Ebrei Cristiani Musulmani

Spess.
00mercoledì 4 febbraio 2009 18:28
L'ISLAM AL CROCEVIA DEI CAMMINI
L'ISLAM
 
AL CROCEVIA DEI CAMMINI

Quando François Celier mi ha proposto di contribuire al suo progetto, me lo ha presentato col titolo: «Coesistenza o barbarie?». Questo ha provocato in me una reazione immediata.
Credo che nel mondo d'oggi il fiume dell'Islam sia a una grande svolta. O proseguirà correttamente il suo corso, restando in regioni fertili e tranquille, dando quindi il suo contributo alla civiltà, oppure uscirà dal suo letto e sarà l'inondazione, nella quale il fiume dell'Islam si perderà perdendo anche coloro che alimenta.
Che cosa significa tutto questo? Semplicemente che questa svolta è costituita da un certo numero di sfide storiche. Ci tengo a dire che non faccio né intendo fare nessuna differenza tra l'Islam, i musulmani, la storia, la civiltà, la tradizione, la religione, ecc.
Si tratta infatti di un unico insieme, in quanto l'Islam non fa grandi differenze tra l'elemento terreno o celeste, comunitario o civilizzatore. Di fatto, i diversi aspetti dell'Islam sono imbrigliati in una maglia religiosa estremamente fitta, che fa riferimento a questo insieme umano, teologico e allo stesso tempo storico. Questo insieme, per come è sempre stato, può essere un fattore formidabile di civilizzazione, ma se si perde in uno dei pericoli che lo minacciano, è !'insieme stesso che rischia di perdersi.
L'Islam si trova al crocevia dei cammini e, secondo il mio punto di vista, comprende un aspetto nodale, nel senso in cui un nodo può essere sia un passaggio che un ostacolo. In questo caso, passaggio o ostacolo equivalgono a sfida o trasformazione.
Tutto dipende dal modo in cui li superiamo, li oltrepassiamo. Con la forza delle cose? Con una vittoria, una sconfitta, una visione razionale o emozionale della situazione attuale dell'Islam?
Il lavoro che si richiede all'Islam contemporaneo consiste, grosso modo, in tre sfide.

Spess.
00mercoledì 4 febbraio 2009 18:29
 

Le tre sfide dell'Islam contemporaneo

Prima sfida: la laicità

La sfida della laicità è la stessa incontrata da tutte le religioni, nel mondo occidentale e in particolare in quello francese. È come una linea di demarcazione, un tratto punteggiato tra la via religiosa e la vita laica profana, pubblica, politica e secolare.
I pensatori dell'Islam comprenderanno l'interesse di questa linea di demarcazione per mantenere l'elemento religioso al suo posto e ciò che non lo è in un altro? Non rischierebbero di costituire semplicemente una specie di punta avanzata del pensiero razionale?
È normale che si verifichi la separazione delle popolazioni, se i popoli religiosamente politicizzati si trovano ad essere in armonia con il mondo democratico, con l'equilibrio tra razionale e irrazionale, tra elemento religioso e ciò che viene detto nella terminologia della religione, e cioè che bisogna vivere e prepararsi a morire.
La vita spirituale comporta una parte temporale e una parte sacra. Ma l'Islam non ha mai detto che bisogna sacrificare tutto alla vita contemplativa. L'Islam infatti vieta la vita monacale. Naturalmente esiste la vita monastica, contemplativa, ma non viene prescritta in modo imperativo.
L'Islam vuole che cresciamo i nostri figli, che costruiamo una vita onesta e retta, seguendo le regole assolute del bene comune.
Il pluralismo culturale e religioso è diventato un elemento essenziale delle società occidentali. In Francia vive la più importante comunità musulmana d'Europa, e quindi questa nazione sente più di ogni altro paese il bisogno imperativo di sviluppare la cultura del «vivere insieme». Questa necessità deriva da una pedagogia del dialogo interreligioso e della tolleranza, che costituiscono un elemento essenziale della laicità repubblicana. Perciò, vivere insieme significa aprirsi all'altro, comunicare, dialogare: in una parola, accettarsi.
Essere religioso non significa voltare la schiena al mondo. Al contrario, vuol dire prendere coscienza dei pericoli legati alla chiusura all'interno di un'identità particolare, in una comunità chiusa: fondamentalismo, violenze razziste e nuove forme di odio come la giudeofobia e l'islamofobia.

Spess.
00mercoledì 4 febbraio 2009 18:29
 

Seconda sfida: la modernità

Anche la sfida della modernità consiste nel considerare l'umanesimo dominato dal fondamento del rapporto con tutti gli esseri umani, cioè nel vivere in armonia con il proprio tempo, partecipando in maniera attiva. Da molti secoli a questa parte, questo tempo corrisponde al riconoscimento dei diritti dell'uomo e di quelli della donna.
Tutto ciò esige, secondo me, una rivisitazione della shar'ia islamica. Alcuni suoi articoli, infatti, non sono compatibili con la modernità e di conseguenza rappresentano un vero problema! Quindi l'Islam deve rivederli.
La lapidazione è conciliabile con i semplici diritti umani? Avete il diritto di far soffrire un essere umano o un animale? L'Islam non è a favore della sofferenza delle creature che Dio ha messo sulla terra, siano esse uomini, animali o vegetali. Di conseguenza, la lapidazione, la pena di mor
te, le mutilazioni sessuali - ma anche la poligamia - sono contrarie ad ogni tipo di morale.
Certamente, nessuno ha il diritto di sopprimere dal Corano nemmeno una sola virgola, ma è possibile intraprenderne una nuova lettura. Nel passato questo è stato ammesso in alcune occasioni, come afferma lo stesso Corano. È
stato fatto per alcune popolazioni che praticavano alcuni di questi costumi, moderando per esempio la poligamia, vietando le clitoridectomie, ecc.
L'Islam è sempre stata una religione che ha riportato alla razionalità alcune tradizioni legate a periodi di credenze magiche, nelle epoche irrazionali del paganesimo. Ora, bisogna notare che il Corano contiene settecentocinquanta inviti all'intelligenza, alla ragione, alla razionalità, mentre comprende solo cento cinquanta raccomandazioni di natura teologica, dottrinale o giuridica.
Questi soli dati mostrano che ci sono cinque volte più incitazioni alla ragione che inviti a pratiche rituali. Quindi la modernità è presente nell'Islam. Sta ai musulmani metterla in pratica, per il loro bene.
Non dimentichiamo che i musulmani hanno portato la «modernità» del Medioevo. Hanno rappresentato la modernità dall'VIII al X secolo. Non chiediamo loro di costituire la modernità del secolo attuale, ma almeno di non essere in ritardo!
L'Islam è unico nella dottrina e molteplice nelle sue esperienze. Non può quindi perdere il treno della contemporaneità, della scienza, della tecnica.

