakleton scelse il proprio equipaggio, i colloqui di assunzione sulla nave furono sbalorditivi: invece di una serie di interrogazioni lunghissime sulla cultura di navigazione ( geografia, tecnica) il Capitano rivolgeva due tre domande delle piu' banali, quasi comiche, e a " pelle" d'istinto sceglieva.
Non sbaglio' un uomo su tutti i ventotto.
Un equipaggio perfetto.

sergio.T
00martedì 4 settembre 2007 11:42
La disciplina
I viveri venivano distribuiti settimanalmente; ad ogni marinaio si davano le razioni per sette giorni e per sette giorni dovevano bastare.
Due di loro, una volta, le mangiarono in un giorno solo ( erano scarsissime) e una volta saputolo, gli altri dell'equipaggio, si chiesero cosa sarebbe successo nei giorni seguenti.
Lo dissero a Schakleton che rispose: " Nessuno dia loro da mangiare; devono stare sei giorni senza cibo o moriranno di fame "
Nessuno contesto'; nessuno li aiuto'; nessuno si rivolto'.
Persino i due diretti interessati capirono lo sbaglio e non chiesero mai da mangiare; ce la fecero.
Ecco cos'era l'altro grande segreto: la disciplina assoluta.
Un disciplina ferrea, tenace, imperdonabile, ma in questa estrema richiesta sottaceva il piu' grande riconoscimento verso questi uomini: loro erano all'altezza di questa prova e Shakleton imponendo un " ritmo" sostenuto dal quale non si poteva transigere, riconosceva la loro capacita' di sopravvivenza estrema.
Come per i cani: ad un certo punto il Capitano decise di fare ammazzare i cani da slitta ormai inutili. Cani che da due anni peregrinavano insieme agli uomini in quei ghiacci, in quelle lande polari. Cani che erano piu' che cani ormai; compagni di viaggio, compagni da coccolare, cuccioli da curare.
Fu destinato a questo compito un marinaio: prendeva i cani e li portava dietro al primo promontorio e gli sparava un colpo in testa.
Gli uomini subirono questa decisione con ansia, dispiacere, dolore; cercarono , sulle prime, di parlare con il Capitano, cercarono di differire i momenti mattuttini nei quali si uccidevano interi gruppi di cani, ma mai una volta, si opposero.
All'alba si sceglieva il gruppo e piangendo li si ammazzava uno alla volta : un gesto che puo' apparire banale per quei momenti, ma che in realta' nasconde l'affetto d'amore ( del vero senso della parola)disperato che si prova quando si e' assolutamente soli; che nasconde un significato di " sacrificio" necessario per un bene piu' grande; che nasconde la volonta' di essere disciplinati in nome di tutti e mai in nome individuale.
Soltanto a un cucciolo furono concessi qualche giorno in piu' ( di nascosto) e Schakleton - saputolo - disse "uccidetelo". Fu fatto senza esitazione e ripresero la marcia tra i ghiacci.
sergio.T
00domenica 14 ottobre 2007 17:18
Fascino totale per L'endurance. [SM=g11120]
sergio.T
00lunedì 15 ottobre 2007 12:29
Valore inestimabile.
Quello che ha insegnato Schakleton e il suo equipaggio e' di valore inestimabile.
Come la truppa di Ney nella ritirata di Russia dell'esercito Napoleonico.
sergio.T
00lunedì 15 ottobre 2007 14:56
Worsley Arthur
Frank Arthur Worsley (Akaroa, 22 febbraio 1872 – Elmbridge, 1 febbraio 1943) è stato un esploratore e navigatore neozelandese.

Dopo essersi arruolato nella Royal Navy ed aver servito nel pacifico, si unisce alla spedizione Endurance come capitano dellEndurance sotto il comando di Ernest Shackleton. Dopo il naufragio della nave viene scelto da Shackleton per navigare a bordo della James Caird tra l'isola Elephant e la Georgia del Sud per cercare aiuto.

