Visioni #2:"Permettetemi questo mio capriccio, tornerò uno sporco zingaro meticcio"
Il telo viene lentamente tirato via da Ramon, la folla è sull’attenti per scoprire cosa si cela dietro quel colore rosso così enigmatico.
Un sorriso si dipinge sul viso dello gitano, che ora getta via il telo in mezzo alla folla, e finalmente gli occhi di tutti i presenti possono ammirare la sorpresa che il loro rappresentante più amato aveva in serbo per loro.
Uno schermo, alto all’incirca sei metri per quattro di lunghezza, spento.
Cosa c’era di speciale in ciò? Necessitava di essere coperto?
La folla si interroga, l’impazienza e la curiosità si sono trasformate in stupore, meraviglia per uno schermo moderno e di bella fattura sicuramente, ma privo di qualsiasi significato morale o non degno di suscitare gioia e sorpresa in loro.
Qualche secondo di silenzio, e pi tocca al presidente togliere ogni dubbio dalle menti dei suoi concittadini, che non aspettano altro, consumandosi nel loro fermento.
“Bene, bene so che tutti voi vi state chiedendo cosa ci sarà di speciale in questo schermo. Ma andiamo per passi. Abbiamo lottato fratelli, abbiamo sofferto insieme, e gioito insieme per la nostra vittoria. Giusto?”
La folla risponde con cori di approvazione, figli della curiosità e dell’impazienza di conoscere la fine del discorso di Ramon più che dall’entusiasmo.
“Ecco, ora siamo liberi di condividere le meraviglie che questa terra ci riserva. Siamo liberi di avere sogni come tutti, cercare di raggiungerli. Siamo liberi di fallire, siamo liberi di rialzarci e riprovare. Siamo liberi di avere figli che siano istruiti, che si possano innamorare e gestire il nostro paese, un domani. Siamo liberi di morire con un sorriso, e di avere qualcuno che piangerà sulla nostra tomba, lo siamo fratelli, siamo un popolo…finalmente!”
Sorrisi si distinguono fra la gente.
Nonostante l’attesa e i giri di parole del loro presidente stiano diventando quasi fastidiosi, gli basta ricordare le tante vittorie per riportare gioia nei loro cuori finalmente liberi di battere.
“Finalmente…dicevo. Ma come sappiamo, cosa ci permette di farlo? Il nostro sangue gettato con le nostre insurrezioni? No, quello rimarrà nei nostri ricordi, ogni ferita che portate in corpo ci deve rendere orgogliosi. Forse la nostra fratellanza? Neanche, purtroppo sono parecchi anni che il mondo non si regge su consuetudini o sul buon senso della gente. Forse sono io a permetterlo a tutti? No, non ci sarò per sempre, e nessuno può dire che un giorno io la smetti di desiderare quello per cui ho combattuto, che cominciassi a pensare per me, che cominciassi a privarvi di tutto quello che abbiamo conquistato, non è mai tardi per diventare egoisti in questo mondo…non credete,ehehe??”
La gente sorride, si fida di Ramon.
Del resto non può non farlo, se alla fine della conferenza quelle persone saranno libere di tornare in una casa accogliente senza doversi guardare attorno e avere paura di qualche teppista o di qualche poliziotto razzista è merito di quell’uomo tenace e convinto delle sue idee.
“L’unica cosa che ci può premettere di godere dei nostri diritti, cari amici, è qui davanti a voi, accendete lo schermo!!”
La folla và in visibilio.
Tutti vogliono scoprire cosa nascondeva quell’anonimo schermo.
Lo schermo si accende, e su esso scorrono immagini delle tante rivolte che hanno portato alla guerra civile che ha liberato gli Stati Uniti dal razzismo e dai pregiudizi.
Poi finalmente qualcosa di nuovo.
Una pergamena, vuoto.
Che pian piano va a riempirsi, con una curioso effetto video delle parola si vanno a stampare su codesta pergamena.
“Questa, miei fratelli, ci permetterà di godere delle nostre vittorie. Questa è la nuova Costituzione degli Stati Uniti D’America!!!”
L’attesa è stata ripagata.
La folla ringrazia il suo presidente tributando ovazioni e ringraziamenti sotto forma di urla a Ramon.
La gioia si potrebbe misurare in questi attimi, un intero paese è in festa.
Ramon scende da leggio su cui stava tendendo il suo discorso e si avvicina al limite del palco, per avere più vicino il suo popolo, o per meglio dire, i suoi fratelli.