Spess.
00mercoledì 4 febbraio 2009 18:29
 

Terza sfida: il fondamentalismo

L'atteggiamento fondamentalista è un atteggiamento settario, chiuso, contrario allo spirito di apertura dell'Islam. Questo fondamentalismo è diventato il veleno della vita religiosa. Si richiude nelle sue stesse certezze, escludendo tutte le altre, e sprofonda così nei suoi stessi errori, senza vederne assolutamente nessuno. Detto in altre parole, si sviluppa e respira solo nella chiusura, nell'incistamento di una verità unilaterale.
In realtà non c'è nessuna Bastiglia che un giorno non ceda di fronte alla storia, davanti alla semplice realtà storica. Se l'Islam non supera i suoi errori attuali, ci si riferisce in particolare a quelli che, tra i musulmani, incitano ad un atteggiamento violento, terrorista, fondamentalista, in breve, estremista, allora non risponderà mai all'esortazione del Corano. Questo, infatti, invita ad allontanarsi dagli estremismi portando un contributo all'umanità, invece di regredire verso una forma stupida di feticismo o di ritualismo e di tribalismo completamente ossessivo e fobico, se non addirittura delirante.
Non è necessario considerare che il mondo sia completamente disincantato - anche se il disincanto del mondo fa parte della fede
- per il fatto che Dio ha creato ogni cosa con ragione e non con misteri contemporanei per gestire le scoperte di domani.
Come ha detto uno scienziato: «Vedo nella specie umana solo australopitechi e pitecantropi che si sono evoluti». Naturalmente, vuole dire che non siamo solo l'oggetto di una continua evoluzione, che riguarda il fisico, l'intelletto e le capacità cognitive, ma che siamo anche il prodotto di una sintesi razionale di amore e di spirito.
Tutto ciò va nello stesso senso. Ma la corrente dell'Islam deve raggiungere il grande fiume dell'umanità per essere uno dei suoi affluenti più promettenti e vivificanti.

Nascita dell'Islam, storia e contesto

La storia religiosa dell'Islam ricorda principalmente due dibattiti, e in particolare quello che si svolse nel periodo che va dal I al VI e VII secolo dell' era cristiana. Un periodo che è stato fortemente segnato dalla nascita e dallo sviluppo dell'umanesimo, che ha sconvolto un po' tutte le credenze dell' epoca.
Innanzitutto devo dire che le tre religioni monoteiste sono nate in un ambiente semitico, in cui l'idea di un Dio unico sembra risalire ad Akhenaton. Alcuni pensano addirittura che Mosè poteva veicolare un certo numero di credenze e di riti faraonici, proprio per il fatto che, se così posso esprimermi, il Dio unico era nell'aria. Ritengono inoltre che molti riti, divieti e regole morali relative al rispetto dovuto al faraone potevano mostrare un assoggettamento a dei umani o direttamente a Dio.
Vi era quindi una predisposizione selettiva a riportare l'insieme della causalità del mondo a una sola causa: Dio. Questo fu anche il caso della terra semitica, cioè quella che si estendeva dalla Mesopotamia fino a Gerusalemme e alla Mecca, e che costituì veramente la culla delle tre religioni monoteiste.
Il Giudaismo, con la fondazione di Gerusalemme, ha la sua storia particolare. Ciò che è davvero interessante, è che la storia del pensiero ebraico, cominciata con Mosè e Giacobbe, con i rabbini e le loro particolari discussioni teologiche, ha costituito la base dalla quale è emerso il pensiero cristiano o cristico.
Il pensiero e la teologia cristiani non hanno rappresentato una rottura rispetto alle antiche credenze, al Decalogo e alla Legge, ma al contrario ne hanno costituito la conferma, poiché Gesù, nel Vangelo, afferma: «Come potete credere in Mosè e non credere in me, visto che mi ha annunciato?».
Gesù, sempre secondo il nostro punto di vista, si pone nella linea diretta di successione di Mosè, e quindi non ha come obiettivo di abolire la legge antica per instaurarne una diversa: la sua legge, la legge trasmessa alle popolazioni e prima di tutto al popolo ebraico, era già implicita nel pensiero religioso ebraico.

Spess.
00mercoledì 4 febbraio 2009 18:30
Da questo punto di vista, i cristiani della Chiesa primitiva erano giudeo-cristiani, che avevano seguito l'insegnamento di Gesù. In particolare sostenevano un nuovo atteggiamento nei confronti di Dio e nei confronti degli altri, del prossimo: una nuova carità, una nuova bontà, un nuovo ideale di povertà, l'amore di Dio. La rimessa in questione di tali elementi - non delle tradizioni dell' antica religio-ne, ma delle tradizioni rabbiniche che si erano diffuse nel corso del tempo - costituivano un'innovazione piuttosto importante nel pensiero ebraico, dal punto di vista teologico. Si riflettevano in un nuovo approccio nei confronti della religione, senza interromperne il corretto filo conduttore.
Nel corso dell'Ultima Cena, Gesù annunciò ai Dodici, a questa élite, che si sarebbe consegnato. Mostrava quindi di rispettare l'influenza dei regimi di governo. Ci sarebbe molto da dire a questo proposito, ma ne parlo solo per operare una transizione storica.
Giacomo il Minore, più tardi, si oppose a Paolo e lo accusò di essere il vescovo dei gentili (i non ebrei), perché riteneva che si rivolgesse a coloro che non erano ebrei. Non approvava che Paolo raccomandasse agli altri apostoli di recarsi nelle isole greche per annunciare il Vangelo alla civiltà greca. Paolo portava certamente un messaggio nuovo, un messaggio cristo-paolino che a mio avviso comprendeva due aspetti: la presentazione eloquente del messaggio e la sua forte dialettica.
(Ciò rappresentava comunque una rottura con la dialettica semitica, che era più semplice. L' «apostolo dei gentili»non avrebbe potuto parlare con un linguaggio concreto di un Dio unico davanti a uomini che erano abituati ad avere come interlocutori Zeus, Atena, e una molteplicità di altri dei!).
Quindi Paolo aveva detto agli ateniesi: «Vedo che in tutto siete molto timorati degli dei. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un' ara con l'iscrizione: «Al Dio ignoto». Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio».
Questo ragionamento è veramente eccezionale e affascinante per l'insieme del pantheon (nel senso nobile del termine greco-romano e mitologico).
Paolo elabora poco a poco il suo discorso per renderlo comprensibile a mentalità non semite. Mentalità che avevano le loro origini nella mitologia, ma anche nel Logos di Efeso, per esempio, dove era arrivato anche Giovanni, per predicare il Dio unico. Del resto, nessuno l'aveva creduto, ed era stato imprigionato; la tradizione racconta che anche la vergine Maria era giunta fin là, perché Giovanni l'aveva portata con sé dopo la crocifissione.
Maria aveva un certo numero di prerogative, e prima di tutto quella di essere la madre del Messia. Nel pensiero cristiano il suo ruolo è determinante.
Ma non è il più importante. Efeso era la città della dea greca Artemide. Dal canto suo, la Vergine era venerata come la «madre di Dio». Si può notare come questo ruolo convenisse a dei popoli con un pantheon popolato da divinità femminili.
Spess.
00mercoledì 4 febbraio 2009 18:30
Venne in seguito il periodo del Cristianesimo romano, che costituì la sua Chiesa, e che venne perseguitato perché il suo obiettivo non era di affermare una nuova mitologia, ma di affrontare quelle antiche e fornire un'altra visione di Dio e della sua creazione.
Questa visione ha trovato una circostanza molto particolare nella persona dell'imperatore Costantino. Figlio di un generale romano, combatté in Gran Bretagna e tornò, a capo del suo esercito, per riconquistare Roma.
La madre, che era cristiana, gli aveva suggerito di dipingere delle croci sugli scudi dei suoi soldati, dicendo: «In hoc signo vinces» (
«con questo segno vincerai»). Questa formula è restata famosa nella Chiesa, indicando che, grazie al segno della croce, «vincerai». Da allora, con la battaglia del ponte Milvio, Costantino risulta vittorioso e rientra a Roma nel 312, come trionfatore.
In seguito va nell'Impero d'Oriente, a Bisanzio, che diventa la sua città e che ribattezza Costantinopoli. Qui stabilisce che il Cristianesimo è la religione di stato, decretando che: «La persecuzione romana della Chiesa è terminata. Da ora in avanti, il Cristianesimo è la religione dell'Impero Romano».
Da allora come si è espressa questa religione? Costantino riunisce un concilio a Nicea, nel 325, che da una parte diventerà il luogo fondatore della dottrina cristiana e dall'altra traccerà in filigrana il progetto dell'Islam.
Come avviene ciò? Nel 325 si affrontano due tesi: quella di Ario di Alessandria e quella di Atanasio, il patriarca che si situa maggiormente nella scia della Chiesa ufficiale. Riesco con facilità a immaginare il sorprendente dibattito che seguì alla domanda che venne loro posta: «Qual è la vostra religione?».
Certo, entrambi concordano sul Dio unico, ma Atanasio precisa:

«Il nostro Dio è un Dio in tre persone».
Ario non accetta questa visione delle cose, ma Atanasio conferma:
«Questa visione di un Dio in tre persone è chiara. C'è il Padre, il Figlio, lo Spirito».
«Ma come potete ragionare in questo modo?»
«È miracoloso e allo stesso molto semplice, è il mistero di Dio. O accettate questo mistero e siete cristiani, o non l'accettate e allora la vostra fede non ha nulla a che fare con noi».

Ario fu dichiarato eretico, ed è così che l'eresia ariana divenne il primo ostacolo della Chiesa, in quanto, a grandissima maggioranza, il concilio ratificò la dottrina della Trinità.
La Trinità, però, avrebbe provocato altri problemi e discussioni che ci interessano perché ci permettono di comprendere meglio come si è arrivati al Dio unico, al Dio Uno.
Durante il concilio di Nicea, quindi circa quattro secoli dopo la sua vita in Galilea, fu posta la questione della condizione di Maria: era la «madre» di Dio o no? Per rispondere indirettamente a questa domanda la Chiesa impose la dottrina mariana come istituzione, instaurando il dogma di Maria, madre di Dio, al concilio di Efeso, nel431.
Nestorio, capo di una comunità religiosa, non era d'accordo. Anch'egli introdusse nel dibattito una seconda eresia, il nestorianesimo, che in seguito divenne la religione ufficiale della Siria.

Spess.
00mercoledì 4 febbraio 2009 18:30
Il terzo ostacolo di grandissima importanza incontrato dal Cristianesimo fu discusso nel concilio di Calcedonia, nel 451. Eutiche affermava: «Ammettiamo che Dio, essendo formato da tre persone, sia unico. Ammettiamo che Maria sia madre di Dio e di Gesù. Quindi Gesù è Dio, non è veramente uomo». Si tratta del «monofisismo», condannato a Calcedonia.
Questa tesi ha provocato una divisione della Chiesa d'Oriente, che si è ripartita in quattro o cinque centri. C'è una Chiesa di Siria, una Chiesa giacobita e nestoriana, una Chiesa di Alessandria, una Chiesa armena e una Chiesa di Etiopia. Che confusione!
In Alessandria, in realtà, c'erano due Chiese (quella copta e quella ortodossa) e aderirono alla tesi del monofisismo e la misero in pratica. L'Islam, che sarebbe apparso nel corso del secolo seguente, si trovò posizionato, su un piano geografico, accanto al giudeo-cristianesimo, che a sua volta era circondato dalle tesi nestoriane in Siria a nord, e, a sud, dallo Yemen, che all'epoca dipendeva dagli africani monofisiti.
Tali dottrine interagivano e l'occupazione principale di tutte queste comunità consisteva in conflitti e battaglie. A nulla valeva il fatto che i grandi pensatori, ebrei o cristiani, avessero fornito risposte formali.
Poco a poco, però, a partire da tutte queste discussioni, la Rivelazione coranica confermava un certo numero di certezze: Dio è unico, Maria, la prima donna credente del mondo, non è una dea. il Corano, Verbo divino, mette fine a ogni tipo di discussione.
L'Islam avrebbe beneficiato di tutte le fonti storiche e di tutti i dibattiti, costituendosi come risposta ultima a tutte le questioni che agitavano l'epoca dell'Impero Romano in decadenza e l'inizio del VII secolo, annunciando tempi nuovi e un nuovo fremito dell'umanità.

I fondamenti dell'Islam

Tali fondamenti affermano che la profezia non è finita con Gesù - in quanto egli stesso annunciava la venuta di un futuro messia -, e che Muhammad (Maometto) fa parte della stirpe dei profeti.
Del resto, visto che i profeti che l'hanno preceduto hanno ricevuto il messaggio di Dio, non c'è motivo di dubitare che anche lo stesso Muhammad l'abbia ricevuto, grazie all'intermediazione dell'angelo Gabriele, e che, nello stesso tempo, abbia trasmesso a sua volta nuove verità in risposta a tutte le domande che avevano posto e stanno ponendo le due religioni.
Siccome nel corso dei secoli le mentalità avevano subito delle evoluzioni, bisognava rivolgersi ad esse in modo nuovo. Non si trattava più di parlare con i greci del I secolo dell' era cristiana, ma con popolazioni che risultavano da una mescolanza religiosa ibrida e da una presenza di pratiche idolatriche.
Gli arabi erano già abituati a un certo politeismo e credevano in Dio, nel diavolo e in Allah, uno di questi dei. All'epoca esistevano anche altri dei: vi erano adoratori di Alat, Uzza,
Manat, Abramo, Gesù, Maria, ecc.
In questo contesto di abbondanza, in cui per esempio circolavano trecentosessanta idoli diversi, l'Islam è apparso come un' esigenza assoluta di monoteismo, anche se ciò non modificava in nulla il modo di credere in Dio, ma molto i dettagli.
Qual era questo Dio? Si avvicina molto di più alla visione mosaica, alla visione del Dio onnipotente, eterno, trascendente che bisognava adorare.
Qual è il rapporto tra la creazione e quanto precede, secondo la teologia dell'Islam? Il Corano dice che Dio ha creato Adamo e i suoi discendenti ponendo loro come condizione primaria l'impegno preso da tutti gli uomini, per tutta l'eternità, di adorare solo Dio, di riservare il sacro, di riservare l'adorazione a un solo Dio, il Dio di Abramo, di Mosè, di Gesù, di Muhammad.
Quindi, come primo fondamento, l'Islam proclama un solo Dio. «Allah» significa «Dio», il Dio per eccellenza (1)