In questa difficile missione Worsley aveva il compito di verificare la rotta nel mare in tempesta con il solo aiuto di un sestante e di un cronometro. Una volta arrivati nella Georgia del Sud Shackleton, Worsley ed il marinaio Tom Crean attraversarono a piedi l'isola per raggiungere la stazione baleniera di Stromness ed organizzare i soccorsi per l'equipaggio rimasto all'isola Elephant.

Tornato in Inghilterra in piena prima guerra mondiale viene impiegato dal 1916 al 1919 dalla Royal Navy a a bordo di una Q-ship per dar la caccia agli U-Boat tedeschi.

Dal 1921 al 1922 partecipa alla spedizione Quest interrotta bruscamente dalla morte di Shackleton. Quattro anni dopo si unisce ad una spedizione in Artide e nel 1935 sbarca sull'isola del Cocco alla ricerca di un tesoro dei pirati, ma è fermato dalle autorità costaricane.

Nel 1939, allo scoppio della seconda guerra mondiale collabora con la Croce Rossa in Francia e poi in Norvegia prima di tornare nella Royal Navy.

Muore di cancro nel febbraio 1943, pochi giorni dopo la diagnosi.
sergio.T
00lunedì 15 ottobre 2007 14:57
Tom Crean
Tom Crean (Annascaul, 20 luglio 1877 – Cork, 27 luglio 1938) è stato un esploratore e militare irlandese.

Nato nella città di Annascaul nella contea di Kerry nell'Irlanda del sud, e secondo ufficiale dell'imbarcazione Endurance, nella spedizione di Ernest Shackleton al polo sud.
sergio.T
00lunedì 15 ottobre 2007 16:03
sono questi due gli uomini che accompagnarono insieme ad altri tre ( per la prima parte) Schakleton , nell'incredibile viaggio intrapreso per trovare i soccorsi all'equipaggio della Endurance fermo sull'isola di Elephant.
Un viaggio di I200 km in mezzo al mare ghiacciato e in seguito tra le asperita' delle montagne del Polo Sud.
Una volta sbarcati dalla scialuppa , dopo una miracolosa traversata, dovettero affrontare in tre ( Schakleton , Crean, Worsely ) l'ultima avventura attraversando la Georgia Australe da una costa all'altra: 35 ore di cammino tra crepacci e ghiacciai che nessuno prima d'allora aveva osato valicare.
Sono questi i picchi di esasperazione che risaltano in questi temibilissimi viaggi.
Sembra quasi, e questo vale sia per Scott che per Schakleton che la linea rossa della loro esplorazione sia sempre tesa al limite della resistenza, ma ad un certo punto, per un motivo o per l'altro, questa linea si alzi ulteriormente, esasperatamente, drammaticamente.
E allora quando si immaginava che il " limite" fosse raggiunto, si ha la riprova che ad alcuni uomini di essi ( un livello in generale gia' altissimo) siano chiamati per destino o per casualita' assoluta, a dare ancora di piu', immensamente di piu'.
L'avventura di Schakleton e di Scotto, sotto questo profilo, ha similitudini assurde, talmente sono identiche.
sergio.T
00martedì 16 ottobre 2007 10:39
difficile e probabilmente ingiusto , stabilire la superiorita' di un equipaggio rispetto all'altro.
Le due squadre di Schakleton e Scott meritano un grande generale plauso: meglio di cosi' e' difficile immaginare di poter fare.
sergio.T
00giovedì 18 ottobre 2007 09:09
La lunga notte di Shackleton


Ernest Shackleton, l'esploratore polare più amato dal pubblico nei primi lustri dell'Ottocento, fu a capo della spedizione del 1914-1917 - con la nave Endurance - che fallì e rischiò di volgere in tragedia, ma che grazie a un'azione di grande audacia si trasformò nella più straordinaria storia di salvataggio di tutti i tempi. Questo volume tratteggia il personaggio di Shackleton attraverso episodi noti o sconosciuti della sua vita - la traversata dell'Oceano Antartico in scialuppa scoperta e il superamento delle montagne della Georgia Australe, l'ascensione del monte Erebus, il legame con i suoi uomini e la rivalità con Robert Scott - ponendolo a confronto con gli altri protagonisti delle esplorazioni polari dell'era eroica.