Alza le mani, come in segno di vittoria, la festa è anche sua, la loro festa inizia oggi, nel giorno in cui gli Stati Uniti sono diventati il primo paese ad associare una potenza economica-militare ad una libertà, moralità, sono diventati un esempio per tutti gli abitanti della terra, i pregiudizi sono stati spacciati, i figli di Dio sono finalmente tutti uguali da quest’oggi, ci sono voluti millenni, epoche e morti, ma ora sono gli ideali di libertà e uguaglianza a trionfare, la vera Rivoluzione è oggi, il sogno è appena cominciato per milioni di americani.
“E’ per voi!! E’ per voi!!”
Urla Ramon, mentre non si accorge che qualcuno ha approfittato del caos provocato dalla sua notizia per scavalcare transenne e beffare la sorveglianza, è ora è nel palco.
Ma quest’uomo sembra avere vita difficile, visto che prontamente i membri della sicurezza lo placcano di forza, e ciò cattura l’attenzione di Ramon, che si volta, assistendo così alla scena.
“Fermi!Fermi!Lasciatelo stare!”
Gli uomini della sicurezza ubbidiscono all’ordine del presidente.
“Non c’è bisogno di fermare quest’uomo. Siamo tutti uguali,non vedo perché non merita di dire la sua. Prego, fratello, dimmi cosa ti ha spinto a raggiungermi fin qui…”
Ramon avvicina il microfono al tale che ha di fronte, che timidamente lo impugna.
Dà uno sguardo alla folla, e poi a Ramon.
“Ramon…presidente..tu hai fatto tutto questo per noi, dici. Tu hai fatto tutto questo per il popolo degli Stati Uniti D’america. Tu hai fatto tutto questo per l’umanità. Ma..Ramon…non pensi mai a te?”
Fiuuuuuuuuuuuu….
Ancora.
Ancora un risveglio amaro, ancora una fine ai sui sogni, ancora un epilogo enigmatico e insoddisfacente alle sue visioni.
Ancora un uomo disteso su un letto, ancora degli occhi appannati e un corpo provato dalla stanchezza, ancora una triste e grigia cornice di noia e stasi intorno a lui, ancora un aria difficile da immettere nei polmoni, ancora un atmosfera che sembra volerlo schiaffeggiare, ricordandosi che la sua vita non ha quella dolcezza che la sua anima degusta nelle sua visioni così gloriose.
Ancora una sensazione di spaesatezza, in un mondo che non vuole cambiare, impresso nell’anima di un uomo che vuole cambiare il mondo.
Ancora Sergio Ramones, alla vigilia di un grande appuntamento.
Grande appuntamento, cosa abbia dato l’aggettivo “Grande” ancora non è chiaro nella mente di Ramon, mentre lentamente si stropiccia gli occhi, e osserva la mobilia dell’albergo, dove sarà costretto a dormire per le prossime due notti, per poi ripartire una volta terminata la tappa dell’EWF in quel luogo per il PPV Demonology.
“Grande” è l’appuntamento, ma forse non così grande come è l’amarezza nel cuore di Ramon.
Non aveva impegni lavorativi per quella sera, la palestra era chiusa, e comunque non avrebbe potuto svolgere il suo lavoro, doveva lottare nel Main Event dello show.
Giorni che passavano, scivolavano via erano, gli ultimi per Sergio, giorni in cui nemmeno più lui aveva le idee chiare.
Voleva dimostrare di essere superiore di qualsiasi americano corrotto dalle idee razziali contro la sua razza, ma era solo uno sfogo della sua rabbia, in fondo il suo desiderio era vedere tutti gli uomini allo stesso livello, non voleva dominare i suoi simili, voleva solo vivere nella pace con loro.
Per fortuna venne sconfitto da Latino Heart, spezzando sul nascere questo suo intento, come se poi sarebbe bastato dominare una federazione di wrestling per ambire all’uguaglianza fra la gente.
Ma almeno avrebbe avuto il rispetto della gente di quel mondo, che per quanto piccolo, poteva essere un punto di partenza.
Aveva ricevuto telefonate dai suoi parenti, che non vedeva da tempo, lo incoraggiavano, credevano in lui.
Il problema è che era lui a non credere in Sergio Ramones.
Poteva anche vincerla quella cintura, poteva anche battere ogni singolo lottatore dell’EWF, ma cosa sarebbe cambiato?
Non avrebbe avuto il rispetto di cui si illudeva.