Spess.
00mercoledì 4 febbraio 2009 18:31

Il secondo fondamento è il seguente: per arrivare alla conoscenza di Dio, Egli diede all'uomo una natura particolare che gli permettesse di impegnarsi e di rispondere al messaggio. Insieme a questa natura originaria fu reso degno di ricevere il dono della fede.
Il Corano afferma che Dio aveva proposto questo dono della fede agli uomini, alle montagne, ai mari, agli oceani. Nessuno, però, aveva potuto accettarlo, tranne l'uomo, probabilmente perché è presuntuoso e un po' incosciente.
Insieme a questo impegno, a questa natura adatta all' adorazione di Dio e a questo atteggiamento di adorazione che viene chiamato fede, l'uomo ricevette il paradiso. Ciononostante, la disobbedienza ha provocato la sua punizione. Dio non l'ha condannato subito, ma in un primo tempo l'ha fatto decadere e successivamente l'ha perdonato.

Creando l'uomo, Dio ha suscitato un certo nervosismo negli angeli e in Satana. Gli angeli protestarono, dicendo a Dio: «Creerai un essere che verserà sangue e provocherà disordine, mentre invece noi ti adoriamo». Dio rispose affermativamente e aggiunse: «L'uomo avrà quello che voi non avete, la scienza dei nomi».
Allora Satana dichiarò davanti a Dio che sarebbe stato il nemico giurato dell'uomo.
Di conseguenza, secondo l'Islam, l'uomo è venuto sulla terra non per riscattare il peccato originale, ma per meritare, con le azioni, le attenzioni e l'adorazione, il paradiso che gli è stato promesso. Quest'ultimo, però, deve essere meritato, e solo Dio può concedere la grazia e la misericordia.
Quindi la profezia si pone come un richiamo periodico: l'uomo ha un dovere di adorazione, ma è stato dotato di libero arbitrio. Questo libero arbitrio gli permette di obbedire o di non obbedire a Dio, di fare il bene o il male.
Di conseguenza, il bene e il male si distinguono da un punto di vista teologico. Il bene è ciò che avvicina a Dio, all' obbedienza a Dio, alla sottomissione a Dio, alla fiducia in Dio, mentre il male è ciò che allontana da
Dio.
Ora, l'uomo è libero. Dio ha voluto che questa libertà di poter fare o non fare il male fosse la caratteristica della sua libertà totale, assoluta. Nell' ambito di questa libertà, l'uomo è responsabilizzato. Dio sa che faremo o il bene o il male. In piena responsabilità individuale.
Dio non può consigliarci il male, ma ci consiglia sempre il bene. Come fa a ricordarci la via del bene? Attraverso la profezia, che ricorda che bisogna obbedire, adottare una vita morale, avere fede. L'Islam pone tutto in questo elemento essenziale, sia nelle regole dell' etica che in quelle della morale del bene e del male nella Rivelazione.

Avviene lo stesso per la conoscenza. L'Islam concepisce la conoscenza come un dovere assoluto dell'uomo, come la sua vera missione sulla terra. Dio gli ha donato i mezzi intellettivi, attraverso la «scienza dei nomi», per nominare l'universo, non per approfittarne, come un predatore, ma per proseguire la creazione di Dio, come vicario di Dio.

Spess.
00mercoledì 4 febbraio 2009 18:31
È evidente che l'uomo ha una missione su questa terra, che è quella di prolungare nella visione di Dio la sua creazione, come prosecutore di questa creazione e mai come distruttore. L'uomo ha il dovere morale di partecipare a questa creazione; Dio gli ha donato questa potenzialità perché fosse utilizzata con saggezza e ragione.
In questa rappresentazione umana e teologica ci sono alcuni elementi essenziali che sono l'obbedienza, ma anche l'affermazione che Dio non è un giudice freddo, ma misericordioso. Si può affermare che ci sia, in questa teologia, una dimensione di carità, una dimensione di amore, una dimensione in cui Dio conosce la debolezza umana, in quanto lo ricorda ogni volta: «Attenzione, attenzione, la mia punizione sarà terribile».
Per entrare in paradiso bisogna evitare questa punizione, questa dannazione che significa l'abbandono di Dio, cioè la sua assenza assoluta. Vi si entra facendo il bene o implorando il perdono. Allora la grazia e la misericordia di Dio si manifestano con il pentimento, in questa richiesta umana di redenzione e di perdono. Questo umile ripiegarsi su se stesso è davvero una caratteristica dell'uomo. Certamente, l'individuo può fare il male, ma può anche prendere coscienza di questo male e chiedere perdono, cambiare profondamente se stesso per scoprire la salvezza e la via.
Per Dio la grazia non è automatica. Dio sceglie secondo la libertà della sua giustizia, e siccome non conosciamo in anticipo la sua decisione, abbiamo tutto l'interesse di meritarla.
Tutto ciò che ci avvicina a Dio è una ricerca di Dio attraverso noi stessi. Come diceva Ghazali (morto nel 1111): «È all'interno di noi stessi che dobbiamo lucidare lo specchio dell'anima che è in noi», lucidarlo in modo da togliergli tutte le scorie, attraverso la rinuncia e un atteggiamento di ricerca unica di Dio, per scoprire con lui la verità.
In quel momento, dopo molti sforzi, dolorosi cammini, prove, esercizi mistici, raggiungiamo la visione, la luce di Dio che si chiama la sua verità. La verità deriva dalla conoscenza, dalla fede, dalla coscienza della sacralità di Dio, un' altra dimensione della vita.
Tutto questo fa parte della teologia musulmana, senza comunque trascurare la ricerca del giusto mezzo in ogni circostanza e i progressi necessari, alimentando soprattutto la nostra sete di conoscenza, perché la conoscenza razionale ci
conduce anche a una verità compatibile con la verità di fede.
All'epoca attuale, siamo ancora a questo punto: scienza e fede si completano in una doppia verità che, in realtà, è solo una, quella di Dio.