di Tenderini Mirella. Edizioni Vivalda
sergio.T
00giovedì 18 ottobre 2007 11:12
questo l'ho gia' li' pronto ad essere letto.
L'universo che si apre in questo genere di letteratura ( infinitamente piu' vero di tanta altra) e' sorprendente.
Tranne i Giornali di bordo di Cook, non conoscevo questo genere e la sua scoperta ( una sorta di esplorazione da lettore) mi ha riservato piacevolissime sorprese.
sergio.T
00venerdì 19 ottobre 2007 09:47
Per Shackleton e i suoi compagni
" Noi i pochi, i pochi veri felici,
noi banda fraterna di amici."

W.Shakespeare Enrico V

sergio.T
00lunedì 22 ottobre 2007 10:01
Nella prima spedizione Nimrod, dopo quella della Discovery, guarda caso, i libri portati al polo furono: Opere complete di Dickens ( ancora!) e la storia, soprattutto quella Napoleonica.
Molte le letture anche sulla Rivoluzione francese.
Leggevano molto bene a quelle latitudini.
sergio.T
00lunedì 22 ottobre 2007 15:56
Nato per comandare
L'arte del comando non s'improvvisa , o si ha o non si ha : questo sembra l'unico segreto di Shackleton, quello di essere nato per comandare.
Nelle testimonianze di tutti coloro che parteciparono alle sue imprese risulta evidente che il suo carisma era innanzitutto portato a farsi seguire, a farsi polarizzante in tutte quelle decisioni definitive.
Shacklton non impose nessuna gerarchia nei suoi equipaggi: il marinaio era alla stessa altezza del dottore, o dell'ufficiale; il comandante aveva gli stessi diritti del mozzo, ma molto intelligentemente, il marinaio doveva fare il marinaio, il mozzo doveva fare il mozzo, l'ufficiale, doveva fare l'ufficiale.
Non era una gerarchia imposta: non esistevano nella baracca o sulla nave i posti o le cuccette assegnate a "classi" specifiche ( come avveniva spesso nella gerarchia militare britannica)e tanto meno si mangiava uno qui e uno la'; non esistevano agi per l'uno o per l'altro, non esistevano differenze.
Era una gerarchia di " responsabilita'" : ognuno era responsabile del suo ruolo e il marinaio era fiero di essere marinaio nella stessa misura della fierezza dell'ufficiale.
Pero' il subordinato non doveva interagire la' dove non poteva: la sua gratificazione, il suo riconoscimento lo cercava nella sua mansione.
E' molto difficile gestire un gruppo di uomini in questo modo: per due anni, isolati da tutto, in una baracca di 40 mq dove dormivano in 15.
Eppure lo fece.
In un diario di uno dell'equipaggio si legge: " Shackleton non e' un autoritario, non alza mai la voce, non grida nemmeno, non si arrabbia; non parteggia per nessuno, non prende posizioni discriminatorie.
Non ha bisogno di farsi rispettare o di comandare in modo tassativo: basta che dica la sua opinione e questo, per noi, gia' basta.
La sua opinione e' subito messa in atto, perche' il segreto del suo " comando" e' la fiducia assoluta, immensa, cieca di tutti noi nei suoi riguardi"
Anni dopo il grande irlandese nell' eroica epopea Endurance , in tutta calma, quasi con indifferenza, prese in un momento disperato, risolutivo, decisivo, una decisione, folle , dissennata, incomprensibile. La disse ad alta voce davanti ai suoi uomini : ho deciso di fare cosi', signori.
Nessuno fiato', nessuno si tiro' indietro, nessuno dubito': una volta detta questa decisione s'incomincio immediatamente ad agire e nessuno dell'equipaggio, in nessunissimo momento, ebbe incertezze.
La fiducia in Shakleton era infinita.