Non sarebbe stata la mentalità della gente a cambiare con quell’alloro stretto nella sua umile e minuta vita, sarebbe stata l’immagine della federazione, e della cintura stessa.
Avrebbero visto la sua vittoria come una sconfitta, gli altri.
E sarebbe diventata anche per lui una sconfitta.
Era troppo piccolo per il mondo, era troppo piccolo per onorare i suoi parenti e la gente del suo villaggio che lo seguiva da lontano, le sue parole non bastavano a regalare questa gioia alla sua etnia, la sua bontà non era forte quanto la cattiveria delle persone.
Voleva togliersi la vita, per sprofondare nei suoi sogni, in quelle visioni che tanto gli regalavano attimi di felicità.
Ma non aveva il coraggio neanche per quello, forse era giusto che il mondo non tenesse conto di lui.
Non sapeva dare ne gioie ne dolori ai suoi fratelli, che presto avrebbero richiamato, per rinnovargli la fiducia nei suoi confronti sotto forma di belle parole e sinceri auguri.
Che senso aveva la sua vita, se non riusciva ne a vincere ne a perdere?
Era un ibrido in cerca di una destinazione, di un qualcosa per cui vivere, visto che la morte era anch’essa troppo forte per lui.
Era sdraiato su un letto, l’ibrido, con una fastidiosa emicrania e il ricordo di una visione figlia della sua fantasia.
“Ma..Ramon…non pensi mai a te?”
Gli ritornò in mente la frase che lo portò al risveglio, in quel piatto pomeriggio.
In effetti, pensava mai a se stesso?
Mai si era fermato a discutere con se stesso di un qualcosa per se stesso, gli ideali di libertà e uguaglianza gli distruggevano anima e cuore ogni attimo che la sua vita invecchiava, non aveva tempo per pensare a se stesso.
E anche ora, alla vigilia di un “Grande” evento, a poco da un “Grande” Match, non pensava a se stesso.
Una piccola voglia di vincere e alzare quella cintura al cielo, facendo dissolvere tutta la sua frustrazione in un urlo, che sarebbe durato qualche attimo, per poi lasciare spazio alla grigia realtà che crudele come al termine di ogni suo sogno, avrebbe bussato puntuale alla porta del suo cuore, ricordandogli che quello che stava facendo non serviva a niente, se non a rafforzare l’ibrido qual’era.
Avrebbe vinto, avrebbe perso, forse non aveva importanza per le minoranze gitane degli Stati Uniti D’america.
Ma per Sergio Ramones, ha senso?
Si staccò dal letto e uscì dalla stanza, incamminandosi nell’affollata vita della metropoli alle diciotto del pomeriggio.
Un umile cappotto scuro lo riparava dal freddo tipico della stagione, mentre girovagava evitando la folla, voleva essere rimanere lui e il freddo che tirava per la città, desiderava che no ci fosse nessun altro ad abitare la terra in quel momento.
Ma non era possibile ciò, cosi finiva per incrociare gli sguardi della gente, che spesso lo guardava con aria di distacco, come a voler ricordare che non aveva niente a che fare con quello sporco zingaro che girava, rinchiuso in quello scuro e poco elegante cappotto.
Ritornarono a galla le questioni che si era posto prima di abbandonare la sua stanza, pensava mai a se stesso?
No, non aveva nessun vizio, nessun hobby, nessun divertimento, se non lottare contro i pregiudizi che gli rendevano la vita un incubo.
Qualcosa più di ventiquattrore e si sarebbe trovato chiuso in una gabbia, contro sei persone, a giocarsi il premio massimo che quel mondo poteva offrirgli.
E ciò non lo rallegrava pienamente, perché vincere quel titolo non sarebbe bastato alla sua razza.
Ma forse, per quanto lo voleva tenere nascosto a tutti, compreso se stesso, quello sarebbe bastato a Sergio Ramones.
Sarebbe bastato ad un uomo che mai aveva avuto qualcosa per cui essere orgoglioso di se stesso nella vita, ad un uomo che mai aveva avuto obbiettivi o traguardi da raggiungere al di fuori della sua lotta contro il razzismo.
Un uomo senza obbiettivi, quindi senza soddisfazioni.
Un ibrido, appunto.
Vincere quel match, uscire a testa alta da quel “ Grande” evento bastava ad uno come lui, lo sapeva benissimo.
Ma i suoi parenti, i suoi amici, i suoi fratelli, cosa ci avrebbero fatto di un fratello campione del mondo?