Proprio per questo alcuni fedeli affermano che, alla fine, siamo tutti uguali. Tra questi, però, mi sembra che ci siano credenti che pensano questo con una punta di orgoglio, e altri che sono sottomessi e si fidano di Lui. L'umiltà, il rispetto del prossimo, ecco quello che Dio prescrive: nel prossimo c'è qualcosa di me stesso.
In questo precetto è presente la ricerca di amicizia tra musulmani e cristiani, e la necessità di non respingere quelli che vi aspirano. Questo concetto è molto attuale ai nostri giorni. Le peregrinazioni di Mosè sono evocate nel Corano, anche gli altri profeti fanno parte del nostro universo religioso; sta scritto che non dobbiamo fare nessuna differenza tra gli uomini, né opporci ad essi, e discutere con ebrei e cristiani in modo gentile. Siamo simili per così tanti aspetti!
Il fatto che il Corano sia una sorta di retrospettiva teologica dimostra l'estrema continuità tra il Giudaismo e il Cristianesimo (soprattutto, forse, il Cristianesimo orientale, in quanto è stato influenzato dai concili e dai libri cosiddetti apocrifi).
Nei libri apocrifi di Giovanni si ritrova la tesi dell'Islam riguardo alla crocifissione: «Il mio Signore mi ha parlato dalla croce, dicendo: "Giovanni, domani vedrai quello che la folla non vedrà, e la folla vedrà ciò che non sarà"».

Spess.
00mercoledì 4 febbraio 2009 18:31
Non è forse la stessa cosa che afferma il Corano, quando racconta che la folla ha creduto di vedere la crocifissione di Gesù, mentre in realtà quest'ultimo è stato assunto in cielo da Dio? Abbiamo questa citazione in un testo di molti secoli anteriore al Corano.
Risulta quindi evidente che esistono stretti legami tra i testi sacri.
È innegabile che tutti i testi sacri sono stati oggetto di un lavoro storico. Da parte mia, constato che ci sono convergenze impressionanti e divergenze non meno curiose, ma che, alla fine, !'ispirazione globale è quella di un unico, grande fiume monoteista che deve essere rispettato da tutti noi, in quanto eredità vivente che trasmette verità eterne.

Il giusto cammino degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani, oggi

Vorrei ora affrontare un altro tema fondamentale, quello della coesistenza, nel nostro paese, delle tre religioni monoteiste, all'inizio di questo nuovo millennio. Per me, la «Francia pluralista» evoca una nazione in cui le religioni possono vivere in armonia, nel dialogo, soprattutto dopo che l'articolo Nostra aetate, del Concilio Vaticano II, ha instaurato il dialogo tra la Chiesa cattolica e le altre religioni, e in particolare, per quello che ci riguarda, nell' ambito del Segretariato delle Relazioni con l'Islam (il SRI).
Giudaismo e Islam affermano l'unicità divina, esortano al ritorno alla religione rivelata a Noè, Abramo, Mosè, Gesù e Muhammad. Dio è Uno, ordina di fare il bene e condanna il male, annuncia l'esistenza di una vita futura e di una ricompensa delle nostre azioni terrene nell' Aldilà. Questi elementi comuni alle grandi religioni le obbligano a un dialogo permanente. È quello che suggerisce l'Islam di Francia, ma anche le comunità musulmane in tutto il mondo. Non è scritto nei testi sacri che la religione possa essere deviata a fini politici.
Noi, ebrei, cristiani e musulmani, dobbiamo, nel rispetto dei nostri valori particolari, mettere in comune i nostri ideali per lottare insieme e costruire una società tollerante e pacifica. Oggi il movimento del dialogo interreligioso ci sembra naturale e favorisce, sul piano religioso, i rapporti tra ebrei e musulmani di Francia.

Riguardo al problema della violenza, non sono irenista al punto da non vedere quello che accade nel mondo. Il problema del rapporto tra israeliani e palestinesi non può essere liquidato, però occorre che si stabilisca un dialogo aperto, franco, sincero, se si vuole che sia globale e autentico.

Spess.
00mercoledì 4 febbraio 2009 18:32
Sono sinceramente cosciente che esistono gravi problemi da risolvere. Devono essere affrontati - nonostante gli alti e i bassi che si riscontrano in queste relazioni contrastate - augurandoci che esistano sempre dialoghi impregnati di rispetto e di stima, in un clima di pace, estraneo a ogni tipo di violenza. È questo che fa avanzare la causa della pace, perché il dialogo fa progredire i rapporti tra comunità ebraiche e musulmane, senza preconcetti e propaganda, che invece alimentano l'odio.
Il fanatismo religioso è contrario allo spirito e alla Legge dell'Islam. Nessuno è musulmano se non è tollerante. Non bisogna fidarsi delle contaminazioni: l'Islam non ha niente a che vedere con l'Islam integralista. Quest'ultimo, che fa della religione uno strumento di dominio, cerca di annullare i valori del progresso. In questo caso non si tratta di un' applicazione della fede islamica, ma di una deviazione verso l'oppressione politica sotto dei pretesti religiosi. Non possiamo vederci tutti come esseri umani creati da Dio? Il Corano dice chiaramente che non c'è nessuna differenza tra i profeti. Siamo tutti sottomessi allo stesso Dio. E Dio ha creato con lo stesso amore tutti gli esseri umani.
Sul piano storico, in Andalusia e nel Maghreb, in Turchia e in Oriente, in ogni tempo le comunità musulmane hanno saputo creare gli elementi di una grande civiltà, di una grande filosofia, di una grande scienza. In breve, c'è stato un grande apporto dell'Islam arabo-musulmano nel mondo, com'è avvenuto per il mondo giudeo-cristiano o quello della Persia. Tutti hanno saputo vivere insieme nel loro tempo.
Oggi, per noi si tratta di vivere la nostra religione con tolleranza, amicizia, conformemente allo spirito dell'Islam, che fa di tutti i popoli a cui Dio ha donato un Libro degli Ahl-el-Kitab, dei fratelli in Dio.
Infatti il Corano dice a ognuno di noi: «Noi vi abbiamo dato una via e una Legge. Se Iddio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una Comunità Unica». Lo afferma lo stesso Corano, non dobbiamo giudicare le differenze tra gli uni e gli altri, perché è Dio che ha voluto così. Egli, però, ci invita a superarci con le buone azioni.
Ciononostante, ai giorni nostri la realtà è questa: diffusione dell'islamofobia, recrudescenza della giudeofobia... Il mio ruolo consiste nel dire: «No!». Il Corano dice ai fedeli (II, 143): «Abbiamo fatto di voi una nazione che segue il medio cammino».
Ai giorni nostri, la situazione dell'Islam mostra al mondo un volto che non è quello che in realtà dovrebbe essere: i fallimenti politici, economici e culturali delle società arabe si spiegano con la religione o con l'instaurazione, a partire dagli anni '50, di regimi politici totalitari, spesso di ispirazione socialista, che hanno provocato la diffusione dell'Islamismo integralista. Come alternativa alla tirannia politica viene proposta un'altra tirannia, di ispirazione falsamente religiosa. In entrambi i casi assistiamo a un ritorno verso l'intolleranza e la povertà, a un rifiuto del progresso e della non violenza.
I musulmani del mondo oggi devono distinguere bene l'Islam - religione di tolleranza e di pace - dall'integralismo - fattore di violenza e di intolleranza, in nome dei principi religiosi.