sergio.T
00martedì 23 ottobre 2007 11:53
Se non la smetti ti sparo.
l'unico caso di forte piantagrane fu il carpentiere dell'Endurance.
Un maestro nel suo lavoro, un indispensabile all'equipaggio intero, ma talmente piantagrane da non immaginare nemmeno un carattere simile.
Quando si fu presa una certa decisione, cerco' di ribellarsi, e anzi, cerco' di allearsi gli altri uomini.
Non fu ascoltato, ma il malumore cresceva, la tensione si alzava.
Fu riferito tutto a Shackleton.
Al momento fece l'indifferente e continuo' come nulla fosse successo, ma all'insistenza di quello, un giorno usci' dalla tenda e in tutta calma si avvicino' al carpentiere ( non so scrivere il nome) e disse: " se non la smetti faccio una sola cosa, ti sparo."
Tutto si calmo'.
Per un po' di tempo il risentimento del carpentiere rimase vivo, ma poi , piano piano, non pote' fare a meno di riconoscere al comandante una stima sempre piu' accesa, sempre piu' forte, sempre piu' sincera.
Alla fine fu un uomo determinante, fu quasi decisivo e Shackleton che si fidava del suo operato lo incluse nell'equipaggio della Caird per quella spedizione di salvataggio di 1200 km su una scialuppa in mezzo a uno degli oceani piu' mossi della terra.
Divennero amici.
sergio.T
00martedì 23 ottobre 2007 12:02
questo episodio e' riportato su tutti i diari della spedizione.
Tutti gli uomini rimasero attoniti: " se non la smetti ti sparo" e tutti si chiesero, poi, se l'avesse fatto.
Si, e' la risposta unanime, gli avrebbe sparato.
Per Shackleton imperativo era solo una cosa: salvare tutti i suoi uomini.
In tutte le sue spedizioni, le piu' pericolose sotto l'aspetto della resistenza, ( resistendo vinceremo era il suo motto) non perse mai un uomo.
E' questo era il suo grande vanto.
Nella prima spedizione a pochi miglia dal Polo dovette prendere una decisione: o andare avanti e raggiungere il successo perdendo probabilmente tutte le vite dei suoi uomini, o tornare indietro e non raggiungere il risultato prefissato: l'arrivo al Polo.
Chi era con lui dice che non ebbe esitazioni: nessun uomo gli aveva chiesto niente, nessuno aveva paura, ma lui una mattina , senza nessuna agitazione, decise di tornare. Era troppo pericoloso per i suoi uomini.
A differenza degli altri esploratori, antepose alla gloria , la vita del suo equipaggio.
Ecco perche' tutti si dicono certi che quella mattina avrebbe sparato: quella mezza sommossa metteva a repentaglio l'insieme della spedizione, la comunita' del gruppo, il collettivo, il senso d'unione e sarebbe stata la fine.
" Se non la smetti ti sparo" non era solo una minaccia, o un comando, era l'unico modo per salvarsi.
sergio.T
00lunedì 8 settembre 2008 14:31
Psicologia del comando.
Molti sono convinti che sia sbagliato pensare alla vita come a un gioco. Io non sono d'accordo. Per me la vita è un grande gioco di squadra che va condotto seguendo le regole dell'equità e della giustizia, e in cui l'obiettivo principale non è la vittoria in sé, ma vincere con onore e nella maniera più pulita. Per arrivarci ci vogliono alcune qualità. Una è la lealtà. Poi c'è la disciplina. E l'altruismo. Il coraggio, anche. Una certa dose di ottimismo non guasta. L'intelligenza, certo. E, per finire, la compassione e il cameratismo." (Ernest Shackleton)

La dimensione umana della leadership: come costruire una squadra vincente con passione, humor e intelligenza (e ottenere l'impossibile)

"La vicenda di Shackleton rispecchia la vera essenza della leadership: aiutare a esprimerci ai massimi livelli e ottenere quanto sembra a prima vista impossibile. La sua lezione è senza tempo e di valore inestimabile."