Nulla, avrebbero sofferto le maledicerie della gente, avrebbero sofferto la punizioni dei vigliacchi, avrebbero sofferto ad immaginare un futuro grigio per i suoi figli, il mondo non sarebbe cambiato.
Ma sarebbe cambiato Sergio, sarebbe cambiata la sua vita.
Poteva essere orgoglioso di avere qualcosa da raccontare…a se stesso.
Qualcosa per cui sorridere, per cui essere fiero delle proprie capacità.
Gola.
Il peccato più comune tra gli esseri umani, ora sembrava trovare appiglio anche nel più profondo di Ramon, mentre esplorava le vie della città, da solo, nonostante la moltitudine di persone intorno a lui.
Lui voleva quella vittoria, lui voleva quella cintura, lui voleva urlare e piangere di gioia, lui voleva essere un peccatore.
Lo avrebbero perdonato per ciò, i suoi fratelli?
Una passato burrascoso, un futuro altrettanto grigio e in mezzo lui.
Un qualcosa da ricordare, un qualcosa per cui potersi guardare allo specchio senza pensare che in questo mondo la sua vita era inutile.
Poteva renderla utile, utile per Sergio Ramon.
Voleva togliersi questo lusso, lo desiderava dal profondo del cuore, ma aveva paura.
Paura di cadere troppo nel peccato e dimenticarsi delle sue prediche, delle sue battaglie, dimenticarsi di tutto e diventare come quegli americani che tanto lo disprezzano.
Poteva togliersi questo lusso?
Non sapeva la risposta, ma di certo voleva.
Perso nei suoi pensieri non si accorse che aveva intralciato la strada ad un bambino, che stretto teneva la mano di un uomo, probabilmente suo padre.
“Scusami, piccolo..”
Sussurrò quasi vergognandosi di quel che aveva fatto, nonostante la banalità dell’accaduto.
“Ma tu…sei Ramon?”
Lo riconobbe, e con occhi lucidi di emozione pronuncio quella frase, mentre il padre lo guardava con indifferenza.
“Si..”
“Andiamo, Trevor..”
Il padre cerò ci portare via il ragazzo, che però volle rimanere ancora un po’.
“Ramon, domani verrò a vedere Demonology.Sei grande,battili tutti, vincerai Ramon?!”
Voleva rispondere, ma le parole gli rimasero soffocate in gola.
Per giunta il padre allontanò il ragazzo, e tutto finì lì.
Un bambino, la voce dell’innocenza.
Un bambino gli aveva chiesto ciò che lui stesso si stava chiedendo da qualche minuto.
Ora era davvero un peccatore.
Peccava di gola, voleva quella cintura, voleva distaccarsi un attimo da Sergio Ramones uomo, voleva essere Ramon, il lottatore Ramon.
Solo per una notte.
Solo per un “Grande” evento.
Solo per diventare “Grande”.
Solo per concedersi un lusso, un peccato di gola.
Poi sarebbe tornato il Ramon che lottava per i suoi diritti.
Ma per una notte, per una sola “Grande Notte” sarebbe stato Ramon, il campione.
Si ritrovò ad una strada chiusa, aveva imboccato un vicolo cieco.
Tirò fuori il suo serramanico, nascosto a dovere per no destare sospetto e crearsi antipatie nel suo cammino.
Lo osservò, tirò un sospiro di liberazione, poi sussurrò..
“Solo per una notte…”
*SBAM*
Il coltello venne infilato nel muro, e pian piano lo mosse, creando quasi delle lettere.
Una notte, di più non chiedo
Voglio essere felice di ciò che vedo
Alzare le braccia e liberarmi
Da pensieri e dubbi, compagni.
Forse sarà ingiusto
Ma voglio peccare, ci provo gusto.
Per una notte vorrei essere fiero di me stesso
Non sarà il mio futuro
Di gioia sarà solo un amplesso
Poi tornerò al mio vivere così scuro.
Voglio vivere un istante per me, fratelli
Permettetemi questo mio capriccio
Dopo tornerò ai miei livelli,
tornerò uno sporco zingaro meticcio.
“Ehi, cosa stai facendo brutto stronzo! Polizia!!!”
Una voce lo distolse dal gesto doloso che stava adoperando.
Nascose il serramanico,e scappò velocemente, sorridendo.
Forse non era ancora il momento per non essere il gitano, Ramon.
Ma poco mancava alla sua “Grande” notte, dove il gitano [Sergio Ramones sarebbe stato a guardare meravigliato il lottatore Ramon alzare la cintura verso i cielo.
“Ehi, fermati, bastardo di un zingaro!”