Come ho già scritto prima, l'Islam si inserisce nella conoscenza di Dio che è stata rivelata in quella regione semitica del mondo che va dal Nilo egiziano alla Mesopotamia, passando da Gerusalemme e da La Mecca. In ogni punto di questo immenso quadrilatero, tra vicini molto mescolati tra loro, gli abitanti risultano pervasi dalla stessa condizione mentale. E qui che Dio si è rivolto ad Abramo, a Ur in Caldea, poi a Gerusalemme con Aissa (Gesù) e sulle rive del Nilo a Moussa (Mosè), e poi a La Mecca a Muhammad (Maometto).
Era necessario che anche l'Islam apportasse questa garanzia, questa certezza che Abramo, Mosè e Gesù avevano rivelato. È lo stesso messaggio, ma con pratiche religiose diverse, la stessa luce di Dio, ma con colori diversi, che illuminano la sovranità divina.
Come dice con saggezza Muhammed Abduh (2): «Per me, la Bibbia, il Vangelo ed il Corano sono libri concordanti, libri di adorazione per le tre religioni, verso un unico Dio».
E, come lui, anch'io spero e credo che un giorno le tre rivelazioni si daranno la mano e si sosterranno contro ciò che c'è di peggio nella nostra epoca: ignoranza, fanatismo, barbarie, intolleranza, oscurantismo, materialismo, dimenticanza di Dio, violenza, terrorismo.

Spess.
00mercoledì 4 febbraio 2009 18:32

L'Europa contro l'antisemitismo: per un'unione nella diversità

«Spiritualmente, siamo tutti semiti!», diceva Pio XI. A partire da qualche anno a questa parte, i propositi e i gesti antisemiti si diffondono in Francia e in Europa, con la velocità e la virulenza che sono consentite dalle comunicazioni moderne e dai media. Insulti a scuola o nelle strade, rabbini aggrediti nella regione parigina, e soprattutto scuole israelite o sinagoghe e moschee incendiate, mostrano 1'estrema gravità del fenomeno, che sembra trovare nel conflitto tra israeliani e palestinesi una nuova fonte di violenza.
Un'indagine condotta dal MRAP (3) nel corso di due anni su numerosi siti web profondamente razzisti mette in evidenza che, «in tutta impunità e con una violenza incredibile, gli autori di questi siti web si sono resi colpevoli di ingiurie razziste, di minacce di morte e di diffamazione nei confronti di privati, giornalisti, personaggi politici o luoghi di culto».
Personalità politiche internazionali pronunciano discorsi inaccettabili, come il primo ministro della Malesia, Mahathir Mohamad, che alla conferenza dell'OCI (4) dichiarava: «Gli europei hanno ucciso sei milioni di ebrei su dodici. Oggi, però, gli ebrei governano il mondo per procura».
Tali idee, inaccettabili, sono le stesse di cui si fanno portavoce alcuni sostenitori di un Islamismo militante radicale o politicizzato, in Europa, dove l'antisemitismo si accompagna con un duplice linguaggio. Questo favorisce, nelle periferie, diverse azioni di giovani delinquenti, per i quali l'aggressività funge più da sfogo che da reale atteggiamento politico o razzista diretto o premeditato contro bersagli ebraici.
Roger Cukierman (5) denuncia: «Da circa tre anni, un malessere ha colpito gli ebrei francesi: a causa dell'aumento degli atti antisemiti, la cui origine risale all'ottobre del 2000, un gran numero di questi comincia a temere seriamente per la sua sicurezza» (cfr. Le Monde del 20 settembre). Questo è vero al punto che Nissim Zvili, ambasciatore di Israele in Francia, domenica 16 novembre ha dichiarato alla radio pubblica israeliana: «Molti ebrei francesi si interrogano sul loro futuro in questo paese. Il fenomeno dell'antisemitismo in Francia ha raggiunto proporzioni inquietanti».
Poi si indigna apertamente: «Sessant'anni dopo la Shoah, i nostri figli subiscono vessazioni nelle scuole, è insopportabile! I piccoli delinquenti che incendiano le scuole, cosa faranno domani? Il sistema anti-ebreo è molto grave, inaccettabile moralmente».
In risposta, alcune personalità si indignano nel vedere la Francia trattata come antisemita e gli ebrei che sono spinti a lasciare il paese. Il presidente della Repubblica francese,
Jacques Chirac, ha condannato con molta energia tutti gli atti antisemiti, chiedendo di lottare in modo deciso contro queste espressioni, e creando un Alto Consiglio contro le discriminazioni, incaricato di controllare ogni manifestazione di razzismo e di antisemitismo pubblico o privato. Ha dichiarato che «Attaccare un ebreo francese significa attaccare tutta la Francia». Lo stesso presidente israeliano, Moshe Katsav, riconosceva, il 16 febbraio 2004: «Apprezzo la politica risoluta della Francia nel soffocare le manifestazioni di antisemitismo» (6).
Come
già detto, questi atti razzisti sono innumerevoli dal 2000, e riguardano sia la Francia che l'Europa.
A questa giudeofobia corrisponde anche una crescente islamofobia. Le due comunità rischiano di ripiegarsi su se stesse e sulla propria identità, in modo sospettoso, inquieto e aggressivo.
La recente legge contro i simboli religiosi nella scuola pubblica ha rilanciato il dibattito sulla laicità, attraverso il rifiuto di appartenenza a una comunità chiusa e dell' ostentazione di qualsiasi segno di natura cristiana, musulmana o ebraica nello spazio scolastico.
Di fronte a questo problèma di incomunicabilità tra le diverse componenti delle spiritualità europee esiste un'unica soluzione e un solo trattamento: il dialogo delle culture e delle religioni.
L'antisemitismo europeo è un fenomeno antico che, nel corso dei secoli e per tutta la presenza ebraica, ha assunto diverse forme ricorrenti. Facciamo un breve riassunto storico:
70 avanti Cristo: arrivo delle prime comunità ebraiche in Francia e in Europa.
V secolo: primi tentativi di conversione degli ebrei al Cristianesimo da parte dei Visigoti.
711: conquista dell'Andalusia da parte dei musulmani, che determina un periodo di tolleranza religiosa.
1095: conquista di Toledo e inizio della Reconquista.
1095: invito di Urbano II alla prima Crociata.
1182: prima espulsione degli ebrei dal regno di Francia.
1215: quarto Concilio Lateranense e prime misure discriminatorie.
1231: creazione dell'inquisizione papale.
1290: espulsione degli ebrei dal regno di Inghilterra.
1391: pogrom di Siviglia.
1394: espulsione definitiva degli ebrei dal regno di Francia.
1412: leggi di Valladolid che limitano i diritti economici e politici degli ebrei.
1481: inizio dell'inquisizione reale in Spagna.
1492: decreto di espulsione degli ebrei dai regni di Castiglia e di Aragona.
1497: matrimonio di Manuel I del Portogallo con l'infanta di Spagna, espulsione o conversione forzata di massa degli ebrei del Portogallo.