Sir Ernest Shackleton salpò il 1° agosto 1914 a bordo dell'Endurance, con un equipaggio di 27 uomini, per raggiungere il Polo Sud. A un solo giorno di navigazione dalla meta, la nave si incagliò "come una mandorla nel cioccolato" nei ghiacci polari del Mare di Weddell.
Perché dunque Margot Morrell e Stephanie Capparell, due acute osservatrici del mondo imprenditoriale, hanno preso a esempio proprio Shackleton per parlare di leadership, una qualità che spesso - ed erroneamente - viene confinata all'ambito del business mentre in realtà investe tutti i campi della vita? Perché Shackleton - definito "il più grande leader che Dio abbia mandato sulla terra" - riuscì a portare in salvo il suo intero equipaggio non solo in buona salute, ma persino con il morale alle stelle.
Come potè trasformare una disfatta completa in un'impresa tanto memorabile? Quali metodi usava per ottenere il massimo dai suoi uomini? Certamente Sir Ernest aveva un innato carisma, ma da solo non sarebbe mai bastato. La via di Shackleton era fatta sì di umanità, ma anche e soprattutto di criteri precisi in cui poco era lasciato al caso: saper scegliere gli uomini giusti, saperli addestrare ai compiti più difficili abituandoli a ostacoli in apparenza insormontabili, creare fra loro un inossidabile spirito di cameratismo. Tutti precetti regolati da una legge fondamentale: dare sempre l'esempio per primo, senza risparmiarsi mai; in una parola guidare gli uomini anziché comandarli.
La via di Shackleton è il risultato dello studio approfondito compiuto dalle autrici, in cui la trattazione di strategie universali e la vicenda affascinante dell'Endurance si fondono per arrivare a utili consigli di immediato utilizzo pratico nella professione, in privato, negli affari e nei rapporti sociali in genere. Un libro fondamentale per imparare a essere un capo amato e rispettato, nel lavoro come in famiglia, rivolto a uomini e donne indistintamente. Una lezione senza prezzo per vincere nel grande gioco della vita, giorno dopo giorno e in ogni occasione.
sergio.T
00lunedì 8 settembre 2008 15:45
Mentre leggevo la bellissima storia della baleniera Essex , piu' volte il ricordo e' andato all'Endurance con il suo favoloso Capitano e il suo meraviglioso equipaggio.
Confronti, parallelismi, analisi, similitudini, caratteristiche, peculiarita', differenze, diversita': una miriade di sensazioni emozionanti.
Endurance fu per me una folgorazione, un libro fulmine. ( capita rarissimamente)
Se per remoto caso dovessero costringermi a scegliere solo 10 libri da poratre su un'isola o da lasciare nella mia libreria, a fianco di qualche classico, di qualche filosofo, e di qualche storico, Endurance ci sarebbe di sicuro.
Non per scrittura, ne' per stile: niente di tutto questo.
Ci sarebbe per molto di piu': quasi per diritto naturale di questi favolosi personaggi; personaggi inimitabili anche nella piu' fervida fantasia, nella piu' fervida letteratura.
28 uomini scolpiti nella memoria: questo lascia la lettura di Endurance. E piu' lo leggi e piu' li conosci: ti sembra di averli li' a fianco di te. Sorpreso, stupito, incantato, a volte incredulo, ti accompagnano ( perche' sono loro a farlo e non tu) in un'avventura senza limite. In quell'avventura che rimane il sogno di tutti con il suo ignoto, il suo limite estremo, la sua angoscia, la sua paura, il suo rischio assurdo. Quello spirito d'azione che rimane l'essenza piu' profonda di ogni nostra esistenza , e' il dono che da' questa splendida lettura.
Tu leggi questi uomini e tu gli vuoi inevitabilmente bene: arrivi al punto di ringraziarli di avere vissuto quello che hanno vissuto: Endurance e' la finestra o forse anche il terrazzo, dal quale ognuno di noi vorrebbe vedere " l'oltre".
Non ricordo , di primo acchito , nessun romanzo d'avventura che regali le stesse sensazioni: quando hai letto Endurance, e' ormai inutile leggere altri milioni di romanzi d'azione.
Sono tutti stinti, sbiaditi, pallidi.
sergio.T
00martedì 20 ottobre 2009 11:51
Crean e Worsley sono i due marinai che accompagnorono Shakleton nell'ultimo tragitto con una scialuppa.
La fine, in un certo senso, il trionfo di una spedizione mitica.
Dovro leggere i due volumi dedicati a questi due uomini.
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