Spess.
00mercoledì 4 febbraio 2009 18:33
 

Molti paesi islamici hanno accolto le comunità ebraiche (Maghreb, Turchia, Oriente). Il XIX secolo, con l'affare Dreyfus, e il XX, con i pogrom e la Shoah, hanno mostrato che i veleni dell'intolleranza nei confronti del Giudaismo hanno assunto talvolta forme mostruose e sistematiche.
L'inizio del XXI secolo, con centosedici atti antisemiti nel 2000, e un numero equivalente o maggiore nel 2002 e nel 2003, con più di sessanta sinagoghe e istituzioni di insegnamento religioso distrutte o danneggiate, si è dimostrato preoccupante quanto il passato: libri e cassette antisemite, insulti antiebraici, vie di fatto, minacce di morte...
Generalmente questo antisemitismo si distingue dal precedente perché non riguarda il francese medio razzista; si tratta piuttosto di fatti isolati, sporadici, senza rapporto tra di loro, opera di giovani delinquenti irresponsabili e provocatori, senza nessuna ideologia particolare. I protagonisti di questi gesti sono nella maggior parte dei casi immigrati, vittime del razzismo e diventati essi stessi razzisti. Non ci sono forse, dietro questi casi, reminiscenze dell'intifada o immagini scioccanti sulle violenze del Vicino Oriente diffuse dalla televisione? Si tratterebbe quindi di un antisemitismo terzomondista diverso da quello del passato europeo.
Il Congresso ebraico europeo denuncia «la passività dell'Unione Europea di fronte a un fenomeno che è solo il riflesso del malessere delle democrazie europee. E prosegue: «Invitiamo i governi europei a convocare una conferenza per affermare a piena voce la volontà di combattere l'antisemitismo sotto tutte le sue forme e, grazie a ciò, di rassicurare i cittadini ebrei dell'Europa quanto alloro diritto di vivere come cittadini liberi e uguali, senza paura e senza discriminazione
» (7).
L'Europa deve assolutamente reagire contro l'antisemitismo, la giudeofobia e l'islamofobia, e favorire il dialogo nella diversità delle religioni, in vista di una cultura di pace e
di umanesimo. .
Ricordiamo che l'Europa dei quindici, con legislazioni diverse, contava, su un totale di 360 milioni di abitanti:
il 53 % di cattolici;
il 20% di protestanti;
il 9% di anglicani;
il 5,5% di musulmani (da 17 a 20 milioni);
il 3 % di ortodossi;
l'1,6% di ebrei (3,8 milioni).

Spess.
00mercoledì 4 febbraio 2009 18:33
Aggiungo che nello spazio europeo di Schengen i diversi accordi che garantiscono la libertà di coscienza e di espressione religiosa sono:
la Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
le Convenzioni di Helsinki;
le Carte di Sofia, di Costantinopoli;
la Carta dei diritti fondamentali (Nizza);
e inoltre la Dichiarazione dei diritti dell'uomo in Francia e all'ONU del 1948.

Tutti questi accordi instaurano un clima di tolleranza e di legittimità del diritto all'espressione religiosa, favorevole alla pluralità interculturale dell'Europa, fattore essenziale della sua futura identità.
Nessun paese europeo misconosce il fatto religioso e, come scrive monsignor Hippolyte Simon, vescovo di Clermont-Ferrand: «Ci auguriamo che l'Unione Europea intrattenga con le Chiese (e i culti) un dialogo strutturato» (8).

«L'Unione Europea ha ereditato un passato allo stesso tempo ricco e tragico, di cui deve fare l'inventario per ricavarne delle lezioni», per la pace e la sicurezza: è un diritto e un dovere per l'Unione Europea. Grazie alle lezioni del passato e ai vantaggi offerti dalla globalizzazione, le opportunità di dialogo tra le religioni diventano più necessarie e accessibili che mai.
Il dialogo interreligioso è auspicato congiuntamente dalle tre religioni monoteiste e non può che essere un dialogo di pace e di distensione sociale, entrando a fare parte di questa cultura di pace e anche in una teologia della pace, nel rispetto reciproco dei valori spirituali di ognuno e mirando all'intesa religiosa tra ebrei, cristiani e musulmani in Europa.
In queste condizioni, si auspica il dialogo autocritico in cui ognuno si mette al posto dell' altro - per giungere alla comprensione, all' accettazione e infine alla stima reciproche.
Nella dichiarazione 111, il Trattato di Amsterdam stipula che «l'Unione Europea rispetti e non pregiudichi lo statuto di cui beneficiano, in virtù del diritto nazionale, le Chiese e le associazioni o le comunità religiose negli stati membri. L'Unione Europea rispetta anche lo statuto delle organizzazioni filosofiche e non confessionali».
La giudeofobia, così contraria ai diritti ben stabiliti delle minoranze europee, si associa anche all'islamofobia, come dicevo prima. Sfortunatamente le due tendenze sono aggravate dalle tensioni del Vicino Oriente. Sembra quasi che i gesti islamofobi
- come le discriminazioni, la stigmatizzazione e la colpevolizzazione dell'immigrazione musulmana - favoriscano lo spirito di appartenenza alla comunità islamica, tingendolo di propositi o di gesti giudeofobi isolati, soprattutto tra i giovani.
Dal punto di vista religioso, non risultano per nulla giustificati. Qualche tempo fa papa Giovanni Paolo n proclamava: «Tutti noi, cristiani e musulmani, viviamo sotto il sole di un Dio unico, misericordioso - tutti crediamo in ul1 solo Dio, Creatore dell'uomo. Acclamiamo la Signoria di Dio, adoriamo Dio e professiamo una sottomissione totale nei suoi confronti. In questo senso possiamo quindi chiamarci l'un l'altro fratelli e sorelle nella fede in un solo Dio, e gli siamo riconoscenti di questa fede, perché, senza Dio, la vita dell'uomo è come il cielo senza il sole».
L'Islam, da parte sua e dal punto di vista della dottrina, resta una religione di dialogo, di tolleranza e di pace. Come dice il Corano (III, 64): «Dì: "O gente del Libro! Venite a un accordo equo fra noi e voi, decidiamo cioè di non adorare che Dio e di non associate a Lui cosa alcuna"».
Teologicamente, la pace è uno dei nomi di Dio e un dono di Dio: «Egli è Dio: non v'è altro Dio che Lui, il Re, il Santo, la Pace» (LIX, 23). «O Dio, tu sei la pace, facci vivere nella pace».

Spess.
00mercoledì 4 febbraio 2009 18:34
Il Profeta dell'Islam decretò: «È nella fede colui che applica la giustizia, che diffonde la pace e fa la carità del poco che possiede». Nella concezione propriamente islamica della pace, quest'ultima contiene anche dal punto di vista teologico il significato della salvezza. Rappresenta un' esigenza della fede e in questo senso è strettamente legata alla giustizia, alla fede e alla tolleranza.
Il giusto, quindi, percorre la retta via nel rifiuto della violenza. Proprio per questo l'amore, la carità e la solidarietà assumono nella vita del credente la funzione di una contro-potenza di fronte alla violenza e all'intolleranza. Dal punto di vista teologico, la pace serve come fondamento etico dei diritti e dei doveri dell' essere nella sua relazione con se stesso, con gli altri e con Dio.
In caso di conflitto, il Corano insegna: «E certo se Dio non respingesse alcuni uomini per mezzo di altri, sarebbero ora distrutti monasteri e sinagoghe, e oratori e templi nei quali si menziona il nome di Dio di frequente» (XXII, 40).
Lo ripeto con forza: gli atti antisemiti non corrispondono all'insegnamento dell'Islam. La dottrina dell'Islam non è antisemita. I responsabili religiosi e le istituzioni religiose europee devono quindi unirsi nella difesa dei diritti di tutte le comunità religiose e della dignità della persona umana, affinché siano preservati i valori umanisti del monoteismo adamico e abramico, salvaguardando le comunità europee dai rischi collegati alla violenza, al razzismo, al fanatismo, alla chiusura di una comunità in se stessa e all'integralismo religioso.

Per un dialogo liberale

L'Islam europeo, per riuscire a integrarsi, deve necessariamente essere un Islam liberale e moderato. Predichiamo continuamente il liberalismo e la moderazione nell'affermazione dell'identità religiosa dell'Islam, perché non è prudente forzare le suscettibilità occidentali nel settore ancora sensibile della religione. Se ne può avere una dimostrazione nella legge francese sul velo islamico.
I rischi di islamofobia, di giudeofobia e di antisemitismo sono troppo reali per lasciare che siano gli estremisti a rappresentare la realtà dell'Islam europeo.
Sta all'Europa affermare una scelta precisa per l'apertura al dialogo con le religioni che non tentano di imporsi e non oppongono i loro valori o le loro esigenze ai valori umanisti dell'Europa e alla sua tolleranza.
Dal settembre del 2001 l'immagine dell'Islam si è deteriorata ovunque nel mondo; tutti i responsabili musulmani dovrebbero sforzarsi di ritrovare le fonti ricche e vivificanti che hanno creato lo splendore della civiltà musulmana, la quale ha brillato con Averroè e Avicenna, a Bologna, a Padova, in Sicilia, in Francia, in Andalusia, trasmettendo l'umanesimo, la scienza e la filosofia al Rinascimento dell'Europa.
Oggi l'Europa stenta a fidarsi delle dichiarazioni aggressive e maldestre di alcuni responsabili musulmani, e talvolta le teme. Ma in Europa esiste - più di quanto si creda -
una corrente liberale dell'Islam. Quella che vuole dialogare, integrarsi, vivere la modernità e rispettare i diritti delle donne. Conviene darle credibilità, forza e vitalità. Oggi per un musulmano è più difficile essere moderato che radicale o estremista! Ma alla lunga è proprio questa corrente che renderà possibile l'incontro tra Europa e Islam.
Attraverso il dialogo interreligioso, le religioni devono coesistere, nella pace e nella tolleranza, con gli altri popoli e condividere con loro i valori di amore, solidarietà e giustizia sociale. Al di sopra di tutto, il dialogo ha come obiettivo di evitare la chiusura e l'intolleranza legate all' affermazione di un'identità e a un sentimento strettamente comunitario. Su questo piano, possiamo dire che l'integrazione dei musulmani in Europa deve avvenire naturalmente, evitando che la religione, come diceva Heinrich Heine, «si riduca ad una patria portatile».

Spess.
00mercoledì 4 febbraio 2009 18:34
Infine, la formazione dei religiosi (imam e rabbini) deve comprendere una conoscenza reciproca delle teologie, delle civiltà, ma anche delle realtà umane.
Ripetiamolo un'ultima volta: la pace è l'obiettivo dell'Islam, il proselitismo non è conforme al suo insegnamento, come afferma il Corano: «Non vi sia costrizione nella fede» (II, 256).

Per concludere

Proponiamo un dialogo tra ebrei e musulmani, ancora inesistente in Europa e in Francia.
Predichiamo un'amicizia tra ebrei e musulmani, in grado di trascendere i conflitti del Vicino Oriente.
Chiediamo che i responsabili delle tre religioni abramiche assumano pienamente la loro funzione di moderatori delle tensioni e di sostenitori di una cultura dell' amicizia tollerante e costruttiva di pace, nella stima reciproca.
I cristiani devono continuare a farsi carico della loro responsabilità storica, opponendosi a tutte le forme di razzismo e di antisemitismo, mettendo in guardia contro i misfatti della giudeofobia e dell'islamofobia, e rispettando i valori essenziali della coesistenza.
«Non esiste la guerra santa, solo la pace è santa» (grande rabbino René Sirat) e oggi dobbiamo fare di tutto per proteggere questa pace, che è diventata sacra dopo la Shoah e i suoi misfatti indelebili.
Perché l'Europa sia in pace, le comunità ebraiche devono essere protette come una minoranza attiva, necessaria e fragile. E i musulmani devono svolgere questo ruolo come hanno fatto in Andalusia e nel Maghreb, fino al 1492.
Purtroppo il dialogo religioso non riuscirà a sopprimere le cause dei conflitti! Ma anche se ancora oggi esistono molti conflitti aperti o latenti su basi religiose, si comprende che c'è molto da fare per eliminare, grazie alla conoscenza reciproca e al dialogo interreligioso, il pretesto religioso di guerre e di massacri di innocenti.
Il Talmud ricorda: «Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita».

 

 [1] Corano, II, 136: «Noi crediamo in Dio, in ciò che è stato rivelato a noi e in ciò che fu rivelato ad Abramo, a Ismaele, a Isacco, a Giacobbe, e alle Dodici Tribù, e in ciò che fu dato a Mosè e a Gesù, e ai profeti del Signore; non facciamo alcuna differenza fra loro e a Lui tutti ci diamo». (Nel testo in francese viene indicato il versetto 130, mentre in realtà viene citato il 136, n.d.t.).
[2] Grande riformatore egiziano, 1849-1905.
[3] Movimento contro il Razzismo e per l'Amicizia tra i Popoli.
[4] Organizzazione della Conferenza Islamica.
[5] Presidente del CRIF, Consiglio Rappresentativo delle Istituzioni ebraiche di Francia.
[6] Discorso di Moshe Katsav durante la serata del CRIF al Palazzo dei Congressi di Parigi, durante la sua visita di stato (16-20 febbraio 2004).
[7] Le Monde del 22 ottobre 2003.
[8] Le Monde dell'8 maggio 2003.

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